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    Tra Grecia e Albania scoppia il caso di immunità parlamentare dopo l’elezione di Beleri al Parlamento Ue

    Bruxelles – Se il caso della neo-eletta eurodeputata italiana Ilaria Salis si è chiuso in modo meno traumatico del previsto, tra Grecia e Albania è appena iniziata la partita giudiziaria sull’immunità parlamentare di un nuovo membro greco del Parlamento Europeo, condannato a marzo in primo grado a due anni di carcere per compravendita di voti alle elezioni comunali del maggio 2023. Il sindaco di etnia greca del comune albanese di Himarë, Fredi Beleri, è risultato il terzo candidato più votato in Grecia alle elezioni europee del 9 giugno tra le fila del partito al potere Nuova Democrazia e ora sarà una Corte d’appello speciale a Tirana a prendere la decisione definitiva sulla sua scarcerazione.Da sinistra: il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, e il primo ministro della Grecia, Kyriakos Mitsotakis (credits: Adnan Beci / Afp)Con oltre 238 mila preferenze Beleri si è assicurato un posto tra i 7 eurodeputati conservatori eletti (su 21 totali per la Grecia) e subito dopo la comunicazione dei risultati definitivi ha rivendicato il suo successo in una “lotta per la democrazia, lo Stato di diritto, la libertà e la dignità dei cittadini”. Quella che da mesi è diventata una delle figure politiche più controverse per i rapporti tra Albania e Grecia ha denunciato Tirana sulle “condizioni inimmaginabili per un Paese che vuole entrare a far parte della famiglia europea” e ha ringraziato il primo ministro greco, Kyriakos Mitsotakis, per “l’opportunità di essere candidato, cosa di cui sarò sempre grato”. A questo punto però sarà una Corte d’appello speciale albanese a prendere martedì prossimo (25 giugno) la decisione definitiva, con lo scenario non improbabile di uno scontro giudiziario con Atene, al punto che Beleri ha anticipato l’intenzione di presentare ricorso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea: “So che il sistema giudiziario in Albania è controllato da Edi Rama“.Il caso Beleri tra Grecia e AlbaniaIl caso Beleri era già emerso come un punto di attrito anche ai tavoli europei nel corso della cena informale tra i vertici delle istituzioni Ue e i leader dei Balcani Occidentali, Ucraina e Moldova andata in scena ad Atene a fine agosto dello scorso anno. A quell’appuntamento mancava solo il premier albanese, Edi Rama, non invitato proprio a causa delle tensioni tra Grecia e Albania per la detenzione del sindaco eletto di Himarë, che non ha mai potuto giurare in quanto detenuto in carcere da due giorni prima delle elezioni del 14 maggio con l’accusa di compravendita di voti (anche lo sfidante e primo cittadino in carica, Jorgo Goro, è finito in carcere per corruzione). Da quel momento è iniziato un braccio di ferro diplomatico tra il governo Mitsotakis e il governo Rama, il primo accusato da Tirana di voler influenzare un’indagine indipendente su una figura associata all’insurrezione armata della minoranza greca in Albania nel 1994, il secondo sospettato da Atene di “violazione dei diritti umani” e di processo “politicamente motivato”.Da sinistra: il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der LeyenFinora il governo greco non è riuscito a fare pressioni diplomatiche sufficienti per la scarcerazione di Beleri e nemmeno le minacce di conseguenze negative sul percorso di adesione dell’Albania all’Unione Europea (con i negoziati iniziati nel luglio 2022) hanno sortito gli effetti sperati. La Grecia sostiene che il caso Beleri dovrebbe essere considerato un problema europeo e non solo una questione bilaterale – in quanto riguarderebbe il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti delle minoranze in un Paese che aspira a fare ingresso nell’Unione – ma la forzatura ha infastidito alcuni tra i Ventisette più favorevoli all’accelerazione del processo di allargamento, come la Germania. È così che il premier greco ha deciso di percorrere una strada più ‘originale’ e il 15 aprile è arrivata l’ufficialità della nomina di Beleri come 25esimo candidato (su 42) nelle liste elettorali di Nuova Democrazia: “La sua candidatura ha un simbolismo molto forte, tutti coloro che sono realmente interessati ai diritti della minoranza etnica greca in Albania lo capiscono”, aveva affermato Mitsotakis due giorni più tardi a margine del Consiglio Europeo a Bruxelles.Al centro, da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro della Grecia, Kyriakos MitsotakisCon l’elezione al Parlamento Europeo di Beleri, Nuova Democrazia sposta il baricentro del discorso politico sul piano patriottico, facendo leva su quello che è diventato un campo di battaglia retorica per il nazionalismo greco e albanese. Tecnicamente Tirana e Atene sono ancora in stato di guerra – dal 1940 quando l’Albania era un protettorato italiano durante la Seconda Guerra Mondiale – e nonostante sia in vigore dal 1996 il Trattato di amicizia, cooperazione, buon vicinato e sicurezza, i due membri della Nato stanno conoscendo un’escalation di tensione sul piano diplomatico, che coinvolgono da vicino anche le istituzioni Ue e il processo di allargamento.

