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    La Commissione Ue propone una nuova stretta sugli oligarchi che violano le sanzioni contro la Russia

    Bruxelles – “La violazione delle sanzioni Ue contro la Russia non darà i suoi frutti”. In un tweet pubblicato questa mattina (2 dicembre), la Commissione Ue ha ribadito la volontà di dare battaglia a chiunque cerchi di aggirare le misure restrittive stabilite da Bruxelles dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina.
    Per farlo, l’esecutivo comunitario ha presentato una proposta per criminalizzare l’evasione delle sanzioni e per armonizzare la risposta in tutti i Paesi membri. Le norme comuni stabilite dalla Commissione renderanno più facile indagare e perseguire le violazioni in tutto il territorio Ue. “L’Unione Europea deve mostrare i denti per garantire la piena applicazione delle sanzioni”, ha dichiarato il commissario per la Giustizia, Didier Reynders: “Non basta presentare pacchetti sanzionatori di ampio respiro se tutti gli Stati membri non sono dotati degli strumenti necessari per garantire l’effettività delle misure restrittive”.

    The violation of EU sanctions against Russia won’t pay off.
    Today, we put forward a proposal to criminalise the evasion of EU restrictive measures.
    It will make easier to investigate, prosecute and punish violations of sanctions in all EU countries.#StandWithUkraine
    — European Commission 🇪🇺 (@EU_Commission) December 2, 2022

    Le difficoltà incontrate dall’Ue nell’attuazione delle sanzioni dimostrano, secondo la Commissione, “la complessità dell’identificazione dei beni di proprietà degli oligarchi, che li nascondono in diverse giurisdizioni attraverso elaborate strutture legali e finanziarie”. La Commissione propone di usare il pugno duro: a seconda del reato, la singola persona potrebbe essere soggetta a una pena di almeno cinque anni di carcere e le società potrebbero ricevere sanzioni non inferiori al 5 per cento del fatturato totale delle stesse.
    Ma non solo. La proposta di direttiva permetterebbe ai 27 Paesi membri di avviare procedure giudiziarie per la confisca di beni, nel caso in cui venisse accertata una violazione delle misure restrittive Ue. L’elenco di reati include “mettere a disposizione fondi a beneficio di una persona o un’entità toccati da sanzioni, il mancato congelamento di tali fondi, consentire l’ingresso e il transito di persone sanzionate nel territorio di uno Stato membro, commerciare in beni e servizi vietati o limitati”.
    Prevedere la confisca dei beni, anziché il loro congelamento come accaduto fino a oggi, permetterebbe la loro messa all’asta o l’eventuale assegnazione a enti terzi, sgravando gli Stati membri dagli oneri della manutenzione. I proventi, come ha annunciato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, potrebbero costituire un fondo “per il risarcimento dei danni causati all’Ucraina”.

    L’esecutivo Ue propone di criminalizzare l’evasione delle sanzioni e armonizzare le procedure penali negli Stati membri. Almeno cinque anni di carcere a chi aggira le misure restrittive e confisca dei beni, che potrebbero costituire un fondo per l’Ucraina

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    INTERVISTA / Castaldo: “Siamo di fronte a un bivio storico per l’Europa della difesa, serve un approccio cooperativo”

