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    L’Ue è ferma sulle sanzioni ai coloni israeliani estremisti perché serve l’unanimità. Ma dopo la Francia altri Paesi sono pronti

    Bruxelles – Del piano annunciato più di due mesi fa dall’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, di imporre un regime di sanzioni europee contro i coloni israeliani estremisti, non c’è ancora traccia. Ostaggio della regola dell’unanimità che vige tra i 27, l’Ue rimane ferma nella paradossale condizione di voler ridare vigore alla soluzione dei due Stati ma contemporaneamente non fare nulla contro chi ne mette a repentaglio le fondamenta.“Se vogliamo mantenere la nostra credibilità, dobbiamo denunciare ciò che sta accadendo in Cisgiordania”, ha avvertito ancora una volta Borrell al suo arrivo al Consiglio Ue Affari esteri a Bruxelles. Ma il consenso non c’è ancora. I due Paesi ancora restii sono Ungheria e Repubblica Ceca, ma tanto basta per lasciare l’Ue immobile davanti alla crisi israelo-palestinese. Al di là delle sanzioni ai coloni che si macchiano di violenze contro le comunità palestinesi: dal vertice dei ministri degli Esteri è uscito un comunicato in cui 26 Paesi membri “richiedono una pausa umanitaria immediata che porti a un cessate il fuoco sostenibile, alla liberazione degli ostaggi e alla fornitura continua di assistenza umanitaria”. Anche qui a 26, non a 27.Ma alcuni Paesi membri sono pronti a forzare la mano, per quanto una mossa individuale non possa avere lo stesso peso di una posizione presa dal blocco. A dare l’esempio la Francia, che già una settimana fa ha vietato l’ingresso sul suolo nazionale a 28 cittadini israeliani colpevoli di violenze nella West Bank. E oggi, anche i ministri di Spagna e Belgio hanno paventato lo strappo. José Manuel Albares, ministro degli Affari esteri spagnolo, ha dichiarato che “se non si arriverà a un accordo nell’Ue Madrid sarà pronta a procedere unilateralmente“, mentre  l’omologa belga, Hadja Lahbib, ha annunciato che il Belgio – che detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue – ha “deciso di adottare delle sanzioni contro i coloni estremisti e diversi Paesi europei sono pronti a seguirci. Vedremo se potremo andare avanti a Ventisette in merito”.Anche da Dublino sono pronti a proseguire da soli, ha dichiarato il ministro degli Esteri Micheál Martin, esprimendo “rammarico” per la mancanza di consenso unanime in seno all’Ue. L’Italia si è mostrata possibilista, ma solo a una decisione comune: il vicepremier Antonio Tajani ha spiegato che Roma “si riconosce nella posizione adottata dal G7 che condanna i coloni e le violenze perpetrate” e che “se ci saranno sanzioni europee non ci opporremo“. Dopo che una decisione in tal senso è già stata presa dai principali alleati occidentali, Stati Uniti e Regno Unito, l’Ue appare già in ritardo. Soprattutto alla luce dei dati dell’ufficio delle Nazioni Unite Ocha-Opta: dal 7 ottobre 2023 sono stati registrati 558 attacchi di coloni israeliani contro palestinesi che hanno causato vittime palestinesi (50 incidenti), danni a proprietà di proprietà palestinese (447 incidenti) o sia vittime che danni a proprietà (61 incidenti).Tajani ha anche sottolineato che contemporaneamente l’Ue sta lavorando a nuove sanzioni su Hamas, e qui l’unanimità ci sarebbe già. Il capo della diplomazia europea Borrell ha tagliato corto in conferenza stampa: “Abbiamo deciso di continuare a lavorare su come procedere contro gli estremisti violenti e contro le violazioni dei diritti e le violenze sessuali di Hamas”, ha concluso.

