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    L’UE trova l’intesa sul quinto pacchetto di sanzioni contro la Bielorussia di Lukashenko

    Bruxelles – L’intesa c’è, ora si attende l’entrata in vigore. I ventisette ministri UE degli Affari esteri hanno raggiunto oggi (lunedì 15 novembre) “un’intesa politica” sul quinto pacchetto di sanzioni contro la Bielorussia. Ad annunciarlo è stato l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, nel corso della conferenza stampa al termine della prima giornata di Consiglio Affari Esteri a Bruxelles: “I nomi inseriti nel nuovo pacchetto di misure restrittive saranno comunicati nei prossimi giorni“.
    Non è ancora ufficiale, ma l’entrata in vigore della quinta tornata di sanzioni UE contro la Bielorussia è solo una questione di ore. Dopo la decisione di ampliare il regime di misure restrittive per includere la strumentalizzazione delle persone migranti alla frontiera, rimane solo da scoprire chi è incluso nel “grande numero di persone, istituzioni e imprese che contribuiscono all’organizzazione di voli verso Minsk e di lì verso i confini dell’Unione”, come anticipato da Borrell. “Studiamo tutte le opzioni possibili per bloccare il regime di Lukashenko, che continua a commettere crimini anche contro la sua popolazione” e che “minaccia l’UE con un’aggressione ibrida”, ha aggiunto l’alto rappresentante.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    Borrell ha aggiornato il Consiglio sulla conversazione telefonica avuta ieri (domenica 14 novembre) con il ministro degli Esteri bielorusso, Vladimir Makei, in cui ha intimato la “fine delle violazioni dei diritti umani nei confronti di persone migranti vulnerabili”. Stando alle parole dell’alto rappresentante UE, da Minsk è arrivata una risposta positiva per l’accesso al territorio bielorusso alle agenzie ONU e per il sostegno agli aiuti umanitari lungo la frontiera, “ma ha declinato tutte le responsabilità sulla presenza dei migranti in quei territori”, ha spiegato Borrell.
    Per Bruxelles “la colpa di quello che sta accadendo è bielorussa al cento per cento”, dal momento in cui “la crisi è stata creata in modo artificiale“. La strada verso l’UE “non passa dalla Bielorussia” e “le frontiere comunitarie sono aperte solo nei valichi di confine, con il rispetto delle procedure legali sulle richieste di protezione internazionale”, ha ricordato Borrell. L’alto rappresentante UE ha voluto però sottolineare che “le persone migranti non possono essere prese in giro e trasformate in un obiettivo politico, è una pratica disumana” e per questo motivo dovrà essere bloccato il flusso dai Paesi d’origine verso la Minsk attraverso “un intenso lavoro diplomatico con i nostri partner”.
    Tra questi non c’è la Russia di Vladimir Putin, accusata invece dai Ventisette di essere coinvolta in modo più o meno diretto nella crisi: “Anche se afferma di non c’entrare niente, sappiamo bene che Lukashenko non potrebbe fare tutto questo senza un forte supporto di Mosca“, ha accusato Borrell. Per quanto riguarda invece le sanzioni UE contro la Bielorussia, “le toglieremo solo quando saranno rispettati i diritti umani” dei cittadini bielorussi e stranieri.
    Gli altri temi sul tavolo
    Oltre alla questione delle sanzioni contro la Bielorussia di Lukashenko, sempre sul fronte orientale i ministri degli Esteri UE si sono confrontati con i leader dei Paesi del Partenariato Orientale. A causa della decisione di Minsk di ritirarsi lo scorso 28 giugno, “la Bielorussia non è stata invitata, ma abbiamo lasciato una sedia vuota con un cartello per il popolo bielorusso”, ha spiegato Borrell. “Abbiamo ribadito il nostro forte impegno nella regione”, in particolare seguendo la situazione lungo le frontiere orientali dell’Ucraina: “Ci sono movimenti preoccupanti di soldati, ma l’Unione sostiene la sovranità e l’integrità territoriale del Paese“, ha assicurato Borrell, che ha anche ricordato i rapporti da stringere secondo la nuova agenda UE-Ucraina, “in attesa del vertice del prossimo mese”.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    In attesa della discussione sulla Bussola strategica per la sicurezza e la difesa nel corso della cena di lavoro, i ministri degli Esteri si sono confrontati “a lungo” sulla situazione nei Balcani: “Vogliamo coinvolgerli di più nelle discussioni di politica estera e di sicurezza informatica, associandoli più strettamente al Consiglio Affari Esteri”, ha spiegato l’alto rappresentante Borrell. Se da parte della Commissione “è necessario organizzare le conferenze intergovernative per l’adesione di Albania e Macedonia del Nord anche prima della fine della presidenza slovena del Consiglio dell’UE, per evitare un impatto negativo di visibilità dell’Unione nella regione”, preoccupa altrettanto la crisi in Bosnia ed Erzegovina.
    Borrell ha puntato il dito contro “alcuni leader politici nazionali che hanno sfruttato una retorica divisiva per portare avanti l’ostruzionismo alle riforme nell’anno non-elettorale” (in Bosnia si alternano ogni due anni le elezioni parlamentari e quelle amministrative). Il primo accusato è il membro serbo-bosniaco della Presidenza tripartita, Milorad Dodik, che ha minacciato di portare la Republika Srpska (l’entità serba) fuori dal controllo delle autorità centrali: “La situazione è grave e ogni tentativo di creare nuovi Stati è una fonte di problemi“, ha sottolineato con forza Borrell che, nel ribadire la “prospettiva europea della Bosnia”, ha specificato l’obbligo che il Paese rimanga “unito e sovrano”.
    Trovi un ulteriore approfondimento nella newsletter BarBalcani, curata da Federico Baccini

