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    Litio, rame, idrogeno e tanto commercio: l’Europarlamento approva il nuovo accordo Ue-Cile

    Bruxelles – Migliore accesso alle materie prime e all’energia verde, più cooperazione in materia di affari esteri, rafforzamento del commercio bilaterale. L’Aula del Parlamento europeo dice ‘sì’ all’accordo quadro avanzato Ue-Cile e il suo accordo complementare sulla liberalizzazione del commercio e degli investimenti. A grande maggioranza (358 voti a favore, 147 contrari e 45 astensioni) gli europarlamentari chiedono agli Stati membri di procedere alla definizione delle nuove relazioni con il Paese del sud America. Spetterà al Consiglio dell’Ue dare via libera alla parte commerciale dell’accordo, e i 27 Parlamenti nazionali dovranno poi ratificarlo.Per quanto riguarda il commercio circa il 99,9 per cento delle esportazioni dell’Ue sarà esente da dazi ad eccezione dello zucchero, mentre i prodotti agricoli più sensibili sono esentati dalla piena liberalizzazione. Tra questi prodotti ‘sensibili’ figurano carne, alcuni tipi di frutta e verdura e olio d’oliva.Il voto dell’Aula dà seguito all’azione della Commissione europea, che con il governo di Santiago ha trovato l’intesa preliminare più di un anno fa, a dicembre 2022. L’accordo Ue-Cile, una volta in vigore, dovrebbe garantire un migliore accesso alle materie prime utili per la transizione verde e la realizzazione degli obiettivi del Green Deal, quali litio (utile in particolare per le batterie della auto elettriche), rame (necessario per auto elettriche e turbine eoliche), carburante pulito e  idrogeno.“Il nuovo accordo quadro UE-Cile è di fondamentale importanza geopolitica“, sottolinea Maria Soraya Rodriguez Ramos (Renew), relatrice della dossier in commissione Affari esteri. Con un’Unione europea povera di quelle materie prime necessarie per la doppia transizione e la necessità di affrancarsi dalle forte dipendenza cinese, che comunque l’Ue non potrà ridurre a zero, l’accesso a litio e rame cileni acquista una valenza strategica.Non solo. Messo in soffitta l’accordo commerciale con il Mercosur i Paesi del blocco (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay più il Venezuela sospeso) per la forte protesta del mondo agricolo a dodici stelle, quello con il Cile, Paese associato al Mercosur, “sarà l’unico accordo commerciale con l’America Latina approvato durante questo mandato“, ricorda ancora Rodriguez Ramos. Questo accordo, dunque, testimonia “l’impegno politico dell’Ue a rafforzare la nostra cooperazione regionale e a rafforzare i nostri legami con un partner fondamentale latinoamericano”.

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    Il governo serbo chiude le porte alle indagini richieste dal Parlamento Ue sui possibili brogli elettorali

    Bruxelles – Il governo della Serbia strappa con le istituzioni dell’Unione Europea, chiudendo completamente la porta alle indagini indipendenti sui possibili brogli alle elezioni del 17 dicembre 2023. “Non permetterò mai un’indagine internazionale, perché richiederebbe l’annullamento della sovranità nazionale“, ha messo in chiaro senza mezzi termini la prima ministra serba in carica, Ana Brnabić, nel corso di un’intervista all’emittente serba Prva televizija: “Sospenderebbe il Parlamento, le istituzioni, la democrazia e finirebbe per portare gli stranieri al potere”.

    Cartelloni delle opposizioni alla prima seduta dell’Assemblea Nazionale della Serbia il 6 febbraio 2024 contro il presidente della Repubblica, Aleksandar Vučić, definito ‘capo-mafia’ (credits: Andrej Isakovic / Afp)Parole durissime, arrivate a poco più di due settimane dalla risoluzione del Parlamento Europeo votata a larghissima maggioranza, in cui non sono solo state sollevate enormi preoccupazioni sullo Stato di diritto in Serbia, ma che ha anche chiesto azioni pesanti alla Commissione nel caso in cui venisse accertato il coinvolgimento delle autorità e del governo uscente nei brogli elettorali. “Non è stato rubato nemmeno un voto”, ha risposto secca la premier Brnabić, che ha attaccato gli eurodeputati e le opposizioni nel Paese: “A quanto pare ora si rivolgono alla Commissione Europea per fantasticare su come dovrebbe essere l’indagine, non solo vogliono solo cancellare la nostra sovranità, ma anche sospendere le istituzioni e il diritto nazionale”. Con un contrattacco sulla richiesta di aprire le banche dati per controllare la registrazione regolare degli aventi diritto al voto: “Come si può fare opposizione facendo sì che gli stranieri chiedano controlli come il conteggio di quante persone vivono in un appartamento o in una casa?“.La risoluzione congiunta del Parlamento Europeo aveva esortato la Commissione Ue a “lanciare un’iniziativa per l’invio di una missione di esperti in Serbia per valutare la situazione” relativa alle elezioni anticipate del 17 dicembre scorso e agli sviluppi post-elettorali, facendo attenzione soprattutto alla “sistematicità dei brogli che hanno compromesso l’integrità” della tornata elettorale e alle interferenze del presidente della Repubblica, Aleksandar Vučić, a sostegno del suo Partito Progressista Serbo (Sns). Per questo motivo la missione Ue dovrebbe essere accompagnata da “un’indagine internazionale indipendente” sulle “irregolarità delle elezioni parlamentari, provinciali e comunali”, in particolare per l’Assemblea di Belgrado. Nel caso in cui le autorità serbe non attueranno le raccomandazioni elettorali “o se i risultati di questa indagine indicano che sono direttamente coinvolte nei brogli elettorali”, lo stesso esecutivo comunitario dovrebbe considerare una “sospensione dei finanziamenti dell’Ue sulla base di gravi violazioni dello Stato di diritto” e, implicitamente, un possibile stop ai negoziati di adesione: “Dovrebbero avanzare solo se il Paese compie progressi significativi nelle riforme legate all’Ue”.Le tensioni in Serbia dopo le elezioni anticipate

