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    Anche Regno Unito e Malta verso il riconoscimento della Palestina. Dall’Onu la spinta per la soluzione a due Stati

    Bruxelles – Qualcosa, forse, si muove davvero sotto il cielo della diplomazia. Mentre volgeva al termine la conferenza Onu sulla Palestina, ieri sera anche il Regno Unito e Malta hanno annunciato che riconosceranno a breve lo Stato palestinese. La mossa del premier britannico sembra più una “minaccia” verso Israele che non una solida convinzione politica, ma potrebbe comunque produrre dei risultati.Erano in pochi ad aspettarsi l’annuncio fatto ieri sera (29 luglio) dal primo ministro di Sua Maestà, sir Keir Starmer, al termine di una riunione straordinaria del suo gabinetto sulla catastrofe umanitaria in corso nella Striscia di Gaza. L’inquilino di Downing Street ha dichiarato che “l’unico modo per porre fine a questa crisi umanitaria è attraverso un accordo a lungo termine“, sostenendo che “il nostro obiettivo rimane un Israele sicuro e protetto accanto a uno Stato palestinese sovrano e vitale, ma in questo momento tale obiettivo è sotto pressione come mai prima d’ora”.“Ora è il momento di agire“, ragiona Starmer, sulla scia della crescente pressione internazionale sullo Stato ebraico affinché fermi la strage di palestinesi che porta avanti da oltre 21 mesi (definita come genocidio dalle stesse ong israeliane) e faccia entrare nell’enclave costiera gli aiuti umanitari. “Vediamo bambini affamati, bambini troppo deboli per stare in piedi, immagini che rimarranno con noi per tutta la vita”, ha aggiunto.My statement on the humanitarian crisis in Gaza and our plan for peace including the recognition of a Palestinian State. pic.twitter.com/aMUCNwJb9z— Keir Starmer (@Keir_Starmer) July 29, 2025In realtà, il premier britannico ha posto la questione come una sorta di ultimatum al governo israeliano: Londra riconoscerà formalmente lo Stato palestinese “a meno che” Tel Aviv non adotti “misure concrete” per cessare immediatamente le ostilità a Gaza. L’autodeterminazione di un popolo e la sovranità di una nazione usati come minacce, insomma, anziché venire trattati con la dignità che, almeno teoricamente, prescrive il costume diplomatico.Sia come sia, la mossa di Starmer – che ha ceduto al fuoco di fila del suo esecutivo e di centinaia di deputati perché seguisse l’esempio di Emmanuel Macron – segnala comunque un importante cambio di passo del Regno Unito, che potrebbe diventare il secondo Paese G7 a muoversi in questa direzione.Dopo Parigi e Londra, anche La Valletta è salita sul carro. Intervenendo sui social, il primo ministro Robert Abela ha anticipato che anche Malta riconoscerà lo Stato palestinese alla prossima Assemblea generale delle Nazioni Unite, in calendario dal 9 al 23 settembre.Immediata risposta del governo israeliano, col primo ministro Benjamin Netanyahu che grida all’appeasement e parla dell’ennesima “ricompensa per Hamas“. Un disco rotto che gracchia ogni qualvolta qualcuno prenda posizione a favore della causa palestinese, dei diritti umani e del diritto internazionale e contro i crimini ingiustificabili perpetrati da Israele (valsi al premier un mandato di cattura della Corte penale internazionale).Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Menahem Kahana/Afp)Ma nelle ultime settimane lo Stato ebraico sembra sempre più isolato, criticato aspramente anche dai suoi storici alleati. Mentre in Ue le cancellerie dei Ventisette discutono sulla sospensione parziale dei fondi Horizon+ proposta dalla Commissione, i Paesi Bassi hanno bandito dal loro territorio Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, due ministri estremisti del sesto gabinetto Netanyahu.Giusto ieri, Smotrich ha ventilato la possibilità di costruire nuovi insediamenti a Gaza a guerra terminata, dando per scontato che Tel Aviv riprenderà il controllo della Striscia abbandonata nel 2005. La Knesset (il Parlamento monocamerale israeliano) ha recentemente approvato una mozione non vincolante sull’annessione della Cisgiordania. Su entrambi questi territori dovrebbe sorgere il futuro Stato palestinese, attualmente riconosciuto da 147 Paesi sui 193 membri dell’Onu (inclusi 11 Paesi dell’Ue) ma nessun membro del G7.E proprio al Palazzo di vetro dell’Onu si conclude oggi la conferenza internazionale sulla Palestina, sponsorizzata da Francia e Arabia Saudita. Nella “dichiarazione di New York” sottoposta alle delegazioni dei governi mondiali si propongono “misure concrete, vincolate da scadenze temporali e irreversibili” per l’attuazione della soluzione a due Stati, a partire dal cessate il fuoco. L’Autorità nazionale palestinese (Anp) dovrà poi gestire la transizione verso uno Stato di Palestina sovrano e indipendente, che viva in pace affianco a Israele, anche grazie ad una missione internazionale di peacekeeping.