    Il Consiglio Affari Esteri ha stilato una nuova lista di persone ed entità da sanzionare per la strumentalizzazione dei migranti alle frontiere dell’Unione: “Entrerà in vigore nei prossimi giorni”, ha assicurato l’alto rappresentante Borrell

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    Lukashenko minaccia l’UE: “Niente sanzioni oppure stop al gas”

    Bruxelles – “Noi riscaldiamo l’Europa e ora loro ci minacciano con la chiusura del confine. Cosa accadrebbe se bloccassimo il transito di gas naturale?”.  Aljaksandr Lukashneko torna ad attaccare l’UE in merito alla crisi dei migranti che in questi giorni ha scaldato la frontiera tra Polonia e Bielorussia.
    La minaccia del presidente bielorusso segue le notizie sul quinto pacchetto di sanzioni – ora confermate da fonti della Commissione europea – che i Paesi UE stanno discutendo. La Commissione ha ribadito che “le sanzioni sono solo uno degli strumenti che l’Unione ha a disposizione” e che una decisione in merito da parte degli Stati membri arriverà a breve.
    Non si conoscono con certezza i settori che potrebbero essere colpiti da eventuali sanzioni. Per il momento è possibile che ad essere interessate saranno quelle compagnie aeree colpevoli di trasportare illegalmente migranti dal Medio Oriente alla Bielorussia, dove vengono utilizzati per mettere sotto pressione le frontiere polacche e lituane. Anche in questo caso la Commissione non si è ancora espressa ma ha confermato di essere in contatto con le principali compagnie aeree per portare avanti delle indagini.
    Paolo Gentiloni, commissario europeo all’Economia, ha risposto che “non dovremmo sentirci intimiditi dalle minacce della Bielorussia”. Posizione ribadita dalla Commissione, che giudica il taglio alla fornitura di gas come “uno scenario estremamente ipotetico”, che “danneggerebbe in primis la Bielorussia”.
    Lukashenko minaccia l’UE, ma gli serve il permesso di Putin
    Il gas che attraversa il Paese per arrivare in Polonia, e da lì arriva in Europa, scorre attraverso il gasdotto Yamal che nel suo tratto bielorusso è di esclusiva competenza di Gazprom – la controllata statale russa. Anche la materia prima proviene esclusivamente dalla Federazione, che lo estrae principalmente nel mare di Kara.
    Interrompere le forniture significherebbe, come riferito dalla Commissione, “danneggiare i fornitori” e dunque la Russia, unico alleato di Lukashenko e partner insostituibile per preservare la stabilità del regime bielorusso.
    Per tagliare l’approvvigionamento di gas, Minsk dovrebbe innanzitutto avere il via libera da Mosca. Il consenso del Cremlino, tuttavia, trascinerebbe la Russia in una vicenda a cui vorrebbe rimanere estranea (almeno a livello ufficiale) – posizione che il presidente Vladimir Putin ha fatto intendere anche durante una recente telefonata con Angela Merkel.