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    Borrell avverte Netanyahu: “No ad azioni militari a Rafah”

    Bruxelles – Nessun intervento militare a Rafah. L’Unione europea prova a mettere pressione sul primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, intimando a non eccedere oltre nella risposta agli attacchi di Hamas del 7 ottobre. E’ l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, Josep Borrell, a chiedere allo Stato ebraico di fermarsi. “ L’UE invita il governo israeliano a non intraprendere un’azione militare a Rafah che peggiorerebbe una situazione umanitaria già catastrofica“.La presa di posizione di Borrell non è incompatibile con le ragioni israeliane, tanto è vero che lo stesso Alto rappresentante dell’UE non nega “il diritto di Israele a difendersi”, che anzi l’Unione europea “riconosce”, ma deve essere “in linea con il diritto internazionale e il diritto internazionale umanitario”.La risposta militare di Israele a un’organizzazione che l’UE riconosce come terroristica non deve andare oltre Gaza, insiste Borrell. “L’Unione europea è molto preoccupata per i piani del governo israeliano per una possibile operazione di terra a Rafah, dove oltre un milione di palestinesi si stanno attualmente rifugiando dai combattimenti”. Proprio per questo si vedono rischi di ulteriori emergenze umanitarie, e vittime civili di cui l’Alto rappresentante dell’UE non fa esplicita menzione.Il tema sarà comunque oggetto della riunione dei ministri degli Esteri in programma il 19 febbraio, dove comunque la situazione in Medio Oriente era già stata inserita all’ordine del giorno della riunione dei Ventisette. Da programma, spiega una alto funzionario europeo, i ministri degli Esteri dovrebbero concentrarsi sulla questione umanitaria e “gli sforzi per evitare un’estensione del conflitto”. Le intenzioni del governo israeliane di intervenire a Rafah vanno nel senso opposto, rendendo la situazione sul terreno ancora più complicata e scombinando l’agenda a dodici stelle.Ne va anche dell’unità di un’Unione europea che di fronte al nuovo capitolo del conflitto arabo-israeliano sta iniziando a cambiare idea, e il sostegno allo Stato ebraico si sta sfilacciando. Irlanda e Spagna hanno chiesto una verifica urgente degli accordi di associazione UE-Israele proprio perché non convinti della condotta israeliana in linea con il diritto internazionale. In senso al Consiglio si è consapevoli che l’appoggio politico non è più lo stesso. “La domanda è se il comportamento di Israele significhi una violazione degli impegni sui diritti umani”, ammettono a Bruxelles..

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    La Commissione europea sta studiando la richiesta di Spagna e Irlanda di rivedere l’accordo di Associazione con Israele

    Bruxelles – Se sospendere effettivamente l’accordo di Associazione Ue-Israele è uno scenario ancora inverosimile, il fatto che la verifica del rispetto degli obblighi derivanti da tale accordo sia sul tavolo della Commissione Ue è un segnale politico non indifferente. Dopo la lettera inviata da Spagna e Irlanda a Ursula von der Leyen, oggi (15 febbraio) la conferma arriva direttamente dall’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell: “Stiamo studiando il documento dei due primi ministri“, ha dichiarato dal quartier generale della Nato a Bruxelles.La questione è ancora in una fase embrionale: le prossime tappe della procedura le ha spiegate la portavoce della Commissione europea responsabile per gli Affari esteri, Nabila Massrali. “La decisione di sospendere un accordo viene presa dal Consiglio dell’Ue, su proposta dell’Alto rappresentante o della Commissione”, ha chiarito Massrali la briefing quotidiano con la stampa. Spetterebbe dunque a Josep Borrell fare una valutazione politica sugli elementi che sussistono per una tale iniziativa, e sottoporla ai ministri degli Esteri dell’Ue. Ma perché l’accordo venga effettivamente sospeso, sarebbe necessario un voto all’unanimità dei 27 Paesi membri.“Presto potrò dire qualcosa rispetto a questo tema”, ha affermato il capo della diplomazia europea. Già lunedì 19 febbraio ad esempio, quando è previsto il vertice ministeriale Ue Affari Esteri e all’ordine del giorno – oltre all’Ucraina e al probabile lancio della missione navale Ue nel Mar Rosso – è presente un punto sulla crisi in Medio Oriente. “L’accordo di associazione è la base giuridica del nostro dialogo in corso con le autorità israeliane e fornisce importanti meccanismi per discutere le questioni problematiche. In questo quadro, l’Ue continuerà a riaffermare il suo impegno per l’applicabilità del diritto internazionale umanitario nei territori palestinesi occupati”, ha chiarito ancora Nabila Massrali. Ma portare avanti la procedura per una sua eventuale sospensione – e con esso tutte le agevolazioni commerciali che prevede -, potrebbe essere la leva per costringere Tel Aviv a rispettare effettivamente i propri obblighi.

