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    Il presidente finlandese Stubb: Basta parlare di minaccia russa, calmiamoci e organizziamoci invece per fermarla

    Bruxelles – Un invito alla calma. Alla fredda e pragmatica calma che serve all’Europa per affrontare le minacce di guerra che vengono dalla Russia. Alexander Stubb è appena diventato il nuovo presidente della Finlandia, ed è un uomo con una storia importante, al quale piace essere protagonista, e sta già facendo parlare di sé molto più di quanto ci si aspetta al proposito del capo di Stato di un Paese relativamente piccolo come la Finlandia, che ha poco più di cinque milioni e mezzo di abitanti. Però per quasi 1.300 chilometri questo Paese ha un confine con la Russia, e questo lo rende uno dei protagonisti di questa fase storia europea.Dunque il Financial Times l’ha intervistato per sentirgli dire che vuole che tutti si calmino. A proposito delle voci che prevedono un prossimo attacco di Mosca ad un Paese europeo o proprio della Nato, Stubb ha un messaggio: “Direi di rimanere calmi, tranquilli e concentrati”.“In finlandese abbiamo un detto: ‘un pessimista non è mai deluso’. Non mi piace questo detto”, ha spiegato Stubb al quotidiano britannico, spiegando che “è molto facile usare questi termini semplici: ‘la Russia attaccherà l’Europa prossimamente’. Non credo che lo farà. Ma dobbiamo essere preparati”, ha sottolineato.La Nato, secondo Stubb, è abbastanza avanti in questa preparazione, ma l’Unione europea un po’ meno, ne parla, ma non agisce. “Per quanto riguarda l’approvvigionamento di materiale di difesa, dobbiamo iniziare a unirci. Per quanto riguarda il finanziamento, dobbiamo iniziare a metterci in comune. Quando si tratta di pianificazione e operazioni, dobbiamo iniziare a metterci in comune. Nella Nato, lo stiamo già facendo. Ma in Europa – ammonisce -, credo che siamo un po’ indietro”.Non parla di “eurobond per la difesa” il presidente finlandese, “non sto facendo una richiesta di obbligazioni per la difesa”, mette in chiaro, specificando che nell’Unione il denaro pubblico e il debito comune sono troppo spesso visti come l’unica soluzione: “Non è così”.“Si tratta – sostiene – di una questione di pianificazione amministrativa davvero rigorosa e del settore privato. Se alla fine ci sarà una mutualizzazione, ben venga. Ma non lo sto sostenendo al momento”, dice sibillino Stubb.

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    L’Ue studia come difendersi dalla Russia e chiede all’ex presidente finlandese di redigere un rapporto

    Bruxelles – Chi meglio della Finlandia, che con la Russia condivide 1.340 km di confine, per spiegare a Bruxelles dove intervenire per migliorare la difesa dell’Europa. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha incaricato l’ex presidente finlandese, Sauli Niinistö, di redigere un rapporto sulla preparazione, la prontezza e gli strumenti della difesa Ue.Niinistö, presidente a Helsinki dal 2012 e fino al 1 marzo 2024, è anche presidente onorario del Partito Popolare Europeo, la stessa famiglia politica della leader Ue. “Il modello finlandese è una storia di esperienze attraverso i secoli come vicino della Russia”, ha riconosciuto Niinistö. Una storia che è passata dall’indipendenza dall’Unione sovietica dichiarata nel 1917 alla Guerra d’inverno nel 1939 contro l’aggressione dell’Armata Rossa. Fino all’adesione alla Nato nell’aprile 2023 e le conseguenti minacce di Vladimir Putin di inviare truppe e “sistemi di distruzione” al confine con il Paese.Una storia che fa sì che “ogni finlandese difende il proprio Paese”. Per assicurare la pace “bisogna essere forti. Chi è forte non viene sfidato, non viene attaccato. Ecco perché l’Europa deve essere forte, più forte di quanto sia ora“, ha spronato l’Ue l’ex presidente finlandese nel punto stampa con von der Leyen a Bruxelles. Le ha fatto eco la leader Ue: “La guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina ha spento l’illusione che la pace sia permanente” e che “l’Europa, da sola, stesse facendo abbastanza in materia di sicurezza, sia essa economica o militare, convenzionale o informatica”. Ma la guerra ai confini dell’Ue ha fatto ripiombare il mondo nell’insicurezza, “pericoloso come lo è stato per generazioni”.Von der Leyen ha evidenziato le ragioni della sua scelta: il popolo finlandese “ha imparato a vivere in prossimità di un vicino così imprevedibile e aggressivo. E questo ha plasmato profondamente la vostra società”. Non solamente dal punto di vista militare: in Finlandia la difesa “è infatti una questione che riguarda l’intera società”, con una strategia di difesa civile completa, in modo che i cittadini “possano essere preparati a tutte le emergenze, comprese quelle militari, le minacce ibride e i disastri naturali“.Il rapporto, che sarà sviluppato in stretta collaborazione con l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, e con gli Stati membri, prenderà le mosse proprio da questa “mentalità specifica” di un popolo in cui “ogni parte della società è in grado di contribuire a salvaguardare le funzioni vitali in tempi di crisi, garantire l’approvvigionamento di base per la popolazione e sostenere le forze di difesa nei loro compiti”.