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    Anche la Grecia potrebbe aprire un caso di immunità parlamentare complicato dopo le elezioni europee

    Bruxelles – I casi sono diversi, così come sono diversi i luoghi di detenzione e le motivazioni che hanno spinto le scelte di candidatura. Ma queste elezioni europee 2024 passeranno alla storia anche per le decisioni di due partiti in Italia e in Grecia di includere nelle rispettive liste elettorali ciascuno una persona detenuta in un Paese terzo, aprendo un potenziale scenario inedito a Bruxelles sull’immunità parlamentare.Il sindaco eletto di Himarë (Albania), Fredi Beleri, candidato alle elezioni europee con Nuova Democrazia del primo ministro greco, Kyriakos MitsotakisOltre a Ilaria Salis, cittadina italiana detenuta in Ungheria per più di un anno in condizioni inaccettabili per un Paese membro Ue (solo dal 15 maggio le sono stati concessi gli arresti domiciliari) e candidata capolista nella circoscrizione Nord-ovest con Alleanza Verdi-Sinistra, il primo ministro greco, Kyriakos Mitsotakis, potrebbe aprire un caso diplomatico post-elezioni tra Bruxelles e Tirana per la decisione di candidare nelle liste del partito al potere Nuova Democrazia una delle figure politiche più controverse per i rapporti tra i due Paesi confinanti: il sindaco di etnia greca del comune albanese di Himarë, Fredi Beleri, condannato a marzo in primo grado a due anni di carcere per compravendita di voti alle elezioni comunali del maggio 2023.Il caso Beleri era già emerso come un punto di attrito anche ai tavoli europei nel corso della cena informale tra i vertici delle istituzioni Ue e i leader dei Balcani Occidentali, Ucraina e Moldova andata in scena ad Atene a fine agosto dello scorso anno. A quell’appuntamento mancava solo il premier albanese, Edi Rama, non invitato proprio a causa delle tensioni tra Grecia e Albania per la detenzione del sindaco eletto di Himarë, che non ha mai potuto giurare in quanto detenuto in carcere da due giorni prima delle elezioni del 14 maggio con l’accusa di compravendita di voti (anche lo sfidante e primo cittadino in carica, Jorgo Goro, è finito in carcere per corruzione). Da quel momento è iniziato un braccio di ferro diplomatico tra il governo Mitsotakis e il governo Rama, il primo accusato da Tirana di voler influenzare un’indagine indipendente su una figura associata all’insurrezione armata della minoranza greca in Albania nel 1994, il secondo sospettato da Atene di “violazione dei diritti umani” e di processo “politicamente motivato”.Da sinistra: il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der LeyenFinora il governo greco non è riuscito a fare pressioni diplomatiche sufficienti per la scarcerazione di Beleri e nemmeno le minacce di conseguenze negative sul percorso di adesione dell’Albania all’Unione Europea (con i negoziati iniziati nel luglio 2022) hanno sortito gli effetti sperati. La Grecia sostiene che il caso Beleri dovrebbe essere considerato un problema europeo e non solo una questione bilaterale – in quanto riguarderebbe il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti delle minoranze in un Paese che aspira a fare ingresso nell’Unione – ma la forzatura ha infastidito alcuni tra i Ventisette più favorevoli all’accelerazione del processo di allargamento, come la Germania. È così che il premier greco ha deciso di percorrere una strada più ‘originale’ e il 15 aprile è arrivata l’ufficialità della nomina di Beleri come 25esimo candidato (su 42) nelle liste elettorali di Nuova Democrazia: “La sua candidatura ha un simbolismo molto forte, tutti coloro che sono realmente interessati ai diritti della minoranza etnica greca in Albania lo capiscono”, aveva affermato Mitsotakis due giorni più tardi a margine del Consiglio Europeo a Bruxelles.Al centro, da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro della Grecia, Kyriakos MitsotakisIn Grecia il sistema di voto prevede le preferenze e, con la nomina di Beleri, Nuova Democrazia sposta il baricentro del discorso politico sul piano patriottico, facendo leva su quello che è diventato un campo di battaglia retorica per il nazionalismo greco e albanese. Tecnicamente Tirana e Atene sono ancora in stato di guerra – dal 1940 quando l’Albania era un protettorato italiano durante la Seconda Guerra Mondiale – e nonostante sia in vigore dal 1996 il Trattato di amicizia, cooperazione, buon vicinato e sicurezza, i due membri della Nato stanno conoscendo un’escalation di tensione sul piano diplomatico, che coinvolgono da vicino anche le istituzioni Ue e il processo di allargamento. I sondaggi danno Nuova Democrazia al 33 per cento e non sembra improbabile che, grazie al sistema delle preferenze, Beleri possa essere tra gli otto eurodeputati eletti, facendo scattare a Bruxelles l’iter per l’immunità parlamentare.