    Il Presidente della Bielorussia risponde all’Unione europea, che in questi giorni pensa all’emissione di un quinto pacchetto di sanzioni contro il governo di Minsk per l’utilizzo come arma dei migranti. Adesso Lukashenko minaccia di interrompere il flusso dei gasdotti russi che, passando attraverso il Paese, riscaldano gli Stati europei

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    Merkel chiama Putin: “Intervieni sul comportamento disumano della Bielorussia”

    Bruxelles – “La Cancelliera ha telefonato al presidente Putin per discutere della situazione al confine tra Bielorussia e Polonia“. Lo annuncia su Twitter il portavoce di Angela Merkel, Steffen Seibert. Il Cremlino ha precisato che che si è trattato di “un’iniziativa della Germania”.
    Secondo Seibert, Merkel “ha sottolineato che la strumentalizzazione dei migranti attraverso il regime bielorusso è disumana e inaccettabile e ha pregato il presidente Putin di intervenire”. Di seguito la cancelliera avrebbe chiesto al presidente russo di utilizzare la propria influenza per dissuadere il governo di Minsk dal proseguire quello che per l’UE è un “attacco asimmetrico”.
    Da Mosca è arrivata una risposta tiepida. Se infatti Putin ha acconsentito “a continuare i colloqui su questo tema”, non sono stati presi impegni di sorta per porre un freno alla crisi. Quanto emerge dalle dichiarazioni è che per l’inquilino del Cremlino si tratta di un problema tra l’Unione europea e la Bielorussia, che non tocca direttamente la Russia.
    Nel corso della telefonata con Angela Merkel, Putin ha suggerito di risolvere la questione “attraverso un colloquio diretto tra gli Stati membri dell’UE e Minsk”, affermando che la Russia avrebbe fatto il possibile per mettere in contatto le due parti in causa – ma senza intervenire in prima persona.
    Merkel ha poi ringraziato pubblicamente i Paesi “che sono preoccupati per la protezione delle frontiere esterne dell’Unione europea, Lituania, Lettonia e Polonia”, lasciando intendere un supporto tedesco alle istanze degli Stati che stanno gestendo direttamente i flussi migratori orchestrati dal regime bielorusso.

    Per la Cancelliera la “strumentalizzazione dei migranti attraverso il regime bielorusso è un comportamento disumano e inaccettabile”, ma Vladimir Putin invita gli Europei a parlare direttamente con Minsk

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    La Lituania dichiara lo stato di emergenza sul confine bielorusso. Esercito in stato di allerta per la crisi migratoria

