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    Kallas attacca Pechino: “Cina fattore chiave nella guerra russa contro l’Ucraina”

    Bruxelles – Scalzata dagli Stati Uniti nella gestioni delle crisi internazionali, raggirata dalla Cina nonostante impegni mai davvero sottoscritti. La guerra russo-ucraina e la crisi che ne scaturisce può tramutarsi in un fallimento politico completo. Dopo colloqui e proposte di pace gestite da Washington e Mosca senza il coinvolgimento europeo, ora anche l’ammissione di un ruolo giocato da Pechino, nonostante gli inviti a non averne. “La Cina è un fattore chiave nella guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina“, riconosce l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Kaja Kallas. Risponde a un’interrogazione parlamentare voluta proprio per capire che ruolo sta svolgendo la Repubblica popolare e come l’Europa stia agendo. E’ qui che Kallas va all’attacco di Xi Jinping e il suo governo. “Senza il sostegno della Cina, la Russia non sarebbe in grado di continuare la sua aggressione militare con la stessa forza“, afferma. Accuse dirette e serie, ma fondate. Perché, continua l’Alto rappresentante, “la Cina è il più grande fornitore di beni a duplice uso [civile-militare] e di articoli sensibili che sostengono la base industriale militare della Russia e che si trovano sul campo di battaglia in Ucraina”. L’industria cinese produce, l’armata russa utilizza: lo schema messo a punto tra Mosca e Pechino si riassume dunque così. A Bruxelles sono consapevoli che tutto ciò che viene prodotto tra Repubblica popolare e Hong Kong, è poi utilizzato “in diversi tipi di equipaggiamento militare”. L’Unione europea sa perfettamente dell’alleanza venutasi a creare a oriente, e già con il tredicesimo pacchetto di sanzioni aziende cinesi sono state oggetto di misure restrittive. Ora però il vaso è colmo.Il freddo riavvicinamento tra Ue e Cina. Von der Leyen: “Rapporto complesso che dobbiamo far funzionare”“Il sostegno della Cina ha un costo”, sottolinea Kallas. La condotta del governo cinese “influisce negativamente sulle relazioni Ue-Cina”, che comunque proseguono, non sono interrotte. Al netto di accuse e minacce velate non è chiaro come si potrà procedere nei confronti di un partner sempre più scomodo e in aperta contraddizione con la risposta prodotta dall’Ue nel conflitto in corso su suolo ucraino. La ‘questione cinese’ del conflitto russo-ucraino potrebbe finire al centro del vertice informale di Parigi, organizzato e ospitato oggi (17 febbraio) dal presidente francese, Emmanuel Macron, proprio per discutere di Ucraina e di strategie europee in merito. Presidenti i capi di Stato e di governo di Germania, Regno Unito, Italia, Polonia, Spagna, Paesi Bassi e Danimarca (la prima ministra danese rappresenterà il gruppo dei Paesi scandinavi e baltici), oltre alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, e il segretario generale della Nato, l’olandese Marc Rutte.

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    L’industria della difesa europea agli Stati: “Basta contratti di appalto a fornitori di Paesi terzi”

