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    Per la prima volta in quasi due anni, l’Eurocamera voterà una risoluzione sul massacro a Gaza

    Bruxelles – Per la prima volta in oltre 22 mesi, il Parlamento europeo ha calendarizzato per la prossima plenaria una risoluzione su Gaza, dopo quasi due anni in cui sul tema, a Strasburgo, si sono tenuti solo dibattiti senza voto. I gruppi della maggioranza centrista stanno lavorando per definire il testo, che potrebbe ottenere il supporto di altre forze progressiste (pur coi distinguo del caso). Il voto seguirà un dibattito con l’Alta rappresentante Kaja Kallas sulla situazione nella Striscia e il ruolo dell’Ue.Non suona particolarmente rivoluzionaria, ma la notizia segna comunque una novità: dopo aver discusso il tema per oltre 22 mesi con accesi dibattiti nell’emiciclo, l’Eurocamera voterà finalmente la sua prima risoluzione sulla mattanza in corso a Gaza. Un cambio di passo politico che arriva con grande ritardo, e che finora era stato bloccato dalle differenze di vedute dei principali gruppi politici dell’Aula.Ma stavolta sembra essersi registrata una convergenza tra i tre pilastri della maggioranza europeista. Socialisti (S&D), Popolari (Ppe) e liberali (Renew) si sono messi al lavoro su un testo comune che andrà al voto giovedì prossimo (11 settembre), nell’ultimo giorno della sessione plenaria di Strasburgo. I negoziati sono tutt’ora in corso, confermano a Eunews fonti parlamentari, ma dovrebbero portare ad un punto di caduta accettabile per tutti.L’eurodeputato del M5s Danilo Della Valle (foto: Jan Van De Vel/Parlamento europeo)Se per il momento i gruppi centristi preferiscono non sbottonarsi, dalle fila dell’opposizione arrivano prese di posizione più nette. L’eurodeputato del Movimento 5 stelle Danilo Della Valle ha esortato l’assemblea a “lanciare un forte messaggio di pace e solidarietà verso il popolo palestinese“, annunciando che la delegazione pentastellata presenterà degli emendamenti “per chiedere l’embargo di armi a Israele, la sospensione dell’accordo di associazione Ue-Israele e la protezione diplomatica degli attivisti della Global Sumud Flotilla che rischiano il carcere solo perché trasportano generi alimentari negati oggi da Israele a Gaza”.Il gruppo cui appartiene il M5s, la Sinistra (The Left), è da tempo il più vocale dell’emiciclo sullo sterminio dei palestinesi nella Striscia perpetrato dallo Stato ebraico. La co-leader Manon Aubry sta raccogliendo le firme per presentare un’altra mozione di censura dell’esecutivo comunitario a guida Ursula von der Leyen, criticando proprio l’immobilismo di Bruxelles sul dossier mediorientale. Anche da altre forze progressiste dell’Aula ci si aspetta un supporto di principio alla risoluzione, in attesa che venga finalizzato il testo. “Il nostro scopo è sottolineare che, oltre alla crisi umanitaria, è a rischio l’esistenza stessa della Palestina“, ci fanno sapere da un gruppo del centro-sinistra.La risoluzione, che non sarà vincolante, seguirà un dibattito con Kaja Kallas martedì (9 settembre) dal titolo “Gaza al punto di rottura: l’azione dell’Ue per combattere la carestia, la necessità urgente di rilasciare gli ostaggi e di muoversi verso una soluzione a due Stati”. L’Alta rappresentante, il cui ruolo la costringe a fare il parafulmine degli Stati membri senza affidarle alcun potere reale, ha condiviso pubblicamente la sua crescente frustrazione personale nei confronti dell’inerzia dimostrata dalle cancellerie.I Ventisette si muovono in ordine sparso sulla Palestina – 11 di loro la riconoscono già, altri hanno annunciato di volerlo fare a breve (l’ultimo in ordine cronologico è il Belgio), altri ancora rischiano la crisi di governo solo per aver scoperchiato questo vaso di Pandora – e un fronte unitario a livello europeo è pura fantascienza, come evidenziato plasticamente dall’impossibilità di concordare persino una misura cosmetica e simbolica come la sospensione parziale dei fondi Horizon+ destinati a Tel Aviv.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Lukasz Kobus/Commissione europea)Intervenendo ieri (3 settembre) ad un evento pubblico, il capo della diplomazia a dodici stelle ha respinto al mittente “l’accusa secondo cui l’Europa sarebbe inattiva” rispetto al genocidio in corso nella Striscia e al regime di apartheid messo in piedi in Cisgiordania. “Siamo i più attivi su questo tema“, ha risposto, rivendicando come l’Ue sia il primo donatore internazionale per l’Autorità nazionale palestinese (Anp). Ma ha riconosciuto che questo “non è sufficiente a cambiare la situazione sul terreno“, ammettendo che questo le provoca “frustrazione“. In Medio Oriente, concede, “non stiamo usando il nostro potere geopolitico perché non siamo uniti”.Il punto, ha proseguito scaricando il barile sull’alleato transatlantico, è che “se l’America sostiene tutto ciò che fa il governo israeliano, allora la leva che hanno è lì”. Forse Kallas dimentica che c’è un gruppo di Paesi membri, capitanati dalla Germania, che continua a bloccare ogni mossa concreta che possa mettere lo Stato ebraico di fronte alle proprie responsabilità. Le opzioni, teoricamente, sarebbero molte: dalla sospensione dell’accordo di associazione alle sanzioni contro il governo di Benjamin Netanyahu (ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità).Nel gabinetto di Tel Aviv, ministri come Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir inneggiano continuamente all’annessione dei territori occupati e all’espulsione forzata dei palestinesi dalla loro terra, suggerendo di trattare alla stregua di “terroristi” gli attivisti della Global Sumud Flotilla, in viaggio verso Gaza nonostante le difficoltà legate al meteo avverso. E proprio sulla missione internazionale di solidarietà si è finalmente espressa ieri la premier italiana Giorgia Meloni, uscendo dal silenzio delle ultime settimane.La premier italiana Giorgia Meloni (foto: Andrea Di Biagio via Imagoeconomica)Rispondendo ad una lettera aperta della segretaria Pd Elly Schlein – a bordo delle navi umanitarie ci sono anche due eletti del suo partito, l’eurodeputata Annalisa Corrado e il senatore Arturo Scotto, oltre a Benedetta Scuderi (Avs) e Marco Croatti (M5s) – la premier garantisce che “il governo italiano assicura che saranno adottate tutte le misure di tutela e di sicurezza dei connazionali all’estero in situazioni analoghe” e suggerisce alla spedizione di considerare “la possibilità di avvalersi di canali alternativi e più efficaci di consegna” degli aiuti ai gazawi.“Avvalersi dei canali umanitari già attivi”, ragiona Meloni, eviterebbe di esporre gli attivisti “ai rischi derivanti dal recarsi in una zona di crisi e al conseguente onere a carico delle diverse autorità statuali coinvolte di garantire tutela e sicurezza”. Insomma, secondo l’inquilina di Palazzo Chigi la Flotilla farebbe meglio a non cacciarsi nella tana del leone, perché andrà a finire che dovranno scomodarsi le cancellerie.Peccato che sia proprio il vuoto lasciato dalle cancellerie di tutto il mondo che i partecipanti all’iniziativa stanno tentando di riempire coi propri corpi, mettendo a repentaglio la propria incolumità. In passato Israele ha fermato le precedenti spedizioni umanitarie con la forza, bloccandole in acque internazionali e addirittura bombardando i natanti coi droni.