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    Trump promette nuovi aiuti umanitari per Gaza. E torna a minacciare Putin con un nuovo ultimatum

    Bruxelles – Dopo Ursula von der Leyen, è stato il turno del premier britannico Keir Starmer di incontrare Donald Trump durante la visita di quest’ultimo in Scozia. Una conversazione a tutto campo, dall’accordo sui dazi doganali appena stretto con l’Ue alla carneficina che Israele sta compiendo a Gaza, passando per un nuovo ultimatum a Vladimir Putin.Non ha certo lasciato a bocca asciutta i giornalisti accalcati al golf club di Turnberry, in Scozia, Donald Trump, neanche per il secondo giorno di fila. Dopo aver annunciato ieri (27 luglio) insieme a Ursula von der Leyen l’avvenuto accordo commerciale con l’Unione europea (lui l’ha definito “il più grande accordo mai fatto”, al netto dei dubbi di diverse cancellerie tra i Ventisette), oggi il presidente statunitense ha avuto un faccia a faccia col primo ministro di Sua Maestà, sir Keir Starmer.Trump ha riservato alcune lusinghe anche per l’inquilino di Downing Street, complimentandosi per il “fantastico lavoro” compiuto da quest’ultimo nell’ottenere una tariffa base ancora più bassa di quella offerta a Bruxelles (il 10 contro il 15 per cento). “Hanno voluto un accordo commerciale per anni, molti anni”, ha ricordato il tycoon riferendosi alle difficoltà dei vari gabinetti succedutisi a Londra dal 2016 nel trovare una quadra con Washington nell’era post-Brexit, nonostante la special relationship tra i due Paesi.Il primo ministro britannico Keir Starmer (foto: Lauren Hurley via Imagoeconomica)Ma soprattutto, l’inquilino della Casa Bianca ha usato parole piuttosto nette in merito a due delle questioni internazionali che più preoccupano il Regno Unito e l’Europa tutta. Anzitutto, sull’immane massacro perpetrato da Israele nella Striscia di Gaza negli ultimi 21 mesi, giustificato da Benjamin Netanyahu come una necessaria risposta agli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023 ma ingiustificabile sotto il profilo del diritto internazionale (al punto da essere valso al leader dello Stato ebraico un mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale).Proprio mentre prendeva il via alla sede dell’Onu di New York la conferenza internazionale sulla Palestina co-presieduta da Francia e Arabia Saudita, tra i colli scozzesi Trump e Starmer sembravano concordare sulla necessità di fare immediatamente rispettare un cessate il fuoco e di far entrare con urgenza gli aiuti umanitari nella martoriata enclave costiera. “Dobbiamo aumentare gli aiuti umanitari“, ha notato il padrone di casa, per farsi rispondere dal suo ospite che Washington è “pronta ad aiutare” per risolvere la “terribile situazione” in cui versa Gaza, collaborando col Regno Unito (che sta già effettuando lanci aerei di generi alimentari sulla Striscia).Bambini palestinesi aspettano la distribuzione degli aiuti umanitari (foto: Bashar Taleb/Afp)“Dobbiamo nutrire i bambini“, ha continuato il tycoon, promettendo che gli Usa si impegneranno “ancora di più” e forniranno “cibo buono e sostanzioso” alla popolazione civile, deliberatamente affamata dal governo israeliano, garantendo l’istituzione di “centri di distribuzione di cibo“. La speranza è che tali operazioni non si risolvano in decine di palestinesi assassinati quotidianamente come avviene ora con la Gaza humanitarian foundation, l’ente israelo-statunitense che gestisce gli aiuti umanitari (quelli che Tel Aviv fa entrare col contagocce, scaricando sull’Onu la colpa per la loro penuria).Le immagini circolate negli scorsi giorni mostrano “gente che muore davvero di fame, non si può fingere una cosa del genere“, ammette Trump, apparentemente contraddicendo le bugie di Netanyahu per cui “non c’è fame a Gaza“. Ma senza mai riconoscere le responsabilità genocidiarie dello Stato ebraico, che rimane pur sempre l’alleato di ferro dello zio Sam nel cruciale scacchiere mediorientale. “Israele può fare molto” per far arrivare ai gazawi il cibo di cui hanno bisogno, dice il presidente, ma bisogna fare in modo “che le persone possano entrare” nella Striscia.Trump è parso insofferente anche sul tema del cessate il fuoco, sostenendo di aver fatto notare al premier israeliano che “ora forse dovrai agire in modo diverso” per “porre fine a tutto questo” e osservando che una tregua “è possibile”, se non altro per far tornare a casa la ventina di ostaggi ancora nelle mani di Hamas (detenzione bollata come “molto ingiusta” dal miliardario repubblicano).Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Quanto alla guerra d’Ucraina, il presidente statunitense si è mostrato ancora più rigido nei confronti dell’omologo russo Vladimir Putin, nei confronti del quale si è detto “molto deluso“. Tanto da ritrattare il precedente ultimatum di 50 giorni, rivolto un paio di settimane fa all’inquilino del Cremlino affinché accetti di sedersi al tavolo delle trattative: “Fisserò un nuovo termine di circa 10 o 12 giorni a partire da oggi“, ha ammonito, riservandosi di annunciarlo pubblicamente nelle prossime ore.“Non c’è motivo di aspettare“, spiega il tycoon, dal momento che “non vediamo alcun progresso” nei negoziati per porre fine alle ostilità che durano ormai da quasi tre anni e mezzo, come certificato dall’ennesimo buco nell’acqua dei colloqui di Istanbul tra le delegazioni di Kiev e Mosca. Se le armi non tacciono e non si raggiunge un accordo, minaccia, Washington comminerà “sanzioni e forse dazi secondari” contro la Federazione.

