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    Da oggi nell’UE è sospesa la diffusione della propaganda di Russia Today e Sputnik: “In guerra, le parole contano”

    Bruxelles – È anche una guerra di disinformazione e propaganda quella scatenata dalla Russia contro l’Ucraina. Mosca sta cercando di diffondere immagini e narrazioni dell’invasione in atto da una settimana totalmente manipolate sia in patria sia all’estero. Ed è questo che l’Unione Europea non può più accettare. Dopo l’annuncio della presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, di domenica (27 febbraio), sono state adottate oggi le sanzioni contro gli organi di propaganda del regime di Vladimir Putin, attraverso la sospensione della distribuzione dei media statali Russia Today e Sputnik su tutto il territorio dell’Unione.
    La decisione è stata presa dal Consiglio dell’UE all’interno del nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia di Putin, che hanno colpito, oltre alla propaganda di regime, anche la Banca centrale russa e l’accesso di sette banche al sistema di pagamenti internazionali Swift. “Russia Today e Sputnik sono essenziali e strumentali nel portare avanti e sostenere l’aggressione della Russia contro l’Ucraina”, si legge nella nota del Consiglio. Per Bruxelles si tratta di “una minaccia significativa e diretta” all’ordine pubblico e alla sicurezza dell’Unione Europea, dal momento in cui “entrambi fanno parte di uno sforzo coordinato di manipolazione delle informazioni”, come documentato dalla task force East StratCom del Servizio europeo di azione esterna (SEAE) contro la disinformazione. Già la settimana scorsa, nel pacchetto di sanzioni contro la cerchia più stretta di Putin, era stata inclusa la caporedattrice della sezione inglese di Russia Today, Margarita Simonyan, per i contenuti di disinformazione che prendevano di mira l’Ucraina e il suo presidente, Volodymyr Zelensky.
    “Data la gravità della situazione” e “in risposta alle azioni di propaganda della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina”, l’UE ha ritenuto “necessario e coerente con i diritti e le libertà fondamentali” introdurre nuove sanzioni per sospendere le attività di trasmissione dei due organi di disinformazione attraverso tutti i mezzi di distribuzione: cavo, satellite, IPTV (sistema di trasmissione di segnali televisivi su reti informatiche), piattaforme, siti web e app. Licenze, autorizzazioni e accordi di distribuzione sono “immediatamente sospesi” sul territorio di tutti i 27 Stati membri.
    “In questo tempo di guerra, le parole contano“, ha attaccato la presidente von der Leyen. È per questo motivo che “non permetteremo agli apologeti del Cremlino di versare le loro bugie tossiche che giustificano la guerra di Putin o di seminare i semi della divisione nella nostra Unione”, dopo aver preso di mira “in modo oltraggioso un Paese libero e indipendente”. Durissimo anche l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “La manipolazione sistematica dell’informazione è applicata come strumento operativo nell’assalto all’Ucraina”. Borrell ha definito le sanzioni contro la propaganda della Russia come “un passo importante contro l’operazione di manipolazione di Putin, chiudendo il rubinetto dell’UE ai media controllati dallo Stato“.

    In this time of war, words matter.
    The EU adopted sanctions against the Kremlin’s disinformation and information manipulation assets.
    State-owned outlets Russia Today and Sputnik are suspended across the EU, as of today.
    Learn more → https://t.co/EmOYaxmQ9f pic.twitter.com/xsbcr1lmMt
    — European Commission 🇪🇺 (@EU_Commission) March 2, 2022

    Nel nuovo pacchetto di misure restrittive contro la Russia è stata inclusa la sospensione della distribuzione dei due media statali su tutti i mezzi, per arginare la disinformazione sull’invasione dell’Ucraina da parte del regime di Putin

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    La Commissione UE ha proposto la prima attivazione della direttiva sulla protezione temporanea per i rifugiati

    Bruxelles – La dimensione storica della proposta si era intuita già domenica (27 febbraio), quando al Consiglio Affari Interni straordinario ne era stata discussa la possibilità. Per la prima volta da quando è entrata in vigore la base legislativa e normativa per l’applicazione dei corridoi umanitari nel 2001, la Commissione UE ha proposto formalmente di attivare la Direttiva europea sulla protezione temporanea, quella che stabilisce uno status di protezione di gruppo in “situazioni di crisi derivanti da un afflusso massiccio di persone in fuga da una situazione di grande pericolo”.
    A rendere necessaria la proposta di attivazione (che dovrebbe essere approvata domani dal Consiglio dell’UE) è stato l’arrivo di più di 650 mila persone dall’Ucraina nei vicini Stati membri dell’Unione, dopo l’invasione russa iniziata una settimana fa. “Tutti coloro che fuggono dalle bombe di Vladimir Putin sono i benvenuti in Europa”, ha spiegato la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, sottolineando che l’Unione fornirà “protezione a coloro che cercano riparo e aiuto a coloro che cercano un modo sicuro per tornare a casa“. La direttiva sulla protezione temporanea è stata pensata specificamente per dare “protezione immediata alle persone che ne hanno bisogno e per evitare di sovraccaricare i sistemi di asilo degli Stati membri”, spiega la Commissione UE, grazie alle linee-guida operative fornite alle guardie di frontiera degli Stati membri.
    Secondo la proposta, “cittadini ucraini e persone che hanno fatto dell’Ucraina la loro casa”, sfollati o in fuga dalla guerra, avranno il diritto alla protezione in tutta l’Unione Europea. Sono inclusi – ed è bene ricordarlo – “anche i cittadini non ucraini e gli apolidi che risiedono legalmente in Ucraina e che non possono tornare nel loro Paese d’origine, come i richiedenti asilo o i beneficiari di protezione internazionale”. Nei giorni scorsi sono stati denunciati diversi casi di discriminazione razziale ed etnica alle frontiere dell’Unione sull’accoglienza di profughi in arrivo dall’Ucraina, anche dal ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba, che ieri su Twitter ha messo in chiaro: “Le perone africane che cercano di essere evacuate sono nostri amici e devono avere le stesse opportunità di tornare ai loro Paesi d’origine in sicurezza”.

