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    Il partito di governo in Georgia ritirerà il progetto di legge sugli agenti stranieri dopo due giorni di proteste

    Bruxelles – Dopo due giorni di proteste e manifestazioni di piazza da parte di decine di migliaia di cittadini, la Georgia sta vivendo la sua Maidan. Come l’Ucraina nel 2014, i georgiani si sono opposti con la forza delle proprie speranze europeiste e con le bandiere dell’Unione Europea a un progetto di legge dai tratti spiccatamente filo-russi. E i risultati si stanno vedendo, con l’annuncio – ancora non formalizzato con un passaggio legale – da parte del partito al governo Sogno Georgiano sul ritiro del controverso progetto di legge sulla “trasparenza dell’influenza straniera”, approvato martedì (7 marzo) dal Parlamento in prima lettura.
    Le proteste dei manifestanti georgiani a Tbilisi contro il progetto di legge sulla “trasparenza dell’influenza straniera”, 7 marzo 2023 (credits: Afp)
    A rendere nota la decisione del governo guidato da Irakli Garibashvili è stato lo stesso partito Sogno Georgiano, con una nota pubblicata in risposta alla seconda serata di proteste davanti alla sede del Parlamento nazionale e all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale sempre più marcata, in particolare nell’Unione a cui la Georgia ha chiesto formalmente di aderire il 4 marzo dello scorso anno. Il ritiro della legge “senza condizioni” si è reso necessario secondo il partito di governo per “senso di responsabilità” nei confronti della società georgiana, a fronte di una tensione interna in aumento. Gli esponenti del partito fondato e presieduto dall’oligarca Bidzina Ivanishvili – che compare nella risoluzione non vincolante del Parlamento Europeo sull’imposizione di sanzioni personali – si sono però lamentati del fatto che la proposta è stata etichettata “ingiustamente” come filo-russa e hanno ribadito che, non appena “l’emotività si sarà placata”, spiegheranno ai cittadini l’importanza della legge sulla trasparenza dei finanziamenti esteri.
    Scritte contro la Russia durante le proteste a Tbilisi (7 marzo 2023)
    In sostanza c’è stato l’annuncio di un passo indietro del governo, ma non uno sconfessamento della legge che prevede la registrazione di tutte le organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero come ‘agente straniero’ (in modo sinistramente simile a quella in vigore in Russia dal primo dicembre dello scorso anno). Ed è per questo motivo che le opposizioni e la società civile georgiana hanno annunciato di voler proseguire le proteste – almeno fino a quando non saranno chiarite le modalità di ritiro del progetto di legge – mentre l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha definito “un buon segno” la decisione del governo, ma “ora devono seguire passi legali concreti“. Lo stesso Borrell ha definito “forte e commoventi” le proteste pacifiche nella capitale Tbilisi: “I georgiani sono scesi in piazza per esprimere la loro aspirazione alla democrazia e ai valori europei”.
    Ad accogliere per prima il ritiro del progetto di legge è stata la delegazione Ue in Georgia, che ha incoraggiato “tutti i leader politici” a “riprendere le riforme europee, in modo inclusivo e costruttivo e in linea con le 12 priorità per ottenere lo status di candidato” all’adesione all’Unione Europea. Se alle parole seguiranno i fatti, “la Georgia può continuare a contare sul nostro sostegno nel suo percorso verso l’Ue”, ha promesso il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Vàrhelyi.

    Georgians took the streets to express their aspiration for democracy and European values. These peaceful protest were strong and moving to see.
    Announcement to withdraw the draft law on “transparency of foreign influence” is a good sign, now concrete legal steps need to follow. pic.twitter.com/Zi4NJST6iZ
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) March 9, 2023

    Il sostegno degli eurodeputati ai manifestanti in Georgia
    I più sensibili alle proteste dei cittadini georgiani sono stati i membri del Parlamento Europeo, in modo trasversale e in particolare nella delegazione italiana. “Una vittoria per la democrazia, le libertà e per l’Europa“, ha esultato il capo-delegazione del terzo polo, Nicola Danti (Italia Viva), “ma non è finita, dobbiamo continuare a sostenere chi vuole il percorso europeista senza abbassare la guardia”. Il collega del gruppo liberale ed ex-premier del Belgio, Guy Verhofstadt, ha sottolineato che le manifestazioni dimostrano “quanto le persone abbiano a cuore la democrazia liberale quando e dove è minacciata”.

