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    Dazi, clima, diritto internazionale: Trump detta l’agenda del Parlamento europeo

    Bruxelles – Commercio, innovazione e competitività, salute. Praticamente Donald Trump in tutte le sue declinazioni più una, l’ultima: l’attacco del presidente degli Stati Uniti alla Corte penale internazionale. L’inquilino della Casa Bianca irrompe nei lavori di un Parlamento europeo che finisce col disegnare la propria agenda attorno a quella di Trump, oggetto di tre diversi dibattiti d’Aula. La sessione plenaria prevede la questione dazi (martedì 11 febbraio alle 9), restrizione all’export di chip verso l’Ue (martedì 11 febbraio alle 18), ritiro dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e dall’accordo sul clima (mercoledì 12 febbraio alle 16): il Parlamento europeo ruota attorno alle dichiarazioni e alle minacce del presidente Usa.C’è chiaramente la questione dazi a tenere banco, con il diffuso timore, tra i diversi gruppi, che si possa innescare una guerra commerciale che non gioverebbe a nessuno. L’approccio generale e condiviso tra le diverse anime dell’Aula, è quello di cercare di evitare quanto più possibile di arrivare ad avere sovra-costi statunitensi ai beni europei, ma di essere pronti a rispondere. I socialisti vorrebbero in particolare che la Commissione europea mettesse a punto già delle contromisure, così da avere una risposta “tempestiva e decisa” in caso di scenario peggiore.Per Popolari (Ppe) e conservatori (Ecr) la priorità resta la cooperazione per quello che si continua a considerare un partner strategico e di lungo corso. “Su Trump attendiamo, sappiamo che è un grande mediatore”, confida Denis Nesci (Fdi/Ecr), che conferma come “siamo in fase di dibattito”, e quindi “dobbiamo essere pronti a quello che può succedere ma attendere”. I Verdi vorrebbero una risposta unita e non procedere in ordine sparso, come spiega Ignazio Marino (Europa Verde/Verdi): “Su Trump purtroppo l’Europa si sta dimostrando debole e divisa”, e quindi “il bullo prevale”.Ma è il dibattito del 12 febbraio – senza risoluzioni – che rischia di infiammarsi ancora di più, perché alle questioni Oms e la seconda uscita dagli accordi di Parigi sul clima si aggiungono le minacce di sanzioni alla Corte penale internazionale. Uscite, queste ultime, che infiammano già il dibattito che verrà. “Trump sta invitando alla pulizia etnica a Gaza, e ora attacca la Corte penale internazionale, con Ursula von der Leyen che non fa niente“, le critiche che piovono da laSinistra nei confronti della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. “La Corte penale internazionale è un luogo quasi sacro che deve essere tutelato”, tuona Valentina Palmisano (M5S), convinta delle necessità della “protezione del diritto internazionale anche alla luce delle ultime dichiarazioni di Trump”Mentre la portavoce del gruppo dei socialisti fa notare come nonostante un’agenda dalla forte connotazione di politica estera (si parla anche del terzo anno di guerra russo-ucraina, disordini e proteste in Serbia, deterioramento della situazione in Georgia), critica l’assenza dell’Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza dell’Ue, Kaja Kallas. “Sarebbe stato bello averla in Aula”, commemta.Infine le restrizioni degli Stati Uniti alle esportazioni di chip utili alla doppia transizione. Il nuovo regime voluto da Trump avrà ripercussioni per 17 Stati membri su 27 (Austria, Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Grecia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Ungheria), e questo rende il dibattito necessario per organizzare una risposta.  Neppure in questo caso sono previste risoluzioni. Si vuole censurare Trump, senza censurare Trump. Che impone la sua agenda nell’agenda del Parlamento europeo

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    Niente crescita e meno commercio, per Londra la Brexit cinque anni dopo è un ‘flop’

    Bruxelles – Meglio soli che male accompagnati. Il noto detto devono conoscerlo anche oltre Manica, dove si è deciso di dire addio all’Unione europea per un futuro più radioso che però non c’è. Ecco che il noto detto mostra i suoi limiti, riassunti nei numeri certificati anche dall’Ufficio per la responsabilità di bilancio, l’ente pubblico finanziato dal Tesoro britannico. Meno crescita, meno produttività, meno commercio: ecco il Regno Unito post-Brexit, a cinque anni dalla ‘nuova indipendenza’.L’analisi dell’Ufficio governativo, certifica che essere usciti dal mercato unico non è stato un vantaggio. Al contrario, “sia le esportazioni che le importazioni saranno inferiori di circa il 15 percento nel lungo periodo rispetto a quanto sarebbe stato se il Regno Unito fosse rimasto nell’Ue“. Questo per via di costi alle dogane in termini di nuovi dazi e tempi lunghi per i nuovi controlli delle merci scattati quale effetto della Brexit. Inoltre, la libertà di decidere da sé come fare libero scambio si riflette nell’incapacità di essere davvero innovativiDavid Cameron, primo ministro del Regno Unito dall’11 maggio 2010 al 13 luglio 2016. Fu lui a volere il referendum sulla Brexit, e si dimise a seguito dell’esito del voto [foto: imagoeconomica] “I nuovi accordi commerciali con Paesi non Ue non avranno un impatto materiale e qualsiasi effetto sarà graduale”, sottolinea ancora l’Ufficio britannico. “Questo perché gli accordi conclusi fino a oggi replicano (o ‘rinnovano’) accordi di cui il Regno Unito ha già beneficiato come stato membro dell’Ue”. Inoltre, il nuovo accordo di commercio e cooperazione (Tca) Ue-Regno Unito entrato in vigore l’1 maggio 2021 “ridurrà la produttività a lungo termine del 4 percento rispetto alla permanenza nell’Ue”.Dove il Regno Unito ci guadagna dalla Brexit è sull’immigrazione. Si stima che il nuovo regime del governo possa ridurre la migrazione netta in entrata. Sempre che questo sia un vantaggio per il sistema economico e produttivo britannico. Il National Institute of Economic and Social Research di Londra rileva come a seguito della Brexit la carenza di manodopera ha messo “a dura prova l’economia” del Regno Unito. Se prima del recesso dall’Ue le imprese potevano facilmente soddisfare le loro esigenze di lavoro attraverso il mercato del lavoro integrato dell’Ue, a seguito della Brexit settori critici come agricoltura, assistenza sanitaria e ristorazione hanno incontrato carenze di manodopera, con conseguente aumento dei costi operativi e limitazioni di produzione.