    Le proteste di piazza dell’opposizione serba a Belgrado (credits: Miodrag Sovilj / Afp)Nonostante le grandi aspettative della vigilia da parte della coalizione ‘La Serbia contro la violenza’, il Partito Progressista Serbo si è imposto nuovamente alle elezioni anticipate con il 46,67 per cento dei voti, staccando di 23 punti percentuali proprio l’opposizione unita che si è piazzata al secondo posto. A fronte delle frodi e delle numerose azioni illecite alle urne, migliaia di persone sono scese in piazza rispondendo all’appello dei partiti e movimenti che avevano tradotto in istanze politiche (europeiste) le proteste di piazza contro il clima che ha portato alle sparatorie di maggio. Anche la missione di osservazione elettorale guidata dall’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) – a cui hanno partecipato anche alcuni membri del Parlamento Europeo – ha rilevato “l’uso improprio di risorse pubbliche, la mancanza di separazione tra le funzioni ufficiali e le attività di campagna elettorale, nonché intimidazioni e pressioni sugli elettori, compresi casi di acquisto di voti”. Dopo quasi un mese dalle elezioni anticipate continuano le proteste contro i brogli del partito al potere, in particolare a Belgrado.Proprio nella capitale la situazione rimane ancora tesa e non è da escludere che si possano ripetere le elezioni amministrative la cui vittoria è stata rivendicata dal Partito Progressista Serbo: il partito guidato a Belgrado dal filo-russo Aleksandar Šapić ha conquistato 49 seggi (su 110), che però non sarebbero abbastanza per controllare l’Assemblea cittadina solo con il supporto del partito nazionalista di estrema destra russofila ‘Noi, voce del popolo’ di Branimir Nestorović. La coalizione ‘La Serbia contro la violenza’ ha denunciato che oltre 40 mila persone arrivate dalla Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina) hanno votato a Belgrado senza essere formalmente registrate come residenti e ha chiesto l’annullamento del risultato delle urne, parlando esplicitamente di “furto elettorale”. La stessa denuncia è arrivata dall’eurodeputata e membro della delegazione parlamentare Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/Ale): “Abbiamo assistito a casi di trasporto organizzato di elettori dalla Republika Srpska e di intimidazione dei votanti”.

    Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić (credits: Alex Halada / Afp)A questo si aggiunge il caso che Bruxelles “sta seguendo da vicino” (parole della dalla portavoce della Commissione Ue responsabile per la politica di vicinato e l’allargamento, Ana Pisonero) sulle violenze subite dal leader del Partito Repubblicano di opposizione, Nikola Sandulović, prelevato dai servizi segreti serbi il 3 gennaio e duramente picchiato durante la detenzione per aver reso omaggio alla tomba di Adem Jashari, uno dei fondatori dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uçk). Membri dell’Agenzia serba per le informazioni sulla sicurezza (Bia) avrebbero sequestrato e torturato Sandulović, poi detenuto nella prigione centrale di Belgrado senza accesso a cure mediche indipendenti. Tra le persone responsabili per le violenze ci sarebbe anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska (il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo e controllato da vicino dal presidente Vučić) che tra l’altro ha già ammesso di aver organizzato l’attacco armato nel nord del Kosovo a fine settembre dello scorso anno. L’ex-capo dell’intelligence serba (dimessosi due mesi fa), Aleksandar Vulin, ha riferito di aver personalmente ordinato l’arresto di Sandulović, ma l’avvocato della difesa ha puntato il dito contro il presidente Vučić.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    L’opposizione russa è sotto torchio in vista delle elezioni del 2024. Ma il Parlamento Ue prova a darle voce

    Bruxelles – C’è una frase che riassume efficacemente il complesso ruolo costruttivo che l’Unione Europea può svolgere nel Paese che da due anni è preso di mira per la guerra di aggressione all’Ucraina: “Il momento migliore per supportare la democrazia in Russia era 20 anni fa, il secondo è ora“. A pronunciare queste parole è la presidente dell’organizzazione non governativa Free Russia Foundation, Natalia Arno, che al Parlamento Europeo ha messo in chiaro la necessità di un sostegno da parte di Bruxelles all’altra faccia della guerra russa in Ucraina: la società civile russa zittita e perseguitata con ancora più intransigenza dal regime di Vladimir Putin.

    L’eurodeputato Tomas Tobé (Ppe)Un confronto tra eurodeputati ed esponenti dell’opposizione russa andato in scena oggi (14 febbraio) all’Eurocamera, per ricordare che “una pace sostenibile in Europa richiede la trasformazione della Russia in una democrazia, e serve una strategia per arrivarci“, ha aperto le discussioni l’eurodeputato del Ppe, Tomas Tobé. L’appuntamento arriva a un mese dalle elezioni presidenziali in Russia, da cui le forze di opposizione democratica sono state completamente escluse (oltre a Putin sono stati autorizzati a correre solo tre candidati comunisti, liberal-nazionalisti e ultra-nazionalisti). “Serve uno scambio regolare con l’opposizione democratica russa e con le persone che si permettono di sfidare il regime autoritario e antidemocratico, anche con grandi rischi personali” – dall’avvelenamento a lunghe pene detentive in colonie di lavoro in Siberia – è l’esortazione dell’eurodeputato francese che ha presieduto la conferenza di oggi.

