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    Difesa: Ue del tutto impreparata al coordinamento dello spostamento di Forze Armate

    Bruxelles – Secondo le conclusioni di una nuova relazione della Corte dei conti europea, le forze armate degli Stati membri dell’Ue non sono ancora in grado di spostarsi rapidamente a livello transfrontaliero. L’ultimo piano d’azione dell’Unione sulla mobilità militare “ha riscontrato progressi eterogenei a causa di carenze di progettazione, e l’attuazione è tuttora ostacolata”. L’obiettivo di spostare personale, equipaggiamento e attrezzature militari in modo rapido e scorrevole nell’Ue e al di fuori, “anche con breve preavviso e su larga scala, non è stato ancora raggiunto”.Con il ritorno della guerra ad alta intensità nel continente europeo, le priorità in termini di difesa sono cambiate e, pertanto, l’Unione intende prepararsi in modo efficiente a possibili aggressioni future. La politica in materia di mobilità militare si è evoluta dal primo piano d’azione, pubblicato nel 2018. Per la prima volta nella storia, il bilancio per il periodo 2021‑2027 ha riservato un importo dedicato a progetti di infrastrutture di trasporto civili e militari a duplice uso. Tuttavia, rilevano i magistrati contabili, “il punto di svolta è stato la guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina, che ha reso la necessità strategica dell’Ue di mobilità militare una questione da affrontare con urgenza”. Sotto pressione, è stato pubblicato il secondo piano d’azione nel novembre 2022.“La mobilità militare è fondamentale al fine di rendere la capacità di difesa dell’Ue credibile, e c’è chiaramente bisogno di accelerare il passo. Tuttavia, la mobilità militare non ha ancora raggiunto la velocità massima a causa di strozzature lungo il percorso” – ha affermato Marek Opioła, membro della Corte responsabile della relazione.L’organizzazione dei movimenti militari “potrebbe subire notevoli ritardi per vari motivi, come la burocrazia. Per esempio, lo spostamento di carri armati da un paese dell’Ue a un altro non è possibile se i mezzi superano il peso massimo consentito dalle normative sulla circolazione stradale. In circostanze normali, uno Stato membro dell’Ue necessita attualmente che le autorizzazioni dei movimenti transfrontalieri gli vengano notificate con 45 giorni di anticipo”.La Corte ha riscontrato che la Commissione europea non aveva condotto una valutazione dei bisogni approfondita nella progettazione del piano d’azione 2.0, e non ha quindi potuto effettuare una stima attendibile dei finanziamenti necessari per realizzare i suoi obiettivi. La dotazione totale per la mobilità militare per il periodo 2021‑2027, pari a 1,7 miliardi di euro, “è relativamente modesta, ma gli Stati membri lo hanno accolto come un passo nella giusta direzione. I fondi dell’Ue sono stati resi disponibili rapidamente, il che ha inviato un messaggio politico importante. Tuttavia, poiché la domanda superava di gran lunga l’offerta, la dotazione finanziaria disponibile è terminata a fine 2023”. Di conseguenza, vi sarà un intervallo significativo, di oltre quattro anni, prima che i fondi vengano nuovamente resi disponibili, “il che ostacola la stabilità e la prevedibilità dei finanziamenti”.I fondi devono essere ben mirati perché abbiano impatto, “ma – rileva la Corte – non sono stati presi in considerazione fattori geopolitici e militari nella selezione dei progetti infrastrutturali a duplice uso da finanziare. Inoltre, i progetti sono stati selezionati in modo frammentario, non sempre tenendo conto delle zone più strategiche né del quadro più ampio”. I progetti finanziati erano ubicati principalmente nell’Europa orientale, ma l’Ue non ha finanziato quasi nessun progetto sulla rotta meridionale verso l’Ucraina. Per di più, “l’Unione aveva già selezionato i progetti da finanziare ben prima che fossero stabilite le necessità più urgenti”.I dispositivi di governance per la mobilità militare sono complessi e frammentati, e non presentano alcun punto di contatto. “Ciò – sottolinea la Corte – rende difficile sapere con esattezza chi fa cosa”. Al fine di aiutare l’Ue a fare progressi, la Corte suggerisce di migliorare tali dispositivi e la focalizzazione dell’intervento dell’Ue, oltre a rendere i finanziamenti più prevedibili. Per alleviare le strozzature della mobilità militare, l’Unione può inoltre sfruttare le potenzialità dei fondi attualmente destinati al trasporto civile.

