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    Appena conclusi, i colloqui di Riad sulla tregua in Ucraina fanno già litigare Mosca e Kiev

    Bruxelles – Si sono concluse dopo tre giorni le trattative in Arabia Saudita tra Russia, Ucraina e Stati Uniti che dovrebbero rappresentare il primo passo di un complesso processo negoziale volto, in prospettiva, a porre fine alla sanguinosa guerra nell’ex repubblica sovietica. Ma già da ora si registrano incomprensioni, sbavature e differenze interpretative che potrebbero mettere a repentaglio quel poco che, pare, le delegazioni hanno appena concordato a Riad. Oggetto del contendere, più di ogni altra cosa, parrebbe l’eventualità di alleggerire il regime sanzionatorio nei confronti di Mosca.Le versioni di WashingtonNel pomeriggio di oggi (25 marzo), la Casa Bianca ha pubblicato due stringati comunicati contenenti i punti principali su cui sarebbero state raggiunte due intese separate, una con la delegazione di Kiev e l’altra con quella di Mosca. Tali resoconti riprendono gli aspetti centrali affrontati nei colloqui tenutisi nella capitale saudita, durante i quali la squadra a stelle e strisce ha incontrato le controparti ucraina (prima domenica 23 e poi ancora stamattina) e russa (ieri). Da un lato, la definizione dei dettagli tecnici relativi al cessate il fuoco di 30 giorni che concerne le infrastrutture. Dall’altro, la questione della navigazione nel Mar Nero.Stando alle note della Casa Bianca, i due Paesi belligeranti hanno concordato con gli Stati Uniti “di sviluppare misure per l’attuazione dell’accordo”, stipulato verbalmente da Donald Trump coi suoi omologhi Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky in due distinte telefonate, volto a “vietare gli attacchi contro le infrastrutture energetiche di Russia e Ucraina”. Con una simile formulazione viene così a chiudersi definitivamente il “caso” che si era aperto negli ultimi giorni circa le tipologie di strutture protette dalla tregua: salvi gli impianti energetici, come voleva Mosca, ma non porti e ferrovie come chiedeva Kiev.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (foto via Imagoeconomica)Quanto al secondo punto, Ucraina e Russia avrebbero concordato “di garantire la sicurezza della navigazione, di eliminare l’uso della forza e di impedire l’utilizzo di navi commerciali per scopi militari nel Mar Nero”. Gli sforzi negoziali, in questo quadro, sono tesi a rimettere in piedi la cosiddetta “iniziativa del Mar Nero“, l’accordo risalente al luglio 2022 e mediato da Turchia e Onu che per un anno (finché Mosca non ne ha sospeso il rinnovo) ha permesso al grano ucraino di arrivare al resto del mondo attraverso gli stretti del Bosforo e dei Dardanelli e, parallelamente, ai fertilizzanti russi di venire esentati dalle sanzioni occidentali.Kiev e Mosca già in disaccordoI primi nodi stanno tuttavia già venendo al pettine, a partire dalle tempistiche e dalle modalità per l’avvio della tregua. Kiev sostiene che il cessate il fuoco dovrebbe entrare in vigore immediatamente, mentre dal Cremlino si fa sapere che dovranno prima essere revocate le sanzioni che colpiscono le aziende russe attive nell’export di prodotti cerealicoli e fertilizzanti, ivi incluse entità quali compagnie di assicurazioni, armatori, fornitori di macchinari agricoli e istituti finanziari legati al settore commerciale in questione.Secondo quanto dichiarato in giornata dal ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, il Segretario generale dell’Onu António Guterres sarebbe in contatto costante con Mosca per lavorare all’allentamento delle misure restrittive contro la Federazione. D’altra parte, nel comunicato della Casa Bianca si sottolinea l’impegno di Washington “a ripristinare l’accesso della Russia al mercato mondiale per le esportazioni di prodotti agricoli e fertilizzanti, a ridurre i costi delle assicurazioni marittime e a migliorare l’accesso ai porti e ai sistemi di pagamento per tali transazioni”. Un passaggio sul quale il presidente ucraino non ha nascosto le proprie preoccupazioni.Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov (foto d’archivio)Teoricamente, in base alle ricostruzioni (frammentarie e talvolta contraddittorie) disponibili al momento della pubblicazione di questo articolo, l’alleviamento delle sanzioni contro il Cremlino dovrebbe avvenire in seguito alla sospensione delle operazioni belliche da parte russa, e non prima come invece suggerito da Lavrov. Ma le sbavature della comunicazione ufficiale già sperimentate nelle ultime settimane intorno all’intero processo negoziale suggeriscono come minimo la prudenza dei condizionali.Mosca, per ora, preferisce non scoprire tutte le sue carte. Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha spiegato che i contenuti dettagliati dei colloqui tecnici non verranno diffusi poiché troppo sensibili e ha affermato che sono attualmente “in fase di analisi”. Una nuova telefonata tra Putin e Trump non è attualmente in programma, ma Peskov ha sottolineato che, se del caso, potrebbe essere organizzata in tempi brevi. Alcune indiscrezioni emerse stamattina parlavano di una dichiarazione congiunta tra Cremlino e Casa Bianca, che però – sostengono fonti russe – sarebbe saltata “a causa della posizione dell’Ucraina”.Gli Stati Uniti, si legge ancora nei comunicati ufficiali, si impegnano infine “a contribuire allo scambio di prigionieri di guerra, al rilascio di detenuti civili e al ritorno dei bambini ucraini trasferiti con la forza”. L’imperativo, si ribadisce, è quello di “fermare le uccisioni da entrambe le parti” per giungere ad una “soluzione di pace duratura” tra i belligeranti. Al momento non sono però in vista colloqui a tre, che mettano cioè allo stesso tavolo i delegati ucraini, russi e statunitensi.L’Europa non ci credeIn Europa, tuttavia, non sembrano nutrirsi grandi illusioni circa le reali intenzioni di Putin e dei suoi. “Se la Russia ritiene che i confini dell’Ucraina siano solo una linea su una mappa, perché dovrebbe rispettare i confini di qualunque altro Paese?”, si è chiesto il presidente del Consiglio europeo, António Costa, intervenendo nel pomeriggio durante un evento a Bruxelles.Da sinistra: il presidente del Consiglio europeo António Costa, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (foto: European Council)L’ex premier portoghese ha ribadito l’urgenza per l’Ue di costruire la propria autonomia strategica, sottolineando la necessità di uno “sforzo collettivo per rafforzare la nostra spesa per la difesa di oltre il 30 per cento, aprendo la strada a decisioni che stanno dando forma all’Europa della difesa” come appunto il piano di riarmo continentale targato Ursula von der Leyen.E continuano nel frattempo i lavori della coalizione dei volenterosi sotto l’egida di Parigi e Londra. Lo stesso Zelensky si recherà nella capitale transalpina domani (26 marzo) per incontrare l’inquilino dell’Eliseo in preparazione della riunione di giovedì, volta a finalizzare i dettagli operativi dell’iniziativa di peacekeeping che – nei piani suoi e del premier britannico Keir Starmer – dovrebbe garantire il rispetto di un’eventuale tregua totale in Ucraina. Se verrà mai stipulata.

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    Starmer non riesce a convincere Trump a impegnare truppe in Ucraina

    Bruxelles – C’è un grande via vai in questi giorni alla corte di Donald Trump. Dopo Emmanuel Macron, ieri vi si è recato per rendere omaggio Keir Starmer, e oggi pomeriggio sarà il turno di Volodymyr Zelensky. Ma “re Donald” non sembra lasciarsi impressionare granché dalle richieste di quelli che dovrebbero essere i suoi alleati più stretti. Così, nemmeno il pellegrinaggio del premier britannico pare aver prodotto risultati concreti. Almeno sul dossier più scottante tra quelli che si affollano sulla scrivania dello Studio ovale: quello del conflitto in Ucraina.Come si conviene ad un vassallo che visita il suo feudatario, così l’inquilino di Downing Street ha varcato la soglia della Casa Bianca assicurandosi di non presentarsi a mani vuote. Tra le regalie offerte al padrone di casa, il primo ministro britannico ha portato anzitutto un invito personale di Sua Maestà re Carlo III a Trump per una seconda visita di Stato nel Regno Unito (dopo quella della regina Elisabetta II nel 2019), un avvenimento “senza precedenti”.A dimostrazione della buona fede di Londra e dell’impegno del suo governo sulla questione sicurezza, Starmer ha poi messo sul tavolo la recentissima decisione di portare il bilancio per la difesa dall’attuale 2,3 al 2,5 per cento del Pil, anticipando al 2027 il target inizialmente previsto per il 2030. Musica per le orecchie del presidente, che fin dal suo primo mandato non si stanca di ripetere che gli europei devono assumersi la responsabilità della sicurezza nel Vecchio continente.The bond between the UK and the US couldn’t be stronger.Thank you for your hospitality, @POTUS. pic.twitter.com/tcAtp2hzCY— Keir Starmer (@Keir_Starmer) February 27, 2025Del resto, quel