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    I programmi elettorali dei partiti/ 6: Le promesse dell’allargamento Ue e il destino incrociato dei Trattati

    Bruxelles – Potrebbero essere le ultime elezioni europee a 27, quelle che precedono un nuovo allargamento Ue, dopo il trauma politico del primo addio – per opera del Regno Unito – nel corso della legislatura agli sgoccioli. E anche se non sarà il primissimo tema nelle agende politiche in vista del voto del 6-9 giugno per il rinnovo del Parlamento Europeo, il modo in cui l’allargamento dell’Unione a nuovi potenziali membri si è legato alla riforma interna del funzionamento delle istituzioni Ue ha senz’ombra di dubbio garantito uno spazio non indifferente nei programmi delle famiglie politiche europee (fatta eccezione per Identità e Democrazia che ha scelto di non adottarne uno comune per i partiti aderenti). Nessuno è più contrario a un incremento nel numero dei Paesi membri, perché ciascuna capitale e ciascun partito europeo hanno propri interessi e fini, ma possono differire sensibilmente le tappe e le modalità di gestione di un processo molto politico oltre che tecnico.Il Ppe e le “misure intermedie”“Ogni Paese candidato deve essere pronto per l’adesione, nel frattempo dovremmo adottare misure intermedie e una più stretta cooperazione per mettere i candidati nella migliore posizione per l’adesione”, è questo il cuore della posizione del Partito Popolare Europeo (Ppe) per quanto riguarda il “mantenere le promesse di adesione dell’Ue e una strategia di allargamento lungimirante” per i sei Paesi dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia), Ucraina, Moldova e Georgia. Come emerge dal Manifesto per le elezioni europee del 2024, il Ppe non fa sconti sul fatto che “tutti i Paesi candidati debbano sottostare alle stesse regole nel percorso verso la piena adesione” e, nonostante “non vogliamo un processo infinito”, i criteri di Copenaghen che sanciscono le basi fondanti per l’ingresso nell’Unione “devono essere chiaramente soddisfatti” per qualsiasi processo di allargamento Ue.La presidente della Commissione Europea in carica, Ursula von der Leyen, nominata Spitzenkandidatin del Partito Popolare Europeo al Congresso di Bucarest il 7 marzo 2024 (credits: Daniel Mihailescu / Afp)Non trovano spazio nel programma dei popolari europei la riforma dei Trattati e il suo legame con il futuro allargamento Ue, ma il riferimento al “rispetto delle relazioni di buon vicinato con tutti gli Stati membri dell’Ue” mostra tra le righe quanto il Ppe sia particolarmente sensibili ad alcune istanze dei partiti nazionali che aderiscono alla famiglia politica europea di centro-destra (come nel caso dei greci di Nuova Democrazia con l’Albania e con la Macedonia del Nord e dei bulgari di Gerb di nuovo con i vicini macedoni). “Qualsiasi decisione deve basarsi su risultati concreti forniti dai Paesi candidati”, dopo valutazioni di “prerequisiti minimi per ogni Stato che aspira ad entrare nell’Ue“, tra cui anche rispetto dello Stato di diritto, delle istituzioni democratiche e dei diritti umani. Per quanto riguarda il delicato capitolo sulla Turchia – i cui negoziati sono congelati dal 2018 – il Ppe per il momento “esclude la possibilità di un’adesione” di Ankara all’Unione, ma spinge per un “miglioramento dell’unione doganale esistente e la facilitazione dei visti” per “aprire la strada alla sua vocazione europea”.Il Pes tra allargamento “efficace” e architettura UeIl Manifesto del Partito del Socialismo Europeo (Pes) per le elezioni europee 2024 evidenzia come l’allargamento Ue sia stato nella storia recente dell’Europa “un successo, che ha portato democrazia, prosperità e sicurezza” sul continente. Per questo motivo viene visto “con favore” l’avvio dei negoziati di adesione con Ucraina, Moldova e Bosnia ed Erzegovina “e sosteniamo le aspirazioni europee della Georgia” (nonostante le recenti sfide poste dal suo stesso governo). Nessuno sconto invece per la Turchia, a differenza dei popolari europei: “In assenza di un drastico cambiamento di rotta, il processo di adesione non può essere ripreso nelle attuali circostanze”.Il commissario