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    Germania e Regno Unito siglano un accordo di amicizia che le impegna a difendersi a vicenda

    Bruxelles – Ottant’anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, Germania e Regno Unito hanno siglato oggi (17 luglio) il primo accordo bilaterale della loro storia. Un trattato di amicizia, che impegna le due potenze del continente alla difesa reciproca in caso di crisi e individua diverse aree dove intensificare la cooperazione, in primis l’industria della difesa.Il Kensington Treaty è stato firmato e presentato al pubblico dal premier britannico Keir Starmer e dal cancelliere tedesco Friedrich Merz, in visita a Londra. Dopo la Brexit, Londra ha siglato dichiarazioni d’intenti a livello bilaterale con una sere di Paesi dell’Ue, Italia compresa. Ma una settimana dopo il patto tra Starmer e il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, sulla deterrenza nucleare, l’intesa con focus sulla difesa tra Londra e Berlino completa in qualche modo il triangolo dei trattati tra gli E3, il formato che riunisce Francia, Germania e Regno Unito.Prevede una stretta cooperazione in materia di sicurezza e difesa, compresa la deterrenza nucleare. E un impegno esplicito da parte di Regno Unito e Germania a considerare una minaccia contro uno come una minaccia contro l’altro, dichiarando che i due Paesi “si assisteranno reciprocamente, anche con mezzi militari, in caso di attacco armato“.Keir Starmer e Emmanuel Macron a Londra, il 10 luglio 2025. (Photo by Ludovic MARIN / POOL / AFP)Inoltre, “velocizzeremo la cooperazione sulle armi e l’equipaggiamento militare ad alta tecnologia“, ha dichiarato Starmer in conferenza stampa. Le due parti si sono impegnate a “promuovere campagne di esportazione” per garantire ordini internazionali per le attrezzature che producono congiuntamente, tra cui il jet Eurofighter Typhoon e il veicolo blindato Boxer.L’accordo – anche se in larga parte negoziato dal predecessore di Merz, Olaf Scholz – è in linea con la spinta del neo-cancelliere a discutere l’estensione della deterrenza nucleare franco-britannica al resto dell’Europa. A maggio, Merz e Macron avevano annunciato di voler creare un consiglio di sicurezza franco-tedesco di alto livello. Oggi, l’accordo con Starmer istituisce analoghi dialoghi strategici annuali tra i ministri degli Esteri dei due Paesi.“Non è un caso che io mi trovi qui una settimana dopo la visita di Stato del presidente francese a Londra”, ha dichiarato Merz, sottolineando che “Gran Bretagna, Francia e Germania stanno convergendo nelle loro posizioni sulla politica estera, sulla politica di sicurezza, sulla politica migratoria, ma anche sulle questioni di politica economica”.Starmer ha spiegato che l’accordo definisce “un piano di lavoro pratico” e “17 progetti principali”. Oltre a difesa e sicurezza, Londra e Berlino si impegnano a cooperare nella lotta al traffico di persone migranti, chiodo fisso della nuova amministrazione laburista britannica. Merz avrebbe promesso a Starmer una stretta legislativa in Germania contro le imbarcazioni degli scafisti che alimentano la migrazione irregolare attraverso la Manica, così come Macron ha acconsentito a riaccogliere sul suolo francese persone migranti espulse da Londra. Infine, il trattato di amicizia bilaterale copre prevede un nuovo collegamento ferroviario diretto tra i due Paesi e una maggiore cooperazione negli scambi giovanili.

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    Ue-Uk, il riavvicinamento dopo la Brexit. Dalla difesa agli Erasmus, si apre un “nuovo capitolo”