    La presidente di Free Russia Foundation, Natalia Arno“Putin è arrivato al potere con le bombe sulla Cecenia e un quarto di secolo dopo continua a governare bombardando un Paese sovrano e scatenando la più grande guerra in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale”, è stato l’esordio all’Eurocamera della presidente di Free Russia Foundation. In patria Putin ha reso “la Russia un regime corrotto e sanguinario, con censura, repressione, propaganda e controllo dei media”, una Russia “basata sulla distruzione dello Stato di dritto, sull’intolleranza e sull’ingiustizia”, dove “nessuna elezione dal 2000 a oggi è stata definita libera ed equa dagli osservatori internazionali”. Invasione dell’Ucraina e repressione interna vanno a braccetto, non solo nell’ottica dell’Unione Europea ma anche dell’opposizione a Putin nel Paese: “Da due anni ha catapultato la Russia da un’autocrazia a una dittatura sanguinaria, rafforzando la legislazione repressiva e colpendo la società civile, le opposizioni politiche, i giornalisti indipendenti e gli avvocati per i diritti umani”.

    La relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nella Federazione Russa, Mariana KatzarovaAnche le elezioni sono tali solo per modo di dire. “Non serve la sfera di cristallo per predire quello che succederà: Putin vincerà queste elezioni, rafforzerà il suo potere nel Paese e le considererà una conferma della sua guerra in Ucraina”, ha sintetizzato Arno, ricordando che il voto sarà svolto anche nei territori occupati illegalmente” in Ucraina. Perché – nonostante non si tratti di elezioni libere e gli oppositori politici vengano eliminati anche fisicamente – Putin “vuole legittimazione” dal popolo, come tutti i dittatori. Parole confermate anche dalla relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nella Federazione Russa, Mariana Katzarova: “I leader autocratici che vogliono rimanere in carica, prima zittiscono la stampa e i media liberi, rendendoli strumenti di propaganda, poi la società civile e infine attaccano i Paesi vicini, anche i migliori dittatori del Novecento l’hanno fatto”. Il trend di repressione in Russia “va avanti da vent’anni, ma negli ultimi due si è cristallizzata la totale repressione politica e civile”, una dimostrazione che “le elezioni democratiche non possono funzionare in Paesi dove c’è una dittatura“, ha ricordato Katzarova, esortando i Paesi europei a non ostacolare i russi che fuggono dalla guerra e dai regimi di Russia e Bielorussia: “Dobbiamo difendere tutti, anche chi scappa perché non vuole uccidere o farsi uccidere”. All’orizzonte ci deve essere il futuro comune dell’Ue e della Russia che, anche senza Putin, ormai non è più tutto roseo: “Il regime è fragile e vulnerabile, ma quando cadrà sarà solo l’inizio di un duro processo verso la democrazia, perché ogni guerra è stata accompagnata da attacchi alla società civile”, ha avvertito Arno.

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    L’Eurocamera contro la Serbia di Vučić. Stop ai finanziamenti Ue se le autorità coinvolte nei brogli

    Bruxelles – La denuncia del Parlamento Europeo su quanto andato in scena in Serbia il 17 dicembre non poteva essere più dura, considerato il livello di sostegno dell’Aula di Strasburgo. Con 461 a favore, 53 contrari (tutto il gruppo di Id a parte gli italiani della Lega, astenuti) e 43 astenuti (tra cui tutti gli eurodeputati di Fratelli d’Italia, a differenza della maggioranza del gruppo Ecr a favore), la sessione plenaria dell’Eurocamera ha dato il via libera oggi (8 febbraio) alla risoluzione congiunta sulla situazione in Serbia dopo le elezioni di dicembre, in cui non solo vengono sollevate enormi preoccupazioni sullo Stato di diritto nel Paese candidato all’adesione Ue, ma che chiede anche azioni pesanti da parte della Commissione nel caso in cui venisse accertato il coinvolgimento delle autorità e del governo uscente nei brogli elettorali.

    Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, all’urna elettorale il 17 dicembre 2023 (credits: Elvis Barukcic / Afp)Una risoluzione condivisa nella sua interezza da tutti i gruppi politici all’Eurocamera (le sei mozioni di risoluzioni a firma Ppe, S&D, Renew Europe, Verdi/Ale, Ecr e Sinistra sono confluite in un unico testo), fatta eccezione per l’estrema destra di Identità e Democrazia, che come nel corso del dibattito di gennaio in sessione plenaria si è schierata contro la denuncia delle irregolarità del voto e ha portato avanti una retorica distorta dei rapporti tra Ue e Serbia (e Russia). Ma sono proprio i numeri all’Eurocamera a mettere in chiaro che per l’istituzione comunitaria è tempo di fare sul serio con Belgrado: “Esortiamo la Commissione Ue a lanciare un’iniziativa per l’invio di una missione di esperti in Serbia per valutare la situazione relativa alle recenti elezioni e agli sviluppi post-elettorali“, con l’obiettivo di facilitare il dialogo sociale e di “valutare e affrontare le questioni sistemiche dello Stato di diritto in Serbia, guardando all’esempio dei ‘rapporti Priebe’ [raccomandazioni di un gruppo di esperti incaricato dalla Commissione nel 2015 sulla Macedonia del Nord, ndr]”. Gli eurodeputati ricordano in particolare il fatto che le elezioni parlamentari anticipate di dicembre si sono “discostate dagli standard internazionali”, sia per le interferenze del presidente della Repubblica, Aleksandar Vučić, a sostegno del suo Partito Progressista Serbo (Sns), sia per la “sistematicità dei brogli che hanno compromesso l’integrità” della tornata elettorale. Per questo motivo la missione Ue dovrebbe essere accompagnata da “un’indagine internazionale indipendente” sulle “irregolarità delle elezioni parlamentari, provinciali e comunali”, con particolare attenzione a quelle per l’Assemblea di Belgrado.Nonostante i ripetuti appelli da parte della comunità internazionale, non è arrivata alcuna “risposta istituzionale alle gravi accuse di coinvolgimento in manipolazioni e abusi elettorali, che contribuisce a creare un’atmosfera di impunità e garantisce la continuazione di queste pratiche” e – avvertono gli eurodeputati – “se si lascia che persista senza alcuna ripercussione, questa pratica continuerà a minare la fiducia nel processo elettorale e nelle istituzioni serbe, ostacolando irrimediabilmente il regime democratico e l’ulteriore integrazione europea”. Di fronte a un quadro allarmante sul piano del deterioramento degli standard di rispetto dello Stato di diritto per un Paese candidato da 12 anni all’adesione Ue, il Parlamento Ue non risparmia un affondo anche all’esecutivo comunitario per la “mancanza di critiche esplicite”, in particolare da parte del più controverso membro del Collegio dei commissari, l’ungherese Olivér Várhelyi responsabile proprio per l’Allargamento.