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    La Nato promette una “risposta determinata” in caso di sabotaggio al gasdotto Baltico

    Bruxelles – La Nato promette una “risposta determinata” se i danni al gasdotto Baltic Connector e al cavo delle telecomunicazioni che connette Estonia e Finlandia dovessero dimostrarsi il risultato di un “atto deliberato”. Non punta il dito, né fa nomi. Ma il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg, nella prima giornata di ministeriale della difesa che si è tenuta oggi (11 ottobre) a Bruxelles promette che la risposta dell’alleanza militare fra i 31 Paesi dell’America settentrionale e dell’Europa non sarà indulgente quando le cause del presunto sabotaggio saranno accertate. La prima giornata di ministeriale è stata movimentata, a sorpresa, dalla visita al quartier generale della Nato del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky. “Se si dimostrerà che si tratta di un attacco alle infrastrutture critiche della NATO, otterremo una risposta unita e determinata da parte della NATO”, ha assicurato Stoltenberg prima di iniziare i lavori. Il presidente finlandese, Sauli Niinistö, ha annunciato ieri di avviato un’indagine sulle perdite di gas che sono state osservate a partire da domenica scorsa in un gasdotto sottomarino che collega Finlandia ed Estonia passando sotto il Mar Baltico, il Baltic Connector, e di un cavo di telecomunicazioni. L’indagine è condotta in collaborazione con l’Estonia, e secondo il presidente è probabile che il danno al gasdotto e al cavo adiacente sia il risultato di “attività esterne” anche se “non è ancora noto cosa abbia causato concretamente il danno”.Il presunto sabotaggio è finito oggi sul tavolo della ministeriale Nato, anche se ancora è presto per stabilire quali potrebbero esserne le cause. In conferenza stampa, Stoltenberg ha confermato di aver sentito ieri il presidente finlandese, Sauli Niinisto, e la premier estone, Kaja Kallas, che lo hanno “aggiornato sulle indagini in Finlandia e in Estonia. Hanno condiviso con la Nato ciò che hanno scoperto e ho detto loro che siamo pronti ad aiutarli con le indagini. Ha poi aggiunto che è troppo “presto per stabilire con esattezza cosa abbia causato il danneggiamento delle condutture e dei cavi. Ci sono indagini in corso e finché non saranno concluse, è troppo presto per dirlo”. Ha aggiunto però che se i danni subiti dal gasdotto Balticconnector tra Finlandia e Estonia dovessero risultare frutto di un attacco deliberato, si tratterebbe di un fatto “molto grave”. Ha ricordato ancora che queste infrastrutture critiche sottomarine “sono vulnerabili”, perché “si parla di migliaia di chilometri di condutture, di cavi, di rete internet, di rete elettrica, che per loro natura sono vulnerabili”. 
    Il presunto sabotaggio del tubo sottomarino che collega Finlandia ed Estonia, Baltic Connector, e di un cavo di telecomunicazione sul tavolo della prima giornata di ministeriale della difesa dell’Alleanza Atlantica che a sorpresa ha visto la presenza di Zelensky