monito sta venendo preso sempre più seriamente dalle cancellerie di qua dell’Atlantico, come dimostrano i frenetici summit che si susseguono in queste settimane – dopo la doppietta parigina, un terzo vertice è in calendario per dopodomani (2 marzo) a Londra – dedicati proprio al tema della difesa continentale. Qualcuno, come il cancelliere tedesco in pectore Friedrich Merz, immagina addirittura una potenziale alleanza militare europea che possa assumere vita propria rispetto alla Nato.Probabilmente una chimera, almeno nell’immediato futuro. Ma queste fughe in avanti (soprattutto se arrivano da un atlantista incallito come il leader della Cdu) rendono bene la cifra del panico che sta attanagliando l’Europa mentre la nuova amministrazione statunitense procede spedita verso il disgelo con il Cremlino, come dimostrato dai colloqui di Istanbul di ieri tra i diplomatici delle due superpotenze, apparentemente intenzionate a spartirsi (di nuovo) il mondo.Quindi la charme offensive. Il leader britannico si è profuso in lusinghe nei confronti del suo potente (quanto erratico) interlocutore. Seguendo l’esempio offerto lunedì da Macron, anche Starmer si è esibito in un numero di equilibrismo politico. Mostrandosi il più amichevole possibile ma correggendo il tycoon quando quest’ultimo ha ripetuto le osservazioni (false) per cui i Paesi europei avrebbero finanziato Kiev solo tramite prestiti e non, come gli Stati Uniti, con sovvenzioni a fondo perduto. La carota e, se non proprio il bastone, un fuscello gentile.Il presidente statunitense Donald Trump (destra) ospita a Washington il suo omologo francese Emmanuel Macron, il 24 febbraio 2025 (foto via Imagoeconomica)Trump ha “cambiato la conversazione sull’Ucraina”, ha dichiarato davanti alla stampa il primo ministro laburista. Il presidente Usa, dice Starmer, ha aperto “una finestra di enorme opportunità per raggiungere un accordo di pace storico” che ponga fine al conflitto. E ora “vogliamo lavorare con voi” per assicurarci che sia “duraturo”. Ma occorre vedere se tutti intendono la stessa cosa quando parlando di questo fantomatico accordo di pace.Una delle richieste principali del premier britannico – e vero motivo delle regalie – era l’impegno da parte di Washington di fornire una “copertura” (backstop) alle eventuali truppe di peacekeeping europee nell’ex repubblica sovietica. Come Zelensky, Macron e il resto dei leader del Vecchio continente, anche Starmer continua a ripetere che le garanzie di sicurezza di cui Kiev ha bisogno saranno credibili solo se coinvolgeranno anche l’esercito statunitense.Tuttavia, l’impegno delineato da Trump non è esattamente quello che ci si aspetta a Londra, Parigi e Bruxelles. “Avremo molte persone che lavorano” in Ucraina, ha spiegato il tycoon, come conseguenza dell’accordo sulle materie prime critiche che dovrebbe siglare proprio oggi pomeriggio insieme a Zelensky. “È una garanzia di sicurezza“, ha ragionato: “Non credo che qualcuno si prenderà gioco di noi se saremo lì con molti lavoratori”. In fin dei conti, il presidente statunitense si è detto convinto che il suo omologo russo Vladimir Putin “manterrà la sua parola” e rispetterà un cessate il fuoco, quando ne verrà stipulato uno.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (foto: European Council)Ma se ciò non accadesse? Lo zio Sam difenderà i peacekeepers di Sua Maestà, se venissero attaccati? “I britannici sono soldati incredibili”, ha osservato Trump, “e possono prendersi cura di loro stessi“. “Se hanno bisogno di aiuto, io sarò sempre con gli inglesi”, ha poi precisato, ma ribadendo immediatamente che “non hanno bisogno di aiuto“. Non esattamente una rassicurazione per gli alleati europei, che si stanno interrogando sul destino della Nato e sulla deterrenza garantita dall’articolo 5 della Carta atlantica (dove si sancisce il principio della difesa collettiva): “Non credo che avremo motivo” di attivarlo, dice il presidente.Alla fine, dal suo bilaterale, Starmer porta a casa fumose promesse su un futuro accordo commerciale tra Usa e Regno Unito, per rinsaldare la special relationship tra Washington e Londra. Niente di più concreto. Anzi, semmai, l’ennesima conferma che i militari statunitensi non metteranno piede in Ucraina. Ma di questi tempi, in cui gli europei (o meglio i vertici Ue, che Trump ritiene “progettata per ingannare gli Usa“) devono umiliarsi come a Canossa per incontrare qualcuno dell’amministrazione a stelle e strisce, già aver ottenuto udienza alla Casa Bianca è un risultato.