    Wow.
    This is how much people really care about liberal democracy whenever and wherever it’s under threat. Full support to democratic Georgia ! 🇪🇺✊🏻 pic.twitter.com/988goSbH2Y
    — Guy Verhofstadt (@guyverhofstadt) March 9, 2023

    Dopo le parole di sostegno della vicepresidente del Parlamento Ue, Pina Picierno, dalle fila del Partito Democratico anche Camilla Laureti ha messo in evidenza come “la forza dell’Europa non sono astratti convegni e seminari”, ma “la forza dell’Europa è essere simbolo e pratica di libertà“, come dimostrano le immagini della donna che sventola in piazza a Tbilisi la bandiera con le dodici stelle su campo blu, non cedendo ai getti dei cannoni ad acqua. Il collega olandese del gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (S&D) al Parlamento Ue Thijs Reuten ha ribadito che “Georgia è Europa” e che “il popolo georgiano non potrebbe essere più chiaro: no alla legge russa”. Per questo motivo il gruppo S&D ha chiesto di inserire un dibattito alla sessione plenaria della settimana prossima sull’impatto della legge sugli agenti stranieri sulla prospettiva europea di Tbilisi, che sarà discussa nel pomeriggio di martedì (14 marzo) a Strasburgo.
    Dalle fila del gruppo dei Verdi/Ale Ignazio Corrao ha messo in guardia dal “disegno di Putin, il metodo è lo stesso”, come dimostrano le immagini da Tbilisi che “ci riportano indietro negli anni a quello che è successo in Ucraina“. Per questo motivo da Bruxelles arriva “sostegno e solidarietà al popolo georgiano che in questi giorni sta lottando in piazza per il suo futuro”.

    La forza dell’#Europa non sono astratti convegni e seminari.La forza dell’Europa è essere simbolo e pratica di #libertà #Georgia pic.twitter.com/ijKY72QhNf
    — Camilla Laureti (@camillalaureti1) March 9, 2023

    A Bruxelles accolta con favore la decisione di Sogno Georgiano di non dare seguito alla legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, osteggiata dai manifestanti europeisti. L’alto rappresentante Ue Borrell: “È un buon segno, ora devono seguire passi legali concreti”

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    Israele preoccupa l’Ue, Borrell chiede di “fermare l’espansione delle colonie illegali”

    Bruxelles – Le tensioni sempre più forti tra Israele e Palestina preoccupano l’Europa. La crescente violenza nei territori palestinesi occupati, culminata il 26 febbraio con l’attacco da parte di centinaia di israeliani al villaggio di Huwara, ha raggiunto livelli che ricordano sempre più il periodo della seconda intifada, nel 2006. Il dialogo tra il governo israeliano e l’Autorità nazionale Palestinese è praticamente inesistente, e a Tel Aviv si è insediato l’esecutivo più estremista di sempre, con ministri di destra che non nascondono posizioni radicalmente anti-palestinesi.
    Al primo ministro Benjamin Nethanyahu, in viaggio per Roma dove domani (10 marzo) incontrerà la premier Giorgia Meloni, si sono rivolti il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell. Il primo ha avuto una telefonata ieri sera con il premier israeliano, in cui ha ribadito il sostegno di Bruxelles alla “soluzione dei due Stati”, il secondo ha rilasciato un comunicato in cui chiede “ai leader israeliani e palestinesi di ridurre le tensioni e di astenersi da azioni che possano aumentarle”.
    Il capo della diplomazia europea non usa mezza termini, e va oltre la dichiarazione approvata all’unanimità due settimane fa dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, in cui gli insediamenti israeliani in Cisgiordania sono stati definiti “un ostacolo alla pace”. Borrell sottolinea invece che le colonie “sono illegali secondo il diritto internazionale”, ed esorta Israele a “fermare l’espansione degli insediamenti, prevenire la violenza dei coloni e garantire che gli autori siano ritenuti responsabili”. Difficile che il governo di estrema destra colga l’invito dell’alto rappresentante, vista l’intenzione di legalizzare in modo retroattivo avamposti in Cisgiordania finora considerati illegali.
    Autorità di Israele e Palestina si sono incontrate in Giordania
    Poco prima della distruzione del villaggio di Huwara, che ha causato una vittima e oltre trecento feriti tra la popolazione palestinese, si erano tenuti a Aqaba, in Giordania, dei colloqui tra le autorità israeliane e palestinesi con la mediazione di funzionari statunitensi ed egiziani, in cui le parti si erano impegnate a “ridurre le tensioni per raggiungere una pace giusta e duratura”. Ma sembra sempre più inverosimile interrompere il vortice di violenze che, da una parte e dall’altra, si susseguono con un drammatico effetto domino: la vicenda di Huwara ne è la prova lampante.
    Il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, in visita a Huwara (Photo by Zain Jaafar / AFP)
    Il 22 febbraio, in un’operazione militare l’esercito israeliano aveva ucciso 11 palestinesi a Nablus, vicino al villaggio di Huwara: la vendetta palestinese si è manifestata con l’uccisione di due coloni israeliani, che ha infine scatenato la feroce rappresaglia. L’ennesima smentita delle buone intenzioni messe nero su bianco anche ad Aqaba. “Lodiamo gli sforzi di Stati Uniti, Giordania ed Egitto per ridurre le tensioni e sostenere il comunicato di Aqaba”, ha dichiarato Borrell, ricordando che “tutte le parti devono rispettare gli accordi di Aqaba in buona fede”. Secondo questi accordi, Israele e Palestina si sono impegnate a non compiere azioni unilaterali per un periodo di 3-6 mesi e hanno deciso di rincontrarsi a Sharm el Sheikh nel mese di marzo.
    La visita di Benjamin Nethanyahu in Italia rischia già di peggiorare un’altra volta la situazione: il primo ministro, in un’intervista rilasciata a La Repubblica, ha dichiarato che insisterà con Meloni affinché “Roma riconosca Gerusalemme come la capitale di Israele da tremila anni”. La richiesta di Nethanyahu cozza totalmente con l’avvertimento dell’Ue, secondo cui “lo status quo dei Luoghi Santi deve essere mantenuto in linea con le precedenti intese”, perché “la convivenza pacifica tra cristiani, ebrei e musulmani deve essere mantenuta”.