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    Spagna e Irlanda chiedono una verifica degli impegni sui diritti umani previsti dall’accordo di associazione Ue-Israele

    Bruxelles – In una lettera recapitata direttamente alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, i governi di Spagna e Irlanda chiedono di fare luce “con urgenza” sugli obblighi previsti dall’Accordo di associazione Ue-Israele in materia di diritti umani. Perché “considerata la diffusa preoccupazione per le possibili violazioni del diritto internazionale umanitario” a Gaza, per i due premier, Pedro Sanchez e Leo Varadkar, potrebbe esserci margine per rivedere la relazione privilegiata con Tel Aviv.Nel clima di crescente pressione internazionale nei confronti di Israele perché metta fine alle devastanti operazioni militari nella Striscia di Gaza, i due governi europei che dal 7 ottobre si sono mostrati maggiormente sensibili alle sofferenze palestinesi hanno deciso di rompere gli indugi e mettere sul piatto uno strumento che l’Ue potrebbe usare per fare leva su Tel Aviv. Perché l’Accordo di Associazione, in vigore dal 2000, prevede una serie di agevolazioni commerciali che per l’economia di Israele – per cui l’Ue è il primo partner commerciale – sono di vitale importanza.

    Il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez (a destra) e il premier irlandese, Leo Varadkar (Photo by Thomas COEX / AFP)Ma gli accordi di Associazione stipulati dall’Ue nel mondo, non solo quello con Israele, si fondano sui valori comuni condivisi di democrazia e rispetto dei diritti umani, dello Stato di diritto e delle libertà fondamentali. Il momento scelto da Sanchez e Varadkar è pregnante, perché “l’ampliamento dell’operazione militare israeliana nell’area di Rafah rappresenta una minaccia grave e imminente che la comunità internazionale deve affrontare con urgenza”.Dopo aver ricordato le 28 mila vittime dei bombardamenti sulla Striscia di Gaza, i 67 mila feriti e lo sfollamento forzato di quasi 2 milioni di persone, Spagna e Irlanda hanno ricordato inoltre a von der Leyen – che dopo un iniziale supporto infervorato per la causa israeliana ha diminuito progressivamente le proprie uscite sul conflitto – che la Corte Internazionale di Giustizia ha ordinato a Israele di adottare “misure provvisorie per impedire che vengano commessi atti di genocidio” e azioni “immediate ed efficaci per assicurare servizi di base e assistenza umanitaria urgentemente necessari a Gaza”. Dove le Nazioni Unite stimano che il 90 per cento della popolazione si trovi già in una situazione di grave insicurezza alimentare, con il serio rischio di carestia.Niente di più distante dal rischio di catastrofe umanitaria che provocherebbe “l’imminente minaccia di operazioni militari israeliane a Rafah”. Per tutte queste ragioni, il governo socialista spagnolo e quello di centro-destra irlandese hanno chiesto alla Commissione europea di “verificare con urgenza se Israele stia rispettando i suoi obblighi, anche nell’ambito dell’Accordo di associazione Ue-Israele, che fa del rispetto dei diritti umani e dei principi democratici un elemento essenziale delle relazioni”. E di proporre al Consiglio eventuali “misure appropriate da prendere in considerazione“.