europeo per il Lavoro e i diritti sociali, Nicolas Schmit, nominato Spitzenkadidat del Partito del Socialismo Europeo al Congresso di Roma (2 marzo 2024)I socialisti europei parlano dell’attuazione di una politica di allargamento Ue “efficace”, con il punto di partenza nei Balcani Occidentali”, ma pur sempre “insistendo affinché tutti i Paesi candidati soddisfino tutti i criteri di adesione”. È qui però che si innesta la questione parallela all’allargamento Ue della “seria valutazione delle riforme dell’architettura dell’Ue” considerate “necessarie” per un’Europa “più efficiente e democratica, più trasparente e più vicina ai cittadini”. È con questo obiettivo che il Pes promette di “utilizzare la prossima legislatura per rafforzare la capacità dell’Ue di agire in un’Unione allargata, con modifiche mirate del Trattato“. In questo quadro – anche se la proposta rimane piuttosto vaga – l’idea è di dotare Parlamento e Commissione Ue di “strumenti per salvaguardare la nostra democrazia, rafforzare la nostra economia, proteggere il nostro ambiente e il nostro modello sociale”.Renew Europe per “riaprire i Trattati”È nelle 10 priorità di Renew Europe che si legge la più stretta interconnessione tra allargamento Ue e riforma dei Trattati fondanti dell’Unione. “Più siamo e più siamo forti, ma la governance di un intero continente non è una questione banale, è tempo di riaprire i Trattati“, è l’esortazione in vista delle europee di giugno, accompagnata da un avvertimento preciso: “Senza riforme profonde, l’allargamento rischia di trasformarsi in un fallimento per tutti“. A proposito dell’ingresso di nuovi membri, i liberali europei si concentrano soprattutto sull’Ucraina – che “deve aderire e aderirà” – e sul fatto che tutti coloro che soddisfano i criteri di Copenaghen “dovrebbero aderire all’area di libera circolazione di Schengen senza ulteriori ritardi”. Ma i Ventisette devono “essere in grado di accoglierla, come gli altri candidati” sulla base di un intenso lavoro interno.Da sinistra, i tre candidati comuni per la campagna Renew Europe Now lanciata a Bruxelles (20 marzo 2024): Sandro Gozi (Pde), Marie-Agnes Strack-Zimmermann (Alde) e Valérie Hayer (Renaissance)L’obiettivo dichiarato è che la riforma dei Trattati Ue “deve avvenire e deve avvenire ora”, attraverso una serie di proposte per una maggiore integrazione europea. In primis un aumento di “efficienza, trasparenza e responsabilità” delle istituzioni dell’Unione – “le riunioni in cui si riuniscono i ministri nazionali sono troppo opache” – ma anche la trasformazione della Commissione “in un vero e proprio governo democratico, con un solo presidente alla guida dell’esecutivo dell’Ue“, il rafforzamento del ruolo del Parlamento Europeo “affinché la voce dei cittadini risuoni ancora più forte di oggi”, e soprattutto “vogliamo eliminare i veti” che tengono in ostaggio le decisioni comuni a Bruxelles.I Verdi e il rispetto delle promesse“Il prossimo passo necessario, un’Europa unita pronta per l’allargamento”, è il titolo del capitolo del Manifesto del Partito Verde Europeo per le europee 2024 a proposito dell’Unione presente e futura, che non lascia spazio a dubbi sulla necessità di “riformare i suoi Trattati e procedere verso un’Europa federale in grado di agire e di accogliere nuovi membri“. Il punto di partenza è la Conferenza sul futuro dell’Europa del 2019, in cui i cittadini dei 27 Paesi membri “hanno lanciato un chiaro messaggio di sostegno a nuovi Trattati che conferiscano maggiori competenze all’Ue”, ma anche il desiderio di “molte persone nel vicinato europeo di diventare cittadini” di un progetto politico che è “una promessa di pace, giustizia, valori condivisi e prosperità”. Da qui dovrebbe scaturire “una nuova spinta” all’allargamento Ue, “attesa da tempo” e con implicazioni geopolitiche”, in primis sul fatto che continua a rendere “meno importanti le frontiere” ed è perciò “la migliore prospettiva per una pace e una sicurezza durature in Europa”.Da sinistra, i due candidati comuni del Partito Verde Europeo nominati al Congresso di Lione (3 febbraio 2024): Terry Reintke e Bas Eickhout (credits: Olivier Chassignole / Afp)Con