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    Il Vaticano è “disponibile” ad ospitare i negoziati Ucraina-Russia

    Bruxelles – Il Vaticano come cornice per nuovi negoziati tra Russia e Ucraina? È la domanda che sta serpeggiando tra le cancellerie di mezzo mondo nelle ultime ore, dopo una serie di contatti tra Washington, le capitali dell’Ue, quella italiana e la Santa Sede. Intorno alla città eterna – e al nuovo pontefice Leone XIV – sembrano stringersi le maglie della diplomazia internazionale per portare al tavolo delle trattative Mosca e Kiev, superando i fallimenti dei round negoziali precedenti.A dare nuova linfa alle speculazioni sul potenziale ruolo del Vaticano nei negoziati tra Russia e Ucraina è stata, nella serata di ieri (21 maggio), una scarna nota di Palazzo Chigi che rendeva conto di una conversazione telefonica tra la premier Giorgia Meloni e il nuovo papa Leone XIV, al secolo Robert Francis Prevost.La presidente del Consiglio ha trovato “nel Santo Padre la conferma della disponibilità ad ospitare in Vaticano i prossimi colloqui tra le parti“, si legge nel comunicato. Il confronto tra i due ha dato seguito, si scopre, alla “richiesta” di Donald Trump di sondare il terreno presso la Santa Sede rispetto ad un potenziale coinvolgimento della diplomazia pontificia nei negoziati in corso (o meglio in stallo) sulla guerra d’Ucraina.Da sinistra: il vicepresidente statunitense JD Vance, la premier italiana Giorgia Meloni e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (foto via Imagoeconomica)Poco dopo l’elezione al soglio di Pietro, il papa ha espresso il desiderio di dare una nuova centralità al Vaticano come mediatore nei conflitti globali, pur senza menzionare direttamente il conflitto in Ucraina. Negli scorsi giorni, Leone XIV ha incontrato Volodymyr Zelensky e il numero due della Casa Bianca, JD Vance, accompagnato dal Segretario di Stato Marco Rubio. In quello che è stato sbandierato dal governo italiano come un successo politico per la premier, Vance si è confrontato anche con Ursula von der Leyen, che finalmente sembra venire presa in qualche considerazione da Trump.Il capo della diplomazia a stelle e strisce si aspetta che il Cremlino presenti i propri termini per un cessate il fuoco in breve tempo, “forse tra qualche giorno”. La proposta russa sarà a quel punto esaminata dall’amministrazione statunitense, sostiene Rubio, per determinare la “serietà” di Vladimir Putin rispetto ad un processo negoziale inceppato da mesi e che sta indispettendo non poco Washington, che ha già minacciato più volte di sfilarsi dalle trattative.Nonostante le dichiarazioni pubbliche di apertura a colloqui diretti con la dirigenza ucraina, i gesti concreti dello zar non lasciano intendere per ora alcuna disponibilità ad intavolare reali negoziati con Kiev. A dimostrarlo, sotto la luce del sole, ci sono i buchi nell’acqua collezionati finora negli incontri tra le delegazioni dei belligeranti: quello indiretto di Riad, lo scorso marzo, e quello diretto di Istanbul della scorsa settimana.Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Del resto, non sembrano esserci grandi incentivi per Mosca per cessare le ostilità, almeno in questa fase. Sul campo, la situazione è favorevole all’esercito russo, mentre diplomaticamente il fronte degli alleati di Kiev si è scoperto particolarmente fragile da quando Trump ha deciso di prendere in mano personalmente la questione, mostrandosi esageratamente morbido nei confronti dell’aggressore e offrendo addirittura a quest’ultimo opportunità commerciali con gli Stati Uniti.Lo zar, peraltro, non ha mai riconosciuto esplicitamente la legittimità di Zelensky né dell’Ucraina come nazione sovrana e indipendente. Anzi, le richieste massimaliste che la squadra negoziale russa continua a mettere sul tavolo – tra cui “neutralizzazione” dello Stato ucraino, rinuncia all’adesione alla Nato e cessione de jure dei territori occupati alla Federazione – sembrano andare nella direzione opposta. Questo almeno il leitmotiv a Bruxelles, dove giusto ieri i Ventisette hanno dato il via libera al 17esimo pacchetto di sanzioni contro il Cremlino per continuare a “mettere pressione” su Putin.I had a good conversation with the President of the Council of Ministers of Italy @GiorgiaMeloni. As always, cool ideas.We discussed yesterday’s talks with President Trump and European leaders. We are coordinating our positions. Italy supports all efforts aimed at achieving a… pic.twitter.com/YdEl26IZ3g— Volodymyr Zelenskyy / Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) May 20, 2025Sia come sia, la diplomazia internazionale non vuole ancora darsi per vinta. La chiamata Meloni-Prevost è l’ennesima di un’incessante girandola di telefonate che sta facendo squillare freneticamente gli apparecchi delle cancellerie in molti Paesi. Da Tirana a Washington, da Bruxelles a Istanbul, da Londra a Varsavia, da Parigi a Helsinki, da Berlino a Kiev passando, appunto, per Roma e il Vaticano.“È stato concordato di mantenere uno stretto coordinamento tra i partner in vista di un nuovo ciclo di negoziati per un cessate il fuoco e un accordo di pace”, fa sapere Palazzo Chigi. Le dietrologie sui pasticci diplomatici tra alleati si sprecano e alimentano il dibattito politico nazionale (e non solo). I prossimi incontri, a sentire gli interessati, adotteranno formati “fluidi” e potranno prevedere geometrie variabili. Resta sempre da vedere quanto tali incontri siano in grado di avvicinare sul serio una soluzione diplomatica alla crisi che da 11 anni sta dilaniando il cuore dell’Europa.