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    Nato, l’allarme di Rutte: “Passare a una mentalità di guerra”. Il 2 per cento del Pil in difesa non basta più

    Bruxelles – Non perde tempo Mark Rutte, il nuovo segretario generale della Nato. La sua prima uscita pubblica di spicco dopo essersi insediato alla guida dell’Alleanza militare atlantica è quasi un appello alle armi: “È ora di passare a una mentalità di guerra“, ha affermato l’ex premier olandese, perché “il pericolo si muove verso di noi a tutta velocità”. Di fronte ad una Russia che “si sta preparando a un conflitto a lungo termine” e che nel 2025 spenderà tra il 7 e l’8 per cento del Pil per armarsi, la soglia del 2 per cento fissata dalla Nato non basta più.“Avremo bisogno di molto di più”, ha avvisato Rutte, incalzato dalla direttrice di Carnegie Europe, Rosa Balfour, di fronte ad una platea composta da giornalisti, funzionari europei, imprenditori ed esperti del settore della difesa. Un nuovo obiettivo di spesa militare condiviso a livello Nato ancora non c’è, “ma è evidente che nei prossimi mesi dovremmo accordarci su quale sarà la nuova soglia“. Rivolto non solo ai governi di quei pochi Paesi – tra cui l’Italia – che ancora non hanno raggiunto la soglia del 2 per cento, ma alle banche, ai fondi di pensione, fino all’opinione pubblica e ai cittadini, il segretario generale ha affermato chiaramente: “È inaccettabile rifiutarsi di investire nella difesa”. Anche se “significa spendere meno per le altre priorità”, le pensioni, la sanità, la previdenza sociale. L’Alleanza Atlantica “ha bisogno di una piccola percentuale” di quel denaro.La minaccia militare, ha messo in chiaro Rutte, non è immediata: “Per ora il nostro deterrente è buono, ma tra tre o quattro anni potrebbe non esserlo più”. Perché è sempre più evidente che Russia, Cina, Corea del Nord e Iran “stanno lavorando insieme per assicurarsi la propria sfera di influenza”. A preoccupare sempre di più, al di là del nemico pubblico numero uno, Vladimir Putin, è l’atteggiamento di Pechino. La Cina “sta aumentando in modo sostanziale le sue forze, comprese le armi nucleari, senza trasparenza e limitazioni”, ha puntato il dito Rutte.La “priorità assoluta” per i 32 alleati della Nato è quella di rafforzare l’industria della difesa, segnata da “decenni di investimenti insufficienti” e rimasta “troppo piccola, troppo frammentata e troppo lenta”. Non si tratta solo di spendere di più, ma di spendere meglio. E insieme: per Rutte, a livello europeo sarebbe importante insistere nella direzione di acquisti congiunti, “altrimenti l’impatto finanziario sarà enorme”. Per soddisfare le richieste del segretario generale, la Commissione europea ha già riconosciuto gli investimenti per la difesa come una priorità, allargando le maglie del rigore di bilancio per la spesa pubblica in questo ambito.Eppure, alle porte c’è il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, che potrebbe intavolare molto prima del previsto una trattativa di pace con il Cremlino. Dopo l’esito delle elezioni americane, l’eventualità di sedersi a un tavolo negoziale con Putin ha preso peso, anche perché altrimenti Washington potrebbe ridimensionare il suo impegno per la resistenza dell’Ucraina. Per Rutte, le speculazioni sui parametri da mettere in gioco per concludere la guerra vanno a vantaggio di Mosca: “C’è il rischio enorme di cominciare un negoziato senza nemmeno essere seduti al tavolo”, ha avvertito. L’importante sarà assicurare le garanzie di pace richieste da Zelensky, perché se sarà Putin a uscire vincitore dalla trattiva, sarà “un cattivo accordo”.Sul rapporto con il nuovo inquilino della Casa Bianca, che minaccia di chiudere l’ombrello di protezione a stelle e strisce sull’Europa, Rutte ha smorzato i toni. “Trump vuole spingerci e ha perfettamente ragione, da quando è diventato presidente nel 2017 abbiamo accelerato” sulla difesa. Ma sia chiaro, la Nato “non vuole spendere di più perché lo vuole lui, ma perché è in gioco la nostra sicurezza”.