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    Lazzarini da Bruxelles fa il punto della situazione a Gaza. E avverte: “Senza finanziamenti Ue, l’Unrwa in negativo già a marzo”

    Bruxelles – Gli 82 milioni di euro che la Commissione europea dovrebbe versare nelle casse dell’Unrwa a inizio marzo sono fondamentali perché l’Agenzia possa continuare a operare in soccorso ai profughi palestinesi. È fredda e semplice matematica: se diversi donatori non avessero deciso in fretta e furia di sospendere pagamenti per 450 milioni di dollari, l’Unrwa avrebbe potuto resistere fino a fine luglio. Ma ora l’Agenzia, che solo per saldare gli stipendi spende 60 milioni al mese, rischia di andare in rosso di 30-40 milioni già nel mese di marzo.I numeri sono stati snocciolati ai ministri dell’Ue – e alla stampa internazionale – dal commissario generale dell’Agenzia per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi, Philippe Lazzarini. Invitato a Bruxelles per la riunione informale dei ministri dello sviluppo dei 27, Lazzarini ha fatto il punto sulla drammatica situazione a Gaza – con l’imminente operazione israeliana a Rafah – e sulle contromosse avviate dall’Agenzia dopo le accuse sul presunto coinvolgimento di 12 membri del suo staff negli attacchi terroristici di Hamas del 7 ottobre.

    Membri dell’Unrwa distribuiscono farina nel sud di Gaza (Photo by SAID KHATIB / AFP)Anche qui, a parlare sono i numeri: secondo le stime dell’Unrwa ormai il 5 per cento della popolazione gazawi è rimasta uccisa, ferita o dispersa in questi quattro mesi di assedio israeliano. Cento mila persone, su un totale di circa 2 milioni. E pesanti “sacche di malnutrizione, con rischio di carestia”, soprattutto nel nord della Striscia, dove sarebbero rimaste 300 mila persone e dove l’Unrwa non è più riuscita a inviare convogli umanitari dal 20 gennaio. Lazzarini ha inoltre raccontato che ieri a Rafah per la prima volta lo staff “non ha potuto operare con un minimo di protezione” e che i propri veicoli per la distribuzione di generi alimentari sono stati presi d’assalto, perché ormai non esiste più nemmeno la polizia locale.Ma, da quando le autorità israeliane hanno accusato membri dell’Unrwa di complicità con Hamas, gli ostacoli al lavoro dell’Agenzia si sono moltiplicati: “Gli appaltatori hanno ricevuto istruzioni di non inviare il cibo perché serve all’Unrwa, le esenzioni sull’Iva sono state revocate, le banche locali hanno deciso di congelare i conti, i visti non sono più concessi su base giornaliera”, ha elencato Lazzarini. Tutto questo sulla base di accuse che finora non sono state supportate da alcuna prova. “Abbiamo chiesto e chiediamo la piena collaborazione delle autorità israeliane per condividere le prove“, ha ribadito il commissario generale dell’Unrwa, che per cercare di salvaguardare l’Agenzia aveva immediatamente licenziato i dipendenti coinvolti e avviato un’indagine interna.Ora le indagini sono più di una: c’è quella dell’Oios, il massimo organo investigativo delle Nazioni Unite, e la commissione di revisione indipendente guidato dall’ex ministra degli Esteri francese, Catherine Colonna. Dagli esiti di quest’ultima, che esaminerà tutti i meccanismi interni di gestione dei rischi, le questioni relative al comportamento del personale e alle affiliazioni politiche, le misure preventive e investigative dell’Agenzia, dipendono molti dei fondi che garantiscono la sopravvivenza stessa dell’Unrwa. Perché se l’indagine dell’Onu “durerà tutto il tempo necessario”, il team guidato da Colonna dovrebbe presentare alcune osservazioni preliminari già a meta marzo e il rapporto finale entro il 20 aprile.Il Commissario Generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, al Consiglio informale Sviluppo a Bruxelles (Photo by Kenzo TRIBOUILLARD / AFP)Molti dei Paesi che hanno sospeso i finanziamenti – Stati Uniti, Canada, Australia, Regno Unito, Italia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Svizzera, Norvegia, Finlandia, Romania e Giappone – hanno espresso la volontà di aspettare i risultati della revisione prima di riprendere eventualmente gli impegni con l’Unrwa. Ma l’Ue ha in programma l’esborso di 82 milioni per il 2024 a inizio marzo. Lazzarini ne ha discusso con il commissario per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, che avrebbe chiesto alcune garanzie sul reclutamento dello staff di Unrwa, sul rafforzamento del meccanismo interno di supervisione e sul controllo del personale. C’è stato un “impegno reciproco perché l’esborso avvenga”, ha dichiarato il commissario generale svizzero.L’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, pur ammettendo i “diversi approcci da parte degli Stati membri”, ha sottolineato che alcuni Paesi hanno deciso di aumentare il sostegno all’Unrwa proprio perché in una situazione di difficoltà. Come la Spagna, che ha annunciato oggi l’esborso di ulteriori 3 milioni per l’Agenzia. Borrell, ricordando che spetta sempre a chi accusa dimostrare la colpevolezza dell’accusato, ha voluto chiarire un punto fondamentale. Bisogna “garantire la responsabilità individuale, non punizioni collettive“. Cioè: se anche quei 12 su 30 mila dipendenti fossero riconosciuti implicati nell’attentato di Hamas, a rimetterci non potranno essere le 5,6 milioni di profughi palestinesi a Gaza, in Cisgiordania, in Siria, in Libano e in Giordania che sopravvivono solo grazie all’assistenza dell’Unrwa.