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    Meloni strappa a Trump la promessa di incontro con l’Europa. Ma sui dazi nessuna novità

    Bruxelles – Mantenere la linea europea e sposare contemporaneamente il pensiero della Casa Bianca. Nel più difficile degli equilibrismi, la premier italiana Giorgia Meloni rientra da Washington forte degli elogi di Donald Trump nello studio ovale, con in tasca un sì del tycoon ad una visita a Roma. “Il presidente Trump – recita il comunicato finale congiunto – ha accettato l’invito del primo ministro Meloni a recarsi in visita ufficiale in Italia nel prossimo futuro. Si sta inoltre valutando la possibilità di organizzare, in tale occasione, un incontro tra Stati Uniti ed Europa”.Questo al costo di mostrarsi totalmente allineata al fanatismo del presidente americano su ideologia woke e immigrazione, e facendosi piccola piccola quando si passa al dossier più caldo, quello dei dazi commerciali.Poteva andare meglio, ma poteva anche finire molto peggio. Dopo Emmanuel Macron e Keir Starmer, Meloni è la terza leader del vecchio continente ad essere ricevuta da Trump, ma la prima dopo lo strappo di Washington sui dazi. E, a conti fatti, è riuscita più degli altri a svolgere quel ruolo di pontiere che rivendicava da mesi, grazie alla sua indiscutibile affinità politica con Trump, che l’ha elogiata affermando che “sta facendo un lavoro fantastico” e che “ha conquistato l’Europa”. In uno scambio di carinerie, Meloni ha preso in prestito lo slogan trumpiano riadattandolo a “Make western great again” e non ha forzato la mano sulla questione dei dazi, limitandosi a mostrare ottimismo sulla possibilità che le due sponde dell’Atlantico trovino presto un accordo.Possibilmente a Roma, in occasione di un viaggio del presidente americano che secondo Meloni potrebbe avvenire “nel prossimo futuro” e che – a seconda degli umori di Trump – potrebbe includere anche altri leader europei. In realtà, nell’ormai abituale ‘one man show‘ davanti ai cronisti nello studio ovale, Trump ha sottolineato che “le tariffe ci stanno facendo ricchi” e che sui dazi non cambierà idea, sicuro che “non avremo grandi problemi a raggiungere un accordo con l’Europa o con chiunque altro, perché abbiamo qualcosa che tutti vogliono”.Giorgia Meloni e Donald Trump nello Studio ovale della Casa Bianca (Photo by Brendan SMIALOWSKI / AFP)Di concreto, non c’è molto di più. D’altronde, come ribadito più volte da Bruxelles, le negoziazioni sulle barriere doganali le conduce la Commissione europea. Non c’è spazio per fughe in avanti, che sarebbero una vera e propria pugnalata alle spalle delle altre cancellerie del vecchio continente. Anche se Meloni un piccolo strappo l’ha dato, suggerendo che “dovremmo acquistare più gas dagli Stati Uniti“. Un tema che Trump vuole mettere sul tavolo dei negoziati e che Bruxelles preferirebbe invece tenere separato.Diverso il discorso sulle spese militari, competenza nazionale, su cui Trump stuzzica Meloni e l’Italia, uno degli otto Paesi dell’Alleanza atlantica ancora al di sotto del 2 per cento del Pil. “Non abbiamo parlato di limiti massimi a cui può spingersi l’Italia, ma del fatto che il nostro Paese manterrà gli impegni. Al vertice dell’Aia (della Nato, ndr) di fine giugno noi arriveremo al 2 per cento. Siamo una nazione seria“, ha rassicurato la premier. Sull’Ucraina invece, mentre Trump ha ribadito di “non essere un fan” di Zelensky, Meloni non si discosta dalla linea europea e afferma: “Credo ci sia stata un’invasione e che l’invasore fosse Putin. Ma oggi quello che è importante è che insieme vogliamo lavorare per arrivare a una pace giusta e duratura”.Se Meloni può esultare per essere riuscita indubbiamente a mantenere aperto un dialogo al massimo livello con gli Stati Uniti, di certo il bilancio del primo incontro con un leader europeo dopo l’escalation – ora congelata – sui dazi è positivo anche per Trump. La premier italiana, nonostante l’Ue tutta sia stata bistrattata dall’alleato americano, è stata accondiscendente su tutto: sull’acquisto di gas dagli Stati Uniti, sulla possibilità di rivedere le imposte sui colossi del digitale a stelle e strisce, su maggiori investimenti diretti negli Usa.Fino a che punto questa linea morbida fosse stata concordata con Bruxelles, non è dato saperlo. La Commissione europea ha affermato che Ursula von der Leyen è stata in stretto contatto con Meloni nei giorni precedenti alla visita. Ed oggi le due leader hanno avuto un nuovo colloquio telefonico per tracciare un bilancio dell’incontro. “E’ stata una buona telefonata”, fanno trapelare fonti a Bruxelles, e si precisa che intanto da parte Ue i contatti con gli Usa “continuano a livello tecnico”.