    Bruxelles – Ora più che mai pensare ‘europeo’. Quando si parla di sicurezza e difesa l’Unione europea deve saper tenere fede ad ambizioni e agende. Alla vigilia della conferenza internazionale sulla sicurezza di Monaco, l’industria del settore vuole suggerire all’Europa degli Stati come provvedere davvero alla sicurezza europea. Asd Europe, l’insieme dei produttori europei, pone l’accento sulla necessità di cambiare logiche che non fanno il bene della sicurezza europea. “Molti contratti di appalto europei vengono assegnati a fornitori di paesi terzi“, sottolinea l’associazione, per la quale “questa tendenza deve essere invertita“. Le relazioni esterne dell’Ue e dei suoi Stati membri rischiano di diventare un fattore contrario alla crescita dell’industria delle difesa. Per rispondere ai dazi annunciati dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, nelle istituzioni Ue inizia a prendere corpo l’idea di acquistare di più in America proprio in difesa, quale modo per superare le barriere commerciali e ristabilire il quieto vivere con il partner d’oltre Atlantico. Un modo di fare in contraddizione con il rapporto Draghi – che Eunews ha integralmente tradotto in italiano – e l’agenda europea volta al rilancio di un settore strategico per la sicurezza.“Dobbiamo spendere di più, e di più in Europa“, ribadisce Asd Europe, che sulla dipendenza economica di soggetti extra-Ue nell’industria delle difesa ha già messo in guardia pubblicamente nei mesi scorsi: “Una solida base industriale europea è essenziale per la preparazione alla difesa europea: è una capacità di difesa in sé“. Rimanere nel solco del ‘made in Eu’ è dunque la via da seguire e da non abbandonare. “La preferenza europea è un imperativo strategico”, e se l’Ue vuole svolgere un ruolo di peso sullo scacchiere internazionale “deve rafforzare la propria capacità produttiva” anziché affidarsi a fonti esterne.Da qui l’industria europea della difesa rivolge suggerimenti utili alla politica. Innanzitutto fare sempre in modo che “ove possibile, le soluzioni di difesa europee dovrebbero avere la priorità“. Laddove non esiste una soluzione di capacità europea, l’attenzione dovrebbe essere rivolta a sviluppare una. Infine, bisognerebbe fare sempre in modo che se proprio non esiste davvero una soluzione Ue praticabile, gli appalti non europei dovrebbero evitare di ostacolare uno sviluppo Ue.

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    Reuten (S&D): “Ucraina nell’Ue divisa come Cipro uno scenario che non mi piace”

    dall’inviato a Strasburgo – Non c’è nulla di definito, si rincorrono rumors e speculazioni, e certamente l’Ue è al fianco di Kiev in modo fermo, eppur tuttavia “non posso negare un scenario di un’Ucraina con cessione di territorio” all’interno dell’Unione europea. “In fin dei conti abbiamo l’esempio di Cipro…”. Thijs Reuten, europarlamentare olandese del gruppo socialista (S&D) membro della commissione Affari esteri, inizia a non escludere nulla per il futuro di un conflitto russo-ucraino, soprattutto alla luce delle intenzioni del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di una fine delle ostilità in tempi rapidi.A un ristretto numero di giornalisti, tra cui Eunews, Reuten ribadisce che un’Ucraina con confini diversi da quelli internazionalmente riconosciuti e quindi con perdita territoriale “non mi piacerebbe” così come non piacerebbe a molti, nell’Unione europea. Certo, aggiunge, “se il governo ucraino dovesse accettare un ridefinizione dei confini allora sarebbe diverso, ma non possiamo lasciare che a decidere siano la Casa Bianca o il Cremlino”. Però, per l’appunto si parla di scenari, “e non voglia fare speculazioni”.Per Reuten resta ferma la linea fin qui espressa a più riprese: a fianco dell’Ucraina in modo deciso, senza tentennamenti, e in modo da mettere l’Ucraina in una posizione di forza negoziale quando arriverà il momento di intavolare trattative.  Per questo l’invito è di “prestare poca attenzione a quello che si sente dalla Casa Bianca ma concentrarsi su quello che si deve fare come Unione europea”.Se ci sono lezioni da apprendere alla luce di quanto avvenuto in questi anni di guerra, continua l’europarlamentare socialista, è che “dal punto di vista militare è stato consegnato poco e in ritardo”, come visto con le promesse sulla fornitura di un milione di munizioni. Inoltre, lamenta ancora Reuten, come Unione europea “siamo stati troppo esitanti”.Da qui in avanti bisogna fare meglio e prima, e interrogarsi per bene sull’Ucraina. “Sono impressionato da quanti progressi siano stati raggiunti nonostante la guerra in corso”, riconosce Reuten parlando del processo di adesione di Kiev all’Ue. L’Ucraina “ha fatto più di quello che hanno fatto Serbia e Bosnia-Erzegovina negli ultimi dieci anni”. Un modo per dire che la promessa europea per Kiev si può mantenere. Anche con un’Ucraina in stile Cipro.