    With @netanyahu discussed 🇪🇺-🇮🇱 relations and the Middle East Peace Process.
    We are committed to peace in the region and the two-state solution.
    The EU will work with 🇮🇱 based on shared values and interests. pic.twitter.com/3RUSKj8TrR
    — Charles Michel (@CharlesMichel) March 8, 2023

    Le tensioni crescenti tra Israele e Palestina sono culminate nell’attacco dei coloni al villaggio di Huwara, lo scorso 26 febbraio. Il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, ha telefonato al primo ministro Nethanyahu, che sarà in visita in Italia

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    L’Ue potrebbe mobilitare 2 miliardi di euro per munizioni a Ucraina. Cautela sulle notizie del sabotaggio di Nord Stream

    Bruxelles – Un piano in tre passi, per uno stanziamento complessivo da due miliardi di euro per la fornitura di munizioni. L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha anticipato oggi (8 marzo) alla stampa le intenzioni della Commissione Europea per un ulteriore sostegno all’Ucraina sul piano del sostegno militare, proprio mentre “la situazione militare sul campo rimane molto difficile, in particolare a Bakhmut, dove continuano le battaglie strada per strada, e le prossime settimane saranno critiche”.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    Dal momento in cui Kiev “ha bisogno di continuo supporto, soprattutto di munizioni per l’artiglieria”, la soluzione a inizio 2023 da Bruxelles è un piano di “tre fasi complementari, che vanno insieme e non in modo isolato”, ha precisato con forza l’alto rappresentante Borrell. In primis una donazione di munizioni di artiglieria da 152/155 millimetri “dagli stock già esistenti”, il cui “rimborso arriverà attraverso un miliardo di euro dall’European Peace Facility”, lo strumento fuori bilancio per la prevenzione dei conflitti, la costruzione della pace e il rafforzamento della sicurezza internazionale. In secondo luogo, un altro miliardo per il “coordinamento della domanda per gli ordini di altre munizioni attraverso l’Agenzia Europea della Difesa”, per cui è necessaria “una procedura veloce, per abbattere il prezzo e i tempi di consegna”. E infine un “aumento della capacità manifatturiera europea e la diminuzione dei tempi di produzione”.
    Nel corso del Consiglio Difesa informale a Stoccolma è stata raggiunta “un’intesa in linea generale” a proposito della fornitura di munizioni all’Ucraina, ma “ci sono ancora questioni da discutere“, ha confessato Borrell: “Spero che al prossimo Consiglio [al momento calendarizzato per il 23 maggio, ndr] si raggiunga un accordo formale”. Le parole dell’alto rappresentante sono dure: “Serve una mentalità da guerra, perché siamo in guerra, sfortunatamente dobbiamo parlare così perché il conflitto continua”, anche se “dobbiamo tenere aperta la porta per ogni negoziato di pace“. Intanto gli ambasciatori dell’Ue hanno approvato l’ulteriore stanziamento da 2 miliardi di euro per il Fondo europeo per la pace, dando seguito all’intesa politica di dicembre tra i ministri Ue della Difesa.