    Bruxelles – Il 2022 sarà ricordato come un anno di svolta per le ambizioni dell’Unione Europea per tracciare una strada comune nel settore della difesa e della sicurezza. Il 21 marzo la Commissione ha presentato la Bussola Strategica per la difesa comune 2030, seguita due mesi più tardi da un’analisi delle lacune sulla spesa dei 27 Stati membri. L’obiettivo è quello di una convergenza verso gli acquisti congiunti e la creazione di una forza comune di intervento rapido da dispiegare in casi di crisi. Dopo l’intervento alla nona edizione dell’evento annuale “How can we govern Europe?” a Roma, l’eurodeputato del Movimento 5 Stelle ed ex-vicepresidente del Parlamento Ue Fabio Massimo Castaldo ha spiegato in una lunga intervista concessa a Eunews come dovrebbe impostarsi la strategia dell’Unione per favorire la cooperazione su scala europea e per affrontare gli ostacoli a un esercito comune.
    Su quali perni dovrebbe essere costruita l’Unione della difesa e della sicurezza?
    “L’Unione Europea ha bisogno di una maggiore integrazione nella politica della difesa e della sicurezza per rispondere alle molteplici sfide dell’attuale contesto geopolitico. Guardare al passato di un’Europa delle piccole nazioni ci renderebbe deboli e alla mercé delle grandi potenze globali. Per evitarlo, ritengo essenziale che i regolamenti in discussione al Parlamento Europeo supportino la ricerca di un’autonomia strategica aperta, senza porre barriere ideologiche che vadano a svantaggiare alcuni Paesi, favorendone invece altri. Siamo di fronte a un bivio storico per l’Europa della difesa ed è indispensabile che si agisca mettendo al primo posto l’interesse europeo, non quello partigiano, utilitaristico e orientato a guadagni di breve periodo delle singole capitali”.
    La Commissione Ue ha evidenziato che una delle criticità riguarda la percentuale di acquisizioni di capacità militari congiunte tra Paesi membri, solo l’11 per cento rispetto al 35 concordato.
    “Questo elemento è estremamente dannoso per l’intero impianto dell’Europa della difesa, sia dal lato economico sia da quello industriale, perché crea ulteriore frammentazione della base industriale europea e inefficienze legate alla mancata fruizione dei benefici derivanti dalle economie di scala che esisterebbero qualora si agisse in maniera coordinata tra le varie forze armate nazionali”.
    Come si può agire a livello europeo per ri-orientare gli Stati membri verso uno sforzo di convergenza al lavoro comune?
    “Proprio per dare una risposta efficace a questa problematica, la Bussola Strategica auspicava la creazione di una serie di incentivi economici dedicati a stimolare le acquisizioni di capacità militari (procurement) congiunte. Questa volontà si è poi concretizzata con la presentazione da parte della Commissione del regolamento European Defence Industry Reinforcement through common Procurement Act (Edirpa), che mette a disposizione 500 milioni di euro per il periodo 2022-2024 come incentivi per le attività di procurement congiunto tra gli Stati membri. Questa proposta è attualmente al vaglio del Parlamento e del Consiglio dell’Ue”.
    Qual è il valore di questo regolamento?
    “Al di là delle limitate risorse economiche messe a disposizione, Edirpa ha una grande valenza politica perché funge da precursore del futuro European Defence Investment Programme (Edip), che dovrebbe essere dotato di fondi ben più considerevoli. Ritengo che questi strumenti possano giocare un ruolo fondamentale nello stimolare l’appetito degli Stati membri e delle varie industrie della difesa nazionali verso una maggiore europeizzazione della base industriale e delle capacità militari. Ma sarà necessario che vengano concepiti nel modo corretto, perché possano adempiere a questi scopi, e che tanto il regolamento di Edirpa, quanto quello futuro di Edip, siano indirizzati a favorire una vera cooperazione su scala europea, scongiurando il rischio che essi finiscano per supportare iniziative bilaterali o mini-laterali”.
    È possibile pensare all’orizzonte di un esercito europeo coordinato con la Nato, al posto di 27 eserciti nazionali?
    “Qualche passo concreto in questo senso è già previsto nella Bussola, in particolare la creazione di una Forza europea di reazione rapida. A mio avviso sarebbe però più opportuno ritornare all’ambizione degli Helsinki headline goals e puntare quindi a 50/60 mila soldati, rispetto ai 5/6 mila definiti nella Bussola. Quello della realizzazione di un esercito comune europeo rappresenta un obiettivo a cui dobbiamo ambire nel lungo periodo, ma va costruito tassello dopo tassello e inquadrato nell’ottica di una stretta collaborazione transatlantica. Dobbiamo dare concretezza all’adagio a stronger Europe for a stronger NATO”.
    Quali sono gli ostacoli al momento?
    “Pur avendo ben chiaro come sia necessario un maggior coinvolgimento dell’Unione Europea nelle dinamiche internazionali – che possa portare a un riequilibrio delle relazioni in seno all’Alleanza Atlantica in ottica cooperativa e basato su una divisione dei compiti e delle aree di competenza – non possiamo non constatare come vi siano ancora molteplici ostacoli a un esercito comune europeo. Il primo riguarda l’assetto di decision making interno all’Ue, soprattutto nel campo della politica estera, che rimane ancora troppo incentrato su un’ottica intergovernativa, come dimostrato dal requisito dell’unanimità in sede di Consiglio. Occorrerà superare questa configurazione, muovendosi verso un processo decisionale che preveda il voto a maggioranza qualificata e, in seguito, procedendo con una sempre più pervasiva integrazione europea in senso federale. Oltre a queste problematiche di carattere politico, ve ne sono altre di carattere più pratico”.
    Per esempio?
    “Le capacità militari di nuova generazione sufficienti a garantire la nostra difesa territoriale, l’ancora insoddisfacente livello di interoperabilità tra le varie forze armate nazionali, o l’assenza di una cultura strategica comune. L’Unione si è già attivata per porre rimedio a queste carenze con diverse iniziative lanciate nel corso degli ultimi anni: dal Fondo Europeo per la Difesa (Edf) e i suoi precursori (Edidp e Padr), a Edirpa e il futuro Edip. Ritengo che sia necessario continuare in questa direzione, muovendosi passo dopo passo per costruire i prerequisiti necessari al raggiungimento dell’obiettivo di lungo periodo, ossia una maggiore integrazione nel settore della difesa. Solo così potremo, un giorno, ambire a creare un vero e proprio esercito europeo”.
    Quali sono i punti di forza della Bussola Strategica 2030 presentata dalla Commissione?
    “Il principale obiettivo della Bussola Strategica era quello di fissare un livello di ambizione elevato per l’azione esterna dell’Ue, dando concretezza e proponendo indicatori tangibili per misurare i progressi nella realizzazione delle linee guida già contenute nella Strategia Globale del 2016. Tutto ciò in un orizzonte di tempo ragionevolmente breve, ma comunque compatibile con le complessità che si dovranno affrontare. Ritengo che il principale punto di forza risieda nell’approccio tenuto durante la sua elaborazione. Per la prima volta le istituzioni Ue hanno deciso di partire dalle prerogative degli Stati membri che, attraverso un’analisi delle minacce condotta a livello nazionale, hanno fornito al Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) una propria panoramica dettagliata dei rischi alla sicurezza. Il Seae ha poi analizzato i punti di convergenza e ha proposto azioni concrete a livello europeo, mettendo in risalto come tutte queste minacce possano essere affrontate esclusivamente a livello unionale. È stato così delimitato un ampio perimetro, all’interno del quale gli Stati membri saranno più propensi a sviluppare risposte congiunte, dando un più ampio respiro all’azione esterna dell’Unione”.
    Vede anche dei punti di debolezza?
    “Questo esercizio rischia di scontrarsi con l’atavica riluttanza degli Stati membri a cedere sovranità proprio in due aree che da sempre connotano e qualificano lo Stato moderno, ossia la politica estera e quella di difesa. Qui potrebbe insinuarsi l’elemento di debolezza della Bussola Strategica: in assenza di una riforma dell’assetto decisionale dell’Ue in senso sovranazionale, l’intero esercizio rischia di vedere ridotta la propria capacità d’incidere sulla politica estera europea. Se vogliamo sfruttare appieno tutto il potenziale della Bussola Strategica, sarà necessario rivedere il funzionamento dell’Unione stessa con una riforma dei Trattati”.