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    Misure di ritorsione e negoziati con l’India, l’Ue si compatta contro i dazi di Trump

    dall’inviato a Strasburgo – Reagire con misure di ritorsione, e concludere nuovi accordi commerciali, a cominciare con l’India. La risposta dell’Ue alla decisione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di imporre dazi del 25 per cento all’acciaio e all’alluminio si produce nel dibattito d’Aula del Parlamento europeo, dove i principali gruppi si compattano, si crea una vera ‘maggioranza Ursula’ come mai prima dal post voto del 6-9 giugno. E’ la prova dell’emiciclo che sancisce un compattamento a dodici stelle contro le mosse di Washington, perché le reazioni preliminari non convincono.“Mi rammarico profondamente della decisione degli Stati Uniti di imporre dazi sulle esportazioni europee di acciaio e alluminio”, la reazione ufficiale della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, a pochi minuti della riunione d’Aula. Von der Leyen, non presente a Strasburgo per impegni istituzionali, promette che “i dazi ingiustificati sull’Ue non rimarranno senza risposta”, e annuncia “contromisure ferme e proporzionate”. Però dai banchi de laSinistra Rudi Kennes attacca: “Mi rammarico? E’ ridicolo. Trump ride di questo”. La collega e co-presidente del gruppo, Manon Aubry, rincara la dose: “La reazione dell’Ue è nulla. Continuiamo a essere il cagnolino degli Stati Uniti anche quando colpiscono i diritti della comunità Lgtbqi e attaccano gli interessi dell’Europa. Quante provocazioni ancora dovremo subire perché i leader si sveglino?“.Il commissario per il Commercio, Maros Sefcovic, prova a calmare un’Aula che chiede e pretende interventi. “L’Ue non vede alcuna giustificazione per questa decisione, e risponderemo in modo proporzionato e per difendere i nostri interessi”, assicura agli europarlamentari. Ammette che una guerra commerciale a colpi di dazi “non il nostro scenario preferito”, ma si andrà avanti con decisione. Comunque, precisa Sefcovic, “restiamo aperti a negoziare“. Contro le politiche di Trump e di quanti volessero seguirne l’esempio la risposta è più commercio, sottolinea ancora il commissario Ue. Ricorda e rivendica la chiusura degli accordi con i Paesi del Mercosur e l’aggiornamento dell’accordo con il Messico voluto proprio come scudo anti-Trump. Alla luce di quanto accaduto Sefcovic anticipa l’intenzione di accelerare con India, Filippine e Thailandia.Il commissario per il Commercio, Maros Sefcovic [Strasburgo, 11 febbraio 2025]Parole e strategia valgono a Sefcovic il sostegno dei popolari (Ppe). “Serve il Mercosur, e serve continuare con India e Indonesia”, sottoscrive Jorgen Warborn. Ma soprattutto occorre una risposta ferma e decisa, e perché “la frammentazione ci indebolisce”. Per la Commissione arriva però il suggerimento di “rispondere nel rispetto dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), altrimenti si creano ancora più incertezze”. Anche tra le fila dei liberali (Renew Europe) si invita a procedere con i negoziati con Nuova Delhi. “Più commercio è la risposta” ai dazi di Trump, sostiene Svenja Hahn, “e l’India è la risposta migliore” in tal senso.Socialisti (S&D), liberali (Re) e Verdi si uniscono nella richiesta di fermezza e contro-tariffe, come il Ppe. “Vogliamo che la Commissione europea risponda con misure di ritorsione“, taglia corto la socialista Kathleen Van Brempt. “Non si ferma un bullo dandogli ciò che vuole, perché altrimenti chiederà sempre di più”. Anche l’eurodeputato del Pd, Stefano Bonaccini, ritiene che “di fronte alla minaccia dell’arma protezionistica dovremo rispondere insieme, senza esitazioni”.Analoga la linea di Renew Europe, come spiegato da Karin Karlsbro: “Con gli Stati Uniti siamo pronti a rispondere”, per far capire che “Trump è stato eletto presidente degli Stati Uniti, non del mondo”. Niente tentennamenti, aggiunge la liberale Marie-Pierre Vedrenne: “Dobbiamo rispondere duramente”. Anche Anna Cavazzini, dei Verdi, esorta l’esecutivo comunitario a reagire: “L’Unione europea non può farsi ricattare”.Più timido il co-presidente del gruppo dei Conservatori e riformisti europei (Ecr) all’Eurocamera, Nicola Procaccini: “L’unico modo per affrontare questa nuova sfida è avere un approccio equo“, sostiene. Il che vuol dire che come Unione europea “dobbiamo essere pronti, non ci piacciono i dazi, ma sappiamo che fanno parte del commercio internazionale. Lo erano ieri, lo sono ora e lo saranno in futuro”.Sulla questione si esprime anche il presidente di Eurofer Henrik Adam, secondo il quale “l’ordine esecutivo  che impone una tariffa generale del 25 per cento su tutte le importazioni di acciaio è una radicale escalation della guerra commerciale lanciata sotto la sua prima amministrazione. Esso – rileva Adam – peggiorerà ulteriormente la situazione dell’industria siderurgica europea, esacerbando un contesto di mercato già in terribile difficoltà”.Il presidente Jeo Biden aveva ammorbidito le sanzioni imposte nella prima amministrazione Trump, ma, nonostante questo, afferma il presidente di Eurofer, “le importazioni di acciaio dell’UE negli Stati Uniti sono diminuite di oltre 1 milione di tonnellate all’anno”, e secondo i suoi calcoli se i dazi dovessero essere introdotti nella misura annunciata “l’Ue potrebbe perdere fino a 3,7 milioni di tonnellate di esportazioni di acciaio verso gli Stati Uniti, il secondo mercato di esportazione per i produttori di acciaio dell’Unione, che rappresenta il16 per cento delle esportazioni totali di acciaio dell’Ue nel 2024”. Secondo Adam, inoltre, “la perdita di una parte significativa di queste esportazioni non può essere compensata dalle esportazioni verso altri mercati”.