    Cartelloni delle opposizioni alla prima seduta dell’Assemblea Nazionale della Serbia il 6 febbraio 2024 contro il presidente della Repubblica, Aleksandar Vučić, definito ‘capo-mafia’ (credits: Andrej Isakovic / Afp)Ma proprio la Commissione è chiamata a prendere le azioni più dure se Belgrado non attuerà le raccomandazioni elettorali “o se i risultati di questa indagine indicano che le autorità serbe sono direttamente coinvolte nei brogli elettorali”. Vale a dire una “sospensione dei finanziamenti dell’Ue sulla base di gravi violazioni dello Stato di diritto” e, implicitamente, un possibile stop ai negoziati di adesione: “Dovrebbero avanzare solo se il Paese compie progressi significativi nelle riforme legate all’Ue”, si legge nella risoluzione. Senza dimenticare le accuse dello stesso presidente serbo all’indirizzo di Stati membri Ue e media europei, secondo cui “sarebbero stati coinvolti nell’organizzazione delle proteste post-elettorali”. A questo proposito tutte le istituzioni Ue sono allineate nella denuncia alle allusioni di Vučić di “una guerra speciale” condotta dalla stampa occidentale: “Se osserva ciò che viene fatto con il sostegno della sua amministrazione per quanto riguarda la qualità del giornalismo”, a Belgrado permette “allo strumento della propaganda e della menzogna russa di mettere piede sul suolo serbo”, ha attaccato in un punto con la stampa il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano. Il riferimento è a Russia Today Balkan (dal luglio 2022 operativa in Serbia), “un’emittente bandita dall’Unione Europea per le sue attività sovversive in relazione alla guerra illegale contro l’Ucraina”.Le tensioni in Serbia dopo le elezioni anticipateNonostante le grandi aspettative della vigilia da parte della coalizione ‘La Serbia contro la violenza’, il Partito Progressista Serbo si è imposto nuovamente alle elezioni anticipate con il 46,67 per cento dei voti, staccando di 23 punti percentuali proprio l’opposizione unita che si è piazzata al secondo posto. A fronte delle frodi e delle numerose azioni illecite alle urne, migliaia di persone sono scese in piazza rispondendo all’appello dei partiti e movimenti che avevano tradotto in istanze politiche (europeiste) le proteste di piazza contro il clima che ha portato alle sparatorie di maggio. Anche la missione di osservazione elettorale guidata dall’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) – a cui hanno partecipato anche alcuni membri del Parlamento Europeo – ha rilevato “l’uso improprio di risorse pubbliche, la mancanza di separazione tra le funzioni ufficiali e le attività di campagna elettorale, nonché intimidazioni e pressioni sugli elettori, compresi casi di acquisto di voti”. Dopo quasi un mese dalle elezioni anticipate continuano le proteste contro i brogli del partito al potere, in particolare a Belgrado.

    Le proteste di piazza dell’opposizione serba a Belgrado (credits: Miodrag Sovilj / Afp)Proprio nella capitale la situazione rimane ancora tesa e non è da escludere che si possano ripetere le elezioni amministrative la cui vittoria è stata rivendicata dal Partito Progressista Serbo: il partito guidato a Belgrado dal filo-russo Aleksandar Šapić ha conquistato 49 seggi (su 110), che però non sarebbero abbastanza per controllare l’Assemblea cittadina solo con il supporto del partito nazionalista di estrema destra russofila ‘Noi, voce del popolo’ di Branimir Nestorović. La coalizione ‘La Serbia contro la violenza’ ha denunciato che oltre 40 mila persone arrivate dalla Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina) hanno votato a Belgrado senza essere formalmente registrate come residenti e ha chiesto l’annullamento del risultato delle urne, parlando esplicitamente di “furto elettorale”. La stessa denuncia è arrivata dall’eurodeputata e membro della delegazione parlamentare Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/Ale): “Abbiamo assistito a casi di trasporto organizzato di elettori dalla Republika Srpska e di intimidazione dei votanti”.A questo si aggiunge il caso che Bruxelles “sta seguendo da vicino” (parole della dalla portavoce della Commissione Ue responsabile per la politica di vicinato e l’allargamento, Ana Pisonero) sulle violenze subite dal leader del Partito Repubblicano di opposizione, Nikola Sandulović, prelevato dai servizi segreti serbi il 3 gennaio e duramente picchiato durante la detenzione per aver reso omaggio alla tomba di Adem Jashari, uno dei fondatori dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uçk). Membri dell’Agenzia serba per le informazioni sulla sicurezza (Bia) avrebbero sequestrato e torturato Sandulović, poi detenuto nella prigione centrale di Belgrado senza accesso a cure mediche indipendenti. Tra le persone responsabili per le violenze ci sarebbe anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska (il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo e controllato da vicino dal presidente Vučić) che tra l’altro ha già ammesso di aver organizzato l’attacco armato nel nord del Kosovo a fine settembre dello scorso anno. L’ex-capo dell’intelligence serba (dimessosi due mesi fa), Aleksandar Vulin, ha riferito di aver personalmente ordinato l’arresto di Sandulović, ma l’avvocato della difesa ha puntato il dito contro il presidente Vučić.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    L’estrema destra europea ha una visione distorta dei rapporti tra Unione Europea e Serbia (e Russia)