    Bruxelles – Dopo la Polonia, anche la Lituania ha dichiarato lo stato di emergenza in risposta alla crisi migratoria scatenata dal presidente bielorusso, Alexander Lukashenko. A partire dalla mezzanotte di oggi (mercoledì 10 novembre) e per i prossimi 30 giorni sarà limitato l’accesso ai non-residenti e il movimento di veicoli non autorizzati in un’area larga cinque chilometri lungo il confine sud-orientale con la Bielorussia.
    La misura promossa dalla ministra dell’Interno, Agnė Bilotaitė, è stata approvata nel tardo pomeriggio di ieri (9 novembre) dal Seimas, il Parlamento nazionale, con 122 voti a favore su 141. È la prima volta che in Lituania entra in vigore lo stato di emergenza, da quando il Paese ha dichiarato l’indipendenza dall’Unione Sovietica l’11 marzo del 1990. Oltre al divieto di ingresso nella zona di frontiera per i civili non autorizzati e la possibilità della guardia di frontiera di fare perquisizioni indiscriminatamente, il pacchetto di misure include l’uso di fondi di riserva del governo per rispondere alla crisi e limitazioni dei diritti dei richiedenti asilo già alloggiati nel Paese: per esempio, restrizioni nella comunicazione per iscritto o telefoniche verso l’estero e ilm divieto di assemblea nelle strutture di accoglienza dei migranti a Kybartai, Medininkai, Pabradė, Rukla e Vilnius.
    La ministra dell’Interno, Agnė Bilotaitė, e la commissaria europea agli Affari interni, Ylva Johansson, in vista sul confine tra Lituania e Bielorussia
    “La situazione alla nostra frontiera è stabile e sotto controllo, ma osservando ciò che sta accadendo al confine bielorusso-polacco, dobbiamo essere preparati a diversi scenari“, è stato il commento della ministra dell’Interno. Spiegando la decisione di imporre lo stato di emergenza, Bilotaitė l’ha definita “proporzionata” rispetto alla “minaccia alla sicurezza nazionale e all’ordine pubblico” di un arrivo massiccio di richiedenti asilo dalla Bielorussia. Così come sta accadendo dallo scorso 2 settembre in Polonia, questa misura “ci permetterà di chiudere completamente il confine con la Bielorussia”, ha aggiunto la ministra. L’esercito è stato messo in stato si allerta.
    La scelta della Lituania di dichiarare lo stato di emergenza è arrivata dopo il precipitare della situazione alla frontiera polacca, con l’arrivo di centinaia di migranti (Varsavia parla di oltre 4mila) agevolato dal regime Lukashenko. Da mesi il presidente bielorusso sta utilizzando il flusso irregolare di migranti come “strumento di guerra ibrida” – parole delle istituzioni europee – in risposta alle sanzioni economiche imposte da Bruxelles. Ma nelle ultime settimane la situazione sembra essere sul punto di sfuggire dal controllo delle autorità di frontiera della Polonia. Questa mattina due gruppi di migranti, incalzati dalle forze dell’ordine bielorusse, hanno sfondato la barriera innalzata dall’esercito polacco nei pressi dei villaggi di Krynki e Bialowieza. In risposta, circa 50 persone sono state arrestate per attraversamento illegale del confine.

    A section of the barbed wire fence has been removed. Polish servicemen formed a human shield to cover the hole and are trying to scare migrants off with a helicopter. The crowd is chanting “Germany!” pic.twitter.com/P99Yd9SRdO
    — Tadeusz Giczan (@TadeuszGiczan) November 8, 2021

    È da lunedì (8 novembre) che oltre 12mila militari in assetto antisommossa si stanno opponendo all’ingresso dei richiedenti asilo in arrivo dalla Bielorussia, con scontri in cui sono rimasti feriti anche alcuni bambini. Nei fatti si tratta di pushback, respingimenti di persone con diritto alla protezione internazionale ai confini dell’Unione Europea: secondo le regole comunitarie, sono pratiche illegali. Nonostante ciò, l’attenzione dell’UE è tutta focalizzata sul sostegno a Varsavia nel proteggere le frontiere (nazionali ed esterne dell’Unione) e sul denunciare “l’aggressione di un regime illegittimo e disperato”, come ha commentato la commissaria europea agli Affari interni, Ylva Johansson. Bruxelles vuole “evitare una nuova crisi umanitaria alle frontiere” e la priorità più urgente è “porre fine agli arrivi di migranti all’aeroporto di Minsk“, ha aggiunto la commissaria in audizione alla commissione per le Libertà civili (LIBE) del Parlamento UE. A questo scopo “stiamo intensificando i contatti con i Paesi partner” da dove il regime di Lukashenko organizza voli per richiedenti asilo (Iraq, Iran, Siria e Paesi africani della Costa d’Oro).
    Parallelamente, l’UE sta preparando un nuovo pacchetto di sanzioni (il quinto) contro la Bielorussia, per estenderle a individui e organizzazioni che contribuiscono alla strumentalizzazione della migrazione. La discussione è prevista per oggi al Comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri (Coreper), mentre alla mini-sessione plenaria del Parlamento UE che si aprirà questo pomeriggio è stata aggiunta in extremis una discussione sulla crisi migratoria al confine tra Polonia e Lituania. Ieri mattina il Consiglio dell’UE ha invece deciso di sospendere parzialmente l’accordo di facilitazioni per l’ottenimento dei visti sul territorio comunitario per chi proviene dalla Bielorussia.