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    Dazi, per Sefcovic (ancora) niente intesa Ue-Stati Uniti. Giovedì Meloni a Washington

    Bruxelles – Nessun accordo commerciale con gli Stati Uniti, non ancora almeno, e neppure un accordo su un regime di dazi zero per l’industria. Il commissario europeo per il Commercio, Maros Sefcovic, non riesce nell’impresa di eliminare definitivamente lo spettro di una guerra dei dazi con la controparte americana. La sua missione a Washington serve per ribadire la disponibilità a dodici stelle a negoziare e trovare un accordo condiviso, amichevole, tale da evitare l’imposizione delle tariffe sui rispettivi beni da esportare da una sponda all’altra dell’Atlantico. Per ora però niente da fare. L’amministrazione Trump non cede, ma l’Ue non demorde.Non è una missione semplice quella di Sefcovic, e lui stesso ne è ben consapevole. Trovare un’intesa al primo tentativo negoziale sarebbe stato un enorme successo, e dunque si mantengono calma e determinazione. “L’Ue rimane costruttiva e pronta a raggiungere un accordo equo, che preveda anche la reciprocità attraverso la nostra offerta tariffaria 0 a 0 sui beni industriali e il lavoro sulle barriere non tariffarie”, sottolinea Sefcovic, conscio del fatto che “raggiungere questo obiettivo richiederà un significativo sforzo congiunto da entrambe le parti”. Certo, adesso che gli Usa hanno respinto le offerte di pace dell’Ue, dovrà essere la Casa Bianca ad avanzare una controproposta.In D.C., met with Secretary @howardlutnick and Ambassador @jamiesongreer for negotiations, seizing the 90-day window for a mutual solution to unjustified tariffs. 1/2 pic.twitter.com/P0eMgZSudQ— Maroš Šefčovič (@MarosSefcovic) April 14, 2025A Bruxelles non si fanno drammi. Ci sono 90 giorni di tempo a partire da ieri (15 aprile) per tentare di trovare un’intesa. Bocche cucite quindi, e non sorprende. Il momento è tanto delicato quanto decisivo, e si preferisce lavorare con chi di dovere – gli Stati Uniti – senza mettere tutto sulla pubblica piazza. Il messaggio ribadito è che “ci si muove lungo due binari: negoziati e preparazione al peggio qualora i negoziati non dovessero produrre un accordo”, la specifica di Olof Gill, portavoce dell’esecutivo comunitario per le questioni commerciali. Non è cambiato nulla, in sostanza, rispetto all’approccio già trovato.Un contributo in questa delicata materia potrebbe arrivare da Giorgia Meloni, che in questi giorni ha sentito spesso Ursula von der Leyen, secondo quanto è stato fatto trapelare a Roma. La presidente del Consiglio domani (16 aprile) è attesa a Washington, dove incontrerà il presidente Usa. Inevitabile un confronto sui dazi, con la Commissione che guarda all’appuntamento istituzionale e precisa che il capo di governo italiano non ha ricevuto alcun mandato. “Ogni contributo è benvenuto, ma la competenza sul commercio è della Commissione europea, come previsto dai trattati“, taglia corto Gill.

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    Ucraina, Macron annuncia una “forza di rassicurazione” europea