    Russia’s invasion of Ukraine has affected Ukrainians and non-citizens in many devastating ways. Africans seeking evacuation are our friends and need to have equal opportunities to return to their home countries safely. Ukraine’s government spares no effort to solve the problem.
    — Dmytro Kuleba (@DmytroKuleba) March 1, 2022

    Considerata la “natura straordinaria ed eccezionale dell’attacco russo e l’entità dei nuovi arrivi nell’UE”, la direttiva sulla protezione temporanea fornirà tutti i diritti di protezione internazionale riconosciuti ai rifugiati: residenza, accesso al mercato del lavoro e all’alloggio, assistenza sociale e medica, mezzi di sussistenza, tutela legale e accesso all’istruzione per bambini e adolescenti. Di fondamentale importanza anche la solidarietà e la condivisione delle responsabilità tra Stati membri nell’ospitare gli sfollati ucraini o in arrivo dal Paese invaso dalle truppe di Putin: sarà attivata una piattaforma di solidarietà per lo scambio di informazioni tra i Ventisette sulle capacità di accoglienza e una redistribuzione che tenga conto anche della presenza di amici e parenti sul territorio UE delle persone in arrivo.
    Per quanto riguarda la gestione delle frontiere, le linee-guida della direttiva sulla protezione temporanea prevedono la semplificazione delle procedure alle frontiere dell’UE con l’Ucraina, con un allentamento dei controlli previsti dalle regole Schengen “in circostanze eccezionali per certe categorie di persone” (di cui sopra). In questo modo si riuscirà ad “aiutare coloro che fuggono dalla guerra a trovare riparo senza ritardi, pur mantenendo un alto livello di controlli di sicurezza”, specifica la proposta della Commissione. Per esempio, se non si riesce a stabilire l’identità di una persona, si può procedere alle verifiche di frontiera anche dopo il trasporto in un luogo sicuro e non al valico. O ancora, le guardie di frontiera possono autorizzare cittadini extra-UE a fare ingresso nello Stato membro per motivi umanitari “anche se non soddisfano tutte le condizioni di ingresso” (se non hanno un passaporto o un visto valido). Nel caso in cui le strade verso i valichi ufficiali di frontiera siano bloccate o congestionate, può essere consentito l’attraversamento da valichi temporanei per “aiutare a ridurre i ritardi”.
    La direttiva che non è mai stata attivata in più di 20 anni – nemmeno quando sei mesi fa è scoppiata la crisi in Afghanistan – prevede “accordi speciali” per facilitare entrata e uscita di servizi di soccorso, polizia e vigili del fuoco per fornire assistenza di ogni tipo alle persone in attesa di attraversare il confine, oltre alla possibilità per i rifugiati di portare effetti personali senza alcun dazio doganale e anche animali domestici. Le linee-guida raccomandano “vivamente” agli Stati membri di sfruttare il supporto delle agenzie Frontex ed Europol, rispettivamente per l’assistenza nella registrazione delle persone in arrivo dall’Ucraina e per il supporto ai controlli secondari. Una volta adottata, la protezione temporanea dell’UE durerà un anno, con la possibilità di rinnovi semestrali per un altro anno: se le condizioni dovessero rimanere critiche, il Consiglio potrà decidere a maggioranza qualificata (su proposta della Commissione), l’estensione per un terzo anno.

    Europe stands by those in need of protection.
    All those fleeing Putin’s bombs are welcome in Europe.
    We will provide protection to those seeking shelter and we will help those looking for a safe way home.
    Our proposal to support people fleeing the war in Ukraine ↓
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) March 2, 2022

    Gli oltre 650 mila profughi dall’Ucraina hanno reso necessaria la proposta dell’esecutivo UE. Saranno previsti allentamenti dei controlli di frontiera, solidarietà tra Paesi membri nell’accoglienza e facilitazioni di ingresso per chi fugge dalla guerra

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    Gli eurodeputati allineati su prospettiva UE dell’Ucraina (tranne l’estrema destra): “È il nostro Whatever It Takes”