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    L’Ue attende Trump sui dazi: “Finora solo dichiarazioni, risponderemo a notifiche ufficiali”

    Bruxelles – L’Unione europea attende gli Stati Uniti e il suo presidente, Donald Trump. Sui dazi minacciati contro beni Ue, l’esecutivo comunitario sceglie la linea del silenzio. “Non risponderemo ad annunci generici privi di dettagli o chiarimenti scritti“, spiega il comunicato ufficiale diramato a Bruxelles, dove si fa presente che “in questa fase non abbiamo ricevuto alcuna notifica ufficiale in merito all’imposizione di tariffe aggiuntive sui beni dell’Ue“, e che questo fa dunque fede. Si risponderà se e quando arriverà il momento, in sostanza. Lo spiega chiaramente Olof Gill, portavoce dell’esecutivo comunitario responsabile per il Commercio: “Stiamo ancora parlando di minacce, non c’è niente di concreto, nessun dazio è stato ancora imposto”. Per questa ragione la linea dell’esecutivo comunitario è di evitare di concentrarsi su un tema ammantato da troppi punti interrogativi. Certamente, riconosce Gill, eventuali tariffe “metterebbero in discussione relazioni tra partner” di lungo corso. Fermo restando, aggiunge, che con dazi ai prodotti Ue “gli Stati Uniti tasserebbero i propri cittadini, aumentando i costi per le imprese e alimentando l’inflazione”.Olof Gill, portavoce della Commissione europea responsabile per questioni di commercio [Bruxelles, 10 febbraio 2025]In ogni caso, ribadisce la Commissione europea, “reagiremo per proteggere gli interessi delle aziende, dei lavoratori e dei consumatori europei da misure ingiustificate”. In tal senso il team von der Leyen sottolinea che alla luce degli annunci privi di documenti di accompagnamento e così come raccontati tramite dichiarazioni pubbliche, “l’Ue non vede alcuna giustificazione per l’imposizione di tariffe sulle sue esportazioni“, anche perché la bilancia commerciale non è così sbilanciata come sostiene la Casa Bianca.Secondo la Commissione europea l’Ue ha un surplus commerciale di 154 miliardi di euro in beni con gli Stati Uniti, mentre gli Stati Uniti mantengono un surplus di 104 miliardi di euro in servizi con l’Ue, con un conseguente surplus commerciale complessivo dell’Ue del tre percento su un flusso commerciale totale di 1,5 trilioni di euro. Nel 2023, gli Usa erano il principale partner per le esportazioni di beni dell’Ue e il secondo partner per le importazioni di beni dell’Ue.