    Bruxelles – Dopo settimane di incontri frenetici tra Londra e Parigi (e online), sembra che la coalizione dei volenterosi sia finalmente riuscita ad elaborare un piano concreto su come intende garantire il rispetto di un eventuale cessate il fuoco e, in prospettiva, il mantenimento della sicurezza nel dopoguerra in Ucraina. Per ora non sono disponibili troppi dettagli, ma al cuore delle discussioni c’è stato il dispiegamento di una “forza di rassicurazione“, aperta alla partecipazione volontaria dei Paesi europei.La riunione di alto livello convocata oggi (27 marzo) a Parigi da Emmanuel Macron e co-presieduta dal primo ministro britannico Keir Starmer si è conclusa nel primo pomeriggio con un’idea più chiara di quello che l’ex repubblica sovietica potrà aspettarsi – e cosa no – dai suoi alleati occidentali una volta terminata la guerra che sta combattendo contro l’aggressione russa.Attorno al tavolo c’erano i leader di 29 Paesi (esclusi gli Stati Uniti ma inclusa la Turchia) più i vertici delle istituzioni Ue e il Segretario generale della Nato, Mark Rutte. Fonti comunitarie riferiscono che i partecipanti rimangono “scettici” riguardo all’effettiva disponibilità della Russia di mettere in pratica il cessate il fuoco parziale che, almeno teoricamente, ha concordato in Arabia Saudita con gli emissari statunitensi.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (foto via Imagoeconomica)Nella capitale transalpina, i “volenterosi” hanno discusso di come rendere “operativa e concreta” la proposta franco-britannica di dispiegare in Ucraina una “forza di rassicurazione“, fermo restando che la priorità dev’essere il rafforzamento dell’esercito di Kiev, il quale rimarrà con ogni evidenza il primo e più importante elemento che garantirà la sicurezza dell’ex repubblica sovietica nel lungo termine.Il padrone di casa ha annunciato un piano per schierare le truppe – fornite su base volontaria da “diversi Paesi europei” – in non meglio precisate “località strategiche” quando (e se) verrà stipulato un trattato di pace. Tali truppe dovrebbero fungere da deterrente contro eventuali aggressioni russe, ha spiegato monsieur le Président al termine del vertice. Non si tratterà di peacekeepers, ha precisato l’inquilino dell’Eliseo, in quanto non sostituiranno le forze armate ucraine e, soprattutto, non si posizioneranno in prima linea bensì nelle retrovie, tenendosi pronte a intervenire nel caso di una rottura della tregua.Del resto, era chiaro fin dalla vigilia del summit, durato circa tre ore, che non si sarebbe mai raggiunto un accordo unanime sull’invio di truppe, che rimane un tema particolarmente controverso per molti governi. Ma “non abbiamo bisogno dell’unanimità”, ha sottolineato Macron, riconoscendo i gradi diversi di volontà all’interno della coalizione.Ad esempio, come ampiamente anticipato, la premier italiana Giorgia Meloni non ci sta a mandare soldati in Ucraina a meno che non venga coordinata sotto un più ampio mandato delle Nazioni Unite. Un’idea, quella di Roma, che secondo fonti di palazzo Chigi “si sta facendo spazio” anche tra le altre cancellerie europee. Meloni ha anche ribadito l’importanza di lavorare al fianco della Casa Bianca, auspicando la partecipazione di Washington al prossimo incontro dei volenterosi.La premier italiana Giorgia Meloni (foto: European Council)Si vedrà. Come al solito, intanto, gli Stati Ue si muovono in ordine sparso. Il premier spagnolo Pedro Sánchez caldeggia la creazione di un esercito europeo con truppe provenienti dai Ventisette, mentre la Polonia continua ad aumentare le spese per la difesa e punta ad addestrare l’intera popolazione maschile adulta. Germania ed Estonia starebbero aprendo all’invio di soldati in Ucraina, pur sottolineando che vanno ancora discusse molte questioni. Per quel che riguarda Parigi, Macron ha annunciato ieri sera un nuovo pacchetto di aiuti per Kiev da 2 miliardi di euro.Gli impegni presi dall’Ue riguardano invece le forniture militari e gli aiuti finanziari. Si è parlato dell’invio di 2 milioni di proiettili d’artiglieria di grosso calibro per un valore di 5 miliardi di euro, cioè quello che resta del cosiddetto “piano Kallas” (anche se il nodo dei finanziamenti non è ancora stato sciolto), della partecipazione dell’Ucraina agli appalti congiunti europei promossi dallo strumento Safe – i 150 miliardi messi sul tavolo dalla Commissione nell’ambito del ReArm Europe – e del rafforzamento della missione militare di addestramento Eumam. Nelle casse di Kiev dovrebbero poi arrivare 18 miliardi da Bruxelles, come quota Ue del maxi-prestito G7 da 50 miliardi, nonché altri 17 miliardi da parte dei singoli Paesi membri.The best way to support Ukraine is to stay consistent in our objective to reach a just and lasting peace. This means keeping up the pressure on Russia through sanctions.I will convey this message at today’s Leaders’ meeting on peace and security for #Ukraine organised by… pic.twitter.com/csBYcIbkr1— António Costa (@eucopresident) March 27, 2025Un ulteriore tema che ha tenuto banco nell’incontro odierno è infine quello delle sanzioni contro la Federazione. Parlando accanto all’omologo ucraino durante una conferenza stampa congiunta, il presidente francese aveva sottolineato la necessità di non allentare la pressione su Mosca, come sembra invece intenzionata a fare la Casa Bianca.“La pace attraverso la forza non significa rimuovere le sanzioni“, ha ammonito, osservando che “la loro abolizione dipende unicamente dalla scelta della Russia di rispettare il diritto internazionale”. Semmai, ha aggiunto, quelle in vigore vanno rafforzate. Sulla stessa linea anche il presidente del Consiglio europeo, António Costa, e il cancelliere tedesco Olaf Scholz, secondo i quali sarebbe un errore cedere alla tentazione di ammorbidire le misure restrittive in questa fase.