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    A fianco dell’Ucraina fino alla fine (e con tutta la difesa che serve). La decisione dell’Eurocamera piace, ma non alla Sinistra

    Bruxelles – “Per tutto il tempo necessario” è la promessa che l’Ue ha fatto all’Ucraina. Con il coinvolgimento della Cina e della Corea del Nord, l’escalation è dietro l’angolo e l’Europarlamento, nella Plenaria di Strasburgo, ha ribadito il proprio supporto a Kiev.Dalla risoluzione approvata giovedì (28 novembre), arriva l’ennesima condanna della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina e il peggioramento del conflitto. Alla comunità internazionale, i deputati del Parlamento europeo chiedono di attivarsi per gestire il buco nero che sono gli ormai oltre mille giorni di guerra. “Non può svolgersi nessun negoziato sull’Ucraina senza l’Ucraina“, ribadiscono gli eurodeputati, invitando Ue e Stati membri ad adoperarsi per accrescere il sostegno internazionale e individuare una soluzione pacifica alla guerra.Il triangolare Pechino, Pyongyang e MoscaL’invio delle truppe da parte della Corea del Nord e la sperimentazione di missili balistici in Ucraina fanno paura e nell’ottica Ue rappresentano “una nuova fase della guerra” e sono “un nuovo rischio per la sicurezza dell’Europa nel suo complesso“.A Pechino viene chiesto di porre fine all’assistenza militare e alla fornitura di beni a duplice uso alla Russia. Arriva un ulteriore monito dall’Ue in riferimento alle azioni cinesi: “Il rifiuto di cambiare linea d’azione al riguardo rischia di compromettere gravemente le relazioni bilaterali Ue-Cina“, già in crisi per un principio di guerra commerciale partita dai dazi europei sulle auto elettriche alla Cina e continuata con i dazi cinesi sul brandy europeo.In questa occasione, all’Eurocamera non sfugge anche l’influenza della Cina sulla Corea del Nord, attore ormai coinvolto nella guerra in Ucraina. Per evitare l’invio di armi alla Russia, si chiede maggiore cooperazione internazionale, esercitando “una pressione costante su Pyongyang affinché cessi le sue azioni destabilizzanti“.Verso la stessa Corea del Nord, insieme a Bielorussia e Iran, gli Stati membri sono invitati a rafforzare il regime di sanzioni, aggiungendo anche all’elenco delle sanzioni Ue anche le entità e le persone fisiche cinesi che supportano la Russia o il settore russo della difesa e della sicurezza.Nessun ‘addio alle armi’ (anzi, più spesa)Impegno a tutto tondo dell’Ue e dei singoli Stati nei confronti dell’Ucraina, che è anche una delle nazioni candidate a entrare a far parte dell’Ue. Nonostante la promessa di attuare la formula di pace dell’Ucraina e creare le condizioni necessarie per lo svolgimento di un secondo Summit sulla Pace, nel testo una buona parte è dedicata al sostegno militare.Si parla di fornitura di aerei, missili a lungo raggio, come i Taurus, sistemi difesa aerea e tutti gli armamenti necessari per permettere all’Ucraina di continuare a resistere. La stessa presidente della Commissione europea von der Leyen nel discorso di ieri (27 novembre), prima del voto sul collegio dei Commissari, aveva sottolineato la necessità di spendere di più e in modo coeso per la difesa e questo aspetto è stato recepito chiaramente nella risoluzione.0,25 per cento del Pil annuo di tutti gli Stati europei e degli alleati della Nato dovrebbe essere impegnato “collettivamente e individualmente” per fornire un sostegno militare all’Ucraina. Una sollecitazione importante, che si unisce agli oltre 118 miliardi di euro già spesi dall’Ue, una cifra pari a quasi un intero bilancio annuale comunitario.Non viene tralasciata nemmeno la questione Trump 2.0, verso cui ci si augura di rafforzare la collaborazione transatlantica, che sia “vantaggiosa per entrambe le parti, evidenziando l’interesse strategico comune di sostenere l’Ucraina”. Lo spauracchio del disimpegno da parte della nuova presidenza repubblicana spinge gli eurodeputati a cercare i rapporti più distesi possibile, perché “how long as it takes” non piace in modo uniforme a tutti.Tutti felici e guerrafondai, ma non la SinistraLa Sinistra europea ha votato compattamente contro la risoluzione, passata con 390 voti favorevoli, 135 contrari e 52 astenuti. Nessuno degli emendamenti del gruppo è riuscito a passare, incontrando l’opposizione della rinnovata ‘maggioranza Ursula’ in modo molto compatto.Si chiedeva di concentrarsi sulla fine della guerra in modo diplomatico, come lo stesso presidente Zelenskyy aveva recentemente detto, entro il 2025, limitando il contributo dell’Ue al conflitto dal punto di vista militare. Allo stesso modo negli emendamenti era stata avanzata la condanna anche alla mossa di Biden di autorizzare l’esercito di Kiev a usare i missili a lunga gittata (capaci di raggiungere bersagli a 300 chilometri di distanza).L’intento pacifista della Sinistra è stato, però, un buco nell’acqua. Amareggiato il commento su X del Movimento5Stelle Europa, parte del gruppo politico la Sinistra:Al @Europarl_IT si è votato un provvedimento immorale, che critica chi prova a cercare una soluzione negoziale in #Ucraina. Stigmatizzando il Cancelliere Scholz, che la settimana scorsa ha telefonato a #Putin in un tentativo di dialogo, facciamo un regalo ai guerrafondai.1/2— M5S Europa (@M5S_Europa) November 28, 2024Lo stigma sul cancelliere tedesco si riferisce ad un paragrafo della risoluzione in cui l’intero Parlamento europeo “deplora il recente colloquio telefonico del cancelliere tedesco con Vladimir Putin”. Il presunto intento diplomatico non è piaciuto molto ai colleghi europei e i tempi bui per Scholz (dopo le elezioni anticipate) sembrano appena essere cominciati.La risoluzione di oggi si allinea agli impegni che l’Ue ha deciso di prendere con l’Ucraina e con gli obiettivi sulla difesa che sono chiari per von der Leyen bis. Mentre l’industria della difesa preme perché si facciano investimenti su investimenti per rafforzare la posizione europea (ma soprattutto del settore), resta da vedere come l’Unione coordinerà la spesa di praticamente un intero bilancio per un Paese candidato e i propri obiettivi generali, affinché “per tutto il tempo necessario” possa essere una promessa realistica.