questa visione di breve e lungo periodo “tutti i Paesi europei che aspirano a far parte o a rientrare nell’Ue” – un chiaro messaggio di apertura ai cittadini del Regno Unito – “e che condividono i nostri valori devono essere accolti”, ricevendo da Bruxelles “tutto il sostegno necessario per soddisfare i criteri”. Perché per i Verdi europei si tratta di “mantenere le promesse” fatte ai Paesi candidati (ma non viene citata la Turchia), con un accento particolare posto sul “sostegno agli sforzi del Kosovo per diventare un candidato all’adesione” e sul fatto che “ogni Paese candidato dovrebbe essere in grado di seguire il proprio percorso verso l’Ue indipendentemente dai progressi degli altri Paesi candidati” (a proposito di Albania e Macedonia del Nord, e di Kosovo e Serbia). Inoltre viene rimarcato che il “futuro dell’Ucraina è nell’Unione Europea” e i Verdi europei si impegnano a “sostenere le autorità ucraine nell’introduzione delle riforme necessarie”. Per fare tutto questo, le istituzioni Ue dovrebbero “collaborare più strettamente con la società civile”, ma soprattutto “superare l’unanimità in Consiglio che attualmente ostacola l’adesione“. Perché, in definitiva, “l’accoglienza di nuovi membri deve servire come spinta vitale per le riforme interne”, facendo sì che gli Stati membri possano prendere decisioni “in modo efficiente ed efficace”.Ecr contro l’allargamento Ue come aumento dell’integrazioneBreve ma incisivo il paragrafo sull’allargamento Ue nel Manifesto del Partito dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr) in vista delle elezioni europee di giugno: “È fondamentale che l’Ue non sfrutti questa opportunità per espandere i propri poteri”. Nonostante i conservatori europei si dicano disposti a “prendere in considerazione un ulteriore allargamento Ue a Paesi strategicamente importanti” (sulla base di merito e sul rispetto dei criteri di Copenaghen), mettono in chiaro che “rifiuteremo categoricamente qualsiasi approfondimento automatico dell’integrazione politica dell’Ue come risultato diretto” del processo di allargamento. Porta chiusa a una riforma dei Trattati Ue, senza eccezioni.La Sinistra e le salvaguardie democraticheLo Spitzenkadidat del Partito della Sinistra Europea nominato al Congresso di Lubiana (24 febbraio 2024), Walter BaierAnche il Manifesto del Partito della Sinistra Europea si concentra sulle priorità dell’allargamento Ue – senza citare alcuna riforma dei Trattati o maggiore integrazione europea – mettendo però al centro i “criteri chiari che non devono essere indeboliti” in questa sfera: “Gli Stati possono diventare membri dell’Ue solo se rispettano i diritti umani, lo Stato di diritto e i diritti sociali e politici delle loro popolazioni, comprese le minoranze”. In questo senso la politica di allargamento Ue “non deve essere uno strumento per approfondire le fratture all’interno dell’Europa e aumentare le tensioni militari”, né tantomeno dovrebbe “assegnare ai Paesi aderenti il ruolo di fornitori di materie prime, prodotti agricoli e manodopera a basso costo, come sta già facendo”. L’esortazione della Sinistra è quella di “concentrarsi sulla salvaguardia della democrazia e dello Stato di diritto” e parallelamente sul “rafforzamento della coesione sociale nei Paesi candidati e negli Stati membri”.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    I programmi elettorali dei partiti/ 4: Ucraina, Medio Oriente, Cina e pace. I nodi della politica estera dell’Ue

    Bruxelles – È da sempre uno dei temi più caldi sui tavoli delle istituzioni dell’Unione Europea, caldissimo dal febbraio 2022. La politica estera comune tra i Ventisette si ritaglia un ruolo da protagonista nella campagna elettorale in vista del voto del 6-9 giugno per il rinnovo del Parlamento Ue, come emerge da tutti i programmi delle famiglie politiche europee (fatta eccezione per Identità e Democrazia che ha scelto di non adottarne uno comune per i partiti aderenti). Dalla guerra russa in Ucraina, che ha stravolto la concezione di sicurezza e del ruolo dell’Ue nel mondo dopo la pandemia Covid-19, alla crisi nel Medio Oriente e il continuo assedio di Israele alla Striscia