    Con il precipitare della situazione in Polonia, Vilnius ha deciso di introdurre la misura che vieta l’accesso a un’area di 5 chilometri lungo la frontiera e limita i diritti dei migranti già presenti sul territorio nazionale

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    Crisi dei migranti: Il Consiglio sospende le facilitazioni sui nuovi visti dalla Bielorussia

    Bruxelles – Il Consiglio ha deciso di sospendere parzialmente l’accordo di facilitazioni per l’ottenimento dei visti in UE per chi proviene dalla Bielorussia. Si tratta di una misura presa in risposta alle azioni ostili del governo bielorusso, in particolare “l’aver incoraggiato l’immigrazione irregolare per scopi politici” e la “brutale repressione contro tutti i segmenti della società”.
    La decisione non si applicherà a tutti i cittadini bielorussi, ma solo ai funzionari pubblici. Nel pratico saranno sospese le pratiche facilitate per l’ottenimento del visto, tra cui le riduzioni delle tasse per la domanda.
    Il Consiglio si è pronunciato dopo che nella giornata di ieri migliaia di migranti si sono ammassati presso il confine tra Polonia e Bielorussia, cercando di superare le barriere. Secondo il ministero della Difesa di Varsavia, i migranti sono controllati dalle forze bielorusse, che li stanno utilizzando come “arma asimmetrica” per colpire la Repubblica di Polonia.
    Aleš Hojs, ministro degli Interni della Slovenia e attuale Presidente del consiglio Affari interni, ha attaccato duramente il governo di Lukashenko, ribadendo che “è inaccettabile che la Bielorussia giochi con la vita delle persone per scopi politici” e che l’UE continuerà a “contrastare questo attacco ibrido in corso”.

    La decisione del Consiglio di sospendere le facilitazioni sui visti per chi viene dalla Bielorussia si applicherà solo ai funzionari pubblici del Paese ed è una risposta alla crisi migratoria che il governo di Minsk sta utilizzando come “arma asimmetrica”.

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    La Russia “ha appetito di escalation” in Ucraina: per l’UE è necessario “aumentare la capacità dissuasiva”

    Bruxelles – Si alza il livello di allarme al Parlamento UE sul crescente militarismo della Russia in tutta l’area del Partenariato Orientale, dall’Ucraina al Caucaso, dalla Bielorussia alla Moldavia. Il quadro è stato tracciato dalla sottocommissione Sicurezza e difesa (SEDE) del Parlamento UE, nel corso dell’audizione di oggi (mercoledì 27 ottobre) di Maryna Vorotnyuk, ricercatrice del think tank britannico Royal United Services Institute for Defence and Security Studies, e di Samus Mykhailo, direttore della piattaforma indipendente New Geopolitics Research Network. Si attende ora la relazione a firma Witold Waszczykowski (ECR).
    “L’area del Partenariato orientale rappresenta una fonte di problemi per l’UE e la NATO e il principale motore di insicurezza è la politica della Russia nella regione”, ha messo in chiaro Vorotnyuk. I già presenti problemi economici, inter-etnici e di transizione democratica post-comunista sono stati “esacerbati” da Mosca, che “opera come mediatore in una zona di instabilità controllata“. Se la dottrina militare russa “si basa sull’idea di espansione per terra e per mare”, le tensioni nella regione sono “guerre surrogate contro l’Occidente”. Ma un altro fattore che determina questo atteggiamento è il “sempre maggior divario tra aumento della capacità militare e calo di attrattività del suo modello socio-politico”, ha spiegato la ricercatrice.
