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    Ue-Uk, il riavvicinamento dopo la Brexit. Dalla difesa agli Erasmus, si apre un “nuovo capitolo”

    Bruxelles – Difesa, energia, commercio, pesca, migrazioni, giovani. Al primo summit tra la “Gran Bretagna indipendente e gli alleati in Europa” – come l’ha definito il primo ministro laburista Keir Starmer -, celebrato oggi (19 maggio) nella City, Bruxelles e Londra riprendono in mano l’intricato tessuto dei rapporti Ue-Regno Unito e rammendano alcuni degli strappi traumatici inflitti dalla Brexit.Il riavvicinamento non può che essere figlio delle maggiori crisi di questi tempi. E parte dunque dalla partecipazione di Londra a Safe, il nuovo strumento Ue per finanziare l’industria della difesa degli Stati membri, e passa per una maggiore integrazione del Regno Unito nel mercato unico, in risposta alle minacce commerciali che arrivano da oltreoceano. Ursula von der Leyen, Antonio Costa e Kaja Kallas, tutti e tre presenti al summit – accompagnati dal commissario europeo per il Commercio, Maroš Šefčovič – tornano a casa con “tre risultati concreti”: una dichiarazione congiunta, un partenariato per la sicurezza e la difesa e un documento di intesa comune tra la Commissione europea e il Regno Unito.“Questi accordi riflettono i nostri impegni comuni”, ha affermato il presidente del Consiglio europeo Costa durante la conferenza stampa congiunta con von der Leyen e Starmer. Rivolgendosi al primo ministro britannico, ha aggiunto: “Siamo vicini, alleati, partner, e siamo amici”. Sulla stessa linea la presidente della Commissione europea, per cui le due sponde della Manica sono “partner storici e naturali”. Più cauto Starmer – che deve rendere conto a chi nove anni fa scelse di tagliare il cordone ombelicale con le imposizioni di Bruxelles -, per cui l’accordo di oggi è stato raggiunto “nell’interesse nazionale” e “nello stesso spirito con cui abbiamo raggiunto accordi con gli Stati Uniti e l’India”.Sulla destra: la delegazione Ue a Londra, con Maros Sefcovic, Antonio Costa, Ursula von der Leyen e Kaja Kallas al Eu-Uk Summit a LondraAccordi, quelli di libero scambio con Nuova Delhi e sui dazi con Washington, che secondo Starmer hanno permesso a Londra di presentarsi al vertice con l’Ue “da una posizione di forza“. E così, a  meno di un decennio dalla Brexit, Londra si garantisce “un accesso senza precedenti” al mercato unico, “il migliore di qualsiasi Paese al di fuori dell’Ue”. Nel tentativo di convincere i più scettici, Starmer ha snocciolato l’elenco dei vantaggi del riavvicinamento: la riapertura del mercato unico verso la Manica “darà impulso alle esportazioni britanniche“, la partnership sulla difesa “offrirà nuove opportunità alle industrie”, mentre la cooperazione in materia di scambio di quote di emissioni “eviterà alle imprese britanniche di dover pagare 800 milioni di sterline