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    Macron accelera i colloqui della ‘coalizione dei volenterosi’

    Bruxelles – La coalizione dei volenterosi sembra muoversi spedita, anche se per ora si tratta solo di impegni sulla carta. Emmanuel Macron ha convocato a Parigi una riunione a livello dei leader per giovedì, dopo che i responsabili militari si sono incontrati a Londra la scorsa settimana per definire in maggior dettaglio i piani operativi su come monitorare un potenziale cessate il fuoco in Ucraina.“L’intero processo verrà finalizzato nei prossimi giorni“: sta tutta in queste parole, pronunciate dal presidente francese a margine del vertice Ue di giovedì scorso (20 marzo), la dimensione dell’urgenza avvertita tra le cancellerie del Vecchio continente. “Concluderemo il nostro lavoro sul sostegno a breve termine all’esercito ucraino, sulla difesa di un modello di esercito ucraino sostenibile e duraturo per prevenire le invasioni russe, e poi sulle garanzie di sicurezza che gli eserciti europei possono fornire”, ha aggiunto Macron, annunciando la convocazione di una riunione a Parigi per il prossimo giovedì (27 marzo) alla presenza, tra gli altri, anche di Volodymyr Zelensky.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky al Consiglio europeo di Bruxelles, il 19 dicembre 2024 (foto: European Union)Si tratta dell’ennesimo incontro tra i leader dei partecipanti alla cosiddetta coalizione dei volenterosi – una trentina di Paesi che seguono l’iniziativa franco-britannica per mandare in Ucraina dei peacekeepers a monitorare il rispetto di un’eventuale tregua – e avrà luogo una settimana esatta dopo l’ultimo meeting tenutosi a Londra a livello dei capi di Stato maggiore, in parallelo al summit Ue in corso a Bruxelles in cui gli Stati membri (con l’eccezione dell’Ungheria) hanno rinnovato il loro sostegno a Kiev.Dalla sessione londinese sono emerse alcune idee operative per tradurre in pratica l’impegno a “proteggere la pace”, tra cui soprattutto la formula di una forza militare su quattro “livelli”. Il primo, lungo la linea del cessate il fuoco (che andrebbe demilitarizzata), sarebbe costituito dai caschi bianchi delle Nazioni unite, provenienti da Paesi non europei. Il livello successivo sarebbe quello dell’esercito ucraino, il terzo quello dei “volenterosi” mentre la garanzia ultima sarebbe fornita dall’aviazione statunitense (anche se, finora, Washington non ha mai dato il suo assenso a partecipare).Mentre l’aeronautica di Sua Maestà (Raf) starebbe considerando l’invio al Paese aggredito di alcuni caccia da combattimento, il primo ministro britannico Keir Starmer ha aperto la porta anche alle contribuzioni di natura non militare, ad esempio tramite supporto logistico. Un modo per trarre d’impiccio i leader che, pur professando la propria vicinanza all’ex repubblica sovietica, non sono intenzionati a mandare nell’ex repubblica sovietica dei contingenti di soldati. Come Giorgia Meloni, il cui governo ha rifiutato categoricamente l’invio di truppe, se non nel contesto di un’operazione sotto bandiera Onu.La premier italiana Giorgia Meloni (foto: Nicolas Tuscat/Afp)Per inciso, una forza multinazionale è anche l’opzione preferita dalla Russia, che si oppone fermamente alla presenza in Ucraina di truppe Nato. Come condizione “fondamentale” per accettare un accordo di tregua, il Cremlino ha addirittura chiesto l’interruzione immediata della fornitura di aiuti militari (inclusa la condivisione dell’intelligence) con Kiev da parte dei suoi alleati occidentali, nonché lo stop alla mobilitazione nel Paese aggredito.Proprio in queste ore sono in corso i negoziati tra Stati Uniti e Russia a Riad, in Arabia Saudita, dopo che ieri la delegazione a stelle e strisce ha incontrato quella ucraina.

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    Ucraina, i pontieri europei all’opera per tenere Washington dalla parte di Kiev