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    Oltre 118 miliardi, l’Ue ha già speso quasi il bilancio di un anno per l’Ucraina

    Bruxelles – L’Unione europea ha già speso quasi l’equivalente di un bilancio annuale comune in sostegno all’Ucraina. Tra aiuti comunitari e contributi dei singoli Stati membri, “l‘assistenza complessiva dell’Ue all’Ucraina e al suo popolo ammonta finora a oltre 118 miliardi di euro“, scandisce l’Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, nella risposta a un’interrogazione parlamentare in materia. Una cifra impressionante, se si considera che il bilancio comune per il solo 2023 è stato pari a 186,6 miliardi di euro. Aiutare il presidente ucraino Volodymir Zelensky nella sua risposta all’aggressione militare russa inizia a raggiungere proporzioni importanti, e senza precedenti. L’assistenza finanziaria da oltre 118 miliardi di euro, specifica Borrell, “include circa 43,5 miliardi di euro di sostegno militare, di cui 6,1 miliardi dal Meccanismo per la pace“. Praticamente quasi un terzo dello sforzo economico dei Ventisette a oggi è servito ad alimentare la macchina bellica ucraina, per permettere difesa e contro-attacco. Qui, precisa ancora l’Alto rappresentante, “il sostegno dell’Ue fa la differenza, ad esempio, sulla difesa aerea“.Cifre e numeri comunque parziali, e destinate ad essere aggiornate ancora. “L’Ue continuerà a sostenere l’Ucraina di fronte alla guerra di aggressione della Russia”, assicura Borrell. Una rassicurazione frutto anche dell’evoluzione di un conflitto non solo più tra Mosca e Kiev. “La Russia ha anche iniziato a utilizzare missili della Repubblica Popolare Democratica di Corea e forse presto anche quelli iraniani”, denuncia l’Alto rappresentante. Un’escalation del conflitto che non consente ripensamenti.  Quindi l’avvertimento politico ai partner di tutta l’Unione europea. Quali che siano, in prospettiva, mosse e decisioni del nuovo presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump,  l’Ue dovrà tenere il punto:“Qualsiasi soluzione che ignori l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina comporterebbe la ricompensa dell’aggressore e la legittimazione dei tentativi di ridisegnare i confini con la forza, non solo in Europa”.