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    Via libera dalla Turchia all’ingresso della Finlandia nella Nato. La Svezia rimane ancora alla finestra

    Bruxelles – Dentro la Finlandia, ancora attesa per la Svezia. I due Paesi scandinavi, che quasi un anno fa hanno impresso una svolta strategica storica per le rispettive politiche di sicurezza nazionale, alla fine non concluderanno mano nella mano il processo di adesione all’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), come per mesi sperato e dichiarato pubblicamente. Perché per Helsinki è arrivato in una settimana il doppio via libera all’ingresso nella Nato prima dall’Ungheria e poi dalla Turchia – gli unici due dei 30 Paesi membri che ancora non avevano ratificato il protocollo di adesione – mentre per Stoccolma la situazione è ancora di stallo e, per il momento, non si vede una via d’uscita.
    “Tutti i 30 membri della Nato hanno ratificato l’adesione della Finlandia”, ha annunciato nella tarda serata di ieri (30 marzo) il presidente finlandese, Sauli Niinistö, rivolgendo un ringraziamento “per la fiducia e il sostegno, saremo un alleato forte e capace, impegnato nella sicurezza dell’Alleanza”. Una dichiarazione arrivata a stretto giro rispetto al voto della Grande Assemblea Nazionale Turca (il Parlamento monocamerale della Turchia), che ha ratificato all’unanimità il protocollo di adesione del Paese scandinavo. Il via libera da Ankara è arrivato dopo mesi di temporeggiamento – il protocollo di adesione di Finlandia e Svezia è stato firmato il 5 luglio dello scorso anno – dal momento in cui i due Paesi hanno portato avanti insieme la candidatura e nelle intenzioni del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, l’allargamento si sarebbe dovuto realizzare come pacchetto unico entro il Summit di Vilnius del prossimo 11-12 luglio.
    La firma del memorandum d’intesa Nato tra Turchia, Svezia e Finlandia a Madrid (28 giugno 2022)
    Ma Turchia e Ungheria (quest’ultima ha ratificato il 27 marzo il protocollo di adesione di Helsinki) hanno tenuto e continuano a tenere bloccata la Svezia, anche se per ragioni differenti, e di fatto hanno costretto gli altri membri dell’Alleanza ad accettare lo ‘spacchettamento’ per la Finlandia: come precisato dal segretario generale Stoltenberg, il Paese diventerà “fra pochi giorni” il 31esimo membro della Nato. Stoccolma rimane ancora in attesa della fine del costante ricatto in merito all’estradizione dei membri del movimento politico-militare curdo del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan), legato anche a questioni di politica interna. Di fronte al rischio di perdere per la prima volta in 20 anni il potere alle cruciali elezioni del 14 maggio, il presidente Recep Tayyip Erdoğan non avrebbe nessun interesse nello sbloccare le trattative con la Svezia prima di essersi assicurato la riconferma, dal momento in cui l’intransigenza sulla questione curda rimane uno dei temi centrali della sua leadership politica. Per l’Ungheria invece lo stallo è motivato dal contrasto diplomatico tra i due Paesi membri Ue (fino a luglio la Svezia detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue) per le critiche di Stoccolma sull’erosione dello Stato di diritto determinato dal governo di Viktor Orbán, come ha messo in chiaro il portavoce dell’esecutivo ungherese.
    “La Finlandia è al fianco della Svezia ora e in futuro e ne sostiene l’adesione”, ha ribadito con forza la prima ministra finlandese, Sanna Marin, che domenica (2 aprile) dovrà affrontare un delicatissimo appuntamento elettorale in patria. Anche il segretario generale della Nato Stoltenberg si attende di “accogliere il prima possibile la Svezia come membro a pieno diritto della famiglia Nato”, dal momento in cui “tutti gli alleati sono d’accordo che una conclusione rapida” del processo di ratifica per Stoccolma “è nell’interesse di tutti“. Tutti, meno Turchia e Ungheria, per il momento.