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    Su Israele Borrell continua a predicare nel deserto. Agli Usa: “Se credete che i morti siano troppi, smettete di vendere armi”

    Bruxelles – Di fronte all’immobilismo atlantico nei confronti della tragedia in corso a Gaza, l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell – che su Israele è la più critica voce fuori dal coro nelle istituzioni europee  – punzecchia gli Stati Uniti: “Se credete che il numero di morti sia troppo alto, forse potete fare qualcosa“, ha dichiarato oggi (12 febbraio) dalla capitale europea.Non solo un appello generico a “fare qualcosa di più che esprimere preoccupazione”, che Borrell ha rivolto anche ai Paesi dell’Ue. La critica a Joe Biden è più specifica: “L’Ue non fornisce armi a Israele. Altri lo fanno“, ha precisato. Secondo i dati più recenti, pubblicati a dicembre 2023 dal Sole 24 Ore, da Washington arriva circa il 70 per cento delle armi utilizzate dalle Forza di difesa israeliane (Fdi). Da Bruxelles nessun supporto militare, ma non si può dire lo stesso dei Paesi membri: il secondo fornitore di armi per Tel Aviv è la Germania (24 per cento dell’arsenale israeliano), seguita dall’Italia (5,6 per cento).Questa mattina, al suo arrivo al vertice informale dei ministri dello Sviluppo dell’Ue a Bruxelles, Borrell è sembrato nuovamente molto duro su Israele. “Anche il presidente degli Stati Uniti, che sono i maggiori sostenitori di Israele, ha detto ieri che le operazioni non sono più proporzionate e che il numero di persone uccise è diventato insopportabile (28 mila, secondo il ministero della Salute di Hamas, ndr). Penso che sia una frase sempre più comune da parte di molti, in tutto il mondo”, ha attaccato il capo della diplomazia europea. Che “spera che il mondo intero prenda atto” della situazione nella Striscia di Gaza: quasi 2 milioni di persone che vengono bombardate costantemente senza poter fuggire.Una moschea distrutta dai bombardamenti israeliani a Rafah, 11/2/23 (Photo by MOHAMMED ABED / AFP)A far infuriare l’Alto rappresentante è la nuova operazione che le Fdi hanno lanciato a Rafah, al confine con l’Egitto, dove in questi 4 mesi di conflitto si sono progressivamente ammassati tutti gli sfollati di Gaza. “Netanyahu ha chiesto l’evacuazione di circa 1,7 milioni di persone, senza dire dove queste persone potrebbero essere evacuate”, ha sottolineato Borrell. Che è il punto sollevato anche da Biden nell’ultima telefonata con il premier israeliano: prima dell’operazione a Rafah, Israele avrebbe dovuto “garantire la sicurezza della popolazione con un piano credibile di evacuazione”.Ma il governo guidato da Netanyahu rimane sordo a qualsiasi richiesta della comunità internazionale e prosegue a testa bassa per la sua strada verso la “completa smilitarizzazione di Gaza”. Per ora, l’operazione lanciata a Rafah avrebbe causato oltre 100 vittime palestinesi, e portato alla liberazione di 2 ostaggi israeliani. Anche l’avvertimento dell’Egitto, secondo cui gli aiuti umanitari non riusciranno più a entrare nella Striscia dal valico di Rafah in caso di attacchi massicci israeliani, è rimasto inascoltato.Al vertice informale anche il commissario generale dell’Unrwa, Philippe LazzariniA Bruxelles è arrivato anche Philippe Lazzarini, il commissario generale dell’Agenzia delle Nazioni Unite sotto accusa per il presunto coinvolgimento di alcuni membri dello staff negli attacchi di Hamas a Israele del 7 ottobre. “Una cosa è certa per me: l’Unrwa oggi svolge un lavoro insostituibile, che nessun altro potrebbe”, ha immediatamente messo in chiaro Borrell. Che ha nuovamente provocato Israele, che finora non ha presentato alcuna prova a corredo delle proprie accuse: “Le accuse devono essere verificate. La presunzione d’innocenza vale sempre, anche per l’Unrwa”. Ma c’è di più: “Non è un segreto che il governo israeliano voglia sbarazzarsi dell’Unrwa. Non ora, ma da molti anni, perché credono che in questo modo si libereranno del problema dei rifugiati palestinesi”, ha affermato l’Alto rappresentante Ue.