    Bruxelles – Tutt’altro contesto, tutt’altra emergenza. Ma, a dieci anni dalla celebre frase dell’allora presidente della BCE, Mario Draghi, l’Unione Europea si ritrova ancora forte dietro a un whatever it takes che sa di esortazione a non mollare e a prendere decisioni coraggiose. Questa volta “whatever it takes” l’ha pronunciato la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, e il contesto è l’impegno che i Ventisette dovranno dimostrare per spingere la prospettiva UE dell’Ucraina. Come ricordato nel toccante intervento del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, da remoto alla sessione plenaria del Parlamento Europeo, Kiev ha fatto richiesta formale per l’adesione immediata all’UE. E tutti i gruppi politici all’Eurocamera – fatta eccezione per l’estrema destra di Identità e Democrazia – hanno risposto con forza all’appello.
    La manifestazione a sostegno dell’Ucraina davanti alla sede del Parlamento UE a Bruxelles (1 marzo 2022)
    La risoluzione votata oggi (martedì primo marzo) con 637 voti a favore, 13 contrari e 26 astenuti invita le istituzioni dell’UE a “concedere all’Ucraina lo status di candidato all’Unione“, ma specificando che questo deve essere “basato sul merito” e in linea con l’articolo 49 del Trattato sull’Unione Europea (TUE). Cioè quello che definisce il processo di allargamento dell’Unione Europea, secondo condizioni ben determinate sui criteri da rispettare e sulla procedura da seguire. Come ha evidenziato durante il dibattito in plenaria il presidente del gruppo di Renew Europe, Stéphane Séjourné, “sarà un processo che richiederà anni, ma è importante che i cittadini ucraini eroici facciano già parte della comunità di destini dell’Unione Europea”. Nel frattempo, sarà necessario “continuare a lavorare per l’integrazione dell’Ucraina nel Mercato unico dell’UE, secondo le linee dell’Accordo di associazione”, precisa il testo approvato dal Parlamento Europeo.
    La presidente del Parlamento UE, Roberta Metsola, alla manifestazione in sostegno all’Ucraina (1 marzo 2022)
    “Il 24 febbraio è una data spartiacque per l’Europa”, ha dichiarato il presidente del gruppo del PPE, Manfred Weber, ricordando l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Un giorno che “ci fa dare risposte chiare”, ha aggiunto: “Sì, siete i benvenuti e appartenete all’Unione Europea”. Gli ha fatto eco la presidente del gruppo di S&D, Iratxe García Pérez: “Servono decisioni storiche, come abbiamo fatto nell’ultima settimana”, perché “non c’è in gioco solo l’integrità dell’Ucraina, ma anche in che mondo vivremo”. Il capo-delegazione del Partito Democratico, Brando Benifei, ha messo in chiaro che “dopo l’aggressione, tutto è aperto” e che “non è un processo che si concluderà domani, ma bisogna supportare la domanda dell’Ucraina”
    Secondo l’eurodeputato del Movimento 5 Stelle, Fabio Massimo Castaldo, “gli ucraini fanno già parte della famiglia europea, ora serve un segnale forte”. Anche il co-leader del gruppo dei Verdi/ALE, Philippe Lamberts, ha confermato che “dovremo avere la saggezza di affrontare la situazione assieme all’Ucraina, rimanendo uniti”.
    Dalle fila di Renew, Sandro Gozi ha affermato che “siamo entrati nell’era dell’Europa, che si assume le sue responsabilità, anche militari, per proteggere e stare dalla parte di chi si batte e muore per i nostri valori, per la democrazia, per lo Stato di diritto, per le libertà e la stabilità”. Il co-presidente del gruppo di ECR al Parlamento Europeo, Ryszard Legutko, ha chiesto a Bruxelles di “cambiare rotta e permettere all’Ucraina di entrare nell’UE”, mentre la collega di partito Anna Fotyga si è detta “onorata della vostra richiesta, lo faremo appena possibile”, perché “noi abbiamo bisogno di voi e voi di noi”.
    Se il gruppo della Sinistra non parla esplicitamente di adesione UE e punta più sulla “necessità di riportare in Europa la pace che la la mia generazione, post-Guerra Fredda, ha sempre conosciuto” – come dichiarato dalla co-leader, Manon Aubry – l’estrema destra di ID ha ballato tra l’ambiguità e la contrarietà. Nessuna presa di posizione da parte del presidente del gruppo, il leghista Marco Zanni, mentre il francese Jordan Bardella ha affermato a chiare lettere che “l’allargamento a est dell’UE e della NATO sono ulteriori provocazioni alla Russia di Putin”.

    Nella risoluzione dell’Eurocamera sull’aggressione russa dell’Ucraina viene ribadita la necessità di riconoscere a Kiev lo status di Paese candidato, ma in linea con criteri e procedure delineate nel Trattato sull’Unione Europea (TUE)

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    L’UE invia “armi e munizioni di tutti i calibri” per la difesa dell’Ucraina dall’attacco russo. “Ora spesa militare comune”