    Maryna Vorotnyuk, ricercatrice del think tank britannico Royal United Services Institute for Defence and Security Studies durante il suo intervento (27 ottobre 2021)
    Mosca è ormai presente “in tutti i conflitti congelati o ibridi” dell’area, con circa 10 mila soldati in Ossezia del Sud (regione separatista della Georgia), 2 mila in Nagorno Karabakh, 30 mila in Crimea e 3 mila nel Donbass (rispettivamente il territorio annesso e rivendicato dalla Russia) e circa 1.550 in Transnistria (regione separatista della Moldavia). “Con questa presenza possono dominare il campo di battaglia in caso di operazioni militari”, ha lanciato l’allarme Vorotnyuk, che ha così commentato “l’appetito di escalation di tensione e di capacità bellica” che si sta sviluppando “oltre le necessità in tempo di pace”, in particolare nei confronti di Kiev.
    Rispondendo alle domande degli eurodeputati, il direttore del New Geopolitics Research Network ha spiegato la situazione in Ucraina e in Bielorussia. “La presenza e la preparazione militare è superiore a quella del 2014“, quando le truppe di Mosca hanno annesso la penisola di Crimea. “Sono state implementate le infrastrutture critiche attorno all’Ucraina, con tre divisioni che possono condurre il controllo e la logistica anche per l’occupazione del Donbass”. Come dimostrato dalle esercitazioni dello scorso aprile, “potrebbe verificarsi un’operazione intensa di occupazione su vasta scala dell’Ucraina, non appena il Cremlino considererà favorevoli le condizioni”, ha avvertito Mykhailo.
    Samus Mykhailo, direttore della piattaforma indipendente New Geopolitics Research Network (27 ottobre 2021)
    Riguardo allo scenario bielorusso, il direttore della piattaforma di studi geopolitici ha confermato che “il presidente Alexander Lukashenko non controlla più la situazione ed è completamente alla mercé di Vladimir Putin“. Non una novità, se si considerano gli sviluppi dell’ultimo anno tra i due Paesi. Tuttavia, è interessante considerare la situazione sul campo: “C’è un gruppo di forze regionali che opera con un comando comune e con 300 centri di addestramento sul territorio nazionale, le aviazioni hanno iniziato missioni congiunte e uno scaglione armato russo è già presente nel Paese“. Lo scenario è quello di “una presenza permanente delle truppe di Mosca in Bielorussia”, ha aggiunto Mykhailo.
    A questo punto è necessario considerare come può reagire l’UE a questa situazione di instabilità sul fronte orientale determinata dalla Russia. “Serve una presenza più consistente e risorse di formazione dell’Unione in loco“, ha sottolineato Vorotnyuk. “Il Partenariato orientale non è stato concepito come un progetto di difesa e sicurezza, ma di pace”, tuttavia “il panorama mostra che l’UE deve svolgere un ruolo di maggiore stabilizzazione nella regione”. Ancora più netto Mykhailo, che ha avvertito che “se non ci sarà una definizione comune della minaccia russa, sarà difficile contrastare la bellicosità di Mosca“. Questa “nuova dottrina” dovrà “mettere insieme tutte le percezioni di pericolo dei Paesi membri” e “incentivare lo scambio di esperienze con i partner orientali”. Un discorso che dovrà partire dal “contrasto alla disinformazione e alla guerra ibrida della Russia, in modo da rafforzare la preparazione a scenari di conflitto bellico”.