    #COREPERII Today, EU Ambassadors approved an additional €2 billion to the European Peace Facility. This decision sends a clear signal of the EU’s enduring commitment to military support for Ukraine and other partners. pic.twitter.com/T4U44gak4Q
    — Swedish Presidency of the Council of the EU (@sweden2023eu) March 8, 2023

    Oltre le munizioni, le notizie su Nord Stream
    Fuoriuscita di gas metano nel Mar Baltico dal gasdotto Nord Stream 1 (27 settembre 2022)
    “È una cosa molto seria, ma non bisogna mai avere paura della verità, di nessuna verità”, è la cauta presa di posizione dell’alto rappresentante Borrell a proposito dell’altro tema che ha agitato i 27 ministri Ue a Stoccolma. Secondo quanto riportano il quotidiano tedesco Die Zeit e lo statunitense New York Times, dietro al sabotaggio dei due gasdotti Nord Stream 1 e Nord Stream 2 con la fuoriuscita di metano nel Mar Baltico di fine settembre dello scorso anno ci sarebbe un gruppo filo-ucraino. “Stiamo parlando di speculazioni, le indagini stanno ancora andando avanti in Svezia, Germania e Danimarca”, ha cercato di gettare acqua sul fuoco Borrell. Fino a quando non si arriverà alla fine delle investigazioni, “non possiamo giungere a conclusioni affrettate“.
    Secondo le rivelazioni dei due quotidiani, l’operazione potrebbe essere stata condotta in modo non ufficiale da un gruppo con legami con il governo o con i servizi di sicurezza ucraini. Anche se ci sono ancora molti buchi nella versione trapelata sulla stampa, gli investigatori tedeschi avrebbero identificato un’imbarcazione utilizzata per piazzare gli esplosivi, appartenente a una società registrata in Polonia e di proprietà di due cittadini ucraini. La squadra che avrebbe condotto l’operazione di sabotaggio ai danni dei due gasdotti sarebbe stata composta da sei individui di nazionalità sconosciuta. “Non c’entriamo nulla con l’operazione di sabotaggio ai danni dei gasdotti Nord Stream, sarebbe un bel complimento per i nostri servizi speciali ma quando si concluderanno le indagini si vedrà che l’Ucraina non ha nulla a che fare con tutto ciò“, si è smarcato da ogni tentativo di accusa il ministro della Difesa ucraino, Oleksii Reznikov, arrivando a Stoccolma, dove ha partecipato al vertice informale.
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    L’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha anticipato il piano in tre step, che prevede donazioni immediate e coordinazione della domanda futura. Sulle speculazioni di gruppo pro-Kiev dietro al sabotaggio “non bisogna avere paura della verità, ma aspettare la fine delle indagini”

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    Laptop per l’Ucraina, raccolti altri 13mila dispositivi da inviare a Kiev. Bruxelles valuta l’estensione della protezione temporanea al 2025

    Bruxelles – Computer portatili, smartphone e tablet. Sono almeno 13mila i dispositivi elettronici che saranno consegnati all’Ucraina attraverso l’iniziativa ‘Laptop per l’Ucraina’, sostenuta dalla Commissione europea, per essere consegnati a studenti, infermieri e dipendenti governativi colpiti dalla guerra in Russia. Secondo le stime di Bruxelles, da quando la guerra della Russia in Ucraina è iniziata il 24 febbraio di un anno fa, sono stati spediti a Kiev almeno 12mila dispositivi donati attraverso il meccanismo di protezione civile dell’UE. Gli altri 13mila – fa sapere l’esecutivo comunitario in una nota – saranno trasportati nelle prossime settimane.
    L’iniziativa ‘Laptop per l’Ucraina’ è stata lanciata a dicembre scorso, insieme al ministero ucraino per la trasformazione digitale e a DIGITALEUROPE, l’organizzazione europea che rappresenta la tecnologia digitale. L’obiettivo è quello di raccogliere oltre 50mila tra laptop, tablet e smartphone per aiutare scuole, ospedali e amministrazioni governative a mantenere i servizi essenziali e garantire che i cittadini ucraini rimangano connessi a Internet.
    L’iniziativa si è rapidamente diffusa e conta oggi oltre 17 poli di raccolta dei dispositivi in tutta Europa, in Belgio, Repubblica ceca, Germania, Estonia, Spagna, Francia, Lituania, Ungheria, Romania e Slovenia. Questa spedizione sarà la prima di molte, poiché le donazioni dagli altri centri di raccolta europei verranno raccolte su base continuativa. Aziende e privati ​​possono ancora donare dispositivi di ricambio funzionanti in uno dei 17 centri di raccolta Inoltre, sono in fase di lancio nuovi poli di raccolta. I cittadini sono invitati a donare attraverso uno degli hub e le aziende private possono mettersi in contatto con la Commissione per organizzare il trasferimento di donazioni più consistenti.
    Nel frattempo la Commissione europea ha presentato oggi il primo rapporto sulla direttiva sulla protezione temporanea concessa agli ucraini in fuga dalla guerra, attivata per la prima volta il 4 marzo di un anno fa in risposta all’aggressione della Russia contro l’Ucraina. Bruxelles stima che sono circa 4 milioni le persone ad aver ottenuto da allora protezione immediata nell’Ue, di cui oltre 3 milioni nella prima metà del 2022. La protezione è già stata prorogato fino a marzo 2024 e può essere ulteriormente prorogato fino al 2025 e Bruxelles non lo esclude. “L’Unione europea è pronta a sostenere l’Ucraina per tutto il tempo necessario. La protezione è già stata prorogata fino al marzo 2024 e può essere ulteriormente prorogata fino al 2025. La Commissione è pronta ad adottare le misure necessarie per un’ulteriore proroga, se necessario”, annuncia pubblicando il rapporto annuale. “Allo stesso tempo l’Ue perseguirà un solido approccio coordinato a livello europeo per garantire una transizione agevole verso status giuridici alternativi che consentano l’accesso ai diritti oltre la durata massima della protezione temporanea, nonché un sostegno mirato per le persone che, fuggite dall’Ucraina, desiderano ritornare a casa”, spiega l’esecutivo europeo.