    Intanto l’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha parlato di aumentare di 70 miliardi la spesa militare dei Ventisette al 2025.
    “Occorre contestualizzare la dichiarazione, per comprenderne appieno il significato. L’alto rappresentante ha parlato di un incremento delle spese per la difesa di 70 miliardi di euro complessivi, ossia come sommatoria delle singole spese nazionali dei 27 Stati membri dell’Unione. Allo stesso modo, il messaggio si è concentrato sulla necessità di agire in maniera coordinata, evitando quindi di incrementare ulteriormente la già esistente frammentazione degli investimenti nel settore della difesa e la competizione tra gli Stati. Da ultimo, ha ribadito la necessità di indirizzare questi investimenti verso l’acquisizione o la realizzazione delle capacità di cui si registra una carenza su scala europea. Secondo uno studio del Servizio ricerche del Parlamento Ue, il costo di una ‘non-Europa’ – il perdurare della frammentazione negli investimenti nel settore della difesa – si attesta intorno ai 26 miliardi di euro annui, una cifra esorbitante che potrebbe essere minimizzata attraverso un approccio veramente cooperativo”.
    Qual è l’orizzonte di questo approccio?
    “Ritengo che l’approccio cooperativo sia una priorità non procrastinabile. Solo muovendosi verso l’europeizzazione del settore della difesa si possa contrastare la tendenza di alcuni Stati membri – su tutti la Germania, che ha già annunciato un fondo speciale da 100 miliardi di euro per l’acquisizione di capacità militari – a muoversi unilateralmente con il risultato di aggravare ulteriormente la situazione descritta. L’obiettivo dell’Unione è e rimarrà quello di essere un attore internazionale che pone al centro del suo operato il rispetto e la difesa del diritto internazionale e dei diritti umani, e nessun aumento delle spese militari lo cambierà mai”.
    Tutto ciò ha un impatto anche sui rapporti con la Russia e sulla guerra in Ucraina?
    “Per quanto riguarda le recenti tensioni con la Russia, la cui attuale leadership politica rimane l’unica responsabile della guerra d’invasione che sta perpetrando nei confronti dell’Ucraina, ribadisco che l’Unione Europea dovrebbe farsi promotrice di iniziative di dialogo serie e strutturate, che favoriscano una soluzione negoziale del conflitto. Questa soluzione però dovrà basarsi su alcuni punti per noi irrinunciabili, come il rispetto dell’integrità e della sovranità territoriale dell’Ucraina”.

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    Michel incontra Xi Jinping a Pechino: “Contiamo sulla Cina per fermare l’aggressione russa all’Ucraina”

    Bruxelles – “L’Ue conta sulla Cina, in qualità di membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, per invitare la Russia a rispettare i principi fondamentali della Carta delle Nazioni Unite e contribuire a porre fine alla brutale occupazione dell’Ucraina”. Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, può tornare da Pechino forte delle rassicurazioni del leader cinese, Xi Jinping, che ha condannato le minacce nucleari “inaccettabili” del Cremlino e ha dichiarato che “la Cina non sta vendendo armi a Putin”.
    Michel, che a Pechino era già stato nel novembre 2016 come primo ministro belga, ha incontrato oggi (giovedì primo dicembre) il presidente della Repubblica Popolare Cinese, a cui ha ribadito la necessità che la Cina “utilizzi la propria influenza sul Cremlino” per fermare la guerra. Non solo: in un tête-à-tête durato più di tre ore, i due leader hanno discusso delle crisi globali innescate dal conflitto e dell’importanza strategica dell’asse Bruxelles-Pechino.

    The EU promotes its interests and values in the world.With China, engaging openly on all aspects of our relationship is the only way forward.Today we addressed Russia’s war against Ukraine & its consequences, global challenges and the full breadth of our bilateral relationship. pic.twitter.com/dlw1k1upyh
    — Charles Michel (@CharlesMichel) December 1, 2022

    Il presidente del Consiglio Europeo ha portato all’attenzione di Xi Jinping la posizione comune che i 27 primi ministri Ue hanno stabilito poche settimane fa sul rapporto strategico con il gigante asiatico, ovvero la necessità di adottare un approccio realistico che parte da un dato di fatto: Pechino è il primo partner commerciale dell’Unione, con cui scambia merci per più di 2 miliardi di euro al giorno. Per i leader europei il tema chiave è “il riequilibrio delle relazioni commerciali”. Michel ha evidenziato che il commercio Ue-Cina “ha contribuito in modo sostanziale alla trasformazione economica” del Paese asiatico, ma che ora c’è bisogno “di maggiore reciprocità e di garantire parità di condizioni (level playing fields) per le imprese europee“. Perché se da una parte “i mercati sono aperti e per le compagnie cinesi è facile investire da noi”, Michel ha chiesto a Xi Jinping di rimuovere gli ostacoli che fanno sì che le imprese europee “abbiano difficoltà a operare in Cina”.
    L’Unione teme di sviluppare con il gigante asiatico un rapporto di dipendenza per le forniture di tecnologie (come i semiconduttori) e materie prime critiche, necessarie per la doppia transizione digitale e energetica. Per non ripetere l’errore della dipendenza dal gas russo, Bruxelles ha presentato l’European Chips Act e sta lavorando sull’Atto sulle materie prime critiche. Ma se Pechino si sta rivelando fondamentale per la differenziazione energetica, su cui l’Europa sta procedendo a tappe forzate a causa della guerra in Ucraina, Bruxelles potrebbe soccorrere la Repubblica popolare cinese ancora alle prese con confinamenti anti-Covid e con una campagna vaccinale che non decolla. “Le compagnie farmaceutiche europee sono disponibili a consegnare i loro vaccini in Cina, quando verranno riconosciuti dalle autorità di Pechino”, ha dichiarato Michel, che ha poi espresso a Xi Jinping la sua preoccupazione per le proteste e gli scontri in corso in diverse città cinese, ricordando che “il diritto di riunione è un diritto fondamentale”.
    Sulla questione dei diritti umani in generale, Michel ha accolto con favore la disponibilità del leader cinese a riprendere il dialogo Bruxelles-Pechino sui diritti umani, “che offrirà l’opportunità di affrontare in dettaglio la situazione delle minoranze nonché dei singoli casi”. Il presidente del Consiglio Ue ha ribadito “l’impegno a favore della politica di un’unica Cina“, facendo presente a Xi Jinping che le tensioni su Taiwan vanno a discapito degli interessi dell’Unione, visto che lo stretto di Taiwan è la rotta principale per le navi provenienti dalla Cina, dal Giappone, dalla Corea del Sud e da Taiwan verso l’Europa e che nell’isola si fabbricano circa il 50 per cento della produzione mondiale di semiconduttori. “Sia la Cina che l’Ue hanno interesse a un mondo basato sulla legge, con la carta delle Nazioni Unite al centro”, ha chiuso Michel, affermando che l’Ue “continuerà a dialogare con la Cina in vista del prossimo vertice Ue-Cina nel 2023”.