    #Finland 🇫🇮 will formally join our Alliance in the coming days. Their membership will make Finland safer & #NATO stronger. I look forward to also welcoming #Sweden 🇸🇪 as a full member of the NATO family as soon as possible.
    —@jensstoltenberg pic.twitter.com/ueaOwWdLaX
    — Oana Lungescu (@NATOpress) March 31, 2023

    Come si entra nella Nato
    Per diventare membro della Nato, un Paese deve inviare una richiesta formale, precedentemente approvata dal proprio Parlamento nazionale. A questo punto si aprono due fasi di discussioni con l’Alleanza, che non necessariamente aprono la strada all’adesione: la prima, l’Intensified Dialogue, approfondisce le motivazioni che hanno spinto il Paese a fare richiesta, la seconda, il Membership Action Plan, prepara il potenziale candidato a soddisfare i requisiti politici, economici, militari e legali necessari (sistema democratico, economia di mercato, rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, standard di intelligence e di contributo alle operazioni militari, attitudine alla risoluzione pacifica dei conflitti). Questa seconda fase di discussioni è stata introdotta nel 1999 dopo l’ingresso nella Nato di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, per affrontare il processo con aspiranti membri con sistemi politici diversi da quelli dei Paesi fondatori dell’Alleanza, come quelli ex-sovietici.
    La procedura di adesione inizia formalmente con l’applicazione dell’articolo 10 del Trattato dell’Atlantico del Nord, che prevede che “le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. La risoluzione deve essere votata all’unanimità da tutti i Paesi membri. A questo punto si aprono nel quartier generale della Nato a Bruxelles gli accession talks, per confermare la volontà e la capacità del candidato di rispettare gli obblighi previsti dall’adesione: questioni politiche e militari prima, di sicurezza ed economiche poi. Dopo gli accession talks, che sono a tutti gli effetti una fase di negoziati, il ministro degli Esteri del Paese candidato invia una lettera d’intenti al segretario generale dell’Alleanza.
    Il processo di adesione si conclude con il Protocollo di adesione, che viene preparato con un emendamento del Trattato di Washington, il testo fondante dell’Alleanza. Questo Protocollo deve essere ratificato da tutti i membri, con procedure che variano a seconda del Paese: in Italia è richiesto il voto del Parlamento riunito in seduta comune, per autorizzare il presidente della Repubblica a ratificare il trattato internazionale. Una volta emendato il Protocollo di adesione, il segretario generale della Nato invita formalmente il Paese candidato a entrare nell’Alleanza e l’accordo viene depositato alla sede del dipartimento di Stato americano a Washington. Al termine di questo processo, il candidato è ufficialmente membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.

    Dopo mesi di temporeggiamento anche la Grande Assemblea Nazionale Turca ha ratificato il protocollo di adesione di Helsinki all’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord. Stoccolma bloccata sia da Ankara per la questione estradizioni, sia dall’Ungheria di Viktor Orbán

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    Borrell contro il divieto di rilascio dei visti ai cittadini russi. Il tema arriva sul tavolo dei ministri degli esteri Ue

    Bruxelles – Vietare a tutti i russi di entrare in Europa in ogni circostanza con i visti non è una buona idea. “Ci sono tanti cittadini russi che vogliono fuggire dal regime di Putin e le nostre porte non possono essere chiuse a loro”. Se pur riconoscendo la necessità di avere una politica “più selettiva” nel contesto drammatico dell’invasione dell’Ucraina , il capo della diplomazia europea Josep Borrell sembra chiudere all’idea promossa da un gruppo di Paesi vicini geograficamente alla Russia – i baltici in primis (Estonia, Lettonia, Lituania), poi anche Polonia e Finlandia – di impedire con un approccio coordinato a livello europeo ai turisti russi di entrare nell’area di libera circolazione Schengen, per rafforzare l’effetto sanzionatorio contro Mosca.