    Computer portatili, smartphone e tablet: sono almeno 13mila i dispositivi elettronici che saranno consegnati all’Ucraina attraverso l’iniziativa ‘Laptop per l’Ucraina’, sostenuta dalla Commissione europea,

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    Talebani, Iran e Russia. Per la prima volta l’Ue adotta sanzioni contro la violenza sessuale e sulle donne

    Bruxelles – Dai talebani agli ufficiali di polizia russa, dalle milizie sud sudanesi al viceministro degli affari interni in Myanmar. Sono in tutto nove le persone e tre le entità che l’Unione europea ha deciso di sanzionare per violazioni e abusi dei diritti umani, ma in particolare per le loro violenze sessuale e di genere. In Unione europea è la ‘prima volta’ che si riconosce e si adottano sanzioni relative alla violenza di genere, un annuncio che arriva oggi (7 marzo) alla vigilia della Giornata internazionale della donna che sarà celebrata domani.
    Nello specifico l’elenco include due ministri talebani ad interim per l’istruzione superiore e per la propagazione della virtù e la prevenzione del vizio, che sono dietro i decreti che vietano alle donne l’istruzione superiore e le pratiche di segregazione di genere negli spazi pubblici in Afghanistan. Poi ancora, gli ufficiali della stazione di polizia di Mosca responsabili di arresti e detenzioni arbitrari e di torture e altri trattamenti che Bruxelles definisce “crudeli, inumani e degradanti” nel contesto della censura e dell’oppressione perpetrata dalle autorità russe.
    Una nota del Consiglio Ue precisa che nell’elenco figureranno anche membri di alto rango delle forze armate di Mosca, le cui unità hanno “sistematicamente partecipato ad atti di violenza sessuale e di genere in Ucraina” tra marzo e aprile dello scorso anno, nel pieno della guerra di Russia in Ucraina. Poi ancora comandanti delle milizie sud sudanesi responsabili “dell’uso diffuso e sistematico della violenza sessuale e di genere come tattica di guerra nel Paese”, il viceministro degli affari interni in Myanmar/Birmania e infine la prigione di Qarchak in Iran, la guardia repubblicana siriana e l’ufficio del capo degli affari di sicurezza militare in Myanmar/Birmania sono sanzionati per il loro ruolo in gravi violazioni dei diritti umani sessuali e di genere. I sanzionati andranno incontro al congelamento dei beni nell’Ue e saranno soggette a un divieto di viaggio verso l’Ue. Inoltre, alle persone ed entità nell’UE sarà vietato mettere fondi a disposizione , direttamente o indirettamente, delle persone elencate.
    “In vista della Giornata internazionale della donna, passiamo dalle parole ai fatti. Non importa dove accada, combatteremo ed elimineremo tutte le forme di violenza contro le donne. Con la decisione odierna, stiamo intensificando gli sforzi per contrastare la violenza sessuale e di genere, per garantire che i responsabili siano pienamente responsabili delle loro azioni e per combattere l’impunità”, ha dichiarato l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell.

    Ahead of #IWD2023, we move from words to action.
    We are sanctioning 12 individuals and entities for violence against women & girls.
    We are enhancing efforts to counter sexual & gender-based violence, to ensure that those responsible are fully accountable https://t.co/6eaNXVL1ZS
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) March 7, 2023

    Sono nove le persone e tre le entità che l’Unione europea inserisce nella lista nera di sanzionati a cui congelare i beni e vietare i viaggi. Per la prima volta l’Ue colpisce il reato di violenza sessuale e violenza di genera e lo annuncia alla vigilia della Giornata internazionale della donna

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    La condanna a 15 anni di carcere per la leader bielorussa Tsikhanouskaya. L’Ue: “Il regime Lukashenko ne risponderà”