di Gaza, senza dimenticare il gigante cinese che non ha mai smesso di preoccupare l’Unione e i suoi Paesi membri. Con una parola che risuona in (quasi) tutti i programmi elettorali, seppur con declinazioni e implicazioni differenti: pace.Il Ppe tra sostegno all’Ucraina e un ministro degli Esteri UeIl Manifesto del Partito Popolare Europeo (Ppe) per le elezioni europee del 2024 esordisce in modo paradigmatico sul fronte della politica estera: “La nostra Europa è al fianco dell’Ucraina“. Rimane centrale la prosecuzione e l’amplificazione del sostegno “politico, economico, umanitario e militare, per tutto il tempo necessario”, nell’ottica che Kiev “deve vincere la guerra”. Dal momento in cui la guerra in Ucraina “è direttamente collegata alla sicurezza europea”, per i popolari europei Kiev dovrebbe di conseguenza “diventare membro dell’Ue e della Nato non appena soddisfa tutti i criteri”. Parallelamente dovrà essere “ulteriormente” rafforzata la portata del regime di sanzioni contro la Russia di Vladimir Putin e contro l’elusione delle stesse sanzioni, “dove e quando necessario”. A questo proposito, sul piano globale il Ppe chiede di “abbandonare il principio dell’unanimità nel campo delle sanzioni dell’Ue contro i regimi totalitari nel mondo”.La presidente della Commissione Europea in carica, Ursula von der Leyen, nominata Spitzenkandidatin del Partito Popolare Europeo al Congresso di Bucarest il 7 marzo 2024 (credits: Daniel Mihailescu / Afp)Ma la proposta più significativa è quella di “sostituire l’alto rappresentante con un ministro degli Esteri dell’Ue, in qualità di vicepresidente della Commissione Europea“, che collaborerebbe “strettamente” con gli omologhi nazionali e con un “Consiglio di sicurezza europeo composto dai leader degli Stati membri dell’Ue e di altri Paesi europei, tra cui “almeno Regno Unito, Norvegia e Islanda”. Breve il passaggio sul conflitto in Medio Oriente – senza alcun riferimento a Israele o alle possibili soluzioni alla crisi – che rimanda solo alle “enormi sfide sulla scena mondiale” e alla “recente instabilità causata dal regime iraniano”. Tra Cina e Taiwan, Russia e Bielorussia, Africa, America Latina, regione mediterranea e Medio Oriente è richiesta una “strategia a lungo termine” e la definizione degli “interessi dell’Europa per avere una politica estera coerente in cui tutti gli Stati membri devono essere considerati e i loro interessi tutelati”. Più corposo il paragrafo su Cipro e la necessità di “superare lo stallo e riprendere i negoziati per porre fine all’occupazione da parte della Turchia”, spingendo per una riunificazione dell’isola “sulla base di una federazione bizonale bicomunale, con parità politica”.Il Pes tra pace e cooperazione internazionale“L’Ue deve parlare con una sola voce nelle questioni di politica estera e passare a decisioni più maggioritarie in alcune questioni politiche“, esordisce così il capitolo sulla politica estera nel Manifesto del Partito del Socialismo Europeo (Pse) per le elezioni europee 2024, senza mettere esplicitamente nero su bianco l’urgenza di abbandonare l’unanimità in Consiglio su alcune questioni (come le sanzioni). Parallelamente al rafforzamento del “ruolo diplomatico e politico dell’Ue sulla scena globale”, i socialisti europei spingono per “risolvere i conflitti di lunga data in tutto il mondo e in Europa, compreso quello di Cipro”, ma sulla questione ucraina non ci sono margini di dubbio: “Manteniamo il nostro incrollabile sostegno all’Ucraina, fornendo assistenza politica, umanitaria, finanziaria e militare per tutto il tempo necessario”, con gli obiettivi finali del “ripristino della sua integrità territoriale” e il raggiungimento di una pace “giusta e sostenibile”.Il commissario europeo per il Lavoro e i diritti sociali, Nicolas Schmit, nominato Spitzenkadidat del Partito del Socialismo Europeo al Congresso di Roma (2 marzo 2024)Per quanto riguarda l’ordine multilaterale e la pace, il Pes si sofferma sul lavoro necessario per “porre fine ai conflitti, all’instabilità e alle tragedie umanitarie in Medio Oriente”, in particolare attraverso una “conferenza di pace internazionale per raggiungere un’equa