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    Georgia, nuovo richiamo Ue: “Ulteriore allontanamento da democrazia ed Europa”

    Bruxelles – Unione europea e Georgia sempre più distanti e sempre più ai ferri corti. “Stiamo assistendo a ulteriori passi di allontanamento delle autorità georgiane dagli standard democratici” e di conseguenza dall’Ue, la denuncia dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Kaja Kallas, in risposta agli ultimi sviluppi nel Paese caucasico a cui è stato congelato il processo di adesione proprio per effetto del deterioramento della situazione.“L’adozione affrettata di emendamenti al Codice sui reati amministrativi, al Codice penale e alla Legge sulle assemblee e le manifestazioni avrà effetti di vasta portata sulla società georgiana”, lamenta ancora Kallas. Questi interventi legislativi “comprometteranno in modo significativo i diritti alla libertà di espressione, alla libertà di riunione e alla libertà dei media”. Da qui la richiesta ufficiale al governo di Tblisi di “sospendere queste misure, ad astenersi da ulteriori tensioni e ad attendere il parere dell’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani dell’Osce (Odihr)“.L’Alto rappresentante lo ribadisce un volta di più: così facendo la Georgia si gioca le sue chance di adesione all’Unione europea. “Questi sviluppi segnano una grave battuta d’arresto per lo sviluppo democratico della Georgia e non sono all’altezza delle aspettative di un paese candidato all’Ue“, continua Kallas, che esorta anche a “rilasciare tutti i giornalisti, gli attivisti e i detenuti politici detenuti ingiustamente”. Tra questi anche Mzia Amaglobeli, considerato a Bruxelles “un altro esempio del modo in cui le autorità trattano i giornalisti e chiunque parli liberamente”. Dall’Ue un nuovo invito anche ad “un dialogo con tutte le forze politiche e i rappresentanti della società civile”. Le pressioni dell’Unione europea sulla Georgia continueranno. L’Aula del Parlamento europeo ha in calendario (giovedì 13 febbraio) il voto della risoluzione di condanna per la repressione delle manifestazioni anti-governative e le voci critiche nei confronti dell’attuale leadership georgiana. Un testo non vincolante, ma che serve a mantenere pressioni e distanze con un partner che non c’è più.

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    Dazi, clima, diritto internazionale: Trump detta l’agenda del Parlamento europeo

    Bruxelles – Commercio, innovazione e competitività, salute. Praticamente Donald Trump in tutte le sue declinazioni più una, l’ultima: l’attacco del presidente degli Stati Uniti alla Corte penale internazionale. L’inquilino della Casa Bianca irrompe nei lavori di un Parlamento europeo che finisce col disegnare la propria agenda attorno a quella di Trump, oggetto di tre diversi dibattiti d’Aula. La sessione plenaria prevede la questione dazi (martedì 11 febbraio alle 9), restrizione all’export di chip verso l’Ue (martedì 11 febbraio alle 18), ritiro dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e dall’accordo sul clima (mercoledì 12 febbraio alle 16): il Parlamento europeo ruota attorno alle dichiarazioni e alle minacce del presidente Usa.C’è chiaramente la questione dazi a tenere banco, con il diffuso timore, tra i diversi gruppi, che si possa innescare una guerra commerciale che non gioverebbe a nessuno. L’approccio generale e condiviso tra le diverse anime dell’Aula, è quello di cercare di evitare quanto più possibile di arrivare ad avere sovra-costi statunitensi ai beni europei, ma di essere pronti a rispondere. I socialisti vorrebbero in particolare che la Commissione europea mettesse a punto già delle contromisure, così da avere una risposta “tempestiva e decisa” in caso di scenario peggiore.Per Popolari (Ppe) e conservatori (Ecr) la priorità resta la cooperazione per quello che si continua a considerare un partner strategico e di lungo corso. “Su Trump attendiamo, sappiamo che è un grande mediatore”, confida Denis Nesci (Fdi/Ecr), che conferma come “siamo in fase di dibattito”, e quindi “dobbiamo essere pronti a quello che può succedere ma attendere”. I Verdi vorrebbero una risposta unita e non procedere in ordine sparso, come spiega Ignazio Marino (Europa Verde/Verdi): “Su Trump purtroppo l’Europa si sta dimostrando debole e divisa”, e quindi “il bullo prevale”.Ma è il dibattito del 12 febbraio – senza risoluzioni – che rischia di infiammarsi ancora di più, perché alle questioni Oms e la seconda uscita dagli accordi di Parigi sul clima si aggiungono le minacce di sanzioni alla Corte penale internazionale. Uscite, queste ultime, che infiammano già il dibattito che verrà. “Trump sta invitando alla pulizia etnica a Gaza, e ora attacca la Corte penale internazionale, con Ursula von der Leyen che non fa niente“, le critiche che piovono da laSinistra nei confronti della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. “La Corte penale internazionale è un luogo quasi sacro che deve essere tutelato”, tuona Valentina Palmisano (M5S), convinta delle necessità della “protezione del diritto internazionale anche alla luce delle ultime dichiarazioni di Trump”Mentre la portavoce del gruppo dei socialisti fa notare come nonostante un’agenda dalla forte connotazione di politica estera (si parla anche del terzo anno di guerra russo-ucraina, disordini e proteste in Serbia, deterioramento della situazione in Georgia), critica l’assenza dell’Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza dell’Ue, Kaja Kallas. “Sarebbe stato bello averla in Aula”, commemta.Infine le restrizioni degli Stati Uniti alle esportazioni di chip utili alla doppia transizione. Il nuovo regime voluto da Trump avrà ripercussioni per 17 Stati membri su 27 (Austria, Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Grecia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Ungheria), e questo rende il dibattito necessario per organizzare una risposta.  Neppure in questo caso sono previste risoluzioni. Si vuole censurare Trump, senza censurare Trump. Che impone la sua agenda nell’agenda del Parlamento europeo