in tasse europee sul carbonio“.Il tutto – ha garantito il primo ministro – senza oltrepassare la linea rossa del manifesto con cui ha varcato la soglia di Downing Street: “Non rientrare né nel mercato unico né nell’Unione doganale, non tornare alla libertà di circolazione“. Bruxelles, viceversa, ha sottolineato l’importanza del prolungamento per dodici anni, fino al 30 giugno 2038, del pieno accesso reciproco delle acque per la pesca. E del capitolo sull’energia, che apre la strada alla partecipazione del Regno Unito al mercato elettrico Ue: “Positivo per la stabilità dei flussi energetici, per la nostra sicurezza energetica comune, per abbassare i prezzi”, ha spiegato von der Leyen.Ursula von der Leyen, Keir Starmer and Antonio Costa al Eu-Uk Summit a LondraPer quanto riguarda l’accesso a Safe, il fondo comune da 150 miliardi per la difesa, in un primo momento Londra avrà la possibilità di aderire agli appalti congiunti, ma poi – attraverso “ulteriori accordi bilaterali” – l’idea è che anche le imprese britanniche possano essere ammissibili al programma. Sempre che tale strumento venga approvato così com’è dal Consiglio dell’Ue, dove è ancora in discussione.C’è poi il nodo mobilità, giovani, Erasmus: tra le ‘vittime’ innocenti e indiscriminate della Brexit, da entrambe le sponde della Manica, ci sono senz’altro loro, le centinaia di migliaia di studenti e giovani lavoratori britannici ed europei a cui la fuoriuscita del Regno Unito dai 27 ha tolto opportunità di formazione e di crescita. “Ricordo il periodo in cui ero studente qui a Londra”, ha enfatizzato von der Leyen, che si è detta “molto lieta” dell’accordo – ancora da definire – per l’associazione del Regno Unito al programma Erasmus+ dell’Unione europea. Le cui “condizioni specifiche, comprese le condizioni finanziarie”, dovrebbero “garantire un giusto equilibrio per quanto riguarda i contributi e i benefici per il Regno Unito”. Sul tavolo c’è anche un programma di esperienze per i giovani, da istituire con un regime di visti a tempo determinato, per facilitare la partecipazione a “varie attività, quali il lavoro, gli studi, il soggiorno alla pari, il volontariato o semplicemente i viaggi”.L’accelerata impressa oggi al riavvicinamento tra Regno Unito e Unione europea è notevole. Come dichiarato dal direttore generale di BusinessEurope Markus J. Beyrer, “ha dato slancio al nostro fondamentale partenariato economico, ma ora occorre compiere progressi concreti per facilitare gli scambi di beni e servizi“. Secondo Sandro Gozi, eurodeputato liberale e presidente della delegazione all’Assemblea parlamentare di partenariato Ue-Regno Unito, “perché questa svolta sia credibile dobbiamo ricostruire una fiducia reale, che si traduca in accordi solidi su difesa, sicurezza, energia e pesca” e ancor più “su mobilità giovanile, cooperazione digitale, intelligenza artificiale e ricerca”.