    Il leader cinese ha assicurato che “la Cina non sta vendendo armi alla Russia” e ha condannato le minacce nucleari del Cremlino. Nel bilaterale Michel ha fatto presente la necessità di “riequilibrare le relazioni commerciali”, garantendo parità di condizioni per le imprese europee

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    Le notizie sullo stato di salute dell’oppositrice bielorussa Maria Kolesnikova preoccupano l’Ue: “Sia subito liberata”

    Bruxelles – Maria Kolesnikova, una delle tre leader di spicco dell’opposizione bielorussa, ha scontato il primo anno di carcere degli 11 a cui è stata condannata, ma le notizie che arrivano da Gomel (nel Sud-est del Paese) sono sempre più preoccupanti. “Maria Kolesnikova è stata ricoverata in ospedale in gravi condizioni, all’avvocato viene negato l’accesso e la diagnosi è tenuta segreta”, ha reso noto il suo entourage, che su Twitter tiene accesi i riflettori su quanto sta vivendo da dietro le sbarre la donna che dall’interno del Paese ha denunciato le violazioni dei diritti fondamentali da parte del regime di Alexander Lukashenko.
    La leader dell’opposizione Maria Kolesnikova e il membro del Presidium del Consiglio di coordinamento Maksim Znak
    Quello che si sa al momento è che né al suo avvocato né al padre viene concesso l’accesso alla stanza dell’ospedale, così come alla diagnosi, con la motivazione della “assenza del consenso scritto di Maria”, riportano i portavoce dell’attivista. Fonti non confermate affermano allo stesso entourage dell’oppositrice bielorussa che “potrebbe avere una perforazione dello stomaco“. La notizia ha raggiunto ieri (mercoledì 30 novembre) anche Bruxelles, con una nuova presa di posizione netta del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae).
    Il portavoce Peter Stano ha messo in chiaro che l’Ue è “estremamente preoccupata” per lo stato di salute di Kolesnikova: “Il regime deve garantirle cure mediche urgenti e adeguate e rilasciarla immediatamente“, dal momento in cui “hanno la responsabilità della sua salute”, ha ribadito oggi (giovedì primo dicembre) nel punto quotidiano con la stampa. Si tratta di una “detenzione illegale, è una prigioniera politica”, ha precisato con forza Stano.

    The diagnosis was not disclosed even to her father. Reason: absence of Maria’s written consent. Unconfirmed sources say Maria might have stomach perforation.
    — Maria Kalesnikava (@by_kalesnikava) November 30, 2022

    Bruxelles continua a ribadire anche la richiesta di “rilascio immediato e incondizionato di tutti i prigionieri politici“, il cui numero ha superato i 1350, come ha recentemente reso noto la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche bielorusse, Sviatlana Tsikhanouskaya. “L’Ue sta portando il caso nei forum internazionali con i nostri partner”, ha aggiunto Stano nel punto con la stampa europea, ricordando ciò che Bruxelles ha già fatto: “Abbiamo introdotto sanzioni contro la repressione delle violenze” interne al Paese, oltre a quelle per il coinvolgimento di Minsk nella guerra russa in Ucraina.
    “Sappiamo che ai prigionieri politici in Bielorussia viene negata un’adeguata assistenza medica”, ha denunciato su Twitter Tsikhanouskaya: “È impossibile immaginare cosa abbia passato Maria Kolesnikova nella cella di punizione“. La leader dell’opposizione al regime dell’autoproclamato presidente Lukashenko ha poi avvertito che “senza maggiori informazioni e senza avere accesso a lei, non possiamo essere certi che stia ricevendo le cure adeguate”.

    We know that political prisoners in Belarus are being denied proper medical care. It is impossible to imagine what Maria Kalesnikava has been going through in the punishment cell. Without more information & access to her, we can’t be sure she is getting the proper treatment. pic.twitter.com/zkCNZVKKuQ
    — Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) November 30, 2022