    Josep Borrell con il commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini (Photo by Kenzo TRIBOUILLARD / AFP)Quasi una supplica, quella di Borrell, almeno a quei Paesi dell’Ue che hanno deciso troppo presto di interrompere i fondi all’Agenzia Onu per il Soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi. “Aspettiamo che l’indagine abbia luogo“, ha ripetuto due volte. Di indagine in corso ce n’è più di una: quella interna lanciata dallo stesso Lazzarini, quella avviata dal massimo organo investigativo delle Nazioni Unite (Oios), oltre al gruppo di revisione indipendente guidato dall’ex ministra francese, Catherine Colonna.L’Ue per ora sta temporeggiando, affermando che “per ora non c’è stata alcuna sospensione dei fondi”, dal momento che non sono previsti pagamenti all’Unrwa fino alla fine di febbraio. Ma difficilmente nel giro di due settimane le indagini saranno concluse, e a Bruxelles dovranno scegliere da che parte stare. Una scelta che Borrell ha già ben chiara in mente: “L’indagine prenderà il tempo necessario, ma nel frattempo le persone devono poter continuare a mangiare”.

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    Una commissione indipendente indagherà sulle accuse all’Unrwa. Michel: “Non dimentichiamo il lavoro umanitario” a Gaza

    Bruxelles – L’Agenzia dell’Onu per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati Palestinesi (Unrwa) è sotto la lente d’ingrandimento, dopo le accuse da parte di Israele ad alcuni dei suoi dipendenti che avrebbero partecipato all’azione terroristica di Hamas del 7 ottobre. Sono già in corso un’indagine interna e una da parte del massimo organo investigativo delle Nazioni Unite (l’Oios). E dal 14 febbraio inizierà il suo scrutinio anche un gruppo indipendente nominato dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres.La revisione sarà guidata da Catherine Colonna, ex ministro degli Esteri francese, che collaborerà con tre organizzazioni di ricerca: il Raoul Wallenberg Institute in Svezia, il Chr. Michelsen Institute in Norvegia e l’Istituto danese per i diritti umani. Il team dovrà valutare se l’Agenzia “sta facendo tutto ciò che è in suo potere per garantire la neutralità e per rispondere alle accuse di gravi violazioni”.

    IL Commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, e Josep Borrell (Photo by Kenzo TRIBOUILLARD / AFP)È stato lo stesso commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, a chiedere la nomina di una commissione indipendente per fugare ogni dubbio sull’integrità dell’Agenzia. L’equipe è chiamata a presentare un rapporto intermedio sulla scrivania di Guterres alla fine di marzo, mentre il rapporto finale dovrebbe essere redatto e reso pubblico entro la fine di aprile.Rapporto che l’Alto rappresentate Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, “attende con ansia”, come ha dichiarato in un post su X. Borrell ha messo in chiaro a più riprese che Bruxelles non ha intenzione di sospendere i finanziamenti all’Unrwa in seguito alle accuse di Tel Aviv, diversamente dalla scelta fatta già da 13 Paesi – Stati Uniti, Canada, Australia, Regno Unito, Italia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Svizzera, Norvegia, Finlandia, Romania e Giappone – che rappresentano oltre il 50 per cento dei fondi dell’Unrwa. Alla luce di questi tagli, l’Agenzia ha già denunciato il rischio di non poter proseguire il proprio lavoro sul campo a Gaza dopo la fine di febbraio, se questi Paesi non sbloccheranno i propri finanziamenti. Intanto la Commissione europea ha richiesto all’Unrwa di “effettuare un audit dell’agenzia condotto da esperti esterni indipendenti nominati dall’Ue”, in modo da poter prendere eventuali decisioni su una partnership che prosegue da 50 anni.