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    A Tirana si sono riuniti i leader europei, ma tutti pensavano a Istanbul

    Bruxelles – “La nuova Europa in un mondo nuovo“. È con questo motto che si è svolto oggi a Tirana il sesto summit della Comunità politica europea (Cpe), il forum informale che riunisce i leader di 47 Paesi dell’Europa geografica. Co-presieduto dal premier albanese Edi Rama e il presidente del Consiglio europeo, António Costa, l’incontro si è focalizzato su sicurezza, competitività e immigrazione. Tra i temi più caldi anche la guerra d’Ucraina, con Volodymyr Zelensky che ha criticato il buco nell’acqua dei colloqui di Istanbul e i vertici dell’Ue che hanno promesso nuove sanzioni contro Mosca.Si sono dati appuntamento oggi (16 maggio) a Tirana i “grandi” del Vecchio continente: i leader dei Ventisette e quelli di quasi tutti i Paesi extra-Ue (con l’eccezione di Russia e Bielorussia), i vertici comunitari e quelli di organizzazioni multilaterali come Nato e Consiglio d’Europa.La riunione è stata co-presieduta dal padrone di casa, il primo ministro albanese Edi Rama fresco di rielezione (la quarta consecutiva, seppur con qualche ombra), e da António Costa, il presidente del Consiglio europeo che ha appena concluso un tour di tre giorni nei Balcani occidentali per sottolineare l’impegno di Bruxelles sul dossier allargamento.Il primo ministro albanese Edi Rama (sinistra) e il presidente del Consiglio europeo António Costa (foto: European Council)Un palcoscenico internazionale non da poco per il leader del piccolo Paese balcanico, che vorrebbe far entrare Tirana nel club a dodici stelle entro il 2030 e che, a questo punto, può contare su buone connessioni politiche sia a Bruxelles sia tra i Ventisette (vedi il protocollo Italia-Albania sui famigerati centri di rimpatrio).Ma tutti gli occhi (o quasi) erano puntati su Volodymyr Zelensky, che dal summit di Tirana ha commentato l’esito, piuttosto deludente, dei primi colloqui diretti tra le delegazioni di Mosca e Kiev dal marzo 2022, svoltisi in mattinata a Istanbul alla presenza dei mediatori turchi e statunitensi.Come la maggior parte degli osservatori si aspettava, l’incontro (durato meno di due ore) non ha portato ad alcun accordo sul cessate il fuoco – che al momento rimane una chimera – ma ha dato il disco verde allo scambio di 1.000 prigionieri per parte. Le squadre negoziali avrebbero discusso, in maniera preliminare, alcune proposte per una tregua e, pare, anche l’eventualità di un incontro al massimo livello tra Zelensky e Vladimir Putin.Spoke with @POTUS together with President Macron, Federal Chancellor Merz, Prime Ministers Starmer and Tusk. We discussed the meeting in Istanbul.Ukraine is ready to take the fastest possible steps to bring real peace, and it is important that the world holds a strong stance.… pic.twitter.com/CG3pAnN5Ip— Volodymyr Zelenskyy / Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) May 16, 2025Il presidente ucraino ha avuto uno scambio sul tema con l’omologo francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Friedrich Merz, il primo ministro britannico Keir Starmer e quello polacco Donald Tusk. I cinque hanno parlato brevemente al telefono con Donald Trump (il quale ha annunciato di voler vedere al più presto l’omologo russo), per ribadire che “la pressione sulla Russia deve essere mantenuta fino a quando la Russia non sarà pronta a porre fine alla guerra”. Assente invece alla riunione ristretta la premier italiana Giorgia Meloni, che sembra essersi fatta bastare i siparietti con Rama.In risposta all’indisponibilità di Mosca di sedersi al tavolo delle trattative, Ursula von der Leyen e Kaja Kallas hanno annunciato dalla cornice della Cpe che Bruxelles si metterà al lavoro per confezionare un nuovo round di sanzioni contro il Cremlino, a distanza di pochi giorni dall’approvazione (a livello di ambasciatori degli Stati membri) del 17esimo pacchetto di misure restrittive.Il capo dell’esecutivo comunitario ha sottolineato che verranno incluse, tra le altre cose, “sanzioni su Nord Stream 1 e Nord Stream 2” (i gasdotti che collegano la Russia alla Germania attraverso il Mar Baltico), mentre l’Alta rappresentante ha ripetuto che l’assenza di Putin ad Istanbul dimostra che lo zar “non è serio” sul processo negoziale. Opinione condivisa anche dal Segretario generale della Nato Mark Rutte, per il quale è stato “un errore” da parte della Federazione inviare nel Bosforo una delegazione di basso livello.La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (foto: Aurore Martignoni/European Commission)Dopo la prima sessione plenaria (e una cerimonia d’apertura in cui su un maxischermo sono state proiettate delle versioni “infantili” dei leader presenti al vertice, generate con l’intelligenza artificiale), i capi di Stato e di governo si sono seduti intorno a tre tavole rotonde tematiche, ciascuna co-presieduta da un leader Ue e da uno extra-Ue.La prima si è occupata di sicurezza (incluso, naturalmente, il dossier ucraino) e resilienza democratica; la seconda di competitività economica; la terza di migrazione, mobilità e giovani. In chiusura dei lavori, una seconda plenaria per dare appuntamento ai leader al prossimo summit della Cpe, fissata per l’autunno in Danimarca.

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    Allargamento, Costa difende la Macedonia (e punzecchia la Bulgaria): “Si metta in pratica quanto pattuito”