    Banning all Russians from entering Europe in all circumstances is not a good idea.
    There are many Russians who want to flee from the Putin regime and our doors cannot be closed to them.
    — European External Action Service – EEAS 🇪🇺 (@eu_eeas) August 22, 2022

    Borrell chiude anche se non sarà così semplice scoraggiare l’idea. Di propria iniziativa la scorsa settimana l’Estonia ha chiuso il suo confine a oltre 500mila cittadini russi con visti già rilasciati dall’Ue e ha intenzione di trascinare il tema la prossima settimana nella riunione dei ministri degli esteri dell’UE, riuniti nell’informale formato Gymnich (il 31 agosto), come confermato oggi dalla portavoce dell’Esecutivo comunitario Dana Spinant nel corso del briefing quotidiano con la stampa.
    Al momento tutti i cittadini russi che non sono soggetti alle sanzioni internazionali possono attraversare la frontiera con in mano un visto (valido per 90 giorni) rilasciato da un qualsiasi Paese dell’area Schengen, che conta in tutto 26 Paesi: 22 dell’Unione europea (Belgio, Repubblica ceca, Danimarca, Germania, Estonia, Grecia, Spagna, Francia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Ungheria, Malta, Paesi Bassi, Austria, Polonia, Portogallo, Slovenia, Slovacchia, Finlandia e Svezia) a cui si aggiungono quattro Paesi extra Ue, Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera.
    Nel corso del briefing quotidiano con la stampa la portavoce per gli Affari interni Anitta Hipper ha ricordato che sono gli Stati a rilasciare i “propri visti sulla base di norme nazionali e ci sono sempre casi in cui possono essere rilasciati, come a dissidenti politici, giornalisti e per questioni umanitarie”. Ad opporsi all’introduzione del divieto a livello europeo anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz affermando che i russi dovrebbero essere in grado di fuggire dal loro paese d’origine se non sono d’accordo con la politica del Cremlino.

    I Paesi Baltici, la Polonia e la Finlandia chiedono un approccio coordinato Ue per impedire l’ingresso per lavoro o turismo a tutti i cittadini russi, ma il capo della diplomazia europea frena. La questione sarà affrontata dai ministri degli esteri nella riunione informale di Gymnich che si terrà la prossima settimana

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    Estonia e Finlandia vogliono un coordinamento a livello Ue contro il rilascio di visti turistici ai cittadini russi

    Bruxelles – Una stretta su tutta la popolazione della Federazione Russa, non solo sugli oligarchi della cerchia di Putin. Estonia e Finlandia chiedono un ulteriore passo in avanti da parte dell’Unione Europea nel far pagare le conseguenze della guerra in Ucraina ai cittadini russi, tagliando anche il canale dei visti turistici rilasciati dai Paesi membri dell’area Schengen (con un allineamento anche di Bulgaria, Cipro, Croazia, Irlanda e Romania). La proposta è stata suggerita dalle prime ministre dei rispettivi Paesi, l’estone Kaja Kallas e la finlandese Sanna Marin, dopo alcuni episodi di propaganda del Cremlino attraverso cittadini russi in vacanza nell’Unione e l’attacco del presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky: “I russi dovrebbero vivere nel loro mondo finché non cambiano filosofia”, ha dichiarato in un’intervista per il Washington Post.
    “Visitare l’Europa è un privilegio, non un diritto umano“, è stato l’affondo della premier estone Kallas, spiegando le conseguenze dell’interruzione dei viaggi aerei dalla Russia: “Mentre i Paesi Schengen rilasciano visti, i vicini [Finlandia, Estonia, Lettonia, ndr] ne portano l’onere“. Di qui la necessità di “porre fine ora al turismo dalla Russia”. Un invito già arrivato lunedì (8 agosto) dall’omologa finlandese Marin, che in un’intervista per il programma televisivo Yle Uutiset ha definito “ingiusta” la possibilità per i cittadini russi di “vivere una vita normale, viaggiare in Europa, essere turisti” e ottenere visti dai Paesi membri dell’Ue, mentre Mosca “sta conducendo una guerra di aggressione aggressiva e brutale in Europa”.