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    Von der Leyen: “Dobbiamo costruire una produzione di difesa di dimensioni continentali”

    Bruxelles – Gli Stati uniti sono grandi amici, possiamo contare su di loro, ma è giunto il momento che l’Europa si doti degli strumenti per difendersi da sola, il futuro è pieno di minacce. E’ l’appello che con grande forza ha lanciato oggi la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen nel suo discorso di apertura al GLOBSEC Forum 2024 di Praga, il forum sulla sicurezza più importante dell’Europa centrale, come la presidente stessa l’ha definito.Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, per aiutare un Paese la cui prospettiva è l’adesione all’Unione, ha ribadito von der Leyen, “l’Europa ha superato la sua lunga riluttanza a spendere abbastanza per la propria difesa”. “Non sottolineerò mai abbastanza l’importanza del sostegno degli Stati Uniti all’Ucraina dall’inizio di questa guerra. Ancora una volta – ha sottolineato la politica tedesca -, l’America ha difeso la libertà di tutti gli europei. Provo un profondo senso di gratitudine per questo, ma anche un profondo senso di responsabilità”.Gli Stati Uniti però da tempo stanno cercando di alleggerirsi del carico della difesa dell’Europa, e la situazione potrebbe precipitare se alle elezioni di novembre dovesse vincere Donald Trump. Dunque “proteggere l’Europa è innanzitutto un dovere dell’Europa. E se la Nato deve rimanere il centro della nostra difesa collettiva – ha spiegato von der Leyen -, abbiamo bisogno di un pilastro europeo molto più forte. Noi europei dobbiamo avere i mezzi per difenderci e proteggerci e per scoraggiare eventuali avversari”.Dall’inizio della guerra, “abbiamo già compiuto progressi senza precedenti. Gli Stati membri hanno aumentato la spesa per la difesa, passando da poco più di 200 miliardi di euro prima della guerra a quasi 300 miliardi di euro quest’anno. Anche la nostra industria della difesa si è adeguata alla nuova realtà. Abbiamo riaperto le linee di produzione. Abbiamo piazzato nuovi ordini e ridotto la burocrazia per l’industria, per produrre di più e più rapidamente”, ha ricordato la presidente della Commissione. “Ma questo non basta. La realtà è che anche se gli europei prendono sul serio le attuali minacce alla sicurezza, ci vorranno tempo e investimenti per ristrutturare le nostre industrie della difesa. Il nostro obiettivo – ha sottolineato – deve essere quello di costruire una produzione di difesa di dimensioni continentali”.Secondo la presidente “la sfida è che i piccoli Paesi e le piccole imprese imparino a pensare in grande, davvero in grande. Dobbiamo avere in mente una revisione sistemica della difesa europea. Questa è la responsabilità strategica dell’Europa, a prescindere dall’esito delle elezioni americane del 5 novembre”.Per von der Leyen “all’inizio di questo decennio, molte illusioni si sono infrante in Europa. L’illusione che la pace fosse stata raggiunta una volta per tutte. L’illusione che la prosperità potesse essere più importante per Putin rispetto ai suoi deliranti sogni di impero. L’illusione che l’Europa stesse facendo abbastanza in materia di sicurezza, sia economica che militare”.Dunque, ha concluso la presidente della Commissione “oggi non possiamo permetterci altre illusioni. La seconda metà del decennio sarà ad alto rischio. La guerra contro l’Ucraina e il conflitto in Medio Oriente hanno messo in movimento la geopolitica. Anche in Estremo Oriente la tensione è alta. Noi europei dobbiamo stare in guardia. Dobbiamo concentrare la nostra attenzione sulla dimensione della sicurezza in tutto ciò che facciamo”. Dobbiamo pensare alla nostra Unione come a un progetto di sicurezza intrinseco”.

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    Crosetto: “Bene un Commissario alla difesa, ma vanno anche riviste le regole per la spesa degli Stati”