    Bruxelles – Il penultimo stop del tour di António Costa nei Balcani occidentali è la Macedonia del nord. Il presidente del Consiglio europeo l’ha visitata stamattina (15 maggio), per ribadire al premier Hristijan Mickoski il proprio impegno personale a portare a termine il processo di adesione di Skopje all’Unione europea. Ma, come sottolineato dal padrone di casa, a bloccare il percorso della piccola nazione verso il club a dodici stelle c’è soprattutto l’ostruzionismo della Bulgaria, rispetto al quale lo stesso Costa è parso insofferente.Con un ritardo di un’ora abbondante (dovuto ad un bilaterale “esteso ma molto costruttivo”), il presidente del Consiglio europeo António Costa e il primo ministro macedone Hristijan Mickoski hanno tenuto una breve conferenza stampa congiunta nella tarda mattinata di oggi. Il socialista portoghese si è congratulato col leader conservatore per “l’eccellente lavoro compiuto dalla Macedonia del nord e dal vostro governo sull’agenda delle riforme” e per i progressi fatti fin qui, a cominciare dall’allineamento con la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione (Pesc).Ora serve “tirare dritto con le riforme” e sfruttare l’opportunità di “concludere investimenti strategici”, ha aggiunto Costa, notando che Skopje e Bruxelles “si stanno già avvicinando” come dimostrato dal partenariato sulla difesa e la sicurezza stipulato lo scorso novembre. Il processo d’adesione “è una maratona, non uno sprint”, ha tuttavia segnalato Costa, esortando il suo interlocutore a “mantenere la rotta” e a tenere duro attraverso un “sentiero che può essere impegnativo“.Il primo ministro della Macedonia del nord, Hristijan Mickoski (foto: Robert Atanasovski/Afp)Una frase profetica, e una nota dolente per il padrone di casa. Il quale non ha perso l’occasione per puntare il dito contro la vicina Bulgaria, che da tempo si è messa di traverso bloccando di fatto il cammino macedone verso l’Unione. “Stiamo camminando lungo il più difficile dei sentieri“, ha ammesso Mickoski, per poi chiedersi se “stiamo realmente camminando” poiché, ha lamentato, “siamo nello stesso punto dove ci trovavamo 20 anni fa“.“Siamo convinti che il futuro dei cittadini macedoni sia all’interno della famiglia europea“, ha detto, rimarcando tuttavia che il suo Paese merita di essere trattato “dignitosamente” sia da candidato sia, eventualmente, da membro dell’Ue. “Abbiamo un problema con la Bulgaria e vogliamo risolverlo“, certifica il premier, “ma è una strada a due corsie” e, sostiene, solo una delle due parti si sta realmente impegnando per fare passi avanti.“Abbiamo fatto molto per entrare in Ue“, ha ribadito Mickoski riferendosi alle varie modifiche apportate nel corso degli anni alla Costituzione, alla bandiera e al nome stesso del Paese, aggiungendo di essere disposto “a sedermi al tavolo, discutere e trovare una soluzione“. Ma per ora, dice, non si vede a Sofia una disponibilità analoga. “Il processo d’integrazione dovrebbe essere guidato dai valori e non dai negoziati bilaterali”, ha concluso, sostenendo di non poter “modificare per l’ennesima volta la Costituzione sapendo che uno Stato membro mette in discussione la nostra identità nazionale“.Da Costa è arrivata una sponda. “Questo processo è durato troppo, ora è il momento dei risultati“, ha concordato, sottolineando che tanto la Macedonia quanto la Bulgaria devono mettere in pratica i contenuti dell’accordo raggiunto nel luglio 2022. Quel patto prevedeva il riconoscimento della minoranza bulgara da parte della Macedonia (che aveva modificato la Carta fondamentale) e la rimozione del veto di Sofia all’accesso di Skopje.Il presidente del Consiglio europeo, António Costa (foto: European Council)Ma il perdurare dell’opposizione bulgara aveva portato, lo scorso autunno, ad un rallentamento dei negoziati di adesione. “Ciò che è stato concordato è stato concordato“, ha tagliato corto il presidente del Consiglio europeo, “e bisogna assicurarsi che nessuno chieda ora qualcosa in più di quanto già pattuito“. Chi doveva intendere, intenda.Quella di Skopje è la quinta tappa del tour balcanico di Costa. Negli scorsi giorni, ha fatto quattro visite in altrettanti Paesi della regione: martedì in Serbia (dove ha incontrato il presidente Aleksandar Vučić, fresco di un viaggio alla corte di Vladimir Putin) e Bosnia-Erzegovina, ieri in Montenegro (per congratularsi dei progressi “impressionanti” di Podgorica verso l’adesione) e a Pristina, la capitale del Kosovo (che pure non è riconosciuto, ad oggi, da cinque Stati membri su 27).La destinazione finale di Costa è Tirana, verso cui si sta dirigendo in queste ore. Lì, l’ex premier portoghese incontrerà domani (16 maggio) i leader di una quarantina di Paesi del Vecchio continente in occasione del sesto summit della Comunità politica europea per discutere di sicurezza, competitività, migrazione e democrazia.