    Stop issuing tourist visas to Russians. Visiting #Europe is a privilege, not a human right. Air travel from RU is shut down. It means while Schengen countries issue visas, neighbours to Russia carry the burden (FI, EE, LV – sole access points). Time to end tourism from Russia now
    — Kaja Kallas (@kajakallas) August 9, 2022

    Per i tre Paesi di confine la questione è vissuta in modo diretto, dal momento in cui ogni cittadino russo – non colpito dalle sanzioni internazionali – può attraversare la frontiera se in possesso di un visto da un qualsiasi Paese dell’area Schengen. Il visto Schengen consente a un visitatore di soggiornare per un massimo di 90 giorni per turismo o affari, con la possibilità di viaggiare liberamente all’interno di una zona che comprende 22 Stati membri Ue, oltre a Islanda, Norvegia, Svizzera e Liechtenstein: è in questo modo che i cittadini russi, anche in assenza di collegamenti aerei diretti, possono ancora visitare per turismo la maggior parte dei Paesi dell’Ue. Estonia e Lettonia non rilasciano più visti Schengen a chi ne fa richiesta da Mosca e lo stesso ha deciso di fare la Bulgaria (con i propri visti nazionali) dopo il duro scontro diplomatico con la Russia a fine giugno.
    Ecco perché le due prime ministre stanno spingendo per portare a Bruxelles la questione dei visti turistici ai cittadini russi, alzando l’asticella ben oltre la raccomandazione della Commissione Ue di limitare i visti d’oro. Secondo quanto affermato dalla premier finlandese, il tema della libertà di movimento è già stato discusso in tutti i Consigli Ue dallo scoppio della guerra in Ucraina, ma è oggetto di non poche perplessità, in particolare per la discriminazione a priori di un’intera popolazione (che non necessariamente è allineata alle scelte del suo presidente) e per i rischi di chiudere le porte ai dissidenti ancora sul suolo russo e in cerca di una via d’uscita in futuro. “Ritengo che nelle future riunioni del Consiglio la questione si presenterà con ancora maggiore forza”, ha precisato Marin, anticipando una possibile discussione al Consiglio Affari Esteri informale di fine agosto.
    A Bruxelles intanto si temporeggia, con la Commissione Ue poco intenzionata a sbilanciarsi sul comunicare ulteriori sanzioni contro la Russia. “È importante sapere che i Paesi membri rilasciano i propri visti sulla base di norme nazionali e ci sono sempre casi in cui possono essere rilasciati, come a dissidenti politici, giornalisti e per questioni umanitarie”, ha spiegato la portavoce per gli Affari interni, Anitta Hipper, nel corso del punto quotidiano con la stampa europea, precisando che “è competenza degli Stati membri decidere cosa fare”. A questo proposito, Estonia e Finlandia stanno già studiando misure da poter attuare autonomamente: per esempio, inasprire le condizioni per l’ottenimento dei visti turistici, dando priorità a quelli lavorativi e per motivi familiari o di studio, e introdurre sanzioni nazionali ad hoc da affiancare a quelle già in vigore a livello Ue.

    Se in possesso di un visto da un qualsiasi Paese Schengen, per un cittadino russo è possibile attraversare la frontiera e viaggiare per 90 giorni nell’Unione. Le prime ministre Kallas e Marin vogliono portare la questione al Consiglio: “Visitare l’Europa è un privilegio, non un diritto umano”

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    Firmato il protocollo di adesione, Svezia e Finlandia più vicine alla NATO

    Bruxelles – Svezia e Finlandia nella NATO, il passo “storico” è compiuto. Firmato il protocollo di adesione che può permettere all’Alleanza di espandersi ancora e divenire a 32 Stati, Turchia permettendo. Perché per poter essere membro a pieno titolo occorre che tutti i Parlamenti nazionali ratifichino il protocollo di adesione, e questo concede ancora ad Ankara libertà di manovra e di pressione nella sua lotta al separatismo curdo. Estonia e Paesi Bassi i primi ad attivarsi. I partner UE, prima ancora che NATO, hanno convocato i rispettivi organismi legislativi per iniziare sin da subito il procedimento di discussione e voto, rispondendo all’invito del segretario generale della stessa Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg, di “fare in fretta”.