    La vicenda di Maria Kolesnikova
    Kolesnikova è la figura politica di opposizione più importante rimasta in Bielorussia. Quasi tutti gli altri leader, inclusa Tsikhanouskaya, si trovano in esilio all’estero. L’attivista era una delle due compagne di campagna elettorale di Tikhanovskaya durante le elezioni del 9 agosto 2020, insieme a Veronika Tsepkalo. Kolesnikova, flautista e insegnante di musica, era entrata in politica seguendo la campagna di un altro politico dell’opposizione, l’ex banchiere Viktor Babaryko, a cui era però stata impedita la corsa alle presidenziali con l’arresto. Quando a Tsikhanouskaya, insegnante e traduttrice di inglese senza esperienza politica, era stato concesso di candidarsi, Kolesnikova e Tsepkalo l’avevano sostenuta durante le manifestazioni e la campagna elettorale, elaborando un segno distintivo per ciascuna: un pugno alzato per Tsikhanouskaya, un cuore per Kolesnikova e il segno di vittoria per Tsepkalo.
    Da sinistra, le tre leader dell’opposizione alle elezioni in Bielorussia nel 2020: Veronika Tsepkalo, Sviatlana Tsikhanouskaya e Maria Kolesnikova
    Dopo l’esito truccato delle elezioni presidenziali – in cui Lukashenko aveva annunciato la propria rielezione con l’80 per cento dei voti – l’attivista era rimasta l’unica delle tre politiche a guidare le decine di migliaia di manifestanti scesi in piazza. Il 31 agosto aveva annunciato di voler lanciare con la squadra di Babaryko un nuovo partito, “Insieme”, per spingere sulla questione della riforma costituzionale, oltre alle dimissioni dell’autocrate Lukashenko. Questo prima dell’inizio della sua repressione da parte del regime. Il 7 settembre l’attivista 40enne era stata rapita dai servizi segreti bielorussi a Minsk in pieno giorno. Portata alla frontiera con l’Ucraina, le autorità avevano tentato di espellerla dal Paese, ma Kolesnikova si era opposta e aveva distrutto il suo passaporto. A quel punto era stata arrestata e portata in isolamento nel carcere della capitale, dove il 10 settembre la sua avvocata aveva potuto incontrarla.
    Il 6 settembre dello scorso anno Kolesnikova (insieme con il membro del Presidium del Consiglio di coordinamento dell’opposizione bielorussa Maksim Znak) è stata condannata dal tribunale regionale di Minsk a 11 di carcere. Entrambi gli oppositori sono stati ritenuti colpevoli di aver incitato la popolazione a “commettere azioni contro la sicurezza nazionale della Bielorussia, di cospirazione per impadronirsi del potere con mezzi incostituzionali e di creazione e direzione di una formazione estremista”, è stata la sentenza del tribunale.

    The regime sentenced Maria Kalesnikava & Maksim Znak to 11 & 10 years in prison. We demand the immediate release of Maria & Maksim, who aren’t guilty of anything. It’s terror against Belarusians who dare to stand up to the regime. We won’t stop until everybody is free in Belarus. pic.twitter.com/RbnefQzX0q
    — Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) September 6, 2021

    Una delle tre leader dell’opposizione a Lukashenko, condannata a 11 anni di prigione nel 2021, è ricoverata in ospedale in gravi condizioni. Da Bruxelles arriva l’ennesima denuncia al regime di Minsk: “Deve garantirle cure mediche urgenti e adeguate e rilasciare tutti i prigionieri politici”

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    Via libera dai 27 ambasciatori Ue alla liberalizzazione dei visti Schengen del Kosovo “non oltre il primo gennaio 2024”

    Bruxelles – Un passo avanti significativo nell’ormai infinita vicenda della liberalizzazione dei visti per i cittadini del Kosovo – unico Paese europeo (fatta eccezione per Russia e Bielorussia) a cui non è riconosciuta – anche se Pristina dovrà aspettare ancora un poco più di un anno al massimo prima di poter finalmente celebrare l’esenzione del regime dei visti in ingresso nello spazio Schengen. I 27 ambasciatori dei Paesi membri dell’Ue hanno dato il via libera in Coreper (il Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio) al mandato negoziale del Consiglio dell’Ue, in vista degli imminenti negoziati con l’Eurocamera.
    La presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, e il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel
    “Oggi [mercoledì 30 novembre, ndr] abbiamo compiuto un passo importante verso l’esenzione dei visti per il Kosovo e speriamo ora di raggiungere rapidamente un accordo con il Parlamento Europeo per trasformare questa promessa in realtà”, ha commentato il ministro degli Esteri ceco e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Jan Lipavský, che ha sottolineato come questo risultato sia stato reso possibile “dagli sforzi del Kosovo per rafforzare i controlli alle frontiere, la gestione dell’immigrazione e la sicurezza”. L’esenzione implica la possibilità di viaggiare senza visto per un soggiorno di massimo 90 giorni (su un periodo di 180) nell’area che ha abolito le frontiere interne, utilizzando il proprio passaporto senza ulteriori requisiti: è in vigore per 63 Paesi di tutto il mondo, compresi quelli dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia, ma non il Kosovo), Regno Unito, Moldova, Georgia e Ucraina.
    Secondo la posizione approvata oggi dai 27 ambasciatori, l’esenzione dall’obbligo di visto si applicherebbe a partire dalla data di inizio del funzionamento del Sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (Etias), secondo la proposta francese emersa all’ultima riunione del gruppo di lavoro sui visti del Consiglio a metà ottobre. Si tratta di un sistema digitale per tenere traccia dei visitatori extra-comunitari nella zona Schengen, che riguarderà tutti i viaggiatori provenienti dai 63 Paesi ‘visa free’ per l’Ue e che prevederà la compilazione di un modulo d’ingresso (come per l’Electronic System for Travel Authorization negli Stati Uniti).
    Il vero problema riguarda il fatto che non è ancora stato stabilito quando l’Etias sarà operativo: inizialmente era previsto entro il 2022, poi la data di entrata in vigore è stata posticipata alla primavera 2023 e ancora alla fine del prossimo anno. È per questo motivo che assume particolare rilevanza la specifica degli ambasciatori “e comunque non oltre il primo gennaio 2024” per la liberalizzazione dei visti per i cittadini del Kosovo. “Accolgo con favore l’importante e a lungo attesa decisione odierna del Coreper sull’abolizione dei visti”, ha commentato il primo ministro kosovaro, Albin Kurti. Per Pristina è “un riconoscimento del nostro impegno per lo Stato di diritto, la lotta alla corruzione, il rafforzamento dei controlli alle frontiere e la gestione dell’immigrazione”. Ringraziando la presidenza di turno ceca del Consiglio dell’Ue, Kurti ha sottolineato che ora attende “con impazienza” la finalizzazione del processo.