    Bruxelles – Per il ministro italiano alla Difesa Guido Crosetto è un bene che l’Unione europea abbia iniziato ad occuparsi più seriamente di difesa, anche creando un nuovo portafoglio dedicato nella prossima Commissione. Le questioni strategiche sono diventate centrali in questa fase storica, ha dichiarato il titolare del dicastero ai margini del Consiglio informale a Bruxelles. Ma per centrare gli obiettivi di spesa fissati dall’Europa e dalla Nato è necessario rivedere le regole di bilancio comunitarie, che impediscono agli Stati membri di mettere in campo le risorse necessarie. “Ho letto” che la presidente eletta dell’esecutivo comunitario Ursula von der Leyen “nominerà un commissario europeo per la Difesa: la cosa non può che farmi piacere”, ha dichiarato il ministro ai giornalisti in uscita dalla riunione con gli omologhi dei Ventisette. L’incontro di oggi chiude la due giorni di informali – ieri (29 agosto) si sono visti i titolari degli Affari esteri – nota come Gymnich, che segna la ripresa dei lavori dopo la pausa estiva. In uno strappo alla regola, i meeting si sono tenuti a Bruxelles anziché a Budapest (capitale del Paese che detiene la presidenza di turno dell’Ue) come forma di sanzione al governo ungherese, il cui leader Viktor Orbán ha indispettito Commissione e cancellerie per i suoi disinvolti tour “diplomatici” tra Ucraina, Russia, Cina e Stati Uniti. Crosetto si augura anche “che la sottocommissione Difesa diventi una commissione permanente anche all’interno del Parlamento europeo“, sostenendo che “se è così rilevante costruire la difesa del futuro per ogni Paese europeo, per l’Europa intera, allora bisogna adeguarsi e quindi ridare uno spazio che la difesa non ha avuto in questi anni, soprattutto quella europea”. Data la centralità acquisita dal tema in questo periodo, ha ribadito il ministro, è necessario che il blocco si attrezzi con adeguate strutture politiche. Ma soprattutto, ha insistito, è fondamentale che venga adeguato anche il quadro normativo che determina lo spazio di manovra finanziaria degli Stati membri. Crosetto ha chiesto all’Ue di “decidere” tra il rigore di bilancio e la spesa militare, ora che inizia un nuovo ciclo istituzionale fino al 2029: “Se la difesa è fondamentale in questa fase che stiamo vivendo”, ha spiegato, “l’Europa deve decidere se escludere le spese della difesa” dal Patto di stabilità e crescita (Psc), quello che elenca i vincoli che i Ventisette devono rispettare (come rapporto debito/Pil al 60 per cento e quello deficit/Pil al 3 per cento). A decidere sul budget per la difesa, nelle parole del ministro, non è il ministro della Difesa ma quello dell’Economia e delle finanze, che “non decide in base alla situazione di sicurezza nel mondo, ma in base ai vincoli che arrivano dall’Unione europea”.  E ha avvertito: “Se questo non accade non riusciremo ad assumerci gli impegni che l’Europa stessa vuole assumersi”, sottolineando che il Segretario generale aggiunto della Nato Angus Lapsley “mi ha dato ragione”. Lo stesso funzionario dell’Alleanza, ha continuato Crosetto, “ha detto che all’Alleanza non basterà più il 2 per cento” del Pil nazionale da destinare alle spese militari, ma “si andrà al 2,5 per cento o al 3 per cento“. Nel caso italiano, dove attualmente non si riesce a centrare nemmeno il target del 2 per cento fissato dall’Alleanza atlantica, la difesa andrà adeguata “alle nuove sfide e al nuovo mondo”: e per farlo, occorrono risorse che solo il Mef può gestire, ma finora ha avuto le mani legate da Bruxelles.

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    L’Ue avanza a est, aiuti per le forze armate dell’Armenia in chiave anti-russa