    Bruxelles – Viktor Orbán non è solo. Il più stretto alleato della Serbia di Aleksandar Vučić, il primo ministro che sta creando più problemi per l’unità dei Ventisette – e lo stesso che sta mettendo i bastoni fra le ruote di Bruxelles all’introduzione di misure contro Belgrado per il non rispetto degli impegni assunti per la normalizzazione dei rapporti con il Kosovo – sta trovando buona compagnia nello schieramento di estrema destra al Parlamento Europeo. Destabilizzazione, ingerenze, tentativi di ricreare “una nuova Maidan”. Sono le accuse lanciate da alcuni esponenti del gruppo Identità e Democrazia (Id) all’indirizzo non della Russia o della Cina, ma contro l’Unione Europea, dopo il risultato quantomeno controverso delle elezioni anticipate del 17 dicembre scorso in Serbia.(credits: Andrej Isakovic / Afp)Le insinuazioni avanzate in particolare da due eurodeputati francesi di Rassemblement National sono state senza dubbio la nota più frizzante del dibattito di questa settimana alla sessione plenaria del Parlamento Ue a Strasburgo a proposito della situazione in Serbia dopo le elezioni di dicembre (il voto sulla risoluzione è previsto per alla sessione di febbraio). Tutti i gruppi politici, compreso quello dei Conservatori e Riformisti Europei, si sono ritrovati d’accordo sul fatto che si sono registrate “gravi irregolarità e compravendita di voti” – come affermato dal croato Ladislav Ilčić (Ecr), anche se animato da ragioni puramente nazionalistiche – e che “i cittadini serbi meritano riforme europee e risultati concreti” (Vladimír Bilčík, Ppe), con critiche poco velate a Commissione e Consiglio sulla “reazione molto morbida” per la necessità di “pragmatismo a sostegno della stabilocrazia nel Paese, che però non porta ai risultati previsti” (Klemen Grošelj, Renew Europe). Tutti eccetto gli eurodeputati francesi intervenuti nell’emiciclo di Strasburgo a nome del gruppo Id, che hanno espresso il proprio dissenso con parole più controverse del previsto.“L’ideologia motiva questo dibattito, qual è il vostro problema? La vittoria di Vučić e la sconfitta dei vostri alleati politici di opposizione? È per questo che l’Ue cerca di destabilizzare la Serbia?“, ha attaccato il francese Jean-Lin Lacapelle (Id), accusando le istituzioni comunitarie di “ingerenze nella politica serba, perché ogni Paese è sovrano e indipendente, fino a quando le sue scelte democratiche non vi piacciono”. Ancora più esplicito il connazionale Thierry Mariani: “Sono preoccupato perché questa regione ha bisogno di riappacificazione, mentre questo dibattito farà sì che l’opposizione continui a smuovere le acque”. Fino alla chiusura più sibillina: “Vorrei capire qual è la ragione dietro questa discussione, stimolare una seconda Maidan?” Il riferimento è a uno dei fattori che ha scatenato la crisi tra la Russia e l’Ucraina nel 2013, e che per Kiev e Bruxelles è considerato il primo momento di espressione della volontà popolare di seguire la prospettiva europea per il Paese oggi invaso dall’esercito russo.Le parole dei due eurodeputati di estrema destra – e in particolare il riferimento alla “seconda Maidan” con accezione negativa – evidenziano non solo la visione distorta dei rapporti tra Ue e Serbia secondo una parte specifica dello spettro politico europeo, ma anche una strizzata d’occhio alla Russia di Vladimir Putin che non è mai stata rinnegata (ma diventata solo meno esplicita dopo lo scoppio della guerra in Ucraina). Parlare di “destabilizzazione” del sistema di potere del presidente Vučić da parte delle istituzioni comunitarie è fuorviante per due ragioni. In primis perché non fattuale: la Serbia è un Paese candidato dall’adesione all’Unione Europea, i cui impegni sanciti dai Trattati Ue (compreso il rispetto dei principi dello Stato di diritto messo in discussione dallo svolgimento delle ultime elezioni) sono stati sottoscritti volontariamente da Belgrado. In secondo luogo perché – ammesso e non concesso che a Bruxelles ci sia un disegno di pressioni illecite contro la Serbia – i meccanismi democratici dell’Unione consentono al premier Orbán di opporsi in sede di Consiglio all’introduzione delle misure “temporanee e reversibili” in discussione da mesi a Bruxelles (le stesse che invece sono in atto nei confronti del Kosovo) nonostante il via libera di tutti gli altri Paesi membri.Ancora più preoccupante è la visione dei rapporti alla luce del ruolo della Russia nella regione. In particolare va considerato il fatto che la Serbia di Vučić è l’unico partner dell’Unione che rivendica il non-allineamento alla Politica estera e di sicurezza comune, soprattutto sulle sanzioni contro Mosca per l’invasione dell’Ucraina (nemmeno a livello di principio) e che fino a oggi non ha mai voluto allontanarsi eccessivamente dal legame con il Cremlino. Al contrario, nonostante riceverà un pacchetto di sostegno energetico da Bruxelles pari a 165 milioni di euro, nel maggio 2022 Vučić ha siglato un’intesa con Putin per tre anni di gas russo a condizioni favorevoli. Per il Cremlino la Serbia è una sorta di testa di ponte nei Balcani Occidentali, tanto che Bruxelles continua a sollevare preoccupazioni sulla possibile destabilizzazione russa della regione dopo l’attacco armato all’Ucraina. A proposito di Ucraina, getta una luce inquietante il parallelismo fatto dai due eurodeputati di Rassemblement National tra il supporto di Bruxelles alle “legittime manifestazioni di piazza” a Belgrado (come le ha definite il commissario per la Giustizia, Didier Reynders) e a quelle del 2013 di Euromaidan. La critica nemmeno troppo velata di sostenere le richieste dei manifestanti – serbi oggi come ucraini allora – di maggiore trasparenza elettorale e contro le violazioni dello Stato di diritto è una potenziale cassa di risonanza della propaganda del Cremlino secondo cui le proteste popolari europeiste sono frutto di manipolazione delle potenze occidentali e richiedono un intervento più o meno diretto della Russia.Le tensioni in Serbia dopo le elezioni anticipateDa sinistra: il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán (credits: Andrej Isakovic / Afp)Nonostante le grandi aspettative della vigilia da parte della coalizione ‘La Serbia contro la violenza’, il Partito Progressista Serbo si è imposto nuovamente alle elezioni anticipate con il 46,67 per cento dei voti, staccando di 23 punti percentuali proprio l’opposizione unita che si è piazzata al secondo posto. A fronte delle frodi e delle numerose azioni illecite alle urne, migliaia di persone sono scese in piazza rispondendo all’appello dei partiti e movimenti che avevano tradotto in istanze politiche (europeiste) le proteste di piazza contro il clima che ha portato alle sparatorie di maggio. Anche la missione di osservazione elettorale guidata dall’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) – a cui hanno partecipato anche alcuni membri del Parlamento Europeo – ha rilevato “l’uso improprio di risorse pubbliche, la mancanza di separazione tra le funzioni ufficiali e le attività di campagna elettorale, nonché intimidazioni e pressioni sugli elettori, compresi casi di acquisto di voti”. Dopo quasi un mese dalle elezioni anticipate continuano le proteste contro i brogli del partito al potere, in particolare a Belgrado.Proprio nella capitale la situazione rimane ancora tesa e non è da escludere che si possano ripetere le elezioni amministrative la cui vittoria è stata rivendicata dal Partito Progressista Serbo: il partito guidato a Belgrado dal filo-russo Aleksandar Šapić ha conquistato 49 seggi (su 110), che però non sarebbero abbastanza per controllare l’Assemblea cittadina solo con il supporto del partito nazionalista di estrema destra russofila ‘Noi, voce del popolo’ di Branimir Nestorović. La coalizione ‘La Serbia contro la violenza’ ha denunciato che oltre 40 mila persone arrivate dalla Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina) hanno votato a Belgrado senza essere formalmente registrate come residenti e ha chiesto l’annullamento del risultato delle urne, parlando esplicitamente di “furto elettorale”. La stessa denuncia è arrivata dall’eurodeputata e membro della delegazione parlamentare Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/Ale): “Abbiamo assistito a casi di trasporto organizzato di elettori dalla Republika Srpska e di intimidazione dei votanti”.Le proteste di piazza dell’opposizione serba a Belgrado (credits: Miodrag Sovilj / Afp)A questo si aggiunge il caso che Bruxelles “sta seguendo da vicino” (parole della dalla portavoce della Commissione Ue responsabile per la politica di vicinato e l’allargamento, Ana Pisonero) sulle violenze subite dal leader del Partito Repubblicano di opposizione, Nikola Sandulović, prelevato dai servizi segreti serbi il 3 gennaio e duramente picchiato durante la detenzione per aver reso omaggio alla tomba di Adem Jashari, uno dei fondatori dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uçk). Membri dell’Agenzia serba per le informazioni sulla sicurezza (Bia) avrebbero sequestrato e torturato Sandulović, poi detenuto nella prigione centrale di Belgrado senza accesso a cure mediche indipendenti. Tra le persone responsabili per le violenze ci sarebbe anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska (il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo e controllato da vicino dal presidente Vučić) che tra l’altro ha già ammesso di aver organizzato l’attacco armato nel nord del Kosovo a fine settembre dello scorso anno. L’ex-capo dell’intelligence serba (dimessosi due mesi fa), Aleksandar Vulin, ha riferito di aver personalmente ordinato l’arresto di Sandulović, ma l’avvocato della difesa ha puntato il dito contro il presidente Vučić.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Gli ostacoli alle relazioni commerciali tra Ue e Taiwan su agroalimentare ed eolico off-shore