    I welcome today’s important & overdue decision by COREPER on visa lib. for Kosova, an acknowledgement of our commitment to rule of law, fighting corruption, strengthening border controls & managing migration. Thankful to @EU2022_CZ & look fwd to the finalization of this process.
    — Albin Kurti (@albinkurti) November 30, 2022

    La lunga attesa del Kosovo
    Il dialogo dl Kosovo con la Commissione Europea sulla liberalizzazione dei visti è iniziato il 19 febbraio 2012, a quattro anni dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza dalla Serbia. Nel maggio 2016 la Commissione aveva proposto al Parlamento e al Consiglio dell’Ue (che devono entrambi dare il via libera definitivo) di concedere l’esenzione per i cittadini kosovari, mentre procedevano i lavori per il rispetto degli ultimi due requisiti da parte di Pristina: la demarcazione dei confini (con il Montenegro) e il bilancio della lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione. Due anni più tardi, il 18 luglio 2018, lo stesso esecutivo comunitario aveva confermato che il Kosovo ha soddisfatto tutti i requisiti previsti dalla tabella di marcia per la liberalizzazione dei visti, incoraggiando i co-legislatori ad adottare la proposta di abolirne l’obbligo in ingresso sul territorio dell’Unione. La stessa esortazione è arrivata il 12 ottobre con la presentazione del Pacchetto Allargamento 2022.
    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    Ma dal 2018 a oggi niente si era mosso in Consiglio. Il Parlamento Ue ha più volte accusato i 27 Paesi membri per il “fallimento di non aver mantenuto la promessa” ai cittadini del Kosovo. L’intesa di oggi tra i 27 ambasciatori è considerata cruciale perché supera uno stallo che ha una doppia natura: cinque membri Ue non riconoscono l’indipendenza di Pristina (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e, allo stesso tempo, Francia e Paesi Bassi hanno frenato fino all’ultimo l’iniziativa della Commissione, almeno prima dell’inedito impegno congiunto sull’asse Parigi-Berlino per risolvere le controversie più urgenti che riguardano il Kosovo.
    Come hanno sottolineato i 27 ambasciatori Ue, Pristina in questi anni “ha compiuto progressi significativi in tutti i blocchi della tabella di marcia per la liberalizzazione dei visti“, inclusi i settori della sicurezza dei documenti, della gestione delle frontiere e della migrazione, dell’ordine pubblico e dei diritti fondamentali relativi alla libertà di circolazione. Una volta che entrerà in vigore l’esenzione dall’obbligo di visto anche per i cittadini kosovari – al massimo fra un anno e un mese – l’intera regione dei Balcani Occidentali sarà soggetta allo stesso regime (con la Commissione Ue che continuerà a monitorare “attivamente” l’attuazione dei requisiti, attraverso il meccanismo di liberalizzazione post-visto). Tutti i cittadini europei potranno così viaggiare liberamente con il proprio passaporto sull’intero continente, senza discriminazioni di nazionalità.

    Approvato il mandato del Consiglio dell’Ue per i negoziati con l’Eurocamera. Prima della data-limite, il regolamento sull’esenzione dei visti per i cittadini kosovari potrebbe applicarsi a partire dall’entrata in funzione del Sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (Etias)

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    Presentata la Strategia Ue per la salute globale che “rafforzerà la leadership europea”

    Bruxelles – È pronta la strategia dell’Unione europea, annunciata a luglio 2022, per affrontare le sfide in materia di salute in tutto il mondo. La Commissione Ue ha presentato questa mattina (30 novembre) lo scheletro dell’agenda europea per l’azione globale per i prossimi dieci anni che – hanno ripetuto come un mantra l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e le commissarie Stella Kyriakides e Jutta Urpilainen – “rafforza il ruolo di leadership di Bruxelles” nel sistema sanitario mondiale. Un sistema multilaterale, che nella visione della Commissione vedrebbe al centro del sistema “un’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) più forte, efficace e responsabile”, legata con una “cooperazione approfondita” al G7, al G20 e ad altri partner globali, regionali e bilaterali.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    “La salute non è più solo una questione scientifica e medica – ha dichiarato Borrell – ma è diventata un elemento critico delle politiche estere, di sicurezza e commerciali, nonché un’area chiave della cooperazione internazionale”. Dopo aver trascorso gli ultimi due anni di pandemia a costruire una risposta comunitaria di fronte alle crisi sanitarie, la nuova strategia pone per la prima volta la salute globale come un pilastro fondamentale della politica esterna dell’Ue, definita “un settore critico dal punto di vista geopolitico e centrale per l’autonomia strategica dell’Unione”.
    La strategia globale Ue identifica tre priorità fondamentali legate tra loro. Garantire una migliore salute e benessere delle persone durante il corso della vita, rafforzare i sistemi sanitari e promuovere una copertura sanitaria universale, prevenire e combattere le minacce per la salute, comprese le pandemie, applicando un approccio One Health (quel metodo multisettoriale, operante a tutti i livelli, che nel perseguire la salute riconosce l’interconnessione tra umani, animali, piante e il loro ambiente condiviso).
    La pandemia ha insegnato che, per proteggere i cittadini dalle minacce sanitarie, c’è bisogno di prevenzione, individuazione precoce e risposte celeri. Per questo è importante innanzitutto “un accesso più equo ai vaccini e alle cure mediche, rafforzando i sistemi farmaceutici locali e la capacità produttiva”. E poi una “maggiore sorveglianza e rilevamento di agenti patogeni e norme internazionali solide e vincolanti sulle pandemie”.