    Bruxelles – Difesa, energia, commercio, pesca, migrazioni, giovani. Al primo summit tra la “Gran Bretagna indipendente e gli alleati in Europa” – come l’ha definito il primo ministro laburista Keir Starmer -, celebrato oggi (19 maggio) nella City, Bruxelles e Londra riprendono in mano l’intricato tessuto dei rapporti Ue-Regno Unito e rammendano alcuni degli strappi traumatici inflitti dalla Brexit.Il riavvicinamento non può che essere figlio delle maggiori crisi di questi tempi. E parte dunque dalla partecipazione di Londra a Safe, il nuovo strumento Ue per finanziare l’industria della difesa degli Stati membri, e passa per una maggiore integrazione del Regno Unito nel mercato unico, in risposta alle minacce commerciali che arrivano da oltreoceano. Ursula von der Leyen, Antonio Costa e Kaja Kallas, tutti e tre presenti al summit – accompagnati dal commissario europeo per il Commercio, Maroš Šefčovič – tornano a casa con “tre risultati concreti”: una dichiarazione congiunta, un partenariato per la sicurezza e la difesa e un documento di intesa comune tra la Commissione europea e il Regno Unito.“Questi accordi riflettono i nostri impegni comuni”, ha affermato il presidente del Consiglio europeo Costa durante la conferenza stampa congiunta con von der Leyen e Starmer. Rivolgendosi al primo ministro britannico, ha aggiunto: “Siamo vicini, alleati, partner, e siamo amici”. Sulla stessa linea la presidente della Commissione europea, per cui le due sponde della Manica sono “partner storici e naturali”. Più cauto Starmer – che deve rendere conto a chi nove anni fa scelse di tagliare il cordone ombelicale con le imposizioni di Bruxelles -, per cui l’accordo di oggi è stato raggiunto “nell’interesse nazionale” e “nello stesso spirito con cui abbiamo raggiunto accordi con gli Stati Uniti e l’India”.Sulla destra: la delegazione Ue a Londra, con Maros Sefcovic, Antonio Costa, Ursula von der Leyen e Kaja Kallas al Eu-Uk Summit a LondraAccordi, quelli di libero scambio con Nuova Delhi e sui dazi con Washington, che secondo Starmer hanno permesso a Londra di presentarsi al vertice con l’Ue “da una posizione di forza“. E così, a  meno di un decennio dalla Brexit, Londra si garantisce “un accesso senza precedenti” al mercato unico, “il migliore di qualsiasi Paese al di fuori dell’Ue”. Nel tentativo di convincere i più scettici, Starmer ha snocciolato l’elenco dei vantaggi del riavvicinamento: la riapertura del mercato unico verso la Manica “darà impulso alle esportazioni britanniche“, la partnership sulla difesa “offrirà nuove opportunità alle industrie”, mentre la cooperazione in materia di scambio di quote di emissioni “eviterà alle imprese britanniche di dover pagare 800 milioni di sterline in tasse europee sul carbonio“.Il tutto – ha garantito il primo ministro – senza oltrepassare la linea rossa del manifesto con cui ha varcato la soglia di Downing Street: “Non rientrare né nel mercato unico né nell’Unione doganale, non tornare alla libertà di circolazione“. Bruxelles, viceversa, ha sottolineato l’importanza del prolungamento per dodici anni, fino al 30 giugno 2038, del pieno accesso reciproco delle acque per la pesca. E del capitolo sull’energia, che apre la strada alla partecipazione del Regno Unito al mercato elettrico Ue: “Positivo per la stabilità dei flussi energetici, per la nostra sicurezza energetica comune, per abbassare i prezzi”, ha spiegato von der Leyen.Ursula von der Leyen, Keir Starmer and Antonio Costa al Eu-Uk Summit a LondraPer quanto riguarda l’accesso a Safe, il fondo comune da 150 miliardi per la difesa, in un primo momento Londra avrà la possibilità di aderire agli appalti congiunti, ma poi – attraverso “ulteriori accordi bilaterali” – l’idea è che anche le imprese britanniche possano essere ammissibili al programma. Sempre che tale strumento venga approvato così com’è dal Consiglio dell’Ue, dove è ancora in discussione.C’è poi il nodo mobilità, giovani, Erasmus: tra le ‘vittime’ innocenti e indiscriminate della Brexit, da entrambe le sponde della Manica, ci sono senz’altro loro, le centinaia di migliaia di studenti e giovani lavoratori britannici ed europei a cui la fuoriuscita del Regno Unito dai 27 ha tolto opportunità di formazione e di crescita. “Ricordo il periodo in cui ero studente qui a Londra”, ha enfatizzato von der Leyen, che si è detta “molto lieta” dell’accordo – ancora da definire – per l’associazione del Regno Unito al programma Erasmus+ dell’Unione europea. Le cui “condizioni specifiche, comprese le condizioni finanziarie”, dovrebbero “garantire un giusto equilibrio per quanto riguarda i contributi e i benefici per il Regno Unito”. Sul tavolo c’è anche un programma di esperienze per i giovani, da istituire con un regime di visti a tempo determinato, per facilitare la partecipazione a “varie attività, quali il lavoro, gli studi, il soggiorno alla pari, il volontariato o semplicemente i viaggi”.L’accelerata impressa oggi al riavvicinamento tra Regno Unito e Unione europea è notevole. Come dichiarato dal direttore generale di BusinessEurope Markus J. Beyrer, “ha dato slancio al nostro fondamentale partenariato economico, ma ora occorre compiere progressi concreti per facilitare gli scambi di beni e servizi“. Secondo Sandro Gozi, eurodeputato liberale e presidente della delegazione all’Assemblea parlamentare di partenariato Ue-Regno Unito, “perché questa svolta sia credibile dobbiamo ricostruire una fiducia reale, che si traduca in accordi solidi su difesa, sicurezza, energia e pesca” e ancor più “su mobilità giovanile, cooperazione digitale, intelligenza artificiale e ricerca”.