    EP Plenary session – European Council and Commission statements – Conclusions of the special European Council meeting of 1 February 2024Sulla vicenda i governi dei 27 hanno preso posizioni differenti: al Consiglio europeo del 1 febbraio “diversi leader hanno menzionato, anzi denunciato, questo grave coinvolgimento di un certo numero di dipendenti dell’Unrwa”, ha ammesso il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, all’Eurocamera di Strasburgo. Michel ha dichiarato che “spetta a noi sostenere le indagini che sono state avviate sotto dalle Nazioni Unite in modo indipendente e in modo che venga fatta luce”, sottolineando tuttavia che “è anche nostro dovere non dimenticare che l’Unrwa ha 13 mila dipendenti che lavorano sul campo, svolgendo un lavoro umanitario estremamente vitale e prezioso”. Secondo i dati dell’Agenzia, circa 1,7 milioni di sfollati interni palestinesi stanno trovando riparo dai bombardamenti israeliani nei suoi rifugi di emergenza.Tel Aviv ha sostenuto, senza finora mostrare prove a corredo delle proprie accuse, che 12 dei 30 mila dipendenti regionali (13 mila ancora a Gaza) dell’agenzia fossero complice degli attacchi ai kibbutz ebraici in cui sono rimasti uccisi oltre 1.100 israeliani, in larga parte civili. Israele sostiene inoltre che in realtà una larga fetta degli operatori dell’Unrwa abbiano legami con Hamas. Il che è probabile oltre che banale, dal momento che Hamas governa il territorio dove l’Agenzia opera e che la maggior parte dei suoi dipendenti sono essi stessi profughi palestinesi. Le Nazioni Unite, nell’annunciare l’istituzione della commissione indipendente guidata da Catherine Colonna, ha evidenziato che “la cooperazione delle autorità israeliane, che hanno formulato queste accuse, sarà fondamentale per il successo dell’indagine“.

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    L’Ue avvia una revisione dei fondi all’Unrwa, diversi Stati membri li hanno già sospesi. A rischio l’assistenza a Gaza

    Bruxelles – È cominciata la reazione a catena dopo le accuse mosse da Israele sul presunto coinvolgimento di 12 dipendenti dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa) nell’attacco terroristico di Hamas dello scorso 7 ottobre. Uno dopo l’altro, diversi governi hanno già annunciato la sospensione dei finanziamenti. L’Ue attende l’esito dell’indagine annunciata dall’Onu. E l’Unrwa fa sapere che così non sarà più in grado di garantire l’assistenza a Gaza oltre il mese di febbraio.Finora sono 13 i Paesi che si sono sfilati dagli impegni con l’Unrwa: Stati Uniti, Canada, Australia, Regno Unito, Italia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Svizzera, Norvegia, Finlandia, Romania e Giappone. Più cauta invece l’Unione europea, la cui cooperazione con l’Agenzia dell’Onu per la Palestina risale addirittura al 1971. La Commissione europea – che nel 2023 ha mobilitato 92 milioni di euro per l’Unrwa – ha fatto sapere che “attualmente non sono previsti ulteriori finanziamenti fino alla fine di febbraio” e che riesaminerà la questione “alla luce dell’esito dell’indagine annunciata dall’Onu e delle azioni che intraprenderà”.Nel frattempo, Bruxelles ha richiesto all’Unrwa di “effettuare un audit dell’agenzia che sarà condotto da esperti esterni indipendenti nominati dall’Ue”. In sostanza – ha spiegato il portavoce capo dell’escutivo Ue, Eric Mamer -, quando la Commissione “lavora intensamente come fa con l’Unrwa”, esistono diversi meccanismi di controllo e la possibilità di chiedere un audit “in qualsiasi momento”. Non si tratta di un’indagine sull’accaduto, ma riguarda la “rivalutazione dei pilastri concentrandosi in particolare sui sistemi di controllo con cui l’Unrwa previene il possibile coinvolgimento del suo personale in attività terroristiche”.