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    “Gaza parte essenziale del futuro stato palestinese”. L’Ue, alla fine, risponde a Trump

    Bruxelles – “Gaza è una parte essenziale di un futuro stato palestinese“. Alla fine la Commissione europea si esprime pubblicamente. E’ Anouar El Anouni, portavoce della Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, a chiarire la linea e rispondere alle provocazioni del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, deciso a calpestare decenni di faticosi processi di una pace in Medio Oriente che l’Ue vuole. “L’Ue sostiene pienamente la soluzione dei due stati, che riteniamo sia l’unico modo per raggiungere una pace sostenibile sia per gli israeliani che per i palestinesi”, aggiunge il portavoce di Kaja Kallas.La risposta però è tardiva. La Commissione europea impiega qualcosa come 36 ore per commentare le uscite di Trump. Alle parole riecheggiate in Europa nella mattina di mercoledì, 5 febbraio, la prima replica ufficiale e pubblica è affidata a un portavoce poco dopo le 12 del giorno dopo, giovedì 6 febbraio. Una ‘calma’ che offre la riprova dell’incapacità ad agire sui grandi temi e tradendo una volta di più le aspirazioni geopolitiche morte e sepolte comunque da anni.Anouar El Anouni, portavoce dell’Alta rappresentante Ue [Bruxelles, 6 febbraio 2025]Nel frenetico attivismo delle alte sfere Ue, sempre pronte a commentare qualunque cosa e sempre smaniose di apparire, comparire e presenziare, sui mezzi d’informazione e ancor più sui social, si nota l’assenza di commenti da parte della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, come dell’Alta rappresentante Kaja Kallas, incapaci anche di esprimersi sulla volontà dichiarata di Trump di spostare la popolazione di Gaza.La questione è grossa. In Parlamento europeo non mancano malumori tra le file dei gruppi che hanno stretto alleanza con il Ppe. Si vede in von der Leyen e nella sua Commissione “assenza di leadership”. Così riferiscono fonti parlamentari. Prima della ‘questione Gaza’ si imputava all’esecutivo comunitario la mancata reazione all’imperversare di Elon Musk e le sue ingerenze nelle questioni dell’Unione europea tramite il suo social X. Adesso si aggiunge una reazione tardiva sulla questione arabo-israeliana, con la Commissione che, parole del portavoce El Anouni, “prende nota delle dichiarazioni del presidente Trump”. Non proprio una figura delle migliori per chi vorrebbe un ruolo di peso nel mondo e una politica estera europea.