    Bruxelles – Il Paese delle condanne già scritte. A soli tre giorni dalla sentenza a 10 anni di carcere per il Premio Nobel per la Pace 2022, Ales Bialiatski, anche la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche in Bielorussia, Sviatlana Tsikhanouskaya, ha ricevuto la sua condanna – in contumacia – dal regime di Alexander Lukashenko. Quindici anni in prigione, se mai ritornerà nel Paese. O, sarebbe meglio dire, se lo farà mentre l’autoproclamato presidente bielorusso ancora sarà a capo della macchina di repressione dell’opposizione e della libertà di pensiero.
    La presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche nel Paese, Sviatlana Tsikhanouskaya, con la foto del marito Siarhei Tsikhanouski (credits: John Thys / Afp)
    “Quindici anni di carcere, è così che il regime ha ‘premiato’ il mio lavoro per i cambiamenti democratici in Bielorussia“, è quanto rende noto la stessa Tsikhanouskaya da Vilnius (Lituania), città in cui vive da esule da quando è stata costretta a fuggire per non fare la fine dei quasi 1.500 oppositori in carcere per la partecipazione alle manifestazioni pacifiche e la richiesta di democrazia nel Paese. “Oggi non penso alla mia condanna, penso a migliaia di innocenti, detenuti e condannati a pene detentive reali”, ha incalzato la leader dell’opposizione, promettendo di non fermarsi “finché ognuno di loro non sarà rilasciato”. Il processo in contumacia a carico di Tsikhanouskaya era iniziato lo scorso 17 gennaio, con accuse di matrice politica – dall’alto tradimento alla creazione di un’organizzazione estremista. La pena massima prevista dal Codice penale bielorusso era di 15 anni di reclusione, che nel pomeriggio di ieri (6 marzo) è stata effettivamente inflitta alla leader che aveva corso per le elezioni presidenziali del 2020.
    “È una farsa che non ha niente a che fare con la giustizia“, era stato l’avvertimento di Tsikhanouskaya durante la sessione plenaria del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) dello scorso 22 febbraio. A Minsk è stata modificata la legislazione sulla cittadinanza del 2002 con la possibilità di privare della cittadinanza i bielorussi all’estero condannati per reati di “partecipazione a un’organizzazione estremista” o “grave danno agli interessi della Bielorussia”, anche in assenza dell’imputato a processo. A questo si aggiunge il fatto che il marito della leader dell’opposizione, Siarhei Tsikhanouski – già condannato a 18 anni di reclusione dopo essere stato imprigionato il 29 maggio del 2020 con l’obiettivo di impedirgli di partecipare alle elezioni presidenziali – ha ricevuto un’ulteriore inasprimento della condanna di un anno e mezzo lunedì scorso (27 febbraio): “Vogliono spezzarlo e fare pressione su di me, ma non ce la faranno”.

    15 years of prison.
    This is how the regime “rewarded” my work for democratic changes in Belarus.
    But today I don’t think about my own sentence. I think about thousands of innocents, detained & sentenced to real prison terms.
    I won’t stop until each of them is released. pic.twitter.com/9kQREV0sgl
    — Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) March 6, 2023

    Le istituzioni Ue contro la Bielorussia di Lukashenko
    Da sinistra: la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche nel Paese, Sviatlana Tsikhanouskaya, e la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola (26 maggio 2022)
    “Prima hanno imprigionato il marito, poi hanno arrestato lei, ora la condannano a 15 anni di carcere in contumacia”, è l’attacco della presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, al regime di Lukashenko, che “sarà chiamato a risponderne”. Tsihanouskaya “sta pagando le conseguenze della sua lotta per la libertà e la democrazia“, ha incalzato Metsola, che ha promesso di portare avanti “la nostra spinta per una Bielorussia libera”. Da parte della Commissione Ue è stato il titolare per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, a condannare l’ennesimo “deplorevole segno di come funziona il regime di Lukashenko”, mentre “il popolo bielorusso sa che la libertà prevarrà”.
    Al momento un totale di 195 persone e 35 entità è interessato dalle sanzioni dell’Ue – compreso lo stesso Lukasehnko e il figlio Viktor, consigliere per la Sicurezza Nazionale – sia per la repressione delle manifestazioni pacifiche dopo l’esito truccato delle elezioni presidenziali dell’agosto 2020, sia per la partecipazione ormai attiva all’aggressione armata della Russia all’Ucraina. Da mesi gli eurodeputati chiedono all’esecutivo comunitario di inasprire il regime di misure restrittive contro Lukashenko e la sua cerchia, adeguandolo a quello applicato al regime di Putin. Al momento non ci sono novità dal Berlaymont rispetto alle anticipazioni di metà gennaio della presidente Ursula von der Leyen: “Presenteremo presto una nuova tornata di sanzioni contro la Bielorussia”.