    Al vaglio della sottocommissione Sicurezza e difesa (SEDE) del Parlamento Europeo la situazione del crescente militarismo russo nella regione del partenariato orientale: “Servono presenza e risorse di formazione UE in loco”

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    L’UE prepara il quinto pacchetto di sanzioni contro il regime Lukashenko: “Ci concentreremo anche sulla crisi migratoria”

    Bruxelles – Non cede di un millimetro l’UE sul fronte delle sanzioni contro la Bielorussia del presidente Alexander Lukashenko. Rimangono valide le conclusioni del Consiglio Europeo di maggio, mentre Bruxelles sta preparando il quinto pacchetto di misure restrittive, che “si concentrerà anche sulla situazione migratoria”. La conferma arriva dal capo delegazione del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) in Bielorussia, Dirk Schuebel, intervenuto in audizione alla commissione Affari esteri (AFET) del Parlamento Europeo.
    Schuebel, che è stato allontanato da Minsk su richiesta delle autorità bielorusse a fine giugno (come gli ambasciatori polacco e lituano a ottobre 2020 e quello francese solo nove giorni fa), ha confermato che Bruxelles continuerà sulla strada delle sanzioni mirate – oltre a quelle economiche di maggio – “fino a quando Lukashenko non cambierà atteggiamento e non ascolterà i nostri appelli per la liberazione dei prigionieri politici e per nuove elezioni presidenziali”. Il quarto pacchetto era stato adottato lo scorso 21 giugno in coordinamento con Stati Uniti, Canada e Regno Unito, “ma le nostre richieste sono rimaste inascoltate e sempre più ambasciate a Minsk hanno dovuto ridurre il personale o chiudere”.
    Il capo delegazione del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) in Bielorussia, Dirk Schuebel (26 ottobre 2021)
    La violazione dei diritti umani “rimane ancora il problema principale nel Paese”, con 821 prigionieri politici (erano 21 solo dieci anni fa), perquisizioni arbitrarie della polizia nelle case dei dissidenti, “processi in cui non ci sono garanzie di nessun tipo”, la libertà di stampa imbavagliata e la pena di morte ancora applicata. “Lukashenko ha anche rifiutato di ricevere dei vaccini dai Paesi occidentali attraverso lo strumento COVAX”, ha spiegato Schuebel, che ha anche ricordato che è necessaria una “pazienza strategica” nei confronti del Paese. In altre parole, “rimanere fermi sulle nostre posizioni e ricordare che se verranno adottate le misure richieste sarà mobilitato il pacchetto per la Bielorussia democratica da 3 miliardi di euro“.
    Da qualche mese, tuttavia, l’argomento centrale nelle relazioni tra UE e Bielorussia è la nuova rotta migratoria aperta da Lukashenko come ricatto nei confronti delle sanzioni economiche imposte a Minsk ed era inevitabile che questo avesse un impatto sul nuovo pacchetto di misure restrittive. La pressione sulle frontiere esterne dell’Unione ha portato a un’ondata di richieste a Bruxelles per cambiare le linee di gestione della politica migratoria (dai Paesi baltici e dalla Polonia, in primis), anche se il vertice dei leader UE della scorsa settimana ha stabilito che non saranno utilizzati fondi comunitari per finanziare la costruzione di muri lungo i confini dei Paesi membri. “Stiamo lavorando con Paesi come Iraq e Turchia perché smettano di organizzare voli su Minsk, patrocinati dal governo bielorusso”, ha ricordato Schuebel agli eurodeputati: “Ai cittadini viene promesso di poter varcare facilmente la frontiera, pagando tanti soldi, ma già iniziamo a vedere i primi morti per congelamento“.
    Da parte del presidente della delegazione del Parlamento UE per le relazioni con la Bielorussia, Robert Biedroń, è stato fatto notare che “la risposta dell’Unione Europea a questa crisi è stata molto moderata”. Nonostante sia stata riconosciuta la difficoltà di agire senza una presenza diplomatica in loco, l’eurodeputato polacco ha anche sottolineato che “non ci saranno presto elezioni libere, Lukashenko non libererà i prigionieri politici e non ci sarà il finanziamento europeo”. Ecco perché, oltre a “rimanere saldi sulle nostre posizioni”, è necessaria anche “una strategia onnicomprensiva nei confronti della Bielorussia, come richiesto dalla risoluzione del Parlamento Europeo“, ovvero “un piano strategico per l’implementazione della democrazia nel Paese con obiettivi stabiliti per gradi”, ha concluso Biedroń.

    Audizione del capo delegazione UE in Bielorussia, Dirk Schuebel, in commissione Affari esteri (AFET) del Parlamento Europeo: “Serve pazienza strategica, fino a quando non saranno soddisfatte le nostre richieste”

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    Al centro del dibattito UE sulla Bielorussia è rimasta (quasi) solo la questione della rotta migratoria