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    Ucraina, Macron annuncia una “forza di rassicurazione” europea

    Bruxelles – Dopo settimane di incontri frenetici tra Londra e Parigi (e online), sembra che la coalizione dei volenterosi sia finalmente riuscita ad elaborare un piano concreto su come intende garantire il rispetto di un eventuale cessate il fuoco e, in prospettiva, il mantenimento della sicurezza nel dopoguerra in Ucraina. Per ora non sono disponibili troppi dettagli, ma al cuore delle discussioni c’è stato il dispiegamento di una “forza di rassicurazione“, aperta alla partecipazione volontaria dei Paesi europei.La riunione di alto livello convocata oggi (27 marzo) a Parigi da Emmanuel Macron e co-presieduta dal primo ministro britannico Keir Starmer si è conclusa nel primo pomeriggio con un’idea più chiara di quello che l’ex repubblica sovietica potrà aspettarsi – e cosa no – dai suoi alleati occidentali una volta terminata la guerra che sta combattendo contro l’aggressione russa.Attorno al tavolo c’erano i leader di 29 Paesi (esclusi gli Stati Uniti ma inclusa la Turchia) più i vertici delle istituzioni Ue e il Segretario generale della Nato, Mark Rutte. Fonti comunitarie riferiscono che i partecipanti rimangono “scettici” riguardo all’effettiva disponibilità della Russia di mettere in pratica il cessate il fuoco parziale che, almeno teoricamente, ha concordato in Arabia Saudita con gli emissari statunitensi.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (foto via Imagoeconomica)Nella capitale transalpina, i “volenterosi” hanno discusso di come rendere “operativa e concreta” la proposta franco-britannica di dispiegare in Ucraina una “forza di rassicurazione“, fermo restando che la priorità dev’essere il rafforzamento dell’esercito di Kiev, il quale rimarrà con ogni evidenza il primo e più importante elemento che garantirà la sicurezza dell’ex repubblica sovietica nel lungo termine.Il padrone di casa ha annunciato un piano per schierare le truppe – fornite su base volontaria da “diversi Paesi europei” – in non meglio precisate “località strategiche” quando (e se) verrà stipulato un trattato di pace. Tali truppe dovrebbero fungere da deterrente contro eventuali aggressioni russe, ha spiegato monsieur le Président al termine del vertice. Non si tratterà di peacekeepers, ha precisato l’inquilino dell’Eliseo, in quanto non sostituiranno le forze armate ucraine e, soprattutto, non si posizioneranno in prima linea bensì nelle retrovie, tenendosi pronte a intervenire nel caso di una rottura della tregua.Del resto, era chiaro fin dalla vigilia del summit, durato circa tre ore, che non si sarebbe mai raggiunto un accordo unanime sull’invio di truppe, che rimane un tema particolarmente controverso per molti governi. Ma “non abbiamo bisogno dell’unanimità”, ha sottolineato Macron, riconoscendo i gradi diversi di volontà all’interno della coalizione.Ad esempio, come ampiamente anticipato, la premier italiana Giorgia Meloni non ci sta a mandare soldati in Ucraina a meno che non venga coordinata sotto un più ampio mandato delle Nazioni Unite. Un’idea, quella di Roma, che secondo fonti di palazzo Chigi “si sta facendo spazio” anche tra le altre cancellerie europee. Meloni ha anche ribadito l’importanza di lavorare al fianco della Casa Bianca, auspicando la partecipazione di Washington al prossimo incontro dei volenterosi.La premier italiana Giorgia Meloni (foto: European Council)Si vedrà. Come al solito, intanto, gli Stati Ue si muovono in ordine sparso. Il premier spagnolo Pedro Sánchez caldeggia la creazione di un esercito europeo con truppe provenienti dai Ventisette, mentre la Polonia continua ad aumentare le spese per la difesa e punta ad addestrare l’intera popolazione maschile adulta. Germania ed Estonia starebbero aprendo all’invio di soldati in Ucraina, pur sottolineando che vanno ancora discusse molte questioni. Per quel che riguarda Parigi, Macron ha annunciato ieri sera un nuovo pacchetto di aiuti per Kiev da 2 miliardi di euro.Gli impegni presi dall’Ue riguardano invece le forniture militari e gli aiuti finanziari. Si è parlato dell’invio di 2 milioni di proiettili d’artiglieria di grosso calibro per un valore di 5 miliardi di euro, cioè quello che resta del cosiddetto “piano Kallas” (anche se il nodo dei finanziamenti non è ancora stato sciolto), della partecipazione dell’Ucraina agli appalti congiunti europei promossi dallo strumento Safe – i 150 miliardi messi sul tavolo dalla Commissione nell’ambito del ReArm Europe – e del rafforzamento della missione militare di addestramento Eumam. Nelle casse di Kiev dovrebbero poi arrivare 18 miliardi da Bruxelles, come quota Ue del maxi-prestito G7 da 50 miliardi, nonché altri 17 miliardi da parte dei singoli Paesi membri.The best way to support Ukraine is to stay consistent in our objective to reach a just and lasting peace. This means keeping up the pressure on Russia through sanctions.I will convey this message at today’s Leaders’ meeting on peace and security for #Ukraine organised by… pic.twitter.com/csBYcIbkr1— António Costa (@eucopresident) March 27, 2025Un ulteriore tema che ha tenuto banco nell’incontro odierno è infine quello delle sanzioni contro la Federazione. Parlando accanto all’omologo ucraino durante una conferenza stampa congiunta, il presidente francese aveva sottolineato la necessità di non allentare la pressione su Mosca, come sembra invece intenzionata a fare la Casa Bianca.“La pace attraverso la forza non significa rimuovere le sanzioni“, ha ammonito, osservando che “la loro abolizione dipende unicamente dalla scelta della Russia di rispettare il diritto internazionale”. Semmai, ha aggiunto, quelle in vigore vanno rafforzate. Sulla stessa linea anche il presidente del Consiglio europeo, António Costa, e il cancelliere tedesco Olaf Scholz, secondo i quali sarebbe un errore cedere alla tentazione di ammorbidire le misure restrittive in questa fase.