    Comminata la pena massima alla presidente ad interim riconosciuta dall’Ue per capi d’imputazione che vanno dall’alto tradimento alla creazione di un’organizzazione estremista: “È così che il regime ha ‘premiato’ il mio lavoro per i cambiamenti democratici in Bielorussia”

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    Borrell: “Esercitazione militare Sudafrica-Cina-Russia grave preoccupazione”

    Bruxelles – Alleanze militari e geopolitiche, l’Ue guarda con preoccupazione le scelte del Sudafrica e la presenza di Russia e Cina nel quadrante africano. La decisione del governo di Pretoria di tenere esercitazioni militari congiunte non è passata inosservata a Bruxelles. L’operazione Mosi, che vede esercitazioni navali congiunte tra le tre diverse forze armate, viene considerata come “simulazione di guerra” in Parlamento Ue ed è fonte di inquietudine in Commissione europea. “Sebbene queste esercitazioni non rappresentino una minaccia diretta alla sicurezza europea, lo svolgimento di esercitazioni militari navali con Russia e Cina nell’anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina è motivo di grave preoccupazione“, riconosce l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell.
    L’operazione Mosi è stata condotta per la prima volta nel 2019, a largo delle coste di Città del Capo. Un momento comunque carico di tensioni tra oriente e occidente per via della questione della Crimea. La seconda edizione di questa cooperazione, tenuta a febbraio di quest’anno, si colloca però in uno scenario internazionale completamente diverso, contraddistinto dalla guerra russo-ucraina e due Paesi, Cina e Sudafrica, che non hanno mai pubblicamente condannato l’aggressione del Cremlino. Sono gli stessi Paesi a essersi astenuti sul voto in sede Onu per la pace giusta in Ucraina.
    L’Unione europea non può fare molto al riguardo. “Il Sudafrica – ricorda Borrell  – come tutti gli altri Paesi, ha il diritto di perseguire la politica estera secondo i propri interessi”. In quanto nazione indipendente e sovrana resta libera di fare le scelte che ritiene più opportune. Per questo motivo “l’Ue non chiede al Sudafrica di schierarsi” tra oriente e occidente: “Ciò che l’Ue chiede al Sudafrica è di schierarsi dalla parte dei principi e dei valori della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale“.
    C’è anche un altro aspetto che emerge della considerazioni dell’Alto rappresentante su scelte e manovre sudafricane: un cambio di rotta chiaro nelle scelte di cooperazione militare. Per quanto riguarda le esercitazioni in mare, “in passato il Sudafrica le condotte anche con Stati membri dell’Ue”. Si prende atto dunque di un cambio di alleanze che non viene accolto con particolare favore.
    Gli Stati Uniti hanno visto questa seconda edizione di Mosi come un atto contrario alle politiche dell’occidente. Un aspetto, questo, sottolineato anche dall‘Atlantic Council, il think-tank statunitense con sede a Washington D.C. che promuove l’atlantismo e serve da centro studi di sostegno alla politica. “Le relazioni amichevoli e di routine del Sudafrica sono antitetiche agli obiettivi dell’Occidente di isolare, scoraggiare e sconfiggere la Russia“, sottolineano gli esperti del think-tank. Che avvertono: “In un ambiente diplomatico sempre più polarizzato, il non allineamento può sembrare di fatto un allineamento con la Russia“.
    Il Sudafrica è una delle principali potenze militari del continente africano per capacità marittima. Dispone di una flotta navale mista composta da fregate, sottomarini, unità d’attacco veloci, cacciamine, incrociatori e pattugliatori.

    L’Alto rappresentante si esprime sulla seconda edizione della missione Mosi. “Pretoria rispetti carta Onu e diritto internazionale”

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    Le istituzioni Ue contro Minsk per la condanna a 10 anni di carcere per Bialiatski, Premio Nobel bielorusso per la Pace