    The #EUGlobalHealthStrategy is Europe’s agenda for 🌍 health action for the next 10 years.
    The #COVID19 pandemic has shown that viruses know no borders. The health of citizens is linked around the world.
    This means we must be ready to tackle the next crisis united and together. pic.twitter.com/3sddZe3AkM
    — Stella Kyriakides (@SKyriakidesEU) November 30, 2022

    Per la commissaria per la Salute e la sicurezza alimentare, Stella Kyriakides, è fondamentale l’introduzione dell’approccio “Health in all policies (Salute in tutte le politiche)”, per garantire che gli obiettivi di salute vengano declinati in un’ampia varietà di politiche: che si parli di ambiente o di politiche alimentari, di conflitti o di disuguaglianze sociali, la salute rimane l’obiettivo da porsi. In questo senso, l’azione è volta a “riconquistare il terreno perduto per raggiungere gli obiettivi universali relativi alla salute negli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile” previsti per il 2030.
    “Quando è arrivata la pandemia di Covid-19, non eravamo pronti a livello globale”, ha ammesso Kyriakides. Ma l’Ue rivendica i grandi sforzi compiuti negli ultimi due anni: 2 miliardi e mezzo di vaccini inviati in tutto il mondo, la nascita dell’Autorità europea per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie (Hera), l’esborso di 47.7 miliardi di euro attraverso Team Europe per aiutare i Paesi partner a affrontare le conseguenze della pandemia.
    Tedros Adhanom Ghebreyesus e Jutta Urpilainen
    Tutto questo ha “fatto sì che l’Ue si posizionasse al primo posto nel mondo per gli sforzi in materia di sanità”, ha ricordato la commissaria per i Partenariati internazionali, Jutta Urpilainen, determinata ora a ampliare le partnership in materia di salute sotto l’ombrello del Global Gateway, a cominciare da quella firmata oggi a Bruxelles con il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, per investire 125 milioni di euro nei sistemi sanitari: “migliorare la sovranità sanitaria dei nostri partner garantirà maggiore resilienza e autonomia e ci consentirà di concentrarci sui più bisognosi”, ha dichiarato la commissaria.

    La nuova strategia pone per la prima volta la salute globale come pilastro fondamentale della politica esterna dell’Unione, con l’Oms e partnership globali, regionali e bilaterali. La Commissione ha già firmato un accordo per 125 milioni di euro nei sistemi sanitari

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    A Bruxelles si lavora per stabilire un tribunale su crimini di guerra russi e per riutilizzare i beni congelati degli oligarchi

    Bruxelles – “La Russia deve pagare per i suoi crimini orribili”. Un attacco sentito innumerevoli volte in questi nove mesi di invasione dell’Ucraina, ma che oggi (mercoledì 30 novembre) appare basato su almeno due proposte su cui la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e il suo gabinetto hanno portato avanti i lavori. Un tribunale specializzato contro i crimini di guerra russi e una direttiva per facilitare la confisca dei beni e degli asset degli oligarchi, con l’obiettivo di riutilizzarli per la ricostruzione dell’Ucraina.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e l’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, a Bucha (8 aprile 2022)
    L’attacco armato del Cremlino “ha portato morte, devastazione e sofferenze indicibili”, come quelle di Bucha: “Si stima che finora siano stati uccisi o feriti più di 20 mila civili e più di 100 mila militari ucraini”, ha ricordato la numero uno della Commissione. Mentre continua il lavoro congiunto con la Corte Penale Internazionale, “proponiamo di istituire un tribunale specializzato sostenuto dalle Nazioni Unite per indagare e perseguire i crimini di aggressione della Russia“, sfruttando la collaborazione con la comunità internazionale “per ottenere il più ampio sostegno possibile”.
    Secondo quanto si apprende da funzionari Ue, per evitare la sovrapposizione tra il nuovo meccanismo processuale e la Corte Penale Internazionale (con un conflitto di giurisdizione), sarebbe necessario stabilire la supremazia di quest’ultima nel quadro dell’intera procedura, che verosimilmente prevederebbe l’arresto o la consegna di sospetti responsabili di crimini di guerra. A determinate condizioni un tribunale internazionale ad hoc potrebbe però consentire di perseguire i massimi dirigenti russi, sulla base di un trattato tra gli Stati sostenitori e un mandato delle Nazioni Unite. A Bruxelles si parla di un tribunale ibrido, anche a livello di composizione dei membri – ucraini e internazionali – la cui legittimità deve basarsi su una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (improbabile, dal momento in cui la Russia è membro permanente) o su una risoluzione dell’Assemblea generale dell’Onu.

    Russia must pay for its horrific crimes.
    We will work with the ICC and help set up a specialised court to try Russia’s crimes.
    With our partners, we will make sure that Russia pays for the devastation it caused, with the frozen funds of oligarchs and assets of its central bank pic.twitter.com/RL4Z0dfVE9
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) November 30, 2022