    Bruxelles – Unione Europea e Taiwan rimangono partner commerciali stretti, ma non si possono nascondere i problemi a lungo termine. “Taiwan deve mostrare disponibilità ad affrontare le nostre preoccupazioni e migliorare i rapporti“, è l’esortazione arrivata oggi (12 dicembre) alla sessione plenaria dell’Eurocamera a Strasburgo da parte del vicepresidente della Commissione Ue responsabile per l’Economia, Valdis Dombrovskis, intervenendo al dibattito sulle relazioni tra l’Unione e Taipei. “Siamo economie di mercato, libere e indipendenti, le barriere agli investimenti e al commercio sono praticamente zero”, ma in alcuni settori “le aziende europee hanno notato che ci sono notevoli ostacoli“.(credits: Jameson Wu / Afp)Sono in particolare due i crucci del vicepresidente dell’esecutivo comunitario: energia e agroalimentare. In primis nel settore dell’eolico off-shore, “dove abbiamo preoccupazioni sui requisiti che impone Taiwan”. È per questa ragione che a Taipei è stato chiesto di invertire la rotta e “porre fine agli ostacoli”, a partire dai dialoghi sulle regole del settore intensificatisi da aprile 2023: “Continueremo la cooperazione”, ha promesso Dombrovskis. L’altro punto di difficoltà è “l’accesso al mercato per i prodotti agricoli, soprattutto la carne”. Il vero problema riguarda il fatto che “le nostre regole sulla regionalizzazione non vengono riconosciute da Taiwan” e parallelamente “vengono imposti in modo non giustificato dei blocchi ai nostri prodotti“. Di fronte a “diverse richieste” alla Commissione da parte dei 27 Paesi membri Ue, “Taiwan ha accettato di affrontare la cosa in modo globale”, ha voluto specificare il responsabile per il Commercio nel gabinetto von der Leyen.Rispondendo alle domande incalzanti degli eurodeputati, Dombrovskis ha annunciato che “a breve faremo il punto dei progressi ottenuti in entrambi i settori” e il Berlaymont si aspetta “maggiori contatti per porre fine a queste barriere”. Ma non tutto è un ostacolo tra Bruxelles e Taipei, come dimostrano i passi in avanti fatti nel settore digitale. “Dal 2021 abbiamo aumentato il dialogo commerciale, comprese le esportazioni a duplice uso, la ricerca e sviluppo e i semiconduttori”, ha ricordato il vicepresidente della Commissione. E proprio il settore dei semiconduttori rivestirà un ruolo cruciale nei rapporti tra l’Unione e l’isola. Dopo l’incontro dello scorso 28 aprile, “abbiamo messo a punto diverse iniziative” con il coinvolgimento di diversi direzioni generali della Commissione, con “un workstream apposito e avvieremo un dialogo sulle misure di agevolazione per lo scambio di semiconduttori“, è la promessa di Dombrovskis.L’Ue tra Cina e TaiwanDa sinistra: il vicepresidente della Commissione Europea responsabile per l’Economia, Valdis Dombrovskis, e il vice-premier della Cina, He Lifeng (credits: Pedro Pardo / Afp)Nel momento in cui i rappresentanti delle istituzioni comunitarie si riferiscono a Taiwan, è inevitabile il riferimento alla Cina. “Dobbiamo preservare lo status quo a Taiwan, che non può essere cambiato con la forza, è fondamentale per il mantenimento della pace e del commercio globale e nella regione”, ha sottolineato con forza il vicepresidente della Commissione Ue Dombrovskis, rispondendo alle domande degli eurodeputati sulla posizione nei confronti delle minacce cinesi nello Stretto di Taiwan. Solo una settimana fa la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e del Consiglio Europeo, Charles Michel, hanno partecipato a Pechino al 24esimo vertice Ue-Cina in cui sono state ribadite le linee per il riorientamento dei rapporti Ue-Cina – considerato lo squilibrio commerciale con il partner/competitor – e le questioni delle tensioni in Ucraina e a Taiwan con il leader cinese, Xi Jinping, proprio come fatto a inizio aprile dalla presidente von der Leyen e il presidente francese, Emmanuel Macron.Proprio il tema del rapporto dei Ventisette con Taiwan – nel caso dell’escalation della tensione con Pechino – era stato al centro di un teso dibattito interno all’Unione in primavera. A scatenare il vespaio erano state le parole del presidente francese Macron di ritorno dal viaggio a Pechino. “La cosa peggiore sarebbe pensare che noi europei dovremmo essere dei seguaci su questo tema e adattarci al ritmo americano e a una reazione eccessiva della Cina“, era stato il commento dell’inquilino dell’Eliseo, tratteggiando la necessità di una vera autonomia strategica europea (ma non un’equidistanza tra Washington e Pechino).Nel pieno della bagarre tra i gruppi politici alla sessione plenaria dell’Eurocamera di metà aprile a Strasburgo, la presidente von der Leyen e l’alto rappresentante Borrell avevano messo in chiaro che serve unità contro la “politica di divisione e conquista” cinese e che le istituzioni europee si oppongono “fermamente” a qualsiasi cambiamento unilaterale dello status quo, “in particolare attraverso l’uso della forza”. A confermare questa posizione, in un’intervista a Le Journal du Dimanche lo stesso alto rappresentante Ue aveva esortato le marine europee a “pattugliare lo Stretto di Taiwan, per dimostrare l’impegno dell’Europa a favore della libertà di navigazione in quest’area assolutamente cruciale” per il commercio globale.