    Allies signed the Accession Protocols for #Finland & #Sweden in the presence of 🇫🇮 FM @Haavisto & 🇸🇪 FM @AnnLinde.
    SG @jensstoltenberg said: “This is truly an historic moment. For Finland, for Sweden, for #NATO & for our shared security.”
    Read: https://t.co/J1C1vuapiJ pic.twitter.com/GVjQGQVpw4
    — Oana Lungescu (@NATOpress) July 5, 2022

    Il processo di allargamento della NATO è una delle conseguenze dell’aggressione russa in Ucraina, che ha indotto i due Paesi scandinavi a infrangere la politica della neutralità. La prossimità geografica e la condotta del Cremlino hanno spazzato via decenni di dibattiti e convinzioni, portando politica ed opinione pubblica verso tutt’altra collocazione. Ma il passo storico è stato possibile grazie alla decisione della Turchia di rimuovere il veto, dopo il protocollo d’intesa raggiunto con Ankara sulla lotta al terrorismo declinata in senso anti-curdo.
    Proprio qui rischiano di annidarsi le possibili, nuove, insidie al percorso di avvicinamento alla NATO per Svezia e Finlandia. Soprattutto dopo che la ministra degli Esteri  del regno scandinavo, Anna Linde, ha chiarito che non ci saranno concessioni né scappatoie. “Onoreremo il protocollo”, ma “non ci possono essere vie legali aggiuntive, rispetteremo la legge svedese e il diritto internazionale“. Il che vuol dire che “le autorità preposte all’estradizione ricevono le richieste e le processano secondo le procedure, poi è l’Alta corte a prendere la decisione“.
    La Turchia sta a guardare e certamente, a differenza di Estonia e Paesi Bassi, non accelererà le procedure parlamentari. Il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, già ha anticipato che Anakra bloccherà l’adesione di Svezia e Finlandia se non dovessero rispettare il memorandum tripartito di Madrid. Firmato il protocollo di adesione, tutto può ancora succedere.

    Ora occorre la ratifica parlamentare di tutti i membri dell’Alleanza atlantica. Estonia e Paesi Bassi si attivano, la Turchia osserva ed è pronta a bloccare tutto

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    Cosa prevede il memorandum d’intesa tra Turchia, Svezia e Finlandia sull’adesione NATO, tra estradizioni e armi