    Crimini di guerra e beni congelati
    La questione dei crimini di guerra russi in Ucraina si lega anche a ciò che gli Stati membri potrebbero fare già da ora sul proprio territorio. “La Russia deve pagare finanziariamente per la devastazione che è costata, i danni subiti dall’Ucraina sono stimati attorno ai 600 miliardi di euro”, ha attaccato nel suo discorso la presidente von der Leyen, parlando della copertura dei costi per la ricostruzione del Paese invaso dal 24 febbraio: “E noi abbiamo i mezzi per far pagare la Russia”. Secondo le stime fornite dalla leader dell’esecutivo Ue, a oggi sono stati bloccati 300 miliardi di euro di riserve della Banca centrale russa e congelati 19 miliardi di euro agli oligarchi russi: “A breve termine, potremmo creare insieme ai nostri partner una struttura per gestire questi fondi e investirli per l’Ucraina”.
    Lo scorso 25 maggio la Commissione ha proposto un rafforzamento e un’estensione dei crimini sul territorio dell’Unione Europea, includendo la violazione delle sanzioni tra i reati penali in tutti i 27 Paesi membri – approvata sia dal Parlamento sia dal Consiglio dell’Ue. Gli stessi funzionari Ue hanno confermato che venerdì (2 dicembre) sarà presentata la proposta di direttiva che permetterà ai 27 Paesi membri di avviare procedure giudiziarie per la confisca se c’è stata una violazione delle misure restrittive dell’Ue. La revisione della direttiva risolverebbe il problema della gestione dei beni congelati per i Ventisette, a causa delle spese per il loro mantenimento: lo strumento di tipo economico applicato fino a oggi non prevede che i beni congelati possano essere messi all’asta o assegnati ad associazioni, rimanendo proprietà degli oligarchi sanzionati. Non possono essere utilizzati, ma rappresentano un costo per le finanze dello Stato.
    A quanto si apprende a Bruxelles, nel caso in cui una persona sanzionata commetta o partecipi a reati di elusione, i proventi da confiscare potrebbero comprendere fondi e risorse economiche soggetti alle stesse misure restrittive. Da notare, però, che le nuove misure non sarebbero applicabili retroattivamente e riguarderebbero solo attività criminali commesse dopo l’entrata in vigore della direttiva: in altre parole, non si potrebbero toccare i 19 miliardi già congelati, ma solo procedere all’eventuale confisca di ulteriori beni sequestrati. In ogni caso, “lavoreremo a un accordo internazionale con i nostri partner perché questi proventi siano utilizzati per il risarcimento dei danni causati all’Ucraina”, ha ribadito von der Leyen. Si parla di un fondo specifico o di un capitolo apposito nello strumento per la ricostruzione dell’Ucraina, e dovrà essere valutato se operare con trasferimenti obbligatori o volontari da parte degli Stati membri Ue, anche attraverso un accordo intergovernativo.

    La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, propone un tribunale specializzato sostenuto dalle Nazioni Unite. Nel frattempo, ai Ventisette sono state fornite opzioni per confiscare beni e asset della Banca Centrale Russa e metterli a disposizione per la ricostruzione dell’Ucraina

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    Transizione energetica e sicurezza alimentare, per von der Leyen “la partnership con l’Africa è più importante che mai”

    Bruxelles – La partnership tra i 27 Paesi Ue e l’Unione Africana “è oggi più importante che mai”. Così la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha sottolineato il valore dell’undicesimo Commission-to-Commission meeting con il suo omologo dell’Unione Africana, Moussa Faki Mahamat, tenutosi oggi (28 novembre) a Bruxelles.
    L’ultimo incontro era stato l’Ue-Ua summit del 17-18 febbraio scorso, due giorni prima dell’inizio della guerra d’aggressione russa in Ucraina: durante quel vertice, von der Leyen aveva annunciato la mobilitazione di 150 miliardi di euro per il programma Africa-Europa, finanziati sotto l’ombrello del Global Gateway Investment. Poi la reazione a catena provocata dalla guerra, con la minaccia ingombrante delle crisi alimentare ed energetica.
    Moussa Faki Mahamat e Ursula von der Leyen
    Nel bilaterale di oggi tra von der Leyen e Faki, la sicurezza alimentare e l’energia l’hanno fatta da padrona: la presidente della Commissione si è detta pronta a “mobilitare più di 4,5 miliardi di euro fino al 2024” per garantire un’assistenza immediata di generi alimentari, ma anche “per migliorare e aumentare la produzione sul continente africano con tecnologie moderne”. Su quest’ultimo punto, i due leader si sono accordati oggi per lanciare una nuova task force congiunta sui fertilizzanti, per coordinare gli investimenti con l’obiettivo di rendere le nuove generazioni di fertilizzanti accessibili e convenienti sul territorio africano.
    Lo stesso principio, quello del supporto Ue allo sviluppo del know-how necessario alla produzione locale, vale anche per l’energia: “l’Africa potrebbe diventare il maggior esportatore di energia pulita del mondo”, ha dichiarato von der Leyen, sottolineando l’opportunità che la transizione energetica potrebbe rappresentare per un continente che possiede “un’enorme abbondanza di risorse per l’energia pulita”, che garantirebbero a più di 600 milioni di africani che vivono senza elettricità, “l’accesso a energia prodotta in casa”.
    Il terzo focus dell’incontro tra i due presidenti è stata l’effettiva implementazione delle priorità comuni: lo strumento finanziario da 150 miliardi è operativo e, come ribadito in mattinata anche dall’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, “è stato fatto tutto in modo da evitare che l’Africa paghi le conseguenze della guerra in Ucraina dal punto di vista delle risorse Ue”, che significa che “nessun euro allocato per l’Africa finirà in Ucraina”. Bruxelles ha già firmato delle partnership con Namibia e Egitto, a margine della COP27 di Sharm el-Sheik, per la produzione di idrogeno verde e sarebbe pronta a siglare “un nuovo accordo finanziario per 750 milioni di euro” da investire in progetti di digitalizzazione, infrastrutture e trasporti, che secondo Moussa Faki Mahamat sono “la chiave per lo sviluppo economico e sociale del continente”.
    Ma il progresso economico, in Africa passa per forza anche dalla giustizia climatica: il presidente dell’Unione Africana ha salutato con favore l’istituzione del fondo “loss&damage” per compensare i danni dei cambiamenti climatici nei Paesi più colpiti, ma si è detto preoccupato perché “troppo spesso le promesse non sono state mantenute”. Moussa Faki ha ricordato i 100 miliardi in aiuti economici ai Paesi più poveri, su cui la comunità internazionale si era impegnata alla COP15 di Copenaghen nel 2009, che ancora non sono arrivati.

    A Bruxelles l’incontro con il presidente della Commissione dell’Unione Africana, Moussa Faki Mahamat: pronti 4,5 miliardi per l’assistenza alimentare e una nuova task force congiunta sui fertilizzanti. Si è parlato anche di crisi energetica, per von der Leyen “l’Africa potrebbe diventare il maggior esportatore di energia pulita al mondo”