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    Il Parlamento europeo chiede un’applicazione più rigorosa delle sanzioni contro la Russia

    Bruxelles – Le sanzioni ci sono, ma non si applicano. Durante la seduta plenaria odierna (9 novembre) del Parlamento europeo, gli eurodeputati hanno chiesto all’Unione e ai suoi Stati membri di rafforzare e centralizzare il controllo sull’attuazione delle sanzioni contro la Russia, nonché di sviluppare un meccanismo per la prevenzione e il monitoraggio dell’elusione.Il regime di sanzioni applicato dall’Ue contro la Russia presenta varie lacune, che mettono in allarme l’Eurocamera. Quello che manca è soprattutto un’adeguata applicazione delle misure restrittive, ma gli eurodeputati hanno espresso la loro preoccupazione anche sui tentativi di compromettere gli sforzi volti a indebolire strategicamente l’economia e la base industriale russa e a ostacolare la capacità del Paese di condurre la guerra.La Russia finora è stata in grado di eludere le misure comunitarie come il tetto massimo sulle sanzioni petrolifere introdotto dagli Stati membri dell’Ue e il cosiddetto Price Cap Coalition. A questo si aggiunge il problema dell’importazione di prodotti petroliferi realizzati con petrolio russo, attraverso Paesi terzi come l’India, da parte dei Ventisette. In questo modo, la sanzione viene aggirata con una scorciatoria e la quantità di questi prodotti che arrivano in territorio europeo passando da altri Paesi è in crescita. Il problema è lo stesso anche nella direzione opposta: è il caso di alcuni componenti occidentali cruciali, che arrivano ancora in Russia attraverso Paesi come Cina, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Kazakistan, Kirghizistan e Serbia.A causa di alcune lacune nelle norme sulle sanzioni, Il Cremlino è riuscito a racimolare fondi per i suoi scopi bellici. L’Unione europea aveva concesso alla Bulgaria un’esenzione unica al divieto sull’acquisto di petrolio russo, grazie alla quale il Paese ha potuto permettere a milioni di barili di raggiungere una raffineria locale di proprietà russa, che ha poi esportato vari combustibili raffinati all’estero, Ue compresa. Secondo Politico, questa scappatoia avrebbe permesso a Putin di raccogliere 1 miliardo di euro. Anche Paesi come l’Azerbaigian starebbero mascherando la provenienza russa del gas per esportarlo nell’Ue. La stessa Unione rimane poi uno dei maggiori clienti di combustibili fossili della Russia, a causa delle continue importazioni di gas da metanodotti e Gnl, nonché di varie eccezioni al divieto di importare petrolio greggio e prodotti petroliferi.Nella risoluzione votata oggi, l’Eurocamera ha poi espresso preoccupazione per il commercio in corso di beni strategici per la guerra tra gli Stati membri dell’Ue e Mosca. Bisognerà fare più attenzione anche a chiudere adeguatamente il mercato comunitario per i combustibili fossili di origine russa, nonché a imporre sanzioni a tutte le principali compagnie petrolifere russe, a Gazprombank, alle loro controllate e ai loro consigli di amministrazione e gestione. Secondo l’Eurocamera, l’Ue ha poi un altro compito: esplorare vie legali che consentano la confisca dei beni russi congelati e il loro utilizzo per la ricostruzione dell’Ucraina.Per portare a termine quanto espresso nella risoluzione, l’Unione europea dovrebbe collaborare con il G7: lo scopo è abbassare sostanzialmente il prezzo massimo del petrolio russo e dei prodotti petroliferi, oltre a imporre un divieto totale sulle importazioni russe di Gnl e Gpl nonché sull’importazione di carburante e altri prodotti petroliferi da paesi Paesi extra-Ue, qualora questi prodotti fossero stati fabbricati utilizzando petrolio russo. Il Parlamento vuole inoltre che l’Unione vieti la spedizione di petrolio russo e le esportazioni di Gnl attraverso i Ventisette e introduca limiti di prezzo e volume sulle importazioni comunitarie di fertilizzanti russi e bielorussi. A questo, gli eurodeputati aggiungono ancora una richiesta, indirizzata soprattutto alla Commissione europea: le sanzioni per includere un divieto totale sulla commercializzazione e sul taglio dei diamanti di origine russa o riesportati dalla Russia nell’Unione europea.
    Le misure restrittive finora applicate alla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina sono lacunose e insufficienti. L’Eurocamera propone di usare i beni russi congelati per ricostruire l’Ucraina