    Bruxelles – “Siamo in guerra, non posso dare informazioni che possono servire alla Russia”. L’UE non è davvero in guerra, ma secondo le parole dell’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ormai è come se lo fosse. Ci è entrata, anche senza combatterla. Dopo le decisioni di ieri (domenica 27 febbraio) sulle nuove misure restrittive contro la Russia di Vladimir Putin e il supporto all’Ucraina di Volodymyr Zelensky, i 27 ministri UE della Difesa “hanno deciso di usare il finanziamento di 500 milioni di euro per inviare armi e munizioni di tutti i calibri a Kiev, che permettano di difendersi”.
    Mentre l’azione russa in Ucraina si fa sempre più aggressiva – ma Kiev, Mariupol e Kharkiv resistono ai bombardamenti – “tutti i ministri sono stati d’accordo e determinanti ad affiancare al sostegno militare bilaterale il finanziamento comunitario per contrastare le azioni belliche di Putin”, ha sottolineato l’alto rappresentante Borrell. L’invio di armi all’Ucraina fa parte di “un pacchetto di misure senza precedenti, che segna una svolta nell’integrazione dell’UE“, vale a dire quella della fornitura di armamenti a Paesi terzi per scopi difensivi. “Finora si pensava che l’UE non potesse essere anche un’Unione militare”, ha ribadito Borrell, riprendendo quanto già affermato ieri in conferenza stampa.
    Aldilà dell’unanimità sull’invio di armi all’Ucraina per la difesa dall’invasione russa, l’entusiasmo per il “nuovo corso” dell’Unione Europea in ambito militare rischia di diventare un punto di non ritorno per le ambizioni dell’UE di essere un attore geopolitico pacifico. In particolare perché questo discorso sta già determinando la volontà di “aumentare le capacità militari di difesa in modo coordinato a livello UE, spendendo meglio nel quadro comunitario”, come affermato da Borrell: “Tutti insieme, la nostra capacità militare è quattro volte quella della Russia“. Un discorso che sarà anche in linea con gli obiettivi della Bussola Strategica per la difesa, ma che in futuro potrebbe diventare la base di un ricorso sempre più frequente allo strumento militare.
    Scorrendo i temi in agenda del Consiglio Difesa, l’alto rappresentante Borrell ha spiegato che “abbiamo creato una cellula UE in coordinamento con la NATO per tenere monitorate le richieste dell’Ucraina e la disponibilità degli Stati membri” in ambito di armi e materiale sanitario da inviare a Kiev. Ma c’è anche preoccupazione per Georgia e Moldavia (Borrell si recherà in visita mercoledì 2 marzo a Chişinău), “Paesi in cui pensiamo aumenterà la pressione russa”. Così come nei Balcani Occidentali, che ha portato alla mobilitazione dei reparti di riserva dell’operazione comunitaria ALTHEA in Bosnia ed Erzegovina, “per mantenere la stabilità e far fronte alle azioni di destabilizzazione nel Paese e in tutta la regione”. 
    L’alto rappresentante Borrell ha espresso la sua soddisfazione anche per l’allineamento della Svizzera alle sanzioni UE – “senza, le nostre misure contro il riciclaggio e il finanziamento della guerra russa non sarebbero state così efficaci come avremmo voluto” – e si è soffermato a lungo sulla questione energetica (in attesa dei risultati del Consiglio Energia straordinario in corso). “Le sanzioni alla Russia hanno un prezzo che dobbiamo avere il coraggio di pagare. Se non lo facciamo oggi, domani sarà ancora peggio”, è stato l’avvertimento: “Ci saranno turbolenze sul mercato dell’energia, sta già succedendo, e il prezzo lo pagheranno tutti i consumatori europei“. 
    Parlando delle conseguenze economiche che potranno derivare da un taglio o limitazione delle forniture di gas dalla Russia, Borrell ha ribadito con forza che sul breve periodo “i prezzi del gas aumenteranno, è inevitabile”, ma che “l’energia non possiamo lasciarla fuori dal conflitto, che ci piaccia o meno, perché dipendiamo dal gas e dal petrolio russo”. L’obiettivo “di natura esistenziale” è quello di “tagliarla il prima possibile con rinnovabili e idrogeno, dopo averne parlato per anni e non averlo mai fatto”, perché “paghiamo a Putin una fattura molto elevata per il gas che ci invia e lui la usa per finanziare l’aggressione militare dell’Ucraina”.

    I ministri UE della Difesa appoggiano all’unanimità il finanziamento da 500 milioni di euro a livello comunitario da affiancare al sostegno militare bilaterale a Kiev, in riposta all’invasione russa

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    La guerra parallela di Lukashenko. La Bielorussia abbandona lo status di Paese non-nucleare: può ospitare le armi russe