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    Macron accelera i colloqui della ‘coalizione dei volenterosi’

    Bruxelles – La coalizione dei volenterosi sembra muoversi spedita, anche se per ora si tratta solo di impegni sulla carta. Emmanuel Macron ha convocato a Parigi una riunione a livello dei leader per giovedì, dopo che i responsabili militari si sono incontrati a Londra la scorsa settimana per definire in maggior dettaglio i piani operativi su come monitorare un potenziale cessate il fuoco in Ucraina.“L’intero processo verrà finalizzato nei prossimi giorni“: sta tutta in queste parole, pronunciate dal presidente francese a margine del vertice Ue di giovedì scorso (20 marzo), la dimensione dell’urgenza avvertita tra le cancellerie del Vecchio continente. “Concluderemo il nostro lavoro sul sostegno a breve termine all’esercito ucraino, sulla difesa di un modello di esercito ucraino sostenibile e duraturo per prevenire le invasioni russe, e poi sulle garanzie di sicurezza che gli eserciti europei possono fornire”, ha aggiunto Macron, annunciando la convocazione di una riunione a Parigi per il prossimo giovedì (27 marzo) alla presenza, tra gli altri, anche di Volodymyr Zelensky.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky al Consiglio europeo di Bruxelles, il 19 dicembre 2024 (foto: European Union)Si tratta dell’ennesimo incontro tra i leader dei partecipanti alla cosiddetta coalizione dei volenterosi – una trentina di Paesi che seguono l’iniziativa franco-britannica per mandare in Ucraina dei peacekeepers a monitorare il rispetto di un’eventuale tregua – e avrà luogo una settimana esatta dopo l’ultimo meeting tenutosi a Londra a livello dei capi di Stato maggiore, in parallelo al summit Ue in corso a Bruxelles in cui gli Stati membri (con l’eccezione dell’Ungheria) hanno rinnovato il loro sostegno a Kiev.Dalla sessione londinese sono emerse alcune idee operative per tradurre in pratica l’impegno a “proteggere la pace”, tra cui soprattutto la formula di una forza militare su quattro “livelli”. Il primo, lungo la linea del cessate il fuoco (che andrebbe demilitarizzata), sarebbe costituito dai caschi bianchi delle Nazioni unite, provenienti da Paesi non europei. Il livello successivo sarebbe quello dell’esercito ucraino, il terzo quello dei “volenterosi” mentre la garanzia ultima sarebbe fornita dall’aviazione statunitense (anche se, finora, Washington non ha mai dato il suo assenso a partecipare).Mentre l’aeronautica di Sua Maestà (Raf) starebbe considerando l’invio al Paese aggredito di alcuni caccia da combattimento, il primo ministro britannico Keir Starmer ha aperto la porta anche alle contribuzioni di natura non militare, ad esempio tramite supporto logistico. Un modo per trarre d’impiccio i leader che, pur professando la propria vicinanza all’ex repubblica sovietica, non sono intenzionati a mandare nell’ex repubblica sovietica dei contingenti di soldati. Come Giorgia Meloni, il cui governo ha rifiutato categoricamente l’invio di truppe, se non nel contesto di un’operazione sotto bandiera Onu.La premier italiana Giorgia Meloni (foto: Nicolas Tuscat/Afp)Per inciso, una forza multinazionale è anche l’opzione preferita dalla Russia, che si oppone fermamente alla presenza in Ucraina di truppe Nato. Come condizione “fondamentale” per accettare un accordo di tregua, il Cremlino ha addirittura chiesto l’interruzione immediata della fornitura di aiuti militari (inclusa la condivisione dell’intelligence) con Kiev da parte dei suoi alleati occidentali, nonché lo stop alla mobilitazione nel Paese aggredito.Proprio in queste ore sono in corso i negoziati tra Stati Uniti e Russia a Riad, in Arabia Saudita, dopo che ieri la delegazione a stelle e strisce ha incontrato quella ucraina.

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    Ucraina, i pontieri europei all’opera per tenere Washington dalla parte di Kiev