    L’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell (R) con il commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini (Photo by Kenzo TRIBOUILLARD / AFP)Non si è fatta attendere nemmeno la risposta del Palazzo di vetro. L’Onu ha immediatamente lanciato un’indagine da parte dell’Office of Internal Oversight Services (OIOS), il massimo organo investigativo delle Nazioni Unite, anche se il commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, aveva già annunciato l’avvio di un’indagine interna. Delle 12 persone implicate, nove sono state immediatamente identificate e licenziate, uno è stato confermato morto e le identità dei restanti due sono “in fase di chiarimento”.“Qualsiasi dipendente delle Nazioni Unite coinvolto in atti di terrorismo sarà ritenuto responsabile, anche attraverso procedimenti penali”, ha affermato il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. Riconoscendo le preoccupazioni dei paesi che hanno sospeso i fondi ed esprimendo il proprio orrore per le accuse, Guterres ha tuttavia lanciato un forte appello per garantire almeno la continuità delle operazioni dell’Unrwa. “I presunti atti ripugnanti di questi membri dello staff devono avere delle conseguenze. Ma le decine di migliaia di uomini e donne che lavorano per l’Unrwa, molti dei quali si trovano in alcune delle situazioni più pericolose per gli operatori umanitari, non dovrebbero essere penalizzate”, ha affermato. E con loro naturalmente la popolazione civile di Gaza, i cui “disperati bisogni devono essere soddisfatti”.Secondo i dati dell’Unrwa aggiornati al 27 gennaio, circa 1,7 milioni di sfollati interni stanno trovando riparo nei rifugi di emergenza dell’Agenzia. Delle 21.881 tonnellate metriche di farine distribuite dal 21 ottobre alla popolazione, più della metà (12.987) provenivano dall’Unrwa. Che nello stesso periodo ha consegnato a Gaza medicinali e forniture mediche per un valore totale di oltre 6,2 milioni di dollari, quasi 19 milioni di litri d’acqua, 2,7 milioni di unità di biscotti e biscotti ad alto contenuto energetico, quasi 4,7 milioni di scatole di cibo a base di proteine, oltre 6,5 milioni di unità di prodotti caseari e altri alimenti, tra cui datteri, dolci e succhi di frutta. E quasi 100.000 materassi, 80.000 kit per l’igiene familiare, oltre 3,1 milioni di pannolini, circa 144.000 coperte e oltre 1,9 milioni di articoli per la pulizia.

    Membri dell’Unrwa distribuiscono farina a Gaza (Photo by SAID KHATIB / AFP)Ma l’Agenzia ha dichiarato che non sarà in grado di continuare le operazioni a Gaza e in tutta la regione oltre la fine di febbraio, se non riprenderanno i finanziamenti a suo favore. Anche se l’Ue ha già affermato che “gli aiuti umanitari ai palestinesi di Gaza e della Cisgiordania continueranno senza sosta attraverso altre organizzazioni partner”, è difficile immaginare di poter rimpiazzare il lavoro degli oltre 13 mila dipendenti dell’Unrwa residenti a Gaza, in gran parte essi stessi profughi palestinesi.Tutto questo a pochi giorni dal pronunciamento della Corte di giustizia internazionale, che ha chiesto a Israele che vengano consentite “senza indugi” la fornitura di servizi di base e di assistenza umanitaria “urgentemente necessari per alleviare le difficili condizioni di vita a cui sono sottoposti i palestinesi della Striscia di Gaza”. E che, per le accuse mosse allo 0,09 per cento dell’Unrwa, rischia ora tragicamente di interrompersi.