    Bruxelles – Da quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia – ma senza dubbio anche prima – l’autoproclamato presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenko, ha iniziato una sua personalissima guerra a fianco di Mosca, per stringere ancora di più i legami con il suo protettore Vladimir Putin. Ormai la Bielorussia sembra sempre meno uno Stato sovrano e indipendente e sempre più una succursale de facto del Cremlino, sin dall’inizio delle esercitazioni militari delle forze russe (e il loro stanziamento) sul territorio bielorusso a inizio mese. Con gli eventi delle ultime ora, però, Lukashenko ha deciso di trascinare tutto il popolo giù per una china inquietante: un referendum (farsa) ha dato il via libera alla nuova Costituzione della Bielorussia, che cancella lo status di Paese non-nucleare e permette il dispiegamento di armamenti nucleari russi sul territorio nazionale.
    La presenza militare russa in Bielorussia
    Secondo quanto rende noto la commissione elettorale centrale bielorussa, il 65,2 per cento degli elettori che si sono recati alle urne ieri (domenica 27 febbraio) ha votato a favore degli emendamenti costituzionali. Un risultato per nulla sorprendente, in linea con le volontà dell’ultimo dittatore d’Europa (se non vogliamo ancora considerare tale anche Putin) in un Paese che di democratico non ha più nulla sicuramente dalle elezioni-farsa dell’agosto 2020. Quello che cambia è però il nuovo pericolo nucleare che arriva per Minsk e per l’Europa intera dalla Bielorussia di Lukashenko, in un momento in cui l’ex-Repubblica sovietica è già una base di partenza per le truppe russe che stanno invadendo da nord l’Ucraina e dopo le dichiarazioni minacciose del Cremlino sullo stato di allerta nucleare.
    Si tratta del terzo emendamento della Carta costituzionale introdotto da Lukashenko da quanto è saluto al potere nel 1994. Ma è la prima volta in assoluto dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica che viene autorizzato il dispiegamento dell’arma nucleare sul suolo della Bielorussia. Tra le altre novità introdotte in Costituzione c’è anche una nuova Assemblea Popolare che agirà come struttura parallela al Parlamento (presieduta da Lukashenko) con ampi poteri in politica estera, di sicurezza ed economica. Proprio per Lukashenko è prevista la possibilità di essere rieletto almeno altre due volte, conferendogli la possibilità di rimanere in carica per altri  13 anni (fino alle elezioni del 2035) e l’immunità dai procedimenti giudiziari anche dopo la fine del mandato. A chiunque abbia lasciato temporaneamente il Paese negli ultimi 20 anni sarà impossibile diventare presidente della Repubblica, una misura diretta in particolare contro la leader legittima secondo l’UE, Sviatlana Tsikhanouskaya.
    Nessuno in Occidente è intenzionato a riconoscere i risultati del referendum e questo aggrava ulteriormente l’isolamento del dittatore bielorusso, che ormai ha solo il Cremlino come interlocutore: “Se trasferirete le armi nucleari in Polonia o Lituania, ai nostri confini, allora mi rivolgerò a Putin per farci restituire quelle di cui ci eravamo liberati senza alcuna condizione”, ha minacciato Lukashenko le potenze europee. “La cancellazione del riferimento nell’articolo 18 allo status non-nucleare della Bielorussia è un altro elemento preoccupante”, ha condannato l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, senza dimenticare il “forte sostegno a una Bielorussia indipendente, sovrana e democratica”, dove non ci siano “più di 1070 prigionieri politici e uno spazio per un autentico dibattito pubblico completamente chiuso”.
    La sala dei negoziati tra le delegazioni di Mosca e Kiev al confine tra Bielorussia e Ucraina
    Sul fronte militare, oltre alle 30 mila truppe russe di stanza a tempo indeterminato in Bielorussia, le ultime notizie dal fronte orientale – ancora non verificate – danno l’esercito bielorusso pronto a unirsi nella guerra in Ucraina “nel giro di ore”, riporta il Kyiv Independent, parlando di circa 17 mila soldati in mobilitazione. Intanto però è tutto pronto al confine tra Bielorussia e Ucraina per i colloqui tra le delegazioni di Mosca e di Kiev a Gomel. La parte ucraina è già arrivata nell’area del fiume Pripyat ed è rappresentata dal ministro della Difesa, Oleksii Reznikov, e da David Arakhamia, leader del partito ‘Servitore del popolo’ del presidente, Volodymyr Zelensky. Proprio Zelensky si è detto “scettico” sulle possibilità che possa uscire qualcosa dall’incontro, ma ha aperto alla possibilità di “almeno provarci”. Nelle prossime ore si dovrebbe conoscere l’esito del confronto.
    Da Bruxelles la reazione nei confronti della minaccia nucleare della Bielorussia è stata durissima. “Il regime di Lukashenko è complice di questo feroce attacco contro l’Ucraina, perciò lo colpiremo con un nuovo pacchetto di sanzioni“, ha puntato il dito la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, nel corso della conferenza stampa di presentazione delle nuove misure restrittive contro la Russia di ieri. Il regime bielorusso condividerà le stesse sanzioni di Mosca: “Prenderemo di mira i loro settori più importanti, fermeremo le loro esportazioni di prodotti dai combustibili minerali al tabacco, legno e legname, cemento, ferro e acciaio“, ha spiegato von der Leyen, precisando che saranno estese anche alla Bielorussia “le esportazioni che abbiamo introdotto sui beni a doppio uso per la Russia”, in modo da “evitare qualsiasi rischio di elusione delle nostre misure contro Mosca”.
    Anche dal presidente francese, Emmanuel Macron, titolare della presidenza di turno del Consiglio dell’UE, è arrivato un ammonimento a Lukashenko, nel corso di una telefonata tra i due: “Il ritiro delle truppe russe dalla Bielorussia deve avvenire il più rapidamente possibile, perché stanno conducendo una guerra unilaterale e ingiusta”. Macron ha cercato di fare leva sulla “fratellanza tra i popoli bielorusso e ucraino” per instillare a Minsk il pensiero di “rifiutare di essere vassallo della Russia e complice nella guerra contro l’Ucraina“. Ma le ultime decisioni del regime non sembrano andare in questa direzione.

    Third, we will target the other aggressor in this war, Lukashenko’s regime, with a new package of sanctions, hitting their most important sectors.
    All these measures come on top of the strong package presented yesterday,agreed by our international partners. pic.twitter.com/ikN99V14zU
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) February 27, 2022

    È stato approvato il referendum-farsa che cancella il riferimento alla neutralità del Paese nell’articolo 18 della Costituzione. Il presidente Lukashenko sempre più isolato e dipendente da Putin, ma organizza l’incontro tra le delegazioni di Kiev e Mosca

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    Lo sport internazionale taglia fuori la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina: dal calcio alla Formula 1, fino al basket