    Bruxelles – Una condanna già scritta, ma che comunque fa un rumore assordante. Il Premio Nobel per la Pace 2022, vincitore del Premio Sakharov per la libertà di pensiero, attivista e fondatore dell’organizzazione per i diritti umani Viasna, Ales Bialiatski, è stato condannato oggi (3 marzo) a 10 anni di carcere dal regime dell’autoproclamato presidente bielorusso, Alexander Lukashenko, con l’accusa di contrabbando di denaro e di finanziamento di “attività che violano gravemente l’ordine pubblico”. Insieme a Bialiatski sono stati condannati anche il vicepresidente di Viasna Valiantsin Stefanovic, l’attivista Zmitser Salauyou e l’avvocato Uladzimir Labkovich, rispettivamente a nove, otto e sette anni di carcere
    Il fondatore dell’organizzazione per i diritti umani Viasna, Ales Bialiatski, al Parlamento Europeo (16 aprile 2015)
    Un “insulto alla giustizia”, è il durissimo attacco della presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, leader dell’istituzione comunitaria da sempre più vicina e a supporto dell’opposizione a Lukashenko. L’ennesima sentenza politicamente motivata, contro uno degli esponenti più rilevanti della società civile in Bielorussia che si oppone all’elezione truccata del 9 agosto 2020. Parole di condanna anche da parte dai presidenti delle altre due istituzioni comunitarie. “La loro lotta per i diritti umani e la giustizia in Bielorussia continuerà”, ha messo in chiaro la leader della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, promettendo che “i tentativi di metterli a tacere falliranno, saremo portatori delle loro voci”. Per il numero uno del Consiglio Ue, Charles Michel, le sentenze di Minsk “sono una vergogna, le accuse sono inventate e montante” e per questo motivo il diktat di Bruxelles al regime di Lukashenko è di “rilasciare tutti gli altri attivisti democratici ingiustamente imprigionati”.
    “L’Unione Europea condanna con la massima fermezza questi processi farsa, che rappresentano un altro terribile esempio del tentativo del regime di Lukashenko di mettere a tacere coloro che si battono in difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali del popolo bielorusso”, è l’altrettanto netta presa di posizione dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, anticipando una “reazione alla brutale repressione” di coloro che “hanno osato opporsi alle violazioni dei diritti umani nel Paese e che hanno rifiutato il ruolo della Bielorussia nella guerra della Russia contro l’Ucraina”.
    Ales Bialiatski alla cerimonia di conferimento del Premio Sakharov per la libertà di pensiero, alla sede del Parlamento Europeo a Bruxelles (16 dicembre 2020)
    Nel dicembre del 2020 Bialiatski era tra i leader dell’opposizione in Bielorussia a cui il Parlamento Ue aveva conferito il Premio Sakharov per la libertà di pensiero, mentre lo scorso anno alla sua organizzazione Viasna è stato assegnato il Nobel per la Pace insieme all’ong russa per la difesa dei diritti umani Memorial e all’organizzazione ucraina Centro per le Libertà Civili. Ma dal luglio 2021 si trova in carcere a Minsk e il processo a suo carico era iniziato lo scorso gennaio: da subito si sapeva che avrebbe rischiato tra i 7 e i 12 anni di carcere. In tutti questi mesi è rimasta alta l’attenzione dell’Eurocamera e delle altre istituzioni comunitarie sulla situazione di Bialiatski, grazie anche ai numerosi inviti alla presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche in Bielorussia, Sviatlana Tsikhanouskaya. “Invito la comunità internazionale a unirsi alla campagna di solidarietà con il difensore dei diritti umani Ales Bialiatski”, ha twittato la leader bielorussa, lanciando l’hashtag #freeales: “Sosteneteci organizzando eventi e rilasciando dichiarazioni, se il regime vuole mettere a tacere Ales, dobbiamo fare in modo che il suo nome si senta ancora più forte“.

    I call on the international community to join the campaign of solidarity with human rights defender Ales Bialiatski — #freeales. Please support us by organizing events & making statements. The regime wants to silence Ales, so we have to make sure his name is heard even louder! pic.twitter.com/bBbHMWQM8D
    — Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) March 3, 2023

    Bialiatski e gli altri prigionieri politici in Bielorussia
    Il numero dei prigionieri politici continua a crescere di giorno in giorno, e ora ha toccato quota 1461, come riportano i corrispondenti della BBC. Lo scorso 27 febbraio il marito della leader dell’opposizione, Siarhei Tsikhanouski – già condannato a 18 anni di reclusione dopo essere stato imprigionato il 29 maggio del 2020 con l’obiettivo di impedirgli di partecipare alle elezioni presidenziali – ha ricevuto un’ulteriore inasprimento della condanna di un anno e mezzo. Da tre mesi non si hanno invece notizie da Maria Kolesnikova, una delle tre leader dell’opposizione nel 2020 che ha scontato il primo anno di carcere degli 11 a cui è stata condannata: a inizio dicembre è stata ricoverata in ospedale in gravi condizioni di salute.
    La presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche in Bielorussia, Sviatlana Tsikhanouskaya (credits: John Thys / Afp)
    Intanto il Parlamento nazionale e l’autoproclamato presidente Lukashenko hanno approvato gli emendamenti alla legislazione sulla cittadinanza del 2002, introducendo la possibilità di privare della cittadinanza i bielorussi all’estero condannati per reati di “partecipazione a un’organizzazione estremista” o “grave danno agli interessi della Bielorussia”, anche in assenza dell’imputato a processo. Una legge tagliata su misura della leader delle forze democratiche Tsikhanouskaya, il cui processo in contumacia è iniziato lo scorso 17 gennaio: l’ennesima “farsa che non ha niente a che fare con la giustizia”, è stato l’attacco della presidente ad interim riconosciuta dall’Ue nel corso della sessione plenaria del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) della scorsa settimana.

    “È un insulto alla giustizia”, è l’attacco della presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola. Il fondatore dell’organizzazione per i diritti umani Viasna accusato di contrabbando di denaro e di finanziamento delle proteste dal regime dell’autoproclamato presidente Lukashenko