    Bruxelles – L’Unione Europea non dimentica l’opposizione democratica in Bielorussia, ma ormai è la questione della rotta migratoria favorita dal regime di Alexander Lukashenko a occupare il centro della scena. Lo ha dimostrato il dibattito in plenaria del Parlamento Europeo di oggi (martedì 5 ottobre), in cui sono emersi come punti principali le condanne al presidente bielorusso per l’uso di “strumenti di guerra ibrida” e le polemiche sulla gestione delle frontiere dell’Unione. Anche se non si sono fermate le pressioni dell’UE sulle violazioni dei diritti umani e gli arresti arbitrari dei dissidenti nel Paese, a quasi 14 mesi dalle elezioni-farsa nel Paese è chiaro che la rotta bielorussa è diventata il tema su cui incardinare la contrapposizione al regime Lukashenko.
    L’ultima volta che la plenaria del Parlamento Europeo aveva affrontato la questione bielorussa era inizio giugno, quando gli eurodeputati avevano mostrato unanimità nel condannare il dirottamento del volo Ryanair Atene-Vilnius su Minsk (per arrestare il giornalista e oppositore politico Roman Protasevich e la compagna Sofia Sapega) e nel chiedere più determinazione a Commissione e Consiglio UE. Quattro mesi più tardi la situazione è cambiata, ma solo sotto alcuni aspetti: la repressione dell’opposizione interna è continuata senza sosta, mentre la Bielorussia di Lukashenko ha aperto la nuova rotta migratoria come ricatto nei confronti delle sanzioni economiche imposte a Minsk dall’Unione Europea. Lituania e Polonia hanno risposto alzando muri e dichiarando lo stato di emergenza al confine, con pressioni sempre maggiori a Bruxelles per cambiare le linee di gestione della politica migratoria e di asilo in senso più restrittivo.
    La commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson
    Il clima è cambiato soprattutto al Parlamento Europeo che, nonostante non voglia abbassare i riflettori sulle violazioni dei diritti umani in Bielorussia, si trova ora a dover affrontare una delle questioni più divisive tra i gruppi politici: quella della gestione delle frontiere dell’Unione Europea. Ad aprire il dibattito in plenaria è stata la commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson: “Rispetto ai 150 arrivi irregolari dello scorso anno, dall’inizio del 2021 ne contiamo già più di seimila”. Un problema creato artificialmente dal regime Lukashenko, dal momento in cui il Paese non si trova sotto pressione migratoria. Al contrario, “di solito si chiede asilo dalla Bielorussia, non in Bielorussia”, ha attaccato Johansson. Contro questa “azione frenetica per cercare di destabilizzarci”, la risposta dell’Unione è stata “coesa”: la commissaria ha fatto riferimento alla strategia contro la tratta di esseri umani organizzata dallo Stato e alla necessità di “proteggere i confini comuni con risorse e valori condivisi”.
    La posizione degli eurodeputati
    Per il PPE la questione della rotta migratoria in arrivo dalla Bielorussia è determinata da diversi fattori, tra cui il sostegno del presidente russo, Vladimir Putin, riveste un ruolo di primaria importanza: “È responsabile dei crimini di Lukashenko”, ha attaccato Andrius Kubilius, che ha richiamato l’Unione Europea a dotarsi di una “leadership forte e sicura per difendere i confini”. Mentre la destra di Identità e Democrazia ha ripreso il tema della protezione delle frontiere (“la Bielorussia si approfitta solo delle nostre mancanze a livello di infrastrutture di difesa”, ha voluto sottolineare Jaak Madison), Renew Europe ha fatto leva sulle risposte comuni da adottare: “Lukashenko non deve più potere attaccare i Paesi con cui confina con questa guerra ibrida”, ha commentato Petras Auštrevičius, ricordando che “si tratta di azioni illegittime, visto che è l’ex-presidente della Bielorussia“.
    L’eurodeputato del Partito Democratic, Pierfrancesco Majorino (S&D)
    Per i socialdemocratici è necessario “rafforzare il regime di sanzioni per chi è responsabile della tratta di migranti organizzata dallo Stato”, ha affondato Pedro Marques, che però ha anche spiegato chiaramente che “l’UE non può fare passi indietro rispetto ai suoi valori fondanti, soprattutto quando si tratta di migranti bloccati o respinti alla frontiera”. Gli ha fatto eco il collega Pierfrancesco Majorino: “La situazione umanitaria è preoccupante, soprattutto in Polonia” e Bruxelles “non può in nessun modo abbandonare chi fugge da situazioni drammatiche”, ha ribadito l’eurodeputato del Partito Democratico.
    Questione ripresa anche da Manu Pineda (La Sinistra), che ha accusato Polonia, Lituania e Lettonia di “violare il diritto di asilo, respingendo illegalmente le persone che lo richiedono”. L’eurodeputato spagnolo ha poi puntato il dito contro questi Paesi, che “adesso possono capire cosa significa essere un Paese di frontiera, quando gli altri non sono solidali”. Sergey Lagodinsky (Verdi/ALE) è stato invece critico nei confronti di Commissione e Consiglio, per essere stati “troppo timidi e lenti con le risposte al regime bielorusso”. Ora è arrivato il momento di “incolpare a livello internazionale Lukashenko di torture contro i suoi cittadini e coordinare le azioni degli Stati membri” rispetto al tema della gestione della migrazione, ha concluso l’eurodeputato tedesco.

    Dal confronto tra gli eurodeputati in plenaria è emerso che la risposta alla tratta favorita dal regime Lukashenko ha preso il sopravvento sul supporto all’opposizione democratica nel Paese come tema di discussione principale tra le istituzioni UE