    Bruxelles – Al terzo strike, Mosca è fuori dalla maggior parte delle grandi manifestazioni sportive in programma nei prossimi mesi. Dopo il riconoscimento dell’indipendenza delle autoproclamate Repubbliche nel Donbass, l’invasione dell’Ucraina e i bombardamenti su Kiev, la Russia viene tagliata fuori dallo sport internazionale, dal calcio alla Formula 1, fino al basket. Ma anche altri organizzatori potrebbero presto prendere la stessa decisione e cancellare gli eventi in programma sul suolo della Russia o riprogrammare le partite delle squadre russe nelle rispettive competizioni. “Come ministri degli Esteri dell’UE guardiamo con soddisfazione al fatto che non solo la politica, ma anche lo sport sta reagendo contro l’aggressione della Russia”, ha commentato Luigi Di Maio, al termine del Consiglio Affari Esteri convocato oggi a Bruxelles.
    Tutto è iniziato con l’annuncio di questa mattina da parte del Comitato Esecutivo UEFA della decisione di cancellare la finale di Champions League di calcio dalla Gazprom Arena di San Pietroburgo  – casa dello Zenith, squadra di calcio per cui tifa il presidente russo Vladimir Putin – e spostarla allo Stade de France di Saint-Denis (a Parigi), mantenendo la stessa data di sabato 28 maggio. La decisione è arrivata “in un momento di crisi senza precedenti a seguito della grave escalation della situazione della sicurezza in Europa”, in cui si rende necessario “garantire il soccorso ai giocatori di calcio e alle loro famiglie in Ucraina, che devono affrontare terribili sofferenze umane, distruzione e sfollamento”. L’UEFA ha stabilito anche che “i club e le squadre nazionali russe e ucraine dovranno giocare le loro partite in casa in luoghi neutrali fino a nuovo ordine”.
    Nel calcio il nome Gazprom – l’azienda energetica russa parzialmente controllata dallo Stato – è una costante e non a caso sta causando le polemiche maggiori. In attesa di conoscere la decisione dell’UEFA sul taglio dei rapporti con il suo maggiore sponsor per la Champions League, il club tedesco Schalke 04 ha già reso noto con un comunicato ufficiale di aver cancellato ogni riferimento alla sponsorizzazione russa dal suo kit di divise ufficiali: “Seguirà un confronto con Gazprom Germania, ma per il momento sulla divisa dei Königsblauen comparirà solo la scritta Schalke 04″. Ma anche per la FIFA ora si pone la questione. Il presidente Gianni Infantino si è detto “molto preoccupato per la situazione tragica” e dovrà prendere una decisione sugli spareggi per l’accesso ai Mondiali di Qatar 2022 (la Russia dovrebbe giocare in casa il 24 marzo contro la Polonia e, se vincerà, il 29 marzo contro Svezia o Repubblica Ceca). Proprio queste tre federazioni hanno inviato ieri una lettera congiunta per chiedere alla FIFA di spostare il luogo dello svolgimento delle partite. “Continueremo a monitorare la situazione comunicheremo a tempo debito la nostra decisione“, ha fatto sapere Infantino.
    Il pilota tedesco di F1, Sebastian Vettel, al GP di Ungheria (primo agosto 2021)
    Anche la Federazione Internazionale dell’Automobile (FIA) ha seguito a ruota l’esempio dell’UEFA e, dopo una discussione con le scuderie, i piloti e gli organizzatori del Circus della Formula 1 ieri sera, ha concluso oggi che “è impossibile tenere il Gran Premio di Russia nelle circostanze attuali“. La gara era prevista nel fine settimana tra il 23 e il 25 settembre, ma al momento disputare il Gran Premio nel circuito di Soči non sarebbe compatibile con “la visione positiva per unire le persone e riunire le nazioni” perseguita dalla Formula 1. Tutte le parti interessate guardano “con tristezza e shock” agli attuali sviluppi in Ucraina, nella speranza di “una risoluzione rapida e pacifica della situazione attuale”, si legge nel comunicato. Già nella giornata di ieri (giovedì 24 febbraio) il pilota tedesco della scuderia Aston Martin, Sebastian Vettel, aveva anticipato la decisione della Formula 1: “Sono scioccato e molto triste per quello che sta accadendo in Ucraina, per questo ho già deciso che non parteciperò al prossimo GP di Russia“.
    Ha deciso invece di obbligare le squadre russe a giocare in campo neutro l’Eurolega di basket, in una nota pubblicata nel pomeriggio: “Le partite programmate per essere giocate sul suolo russo saranno spostate in altre sedi, mentre le partite che coinvolgono squadre russe, ma programmate per essere giocare in altri Paesi, continueranno a svolgersi come da programma”. CSKA Mosca, Zenit San Pietroburgo e UNICS Kazan subiscono la volontà degli organizzatori della competizione dopo i boicottaggi degli ultimi giorni decisi dalle altre squadre europee (rinviate Bayern Monaco-CSKA, Baskonia-UNICS e Zenit-Barcellona), mentre la partita fra CSKA-Barcellona in programma domenica (27 febbraio) “è sospesa”, fa sapere l’Eurolega. La decisione è stata presa per “tutelare l’integrità della competizione e consentire alle squadre di continuare a difendere il proprio diritto a gareggiare in campo, isolando lo sport da qualsiasi azione politica”. Anche se viene messo in chiaro che “è nostra responsabilità proteggere l’integrità di giocatori, allenatori, tifosi e staff” e che “qualsiasi tipo di violenza non è né tollerata né accettata come mezzo per difendere l’opinione o la posizione di nessuno”.
    Si accendono però i riflettori anche sulla Federazione internazionale di volley (FIVB): dal 26 agosto all’11 settembre sarebbe in calendario il mondiale di pallavolo maschile e ora dovrà essere deciso se seguire (con tutta probabilità) l’esempio di UEFA, Formula 1 ed Eurolega. Intanto, dal mondo del tennis, merita una menzione speciale il gesto del tennista russo Andrej Rublëv, che dopo la vittoria di oggi sul polacco Hubert Hurkacz agli ATP di Dubai ha firmato la telecamera scrivendo “No war please”. Anche dagli sportivi russi arrivano messaggi chiari contro le azioni belliche intraprese dal presidente Putin.

    La scritta di Andrey #Rublev sulla telecamera
    “No war please”#DDFTennis pic.twitter.com/blPgVTDuuB
    — Luca Fiorino (@FiorinoLuca) February 25, 2022

    Gli organizzatori dei maggiori eventi sportivi internazionali prendono posizione sullo scoppio della guerra in Europa e le responsabilità di Mosca. Spostata la finale di Champions League a Parigi, cancellato il Gran Premio di Soči e squadre di russe di basket in campo neutro

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    La strada dell’allargamento UE all’Ucraina e l’impossibile obiettivo dell’adesione entro il 2030