    Bruxelles – Cooperazione militare Ue-Armenia, gli europei ci provano e forzano la mano sullo scacchiere internazionale mettendo un piede nell’area dell’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (Csto), l’alleanza militare che racchiude Russia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e proprio l’Armenia. Il Consiglio dell’Ue ha deciso di staccare un assegno da 10 milioni di euro a sostegno delle forze armate armene attraverso lo strumento per la pace. L’obiettivo di questa misura, la prima di sempre a favore delle autorità di Yerevan, “accelerare l’interoperabilità delle sue forze armate in caso di possibile futura partecipazione del paese alle missioni e alle operazioni militari internazionali, comprese quelle schierate dall’Ue”.Nella pratica tutto questo si traduce con la fornitura di un vero e proprio campo tendato dispiegabile per un’unità delle dimensioni di un battaglione (unità militare terrestre, generalmente composta da un numero di uomini compreso tra i 500 e i 1.000, ndr). Una mossa che perà è geopolitica, e che rischia di accrescere ulteriormente le tensioni con la Federazione russa e il suo presidente, Vladimir Putin, da sempre, anche da prima dello scoppio della guerra in Ucraina, contrario all’avanzata dell’Europa a est e all’ampliamento di quello che a Mosca viene considerata una politica di accerchiamento.Con la volontà dichiarata di includere l’Armenia nelle missioni militari europee l’Ue compie un nuovo passo verso est, nell’intento di attrarre verso di sé un Paese all’interno di un’area di interesse economico e strategico per la Russia, e che porterebbe l’Europa in Asia occidentale, nel Caucaso.L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, tira dritto. “Abbiamo un interesse reciproco per aumentare ulteriormente il nostro dialogo sulla politica estera e di sicurezza, esaminando anche la futura partecipazione dell’Armenia alle missioni e alle operazioni condotte dall’Ue”.Ufficialmente la decisione si spiega nell’ambito del partenariato bilaterale. Ma c’è anche da dover correre ai ripari dopo gli scontri tra Armenia e Azerbaijan per il controllo del Nagorno-Karaback, territorio conteso riconosciuto internazionalmente come azero ma controllato dall’Armenia dalla dissoluzione dell’Unione sovietica. Gli scontri, duri, che hanno visto il Parlamento europeo accusare Baku di pulizia etnica, hanno rilanciato certamente la necessità di rafforzare la sicurezza e la capacità di risposta delle forze armate azere. E con la Georgia che compie passi indietro sul percorso che dovrebbe portare ad un’adesione rimessa in discussione, mettere un altro piede nel Caucaso diventa ancor più prioritario per un’Unione europea desiderosa di espandersi a est e sfidare ancora una volta Vladimir Putin.

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    Da progetto di pace a promotrice di guerra, l’Ue assiste anche l’esercito di Albania e Benin

    Bruxelles – C’era una volta l’Unione europea progetto di pace, che proprio per questo venne insignita del premio Nobel appositamente dedicato. Storia di tempi non lontani, eppur remoti. La bella Ue di una volta non c’è più, smarrita e cambiata sotto i colpi di un presente incerto, molto diverso, tanto diverso anche per quel progetto di pace di cui cambia toni, narrativa e retorica. Per garantire la pace servono le armi, e mentre l’Europa rilancia l’industria bellica definita industria della difesa, arma il resto del mondo. Questo indicano i finanziamenti a Benin e Albania approvati dal Consiglio dell’Ue.Due decisioni separate e distinte, ma uguali nella natura. Con un assegno da 5 milioni di euro a favore del Benin, lo strumento per la pace dell’Ue, “le forze armate del Benin saranno dotate di un aereo militare multiuso“, fa sapere il Consiglio. Mentre con l’aiuto economico da 13 milioni di euro per l’Albania “le forze terrestri albanesi riceveranno veicoli corazzati leggeri multiuso“. In entrambi i casi si offre anche disponibilità per addestramento e formazione tecnica. Prepararsi al peggio, insomma, nel non immediato parallelismo con uno degli slogan e imperativi del mondo orwelliano: “la guerra è pace”. Analogie non immediate anche perché la versione a dodici stelle è che si vogliono sicurezza e difesa, non guerra, ma le sfumature lessicali solo in parte nascondono un’Europa sempre più in versione 1984 che 2024.Ma nell’anno in corso sempre più venti di guerra soffiano sul vecchio continente, deciso ad arginare con fermezza quelle crisi su cui l’Europa proprio esente da colpe non è. I leader dell’Ue non hanno saputo (o voluto) ascoltare gli avvertimenti che arrivavano dalla Russia, e non hanno saputo (o voluto) risolvere per davvero, in modo credibile e concreto, al netto di parole e dichiarazioni di circostanza, una questione senza fine come quella arabo-israeliana. Nel mondo improvvisamente cambiato il progetto di pace non serve più, o più semplicemente non basta più. Avanti con fornitura di armi, munizioni e nuovi comandanti per le forze armate in giro per il mondo.Oltre ai nuovi finanziamenti per Benin e Albania, gli ultimi della serie, operazioni militari Ue con tanto di contributo economico, risultano attive in Mozambico, Repubblica centrafricana, Somalia, Togo, Ghana e Costa d’avorio, Bosnia-Erzegovina e Ucraina (gestita in Belgio). E’ la nuova Unione europea, quella del nuovo corso. L’Ue raccontata fino a poco tempo fa non c’è più. C’era una volta. Adesso è un’altra storia.