    Bruxelles – Mettere insieme i cocci. Dopo il terremoto (l’ennesimo) sprigionatosi venerdì con epicentro alla Casa Bianca, l’Europa fa quadrato attorno al presidente ucraino umiliato dagli alti papaveri dell’amministrazione Trump. Ma prova anche a guardare avanti.Mentre tra le cancellerie dei Ventisette e a Bruxelles si inizia a parlare con insistenza di riarmo, c’è contemporaneamente chi si muove per tentare di ricucire lo strappo, spegnere le fiamme divampate tra Kiev e Washington e riavvicinare le due sponde dell’Atlantico che sembrano allontanarsi sempre più. La premier italiana lavora con l’omologo britannico ad un summit Ue-Usa, mentre il capo della Nato esorta Zelensky a fare un passo indietro e riallacciare i rapporti con Trump.Rutte striglia ZelenskyDopo l’incendio, i pompieri. Che per l’occasione indossano anche i panni dei pontieri. L’incendio da spegnere è quello appiccato dal presidente statunitense Donald Trump e dal suo vice JD Vance quando, lo scorso venerdì (28 febbraio), hanno teso un agguato al leader ucraino Volodymyr Zelensky mettendolo al muro per poi cacciarlo malamente dallo Studio ovale, rendendo esplicite in diretta mondiale le fratture nella coalizione occidentale che dovrebbe supportare l’ex repubblica sovietica nella resistenza all’invasione russa.E ci sono ponti che sembrano essere stati tagliati e vanno ora ricostruiti. Quello tra Washington e Kiev, e quello tra Washington e Bruxelles. Del primo si occupa il Segretario generale della Nato, Mark Rutte. “Penso che tu debba trovare un modo, caro Volodymyr, per ripristinare le tue relazioni con Donald Trump e l’amministrazione americana. Questo è importante per il futuro“, ha detto l’ex premier olandese al presidente ucraino, esortandolo a mettere urgentemente una pezza per rimediare al disastro diplomatico appena consumatosi alla Casa Bianca. Come dire alla vittima di un bullo che deve chiedergli scusa se non ha voluto cedergli la merenda.Il Segretario generale della Nato, Mark Rutte (destra), accoglie il segretario della Difesa statunitense Pete Hegseth al quartier generale dell’Alleanza a Bruxelles, il 13 febbraio 2025 (foto: Nato via Imagoeconomica)“Dobbiamo davvero rispettare ciò che il presidente Trump ha fatto finora per l’Ucraina“, ha osservato Rutte, riferendosi ad esempio alla fornitura (risalente al 2019) dei razzi anticarro Javelin, con cui l’esercito di Kiev ha potuto fermare l’avanzata delle colonne corazzate di Mosca a inizio 2022. “Dobbiamo dare credito a Trump per quello che lui ha fatto allora, per quello che l’America ha fatto da allora e anche per quello che l’America sta ancora facendo” per sostenere il Paese aggredito, ha aggiunto il capo dell’Alleanza.L’iniziativa di Meloni e StarmerSul ponte transoceanico stanno invece lavorando Giorgia Meloni e Keir Starmer. Quest’ultimo ha organizzato ieri un summit tra leader europei, vertici comunitari e membri Nato, per coordinare gli sforzi del Vecchio continente nel difendere l’Ucraina aggredita e garantire la tenuta di un eventuale cessate il fuoco, qualora dovesse venir stipulato.La sera prima dell’incontro a Lancaster House, la premier italiana ha sentito al telefono il presidente statunitense: “Penso che sia molto, molto importante evitare il rischio che l’Occidente si divida“, ha ragionato ieri dalla capitale britannica, evitando di schierarsi tra quelle che ha chiamato “tifoserie” pro-Trump o pro-Zelensky. Meloni è stata l’unica tra i principali leader europei a non esprimere pubblicamente solidarietà al presidente ucraino dopo l’imboscata di venerdì.La premier italiana Giorgia Meloni e il primo ministro britannico Keir Starmer (foto via Imagoeconomica)Poi la carta diplomatica: “Ho proposto una riunione tra gli Stati Uniti e i leader europei perché se ci dividiamo saremo tutti più deboli”. Un vertice inter-alleato sotto l’egida di Roma e Londra, che sembrano aver trovato un’inedita sinergia e puntano ora a giocare “un ruolo importante nella costruzione di ponti” (Meloni dixit). In materia di difesa, i due governi collaborano già allo sviluppo di un caccia di sesta generazione insieme a Tokyo. Basterà un summit per convincere l’inquilino della Casa Bianca a non abbandonare l’Alleanza nordatlantica? Giusto in queste ore, il suo braccio destro (oramai di fatto una sorta di vicepresidente ombra) Elon Musk ha caldeggiato l’uscita di Washington da Nato e Onu.La sponda di VarsaviaItalia e Regno Unito hanno trovato la sponda importante della Polonia. Varsavia è tra le più ferventi sostenitrici della resistenza ucraina (come Londra ma non come Roma, almeno in termini di risorse finanziarie e asset militari mobilitati), ma insiste sulla necessità di una partnership transatlantica forte. “Noi polacchi siamo sostenitori dell’alleanza più stretta possibile tra la Polonia, l’Europa e l’intero Occidente con gli Stati Uniti“, ha ribadito il primo ministro Donald Tusk ieri, ostentando soddisfazione per l’iniziativa proposta da Meloni a Trump, “visti i loro ottimi rapporti”.Il primo ministro polacco Donald Tusk (foto: European Council)Sulla questione cruciale della sicurezza continentale, la via indicata dal leader polacco è quella della “indipendenza militare e di difesa dell’Europa” rispetto a Washington, purché si tratti di “indipendenza, non isolamento“. Il fantomatico pilastro europeo della Nato, insomma, tanto dibattuto e mai realizzato. Il suo Paese è quello col bilancio per la difesa più ampio tra i 32 membri dell’Alleanza, in termini relativi: le previsioni per il 2025 parlano del 4,7 per cento del Pil.“L’Europa è una potenza“, dice, e “non sarà un’alternativa all’America, ma il suo alleato più desiderabile“. Come chiesto da Trump, “dobbiamo contare su noi stessi”: per farlo, occorre colmare il “deficit di immaginazione e di coraggio” che affligge il Vecchio continente, e attrezzarlo per metterlo nelle condizioni di “difendere i suoi confini” anche autonomamente, senza dover sempre aspettare che lo zio Sam apra l’ombrello. Del resto, è lo Zeitgeist: da Parigi a Berlino, passando per Bruxelles, la parola d’ordine in Europa è “riarmo”. Ma quando persino a Varsavia si parla così, non ci si può più illudere: il mondo che conoscevamo è finito.