    Bruxelles – Quasi come reazione uguale e contraria (ma senza la violenza delle armi) all’invasione dell’Ucraina da parte delle forze militari russe, sul tavolo dei leader UE si pone un nuovo tema in agenda: la possibilità di allargare l’Unione Europea e accogliere Kiev come 28esimo Paese membro. Siamo ai limiti della fantapolitica, ma due dei Ventisette (Slovenia e Polonia) hanno proposto al Consiglio UE l’adesione dell’Ucraina e hanno indicato anche una data precisa entro cui questo processo dovrebbe completarsi: “Non parliamo di decenni, ma entro il 2030“, ha dichiarato il primo ministro sloveno, Janez Janša, entrando al Consiglio Europeo straordinario di questa sera (giovedì 24 febbraio) a Bruxelles.
    La richiesta è stata presentata al presidente del Consiglio UE, Charles Michel, attraverso una lettera inviata ieri sera (mercoledì 23 febbraio), che faceva riferimento alla necessità di “valutare strategicamente la questione e prendere decisioni politiche coraggiose”. Questa sera, però, il premier sloveno ha offerto più dettagli: “Dobbiamo dare all’Ucraina una reale prospettiva di adesione UE e lo stesso approccio deve essere utilizzato con Moldavia, Georgia e Balcani Occidentali“. La motivazione è legata al futuro sviluppo di queste regioni e della sicurezza dell’Unione stessa, dal momento in cui “la storia recente ci dimostra che se lo spazio di libertà, democrazia e Stato diritto non si allarga, qualcuno lo occupa”. Lo stesso approccio “è condiviso da molti colleghi, nei Paesi baltici e in quelli dell’Est”, ha assicurato Janša. In altre parole, soprattutto tra chi teme le minacce russe alle proprie frontiere.
    Nelle conclusioni dei Ventisette alla fine è comparso solo un generico “sostegno alla scelta e alle aspirazioni europee di Kiev”, ma può essere utile fare un punto sui margini di fattibilità della proposta. Il primo passo per l’inizio di un ipotetico processo di adesione UE di Kiev deve passare da una proposta formale del Paese extra-UE che aspira alla candidatura (l’Ucraina, in questo caso). Si articolano poi una serie di passaggi. Dopo il superamento dell’esame dei criteri di Copenaghen, ovvero le basilari condizioni democratiche, economiche e politiche (istituzioni stabili, Stato di diritto, rispetto dei diritti umani, economia di mercato, capacità di mantenere l’impegno), si arriva alla firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione, un accordo bilaterale tra UE e Paese richiedente. A quel punto si può presentare la vera e propria domanda di adesione all’Unione e, una volta accettata, viene conferito lo status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio UE di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Ventisette si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine, si arriva alla firma del Trattato di adesione.
    Il processo è particolarmente lungo e impegnativo, a prescindere dal Paese che presenta la proposta di adesione. Giusto per capire di quali tempistiche si parla, basta solo ricordare a che punto sono le trattative dei sei Paesi che sono attualmente in lizza per aderire all’UE: Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia. Tutti hanno firmato l’Accordo di stabilizzazione e associazione: l’ultimo è stato il Kosovo sei anni fa (2016), ma si va indietro fino al 2001 per la Macedonia del Nord, passando da Serbia e Bosnia (2008), Montenegro (2007) e Albania (2006). Anche se si considera solo la situazione una volta ottenuto lo status di Paese candidato, non va molto meglio: Tirana è bloccata dal 2014, Skopje dal 2005, mentre Serbia e Montenegro stanno portando avanti i successivi negoziati di adesione rispettivamente da otto e dieci anni. Insomma, la prospettiva del 2030 per l’Ucraina – un Paese che non ha nemmeno avanzato una proposta formale all’UE – sembra quantomeno improbabile.
    Aldilà delle tempistiche, c’è anche una questione di contesto. Per scelte politiche di Bruxelles, l’Ucraina finora non è mai entrata nel novero dei Paesi potenzialmente candidati all’adesione UE. È vero che i legami tra Kiev e Bruxelles sono stretti: insieme a Moldavia, Georgia, Armenia, Azerbaijan e Bielorussia (anche se nel giugno del 2021 quest’ultima ha sospeso l’adesione), l’Ucraina è inclusa dal 2009 nel Partenariato orientale, il programma di integrazione tra Bruxelles e i Paesi di quest’area geopolitica, e dal 2018 è in vigore un Accordo di associazione politica ed economica con l’Unione Europea. Tuttavia, nessuna delle due intese ha come obiettivo o come clausola l’adesione dell’Ucraina all’UE.
    C’è comunque da riconoscere che uno dei fattori che ha scatenato la crisi quasi decennale tra Russia e Ucraina è proprio la prospettiva UE di Kiev. Nella notte tra il 21 e il 22 novembre 2013 si verificarono nella capitale ucraina una serie di proteste violente a causa della decisione del governo di sospendere il processo di ratifica dell’Accordo di associazione. Quelle proteste portarono alla sollevazione di Piazza Maidan l’anno seguente, con la messa in stato di accusa e la destituzione dell’ex-presidente Viktor Janukovyč. A seguito di quegli eventi scoppiò la crisi in Crimea, con il primo intervento armato di Mosca su territorio ucraino a sostegno dei separatisti filo-russi. Era il febbraio 2014 e di lì a poco sarebbe scoppiata anche la guerra civile in Donbass che, dopo otto anni, vive il suo momento più acuto. Ora è tutta l’Ucraina sotto l’attacco di una potenza straniera e la strada dell’adesione all’UE è tutta in salita.