soluzione a due Stati tra israeliani e palestinesi che rispetti i diritti e i doveri dei due popoli”. Nel frattempo sono richieste iniziative per un cessate il fuoco “sostenibile”. Le relazioni con la Cina richiedono di essere “riequilibrate”, da una parte “promuovendo i nostri valori e proteggendo i nostri interessi” e dall’altra “collaborando ulteriormente per affrontare le questioni globali più urgenti”. L’attenzione è focalizzata anche sulla costruzione di “un nuovo partenariato tra pari” con il Sud globale, un partenariato euromediterraneo “rilanciato” e una “nuova agenda progressista Ue-America Latina”, tutti che includano “un forte sostegno all’Organizzazione internazionale del lavoro”.Renew Europe e l’Alleanza Globale delle DemocrazieDa sinistra, i tre candidati comuni per la campagna Renew Europe Now lanciata a Bruxelles (20 marzo 2024): Sandro Gozi (Pde), Marie-Agnes Strack-Zimmermann (Alde) e Valérie Hayer (Renaissance)In vista delle europee di giugno la politica estera trova spazio anche tra le 10 priorità di Renew Europe. “Oggi i regimi autocratici di tutto il mondo affermano con orgoglio di essere qui per restare, attaccano le democrazie e sono pronti ad affermarsi”, è l’avvertimento dei liberali europei a proposito delle speranze tradite del liberalismo, della democrazia e del libero mercato dopo la Guerra Fredda. Il contrattacco parte da un’unione delle democrazie “per difendere i loro obiettivi comuni al di là degli interessi geografici“. In altre parole – seppur senza maggiori dettagli a riguardo – Renew Europe intende costruire “un’Alleanza Globale delle Democrazie che rafforzi l’influenza globale dell’Ue al fine di promuovere i nostri valori”, sulla base di “partenariati con Paesi che la pensano allo stesso modo”.I Verdi e il contratto di pace per l’Europa“L’invasione russa su larga scala dell’Ucraina è stata un punto di svolta nella storia del nostro continente e del mondo, viola le regole del diritto internazionale, della pace e della sicurezza”, recita il Manifesto del Partito Verde Europeo per le europee 2024, in apertura del lungo capitolo sulla politica estera. Incrollabile la solidarietà verso Kiev – “la lotta del popolo ucraino per la libertà, la pace e l’adesione all’Unione Europea è la nostra lotta” – ma lo sguardo si allarga oltre, ai “dolorosi conflitti infuriano in Medio Oriente, nel Caucaso, nel Sahel e nell’Africa centrale”. L’esortazione all’Ue è di essere “un attore forte”, ma in linea con la sua natura di “progetto di pace”. In questo contesto si inserisce la proposta per il post-elezioni europee di un “contratto di pace” per l’Europa, in cui assume particolare risalto il “nesso clima-sicurezza”, per fare in modo che “la transizione verde dell’Europa sia uno strumento geopolitico e una responsabilità globale” e che gli interventi miliari siano “sempre e solo l’ultima risorsa”.Da sinistra, i due candidati comuni del Partito Verde Europeo nominati al Congresso di Lione (3 febbraio 2024): Terry Reintke e Bas Eickhout (credits: Olivier Chassignole / Afp)Ampio spazio al conflitto in Medio Oriente, per cui i Verdi europei spingono l’Ue verso un “rilancio dei negoziati politici per una soluzione a due Stati, basata su confini sicuri e concordati”, dal momento in cui una pace “duratura” nella regione richiede “risultati negoziali che rispettino il diritto di Israele e della Palestina di esistere come Stati democratici e sovrani e del popolo palestinese di avere una propria casa“. La politica estera nel programma elettorale dei Verdi europei include una forte indicazione a non “compiacersi della dipendenza economica dai regimi autoritari” come la Russia di Putin: “Faremo in modo che l’Europa non commetta di nuovo lo stesso errore con altri regimi bellicosi nel mondo”. Non di poco conto il fatto che subito dopo venga citata la “minaccia rappresentata dalla Cina nei confronti di Taiwan, che mette a repentaglio la pace e la sicurezza internazionale“. In risposta viene richiesta “una politica europea attiva, chiara e comune”, ma senza negare che “l’interdipendenza è un fattore chiave per un sistema internazionale pacifico e per una giusta transizione