    Bruxelles – Mettere insieme i cocci. Dopo il terremoto (l’ennesimo) sprigionatosi venerdì con epicentro alla Casa Bianca, l’Europa fa quadrato attorno al presidente ucraino umiliato dagli alti papaveri dell’amministrazione Trump. Ma prova anche a guardare avanti.Mentre tra le cancellerie dei Ventisette e a Bruxelles si inizia a parlare con insistenza di riarmo, c’è contemporaneamente chi si muove per tentare di ricucire lo strappo, spegnere le fiamme divampate tra Kiev e Washington e riavvicinare le due sponde dell’Atlantico che sembrano allontanarsi sempre più. La premier italiana lavora con l’omologo britannico ad un summit Ue-Usa, mentre il capo della Nato esorta Zelensky a fare un passo indietro e riallacciare i rapporti con Trump.Rutte striglia ZelenskyDopo l’incendio, i pompieri. Che per l’occasione indossano anche i panni dei pontieri. L’incendio da spegnere è quello appiccato dal presidente statunitense Donald Trump e dal suo vice JD Vance quando, lo scorso venerdì (28 febbraio), hanno teso un agguato al leader ucraino Volodymyr Zelensky mettendolo al muro per poi cacciarlo malamente dallo Studio ovale, rendendo esplicite in diretta mondiale le fratture nella coalizione occidentale che dovrebbe supportare l’ex repubblica sovietica nella resistenza all’invasione russa.E ci sono ponti che sembrano essere stati tagliati e vanno ora ricostruiti. Quello tra Washington e Kiev, e quello tra Washington e Bruxelles. Del primo si occupa il Segretario generale della Nato, Mark Rutte. “Penso che tu debba trovare un modo, caro Volodymyr, per ripristinare le tue relazioni con Donald Trump e l’amministrazione americana. Questo è importante per il futuro“, ha detto l’ex premier olandese al presidente ucraino, esortandolo a mettere urgentemente una pezza per rimediare al disastro diplomatico appena consumatosi alla Casa Bianca. Come dire alla vittima di un bullo che deve chiedergli scusa se non ha voluto cedergli la merenda.Il Segretario generale della Nato, Mark Rutte (destra), accoglie il segretario della Difesa statunitense Pete Hegseth al quartier generale dell’Alleanza a Bruxelles, il 13 febbraio 2025 (foto: Nato via Imagoeconomica)“Dobbiamo davvero rispettare ciò che il presidente Trump ha fatto finora per l’Ucraina“, ha osservato Rutte, riferendosi ad esempio alla fornitura (risalente al 2019) dei razzi anticarro Javelin, con cui l’esercito di Kiev ha potuto fermare l’avanzata delle colonne corazzate di Mosca a inizio 2022. “Dobbiamo dare credito a Trump per quello che lui ha fatto allora, per quello che l’America ha fatto da allora e anche per quello che l’America sta ancora facendo” per sostenere il Paese aggredito, ha aggiunto il capo dell’Alleanza.L’iniziativa di Meloni e StarmerSul ponte transoceanico stanno invece lavorando Giorgia Meloni e Keir Starmer. Quest’ultimo ha organizzato ieri un summit tra leader europei, vertici comunitari e membri Nato, per coordinare gli sforzi del Vecchio continente nel difendere l’Ucraina aggredita e garantire la tenuta di un eventuale cessate il fuoco, qualora dovesse venir stipulato.La sera prima dell’incontro a Lancaster House, la premier italiana ha sentito al telefono il presidente statunitense: “Penso che sia molto, molto importante evitare il rischio che l’Occidente si divida“, ha ragionato ieri dalla capitale britannica, evitando di schierarsi tra quelle che ha chiamato “tifoserie” pro-Trump o pro-Zelensky. Meloni è stata l’unica tra i principali leader europei a non esprimere pubblicamente solidarietà al presidente ucraino dopo l’imboscata di venerdì.La premier italiana Giorgia Meloni e il primo ministro britannico Keir Starmer (foto via Imagoeconomica)Poi la carta diplomatica: “Ho proposto una riunione tra gli Stati Uniti e i leader europei perché se ci dividiamo saremo tutti più deboli”. Un vertice inter-alleato sotto l’egida di Roma e Londra, che sembrano aver trovato un’inedita sinergia e puntano ora a giocare “un ruolo importante nella costruzione di ponti” (Meloni dixit). In materia di difesa, i due governi collaborano già allo sviluppo di un caccia di sesta generazione insieme a Tokyo. Basterà un summit per convincere l’inquilino della Casa Bianca a non abbandonare l’Alleanza nordatlantica? Giusto in queste ore, il suo braccio destro (oramai di fatto una sorta di vicepresidente ombra) Elon Musk ha caldeggiato l’uscita di Washington da Nato e Onu.La sponda di VarsaviaItalia e Regno Unito hanno trovato la sponda importante della Polonia. Varsavia è tra le più ferventi sostenitrici della resistenza ucraina (come Londra ma non come Roma, almeno in termini di risorse finanziarie e asset militari mobilitati), ma insiste sulla necessità di una partnership transatlantica forte. “Noi polacchi siamo sostenitori dell’alleanza più stretta possibile tra la Polonia, l’Europa e l’intero Occidente con gli Stati Uniti“, ha ribadito il primo ministro Donald Tusk ieri, ostentando soddisfazione per l’iniziativa proposta da Meloni a Trump, “visti i loro ottimi rapporti”.Il primo ministro polacco Donald Tusk (foto: European Council)Sulla questione cruciale della sicurezza continentale, la via indicata dal leader polacco è quella della “indipendenza militare e di difesa dell’Europa” rispetto a Washington, purché si tratti di “indipendenza, non isolamento“. Il fantomatico pilastro europeo della Nato, insomma, tanto dibattuto e mai realizzato. Il suo Paese è quello col bilancio per la difesa più ampio tra i 32 membri dell’Alleanza, in termini relativi: le previsioni per il 2025 parlano del 4,7 per cento del Pil.“L’Europa è una potenza“, dice, e “non sarà un’alternativa all’America, ma il suo alleato più desiderabile“. Come chiesto da Trump, “dobbiamo contare su noi stessi”: per farlo, occorre colmare il “deficit di immaginazione e di coraggio” che affligge il Vecchio continente, e attrezzarlo per metterlo nelle condizioni di “difendere i suoi confini” anche autonomamente, senza dover sempre aspettare che lo zio Sam apra l’ombrello. Del resto, è lo Zeitgeist: da Parigi a Berlino, passando per Bruxelles, la parola d’ordine in Europa è “riarmo”. Ma quando persino a Varsavia si parla così, non ci si può più illudere: il mondo che conoscevamo è finito.

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    Ucraina, migrazione e Niger. Perché il buco di Chigi sullo ‘scherzo telefonico’ russo a Meloni riguarda anche l’Ue