    Slovenia e Polonia hanno proposto al Consiglio Europeo di offrire a Kiev la prospettiva di adesione all’Unione entro la fine del decennio, insieme a Moldavia, Georgia e Balcani Occidentali. Ma tempistiche e contesto frenano le ambizioni

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    La Russia invade l’Ucraina, esplosioni anche a Kiev: “Se l’Occidente interferisce, conseguenze mai viste prima”

    Bruxelles – Come temuto, l’esercito russo nella notte tra mercoledì e giovedì ha iniziato l’invasione di ampie zone dell’Ucraina, avvicinandosi anche alla capitale Kiev. L’uomo forte di Mosca, Vladimir Putin, non si è fatto spaventare dalle minacce di sanzioni dall’Occidente e ha dato il via libera all’occupazione. Si punta all’annientamento delle infrastrutture militari ucraine, con un attacco dal Mar d’Azov, la Crimea, il Donbass e incursioni anche dalla Bielorussia.
    Potenti esplosioni e sirene antiaeree risuonano in diverse città – da Odessa a Mariupol, fino a Kharvik e la stessa capitale Kiev – con il governo ucraino che afferma che è in corso una “invasione su vasta scala”. In un discorso alla nazione, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha dichiarato la legge marziale in tutto il Paese: “Non facciamoci prendere dal panico, vinceremo”. Secondo quanto riferiscono le autorità ucraine, l’invasione russa sarebbe avvenuta da nord, est e anche da sud, e iniziano ad arrivare le prime conferme di morti e feriti: il ministero degli Interni ha riferito di 6 soldati ucraini deceduti e almeno 19 dispersi dopo un bombardamento aereo nei pressi di Odessa (a sud), ma diverse fonti della CNN parlano di centinaia di morti.
    Mentre le Borse crollano, Putin non teme le sanzioni e, anzi, si sente nella posizione di poter minacciare un Occidente che reagisce debolmente, intimando ai Paesi stranieri di evitare interferenze, altrimenti, “ci saranno conseguenze mai viste prima”. La minaccia di Putin parte da lontano: “Gli Stati Uniti hanno superato la linea rossa della Russia con l’espansione della NATO” e con l’operazione militare russa vuole “smilitarizzare e de-nazificare” l’Ucraina. Di fatto si tratta di una dichiarazione di guerra, anche se Putin ha ribadito in conferenza stampa che “lo scopo è proteggere il Donbass“, ovvero il territorio dove lunedì ha riconosciuto le autoproclamate Repubbliche di Donetsk e Luhansk. Facendo appello ai soldati ucraini a “deporre le armi e tornare a casa”, Putin ha voluto assicurare che l’obiettivo “non è l’occupazione dell’Ucraina, ma la demilitarizzazione del Paese”. Anche se a questo punto è difficile credere alle parole – o meglio, la propaganda – del Cremlino.
    Gli attacchi e bombardamenti russi in Ucraina a partire dalla notte tra mercoledì 23 e giovedì 24 febbraio (fonte: New York Times)
    “Condanniamo nel modo più forte possibile l’aggressione militare senza precedenti della Russia contro l’Ucraina. Con le sue azioni militari non provocate e ingiustificate, la Russia sta violando gravemente il diritto internazionale e sta minando la sicurezza e la stabilità europea e mondiale“, si legge nel duro comunicato congiunto firmato dai presidenti del Consiglio, Charles Michel, e della Commissione UE, Ursula von der Leyen. “Deploriamo la perdita di vite umane e la sofferenza umana”, aggiungono i due leader, intimando a Putin di “cessare immediatamente le ostilità, ritirare i suoi militari dall’Ucraina”. Se non fosse stato chiaro nei giorni immediatamente precedenti all’invasione “l’UE è fermamente al fianco dell’Ucraina e del suo popolo nell’affrontare questa crisi senza precedenti”.
    “L’obiettivo della Russia non è solo il Donbass, non solo l’Ucraina, l’obiettivo è la stabilità in Europa e l’intero ordine internazionale basato su regole. Per questo, riterremo responsabile la Russia”, accusa von der Leyen scendendo questa mattina in conferenza stampa per annunciare il nuovo pacchetto di sanzioni “massicce e mirate” verso Mosca che dovranno essere approvate dai leader europei il vertice straordinario dei leader UE a Bruxelles, in cui, a questo punto, si aggiunge anche il tema dell’invasione russa dell’Ucraina: “Delineeremo un ulteriore pacchetto di sanzioni  in stretto coordinamento con i partner, il Consiglio le adotterà rapidamente”.
    Con questo nuovo pacchetto, l’UE punterà a settori strategici “dell’economia russa bloccando il loro accesso a tecnologie e mercati chiave“, ha annunciato la presidente. “Cercheremo di bloccare la capacità di ammodernamento della Russia e congeleremo i vari asset della Russia nell’Unione banche europea e chiuderemo l’accesso alle europee e ai mercati finanziari dell’UE da parte della Russia”. Come con il primo pacchetto di sanzioni, “siamo strettamente allineati con partner e alleati”, ha precisato in riferimento agli Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Giappone e Australia. “Queste sanzioni sono progettate per incidere pesantemente sugli interessi del Cremlino e sulla loro capacità di finanziare la guerra”. Al fianco di von der Leyen anche l’alto rappresentante UE per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, che ha definito le sanzioni in arrivo  “il più duro pacchetto” mai proposto contro la Russia, che però ha la colpa di aver fatto ripiombare l’Europa “nell’ora più buia” dalla fine della seconda guerra mondiale.

    Russian forces invaded Ukraine, a free and sovereign country.
    We condemn this barbaric attack, and the cynical arguments used to justify it.
    Later today we will present a package of massive, targeted sanctions.https://t.co/AHtTVEvHgV
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) February 24, 2022

    (Articolo in continuo aggiornamento)

    Nella notte è iniziata l’operazione militare della Russia in Ucraina: esplosioni in varie città, anche a Kiev, e si contano già centinaia di morti. Condanna dell’UE: “Aggressione militare senza precedenti, nuovo pacchetto massiccio e mirato di sanzioni in arrivo” per colpire aree strategiche dell’economia russa