globale”.Ecr per una politica estera “sfumata”Le parole-chiave per la politica estera del Partito dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr) è “sicurezza”, ma anche “sfumata”. Così recita il capitolo apposito del Manifesto in vista delle elezioni europee di giugno, su uno dei temi più delicati per l’Unione Europea: “Nel gestire le relazioni con la Cina, Ecr assume una posizione sfumata“. Da un parte viene riconosciuta la “necessità di un impegno” anche per “affrontare le violazioni dei diritti umani”, ma dall’altra si vuole “sostenere legami più forti con Taiwan e altri partner affini nella regione del Pacifico”. Nessun riferimento alla guerra russa in Ucraina, trattata nell’ambito della difesa europea, mentre una politica “più assertiva” viene invocata nei confronti dell’Iran, “concentrandoci sui suoi programmi nucleari e sul terrorismo sponsorizzato dallo Stato”. Oltre a una cooperazione più stretta “tra l’Ue, l’Occidente globale e il Regno Unito”, i conservatori europei si distinguono per la “priorità” della “protezione dei cristiani perseguitati in tutto il mondo” e della “difesa della libertà religiosa”, nonostante anche in questo caso rimanga un velo di ambiguità: “Il nostro approccio alla promozione dei nostri interessi comuni è ricco di sfumature”.La Sinistra tra rifiuto della guerra e sanzioni a Russia-Stati Uniti“Pace” è il principio-cardine su cui si basa tutto il capitolo sulla politica estera del Manifesto del Partito della Sinistra Europea verso le europee di giugno. Non di poco conto è la condanna netta all’aggressione militare russa contro l’Ucraina, “che è un crimine secondo il diritto umanitario internazionale”, e la definizione dei “passi immediati” per mettere fine alla guerra: “Il ritorno al tavolo dei negoziati, un cessate il fuoco e il ritiro di tutte le truppe russe dall’Ucraina“. Il sostegno alle sanzioni contro “il complesso militare-industriale russo” offrono un ponte tra il tema della guerra in Ucraina e quella in Medio Oriente: “Chiediamo sanzioni contro il complesso militare-industriale statunitense per aver sostenuto l’aggressione del governo dello Stato di Israele“, oltre a misure restrittive verso Israele. “Un cessate il fuoco immediato, la fornitura di aiuti umanitari alla popolazione di Gaza e il ritiro immediato di Israele da tutti i territori che occupa” sono le richieste della Sinistra europea, che non perde di vista le “altre 22 guerre” in corso nel mondo: “Stiamo vivendo una ‘guerra mondiale a rate’, che potrebbe rapidamente degenerare in un disastro nucleare mondiale”.Lo Spitzenkadidat del Partito della Sinistra Europea nominato al Congresso di Lubiana (24 febbraio 2024), Walter BaierTra le proposte per evitare che l’Europa diventi “l’arena di una nuova guerra fredda e di una corsa agli armamenti” c’è l’inserimento del rifiuto della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali tra i principi fondamentali dell’Ue, “niente nuove armi nucleari” sul continente e l’assunzione della “responsabilità della propria sicurezza in modo autonomo e indipendente dagli Stati Uniti”. Da segnalare anche il sostegno alle “aspirazioni del popolo irlandese a riunire la propria nazione divisa dal colonialismo britannico” e “la fine dell’occupazione turca di Cipro e la riunificazione del Paese”. La politica estera della Sinistra prende in considerazione anche la “cancellazione del contratto sul gas tra l’Ue e l’Azerbaigian“, un’azione contro l’embargo “economico, finanziario e commerciale” ai danni di Cuba, la fine dell’aggressione turca ai danni del popolo curdo e la condanna dell’occupazione del Sahara occidentale da parte del Marocco. Ampio spazio viene riservato infine alle questioni del “co-sviluppo e non dominazione” nelle relazioni con il resto del mondo: “Chiediamo all’Ue di rompere con il suo stile di dominio neocoloniale e di rilanciare su nuove basi le sue relazioni commerciali e finanziarie con il Sud globale”, basate sulla “cancellazione degli accordi di libero scambio” (a livello Ue) e del “debito Covid” (a livello di Stati membri) e sulla “creazione di un Fondo europeo per il co-sviluppo ecologico e sociale, finanziato dalla Bce”.