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    Pace e sostegno a Zelensky, a Londra la svolta europea per l’Ucraina. Von der Leyen: “Riarmare l’Ue”

    Bruxelles – Una pace con garanzie solide per il futuro, un sostegno nuovo e ancor più incondizionato l’Ucraina e il suo presidente, Volodymyr Zelensky, un riarmo in grande stile del vecchio continente. L’Europa chiamata a dare una risposta agli Stati Uniti di Donald Trump e il modo tutto nuovo di gestire gli affari di politica estera a Washington produce una scossa. I leader riuniti a Londra dal premier britannico Keir Starmer fanno quadrato attorno a Zelensky dopo l’umiliazione patita oltre oceano, e già questo è un dato politico di non poco conto. Ma c’è soprattutto l’impegno per una fine delle ostilità per rimettere in gioco gli Stati Uniti.Del resto, riconosce il premier britannico nella conferenza stampa di fine vertice, gli Stati Uniti restano “un partner indispensabile per la sicurezza” globale e regionale, e non si può immaginare di poter fare tutto senza il contributo americano. Il summit di Londra è servito a prendere coscienza del fatto che e“l‘Europa deve farsi carico del grosso del lavoro” per continuare a sostenere Kiev militarmente sia adesso sia ancor più dopo, in caso un futuro accordo di pace, continua Starmer. Da questo punto di vista l’impegno c’è.La foto di famiglia del summit di Londra [foto: Antonio Costa, account X]Gli impegni finanziariSul piano finanziario, il Regno Unito contribuisce con due pacchetti diversi. Il primo, da 2,26 miliardi di sterline (circa 2,7 miliardi di euro), attraverso i proventi dei fondi russi congelati. Obiettivo: aiutare Kiev con soldi utili alla risposta bellica e al funzionamento dello Stato. Il secondo pacchetto di aiuti, da 1,6 miliardi di sterline (circa 1,9 miliardi di euro) per l’acquisto di 5mila missioni di difesa anti-aerea prodotti a Belfast. Si attende il contributo Ue, che i 27 intendono annunciare in occasione del vertice straordinario di questo giovedi (6 marzo).Il percorso di pace e il nodo dell’invio di soldatiA Londra si inizia a discutere di pace. I dettagli non vengono svelati. L’iniziativa franco-britannica, con il coinvolgimento dell’Ucraina, si vuole sottoporre all’attenzione degli Stati Uniti. Washington comunque continuerà a giocare un ruolo nel negoziato che si vuole intavolare. Certo l’iniziativa aiuta anche l’Ue, dove Slovacchia e ancor più Ungheria minacciano veti ad ogni conclusione del vertice del Consiglio europeo senza un impegno chiaro di cessate il fuoco. “I leader forti fanno la pace, i leader deboli la guerra”, il messaggio del primo ministro ungherese alla vigilia del vertice di Londra che da questo punto di vista mette d’accordo tutti, o quasi.Il nodo vero sta nel post-conflitto. La colazione dei volenterosi allo stato attuale formata da Regno Unito e Francia vorebbe lo schieramento su suolo ucraino di soldati europei nella veste di peacekeepers. Un’ipotesi respinta dall’Italia e dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, al pari di altri leader attorno al tavolo. Starmer però insiste: “L’obiettivo è mantenere la pace, e se vogliamo mantenere la pace dobbiamo difenderla”. Senza entrare nel merito il presidente del Consiglio europeo, insiste sulla necessità di condizioni che impediscano nuove aggressioni future. “Non dobbiamo ripetere gli errori degli accordi di Minsk“, dice Antonio Costa riferendosi all’intesa concepita nel 2015 per porre fine agli scontri in Donbass, mai rispettati. Serviranno in sostanza delle garanzie solide, vere, e in tale ottica contingenti non ucraini in sostegno dell’Ucraina appare la soluzione, tutt’altro che gradita a Mosca però.L’Ue si riarmaIn una gestione del conflitto russo-ucraino che passa per un maggiore impegno dell’Ue in materia di difesa, si registra il cambio di passo a dodici stelle. “Dobbiamo riarmare l’Europa con urgenza“, scandisce la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, lasciando Lancaster House. Quindi annuncia: “Presenterò il piano il 6 marzo“, in occasione del vertice dei capi di Stato e di governo. Nessun indizio, ma due elementi se li lascia scappare. Il primo riguarda lo spazio di spesa pubblica, e quindi l’allentamento del patto di stabilità per la difesa. Il secondo riguarda “scudi aerei” europei.