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    I porti europei ‘cinesi’ un problema per la sicurezza Ue e Nato

    Bruxelles – Adesso la presenza cinese nei porti europei spaventa davvero. Perché all’aspetto economico si aggiunge anche quello della difesa e della sicurezza nazionale. La presenza cinese nei porti dell’Ue è una questione che si pone da anni, ma contro cui l’Unione europea ha fatto fatica. Da una parte il mercato unico, con le sue regole e il suo approccio aperto, non impedisce a operatori stranieri di fare affari in Europa. Dall’altra parte, per stessa ammissione dell’esecutivo comunitario, si fa fatica a capire il giro di affari delle imprese collegate al governo di Pechino.Un nuovo studio prodotto per conto della commissione trasporti del Parlamento europeo stima che tra il 2004 e il 2021 le compagnie del dragone abbiamo speso oltre 9,1 miliardi di euro per acquisizioni di e negli scali marittimi a dodici stelle.“I rischi derivanti dagli investimenti cinesi sono evidenti oltre determinate soglie di livelli di proprietà”, avverte il documento. In particolare il problema si pone in termini di influenza sulla strategia portuale e in termini di rischi informatici “se le aziende cinesi possono accedere ai sistemi di comunicazione e alle reti locali”. Ciò presenta certamente “un rischio a livello locale”, ma allo stesso tempo “potrebbe anche comportare rischi più ampi per l’Europa, soprattutto per quanto riguarda le forze armate degli Stati membri e la NATO”.Il problema è che la Cina appare aver goduto troppo dei diritti che l’Ue concede ad operatori stranieri. Su tutti China Ocean Shipping Company (COSCO) e China Merchants sono quelli che più massicciamente hanno investito in Europa. Tanto che oggi COSCO controlla il porto di Atene e si mette in risalto come “alcuni dei rischi più significativi emergono non solo dagli investimenti nelle infrastrutture ma anche dalle successive espansioni delle operazioni di COSCO”. Questi includono “rischi di influenza e coercizione localizzata”. In che modo? Viene offerto un chiaro esempio. COSCO potrebbe minacciare di dirottare i suoi trasbordi verso altri porti del Mediterraneo se la Grecia dovesse intraprendere un’azione che dispiacesse a Pechino.Un caso non isolato, visto che In Italia nel 2016 COSCO ha acquistato il 40 per cento del porto di Vado Ligure e in Germania controlla il 24,9 per cento dell’impresa che controllo il porto di Amburgo. All’Ue “manca una valutazione dei colli di bottiglia nella spedizione di merci dalla Cina all’Europa che consideri il trasbordo”, vale a dire il trasferimento di merci. “A seguito di tale valutazione, dovrebbero essere creati piani di emergenza per prepararsi a un conflitto con la Cina”.Ma in tema di sicurezza il caso ellenico è forse quello più emblematico. Nel porto del Pireo “la presenza di COSCO accanto a infrastrutture civili e militari critiche è altamente problematica, in termini di rischi informatici e potenziali fughe di dati sensibili”. Un rischio considerato dagli autori dell’analisi realistico poiché “vi sono indicazioni che in futuro gli scali delle navi militari statunitensi saranno più frequenti”. Alla luce di questo “è ragionevole supporre che i servizi segreti cinesi siano interessati a raccogliere dati sulle tecnologie militari avanzate degli Stati Uniti”. Si rende dunque “un’azione approfondita del rischio dell’investimento di COSCO” attraverso “uno stretto coordinamento con i partner occidentali in termini di assistenza tecnica”. Allo stesso modo, “la creazione di un meccanismo di gestione delle crisi e la mitigazione di vari rischi potenziali sono possibili solo di concerto con i partner dell’UE e della NATO”.Lo studio di nuova pubblicazione evidenzia una situazione in contrapposizione con la nuova strategia dell’Ue per la difesa navale e la sicurezza marittima. Questa include la protezione delle infrastrutture marittime critiche che includono gasdotti, cavi sottomarini e anche porti. Rispetto a questa necessità l’Ue appare già in ritardo. 
    Un nuovo studio del Parlamento europeo per la prima volta evidenzia i rischi non-economici di una troppa presenza asiatica negli scali marittimi a dodici stelle