    Bruxelles – Il caso dello ‘scherzo telefonico’ alla premier italiana, Giorgia Meloni, da parte di due comici russi – che ha più i contorni di un attacco ibrido rispetto a un’innocente candid camera – arriva anche a Bruxelles, suscitando non poche perplessità per la gestione della sicurezza delle comunicazioni di Palazzo Chigi, oltre che sui contenuti della finta telefonata con il presidente dell’Unione Africana, Azali Assoumani. Non si sbottona la Commissione Ue, ma sono aspre le critiche degli eurodeputati dei partiti di opposizione al governo italiano in carica per un episodio negativo che è stato ripreso dai giornali di tutto il mondo.“Meloni ridicolizza l’Italia agli occhi del mondo, è impressionante la leggerezza che lo scherzo ha messo in luce“, è l’attacco del capo-delegazione del Partito Democratico al Parlamento Ue, Brando Benifei: “Gravissima la mancanza di filtri, da chi è circondata la presidente del Consiglio di un Paese del G7?” Su una linea simile l’eurodeputato di Italia Viva e vicepresidente del gruppo Renew Europe, Nicola Danti: “L’inganno telefonico consumato ai danni di Meloni ha dell’incredibile, aver trasformato la presidente del Consiglio di un Paese del G7 in una ‘macchietta’ non può essere tollerato”. Per questo motivo la richiesta è quella che “i responsabili dell’accaduto si dimettano“. Durissimo il commento della vicepresidente del gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici (S&D) all’Eurocamera, Elisabetta Gualmini: “Siamo in mano a dei dilettanti per l’ennesima volta”, come dimostrerebbe il fatto che “due comici sono entrati in contatto privato con la premier facendole esprimere pensieri e opinioni gravi sia sulla guerra in Ucraina che sulle strategie future internazionali del Paese”. Anche l’eurodeputato del Movimento 5 Stelle ed ex-vicepresidente del Parlamento Ue, Fabio Massimo Castaldo, parla di “una gravità senza precedenti“, sia per il fatto che “Palazzo Chigi non sia in grado di approntare misure di sicurezza e protocolli di verifica minimi” sia per le “dichiarazioni così pesanti” su Ucraina e migrazione.I contenuti della telefonata di MeloniLa prima ministra italiana, Giorgia MeloniOltre alla questione di come sia stato possibile che il corpo di consiglieri diplomatici di Meloni non abbia intercettato la minaccia, c’è anche da considerare il contenuto di quanto affermato dalla prima ministra italiana nel corso della finta telefonata con il presidente dell’Unione Africana. In primis sulla questione più calda, ovvero l’Ucraina. “Vedo che c’è molta stanchezza, devo dire la verità, da tutti i lati“, è il passaggio più criticato. Si tratta di un tipo di affermazione che certo non stupisce, ma che allo stesso tempo cozza con la narrativa del ‘staremo al fianco di Kiev per tutto il tempo che sarà necessario’ sempre pubblicamente rivendicato anche dalla premier Meloni. A questo si aggiunge il fatto che la telefonata è datata 18 settembre (ma è stata resa pubblica il primo novembre): quel giorno iniziava l’Assemblea Generale dell’Onu, in cui i leader occidentali cercavano di convincere il resto del mondo della necessità di non perdere la spinta a difesa del rispetto del diritto internazionale. Se “la controffensiva dell’Ucraina forse non sta funzionando come ci aspettavamo” è di per sé un dato di fatto, è un altro passaggio a gettare alcune ombre sull’impegno europeo: “Siamo vicini al momento in cui tutti capiranno che abbiamo bisogno di una via d’uscita“. Meloni ha parlato di “problema” a trovarne una “che possa essere accettabile per Kiev e Mosca senza distruggere il diritto internazionale” o “aprire altri conflitti”. A questo proposito la premier dice di avere alcune idee, ma di voler aspettare “il momento giusto per metterle sul tavolo”.Da sinistra: il primo ministro dei Paesi Bassi, Mark Rutte, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il presidente della Tunisia, Kaïs Saïed, e la prima ministra dell’Italia, Giorgia Meloni, alla firma del Memorandum d’Intesa Ue-Tunisia (17 luglio 2023)C’è poi la questione migrazione, su cui Meloni non ha risparmiato bordate alla Commissione Ue e a Ursula von der Leyen. “La Commissione Europea dice di capirlo [le necessità italiane, ndr], il problema è di quanto tempo ha bisogno per darci risposte concrete”, ha confessato la premier, facendo esplicito riferimento alla numero uno dell’esecutivo Ue: “Nelle parole capisce assolutamente, ma quando chiedi di prendere i soldi e di investire per aiutarci, per discutere con questi Paesi, lì diventa più difficile, devo dire la verità”. Questo riguarda anche la Tunisia, su cui Meloni si è presa i meriti di aver organizzato a luglio il memorandum tra l’Ue e il presidente tunisino, Kaïs Saïed. “Ma lui non ha visto ancora un euro”, ha attaccato la premier, dimenticando però che è stato proprio Saïed ad aver rifiutato la prima tranche da 60 milioni di euro. Ma l’attacco è molto più ampio e coinvolge anche i leader dei Paesi membri Ue: “Il problema è che agli altri non interessa, non hanno risposto al telefono quando li ho chiamati e sono tutti d’accordo sul fatto che l’Italia deve risolvere da sola questo problema“.In particolare si avverte una certa nota di fastidio nel passaggio in cui si parla del presidente francese, Emmanuel Macron, e della situazione in Niger dopo il colpo di Stato di quest’estate. “Vedo che la Francia sta spingendo per una sorta di intervento, ma io sto cercando di capire come possiamo sostenere uno sforzo diplomatico, dobbiamo stare attenti”, è l’avvertimento di Meloni, che ha accusato Parigi di avere “altre priorità, che non sono l’immigrazione in nazioni come il Niger”. Priorità “nazionali”, contro cui la premier italiana starebbe premendo per “non fare cose che ci creano più problemi di quanti già ne abbiamo” e a cui contrappone invece “un piano di investimento per l’energia in Africa”. Il Piano Mattei – che sarebbe dovuto arrivare in una conferenza a Roma a inizio novembre – con l’orizzonte del prossimo anno: “Mi piacerebbe concentrare la nostra presidenza del G7 soprattutto sul tema dell’Africa, andiamo verso un’epoca in cui è già troppo tardi, dobbiamo muoverci”, ha assicurato Meloni. Ignara che dall’altra parte della cornetta non c’era il presidente dell’Unione Africana, ma due comici russi.
    Critiche dagli eurodeputati a Bruxelles per l’attacco ibrido di Mosca concretizzatosi con una chiamata alla premier italiana da due comici, che hanno finto di essere il presidente dell’Unione Africana, Azali Assoumani: “Di una gravità senza precedenti, i responsabili si dimettano”