    Bruxelles – La Turchia ha revocato il veto sull’adesione NATO della Svezia e della Finlandia e ora i due Paesi scandinavi potranno essere invitati a diventare trentunesimo e trentaduesimo membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord. Il via libera del presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, non arriva senza costi per i due Paesi scandinavi (e di riflesso per l’Unione Europea), che si sono dovuti in un certo modo piegare ai ricatti di Ankara su diversi dossier, ma in una forma che lascia ancora molto aperta la possibilità di libera interpretazione delle concessioni fatte nel memorandum d’intesa, soprattutto sulla questione delle estradizioni.
    Secondo quanto si legge nel memorandum trilaterale, il punto centrale dei negoziati condotti sotto gli auspici della NATO riguarda la “cooperazione nella lotta contro il terrorismo”, che per la Turchia significa la persecuzione del movimento politico-militare curdo del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan). L’organizzazione è considerata terroristica non solo da Ankara, ma anche dall’Unione Europea – di cui Finlandia e Svezia fanno parte – nonostante l’attribuzione sia controversa proprio per le persecuzioni messe in atto dal regime di Erdoğan: ecco perché soprattutto Stoccolma ha considerato diversi membri del PKK rifugiati politici e si rifiuta di estradarli. Le concessioni su questo punto non sono sostanziali – appunto, anche Svezia e Finlandia considerano già il PKK un’organizzazione terroristica – ed è stato ribadito l’impegno generico a prevenirne le attività e a intensificare la cooperazione tra i tre Paesi.
    La firma del memorandum d’intesa NATO tra Turchia, Svezia e Finlandia a Madrid (28 giugno 2022)
    Non va sovrastimato il riferimento alle nuove leggi nazionali antiterrorismo dei due Paesi scandinavi, perché tutto dipende dal livello di implementazione per i casi specifici dei presunti esponenti del PKK considerati rifugiati politici (e che, in linea teorica, già ora sarebbero dovuti essere estradati). Allo stesso modo, se può preoccupare il riferimento esplicito all’affrontare “in modo rapido e approfondito” le richieste di espulsione o estradizione di “sospetti terroristi” presentate dalla Turchia – le informazioni, le prove e l’intelligence di Ankara dovranno integrarsi con i principi della Convenzione europea di estradizione e con quadri giuridici bilaterali in cui rimane ancora centrale la questione del diritto alla protezione per i rifugiati politici. In ogni caso, va rilevato anche un fattore pratico: una volta che Finlandia e Svezia saranno membri NATO, a prescindere dal “Meccanismo Congiunto Permanente” stabilito per l’attuazione delle misure, la Turchia non avrà più la possibilità di ricattare i due Paesi scandinavi in caso di rimostranze sulla gestione delle procedure di estradizione di esponenti del PKK (o sospetti tali).
    Controverso è anche il riferimento all’intesa sull’astensione dal fornire sostegno alle Unità di Protezione Popolare (YPG) e al Partito dell’Unione Democratica (PYD) curdi. “In quanto potenziali alleati della NATO, Finlandia e Svezia estendono il loro pieno sostegno alla Turchia contro le minacce alla sua sicurezza nazionale”, si legge nel memorandum d’intesa trilaterale, con la precisazione che “condannano senza ambiguità tutte le organizzazioni terroristiche che perpetrano attacchi contro la Turchia”. Le forze curde sono state coinvolte nella lotta contro lo Stato Islamico dal 2014, rendendosi indispensabili per l’offensiva della coalizione internazionale contro Daesh in Siria, ma sono state abbandonate da tutti gli ex-alleati occidentali durante le operazioni militari turche nella regione del Kurdistan siriano. Ecco perché stupisce fino a un certo punto che Helsinki e Stoccolma abbiano firmato un’intesa che coinvolge anche questa concessione discutibile, dal momento in cui non aggiunge né toglie nulla al supporto inesistente sul piano internazionale al confederalismo democratico curdo.
    Ma la questione più cruciale riguarda le sanzioni del 2019 per l’intervento militare turco in Siria, che hanno portato al divieto di vendita di armi ad Ankara. “La Turchia, la Finlandia e la Svezia confermano che ora non esistono più embarghi nazionali sulle armi“, si legge nel testo dell’accordo firmato alla vigilia del Summit NATO di Madrid. “La Svezia sta modificando il quadro normativo nazionale per le esportazioni di armi in relazione agli alleati” e “in futuro, le esportazioni di armi da Finlandia e Svezia saranno condotte in linea con la solidarietà dell’Alleanza”, specifica il memorandum. Questa potrebbe essere la vera chiave di volta dello sblocco del veto turco all’adesione di Helsinki e Stoccolma all’Alleanza Atlantica, con fondati sospetti che la partita sia più ampia e coinvolga anche Washington, per la fornitura dagli Stati Uniti dei 40 nuovi caccia F-16 alla Turchia bloccata da tempo al Congresso a causa i rapporti controversi degli ultimi anni tra Erdoğan e l’omologo russo Putin.

    È stato firmato dai ministri degli Esteri dei tre Paesi e ha sbloccato la strada per l’adesione all’Alleanza Atlantica di Helsinki Stoccolma. Sono evidenti le concessioni sulle richieste di Ankara (in particolare su embargo e PKK), ma tutto dipenderà dall’implementazione degli accordi