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    Costa in Montenegro: “Progressi impressionanti” verso l’adesione

    Bruxelles – Continua il tour di António Costa nei Balcani occidentali. Dopo aver toccato ieri Serbia e Bosnia-Erzegovina, il presidente del Consiglio europeo visita oggi Montenegro e Kosovo. A Podgorica ha incontrato il presidente della Repubblica, Jakov Milatović, col quale si è congratulato per i progressi sulla strada dell’adesione al club a dodici stelle.Podgorica sta tirando la volata verso l’ingresso in Ue. Parola di António Costa, che stamattina (14 maggio) era in visita nella capitale montenegrina. “Il Montenegro è uno dei migliori esempi dello slancio positivo dell’Ue verso l’allargamento“, ha dichiarato l’ex premier portoghese in una conferenza stampa congiunta accanto al capo di Stato, Jakov Milatović.Podgorica si sta muovendo ad un ritmo “impressionante” con l’implementazione delle riforme pre-adesione, ha osservato Costa, sottolineando in particolare “il pieno allineamento” con la politica estera e di sicurezza comune dell’Ue, la Pesc, a partire dal sostegno all’Ucraina. Rispetto agli altri Paesi candidati, Montenegro e Albania sono chiaramente in pole position per entrare nell’Unione.Inspiring to see Montenegro’s progress on its European path.Today in Podgorica, I commended President @JakovMilatovic and PM @MickeySpajic on the country’s ambition, hard work and focus to become an EU member.Now is time to make the most of the positive momentum – the pace… pic.twitter.com/dKUg5hPpvy— António Costa (@eucopresident) May 14, 2025Il padrone di casa incassa e rilancia. Il piccolo Paese balcanico è “orgoglioso di essere in testa fra quelli che aspirano all’integrazione europea” e l’obiettivo rimane quello – già ripetuto svariate volte – di “diventare il 28esimo Stato membro nel 2028“. Obiettivo ambizioso ma realizzabile, sostiene Milatović.“Un ottimo slogan”, ha commentato il suo ospite, ma meglio ancora “arrivarci prima”. Costa ha ribadito che tra le condizioni essenziali per entrare nell’Unione c’è il rispetto dell’acquis communautaire (cioè il diritto Ue), nonché la stabilità istituzionale e i buoni rapporti di vicinato, tanto con gli altri Paesi della regione quanto con i Ventisette.Da ieri, il presidente del Consiglio europeo è in viaggio attraverso i sei partner dei Balcani occidentali. Partenza a Belgrado, dove ha incontrato il presidente serbo Aleksandar Vučić (col quale è stato particolarmente morbido, nonostante l’allineamento con la Pesc sia decisamente di altro tenore), e seconda tappa a Sarajevo con i leader della presidenza tripartita della Bosnia-Erzegovina.In queste ore Costa si trova a Pristina, in Kosovo, dove ha in programma un bilaterale con la presidente Vjosa Osmani. Domani si recherà a Skopje, in Macedonia del Nord, per poi chiudere il tour a Tirana, in Albania, dove parteciperà al sesto vertice della Comunità politica europea.

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    Costa incontra Vučić, ma non condanna lo scivolamento di Belgrado verso Mosca

    Bruxelles – L’Ue abbandona il bastone e sceglie la carota con la Serbia di Aleksandar Vučić, nonostante il leader autoritario continui a tenersi in stretti rapporti con Vladimir Putin e a gestire il Paese come un feudo personale. Il presidente del Consiglio europeo António Costa, in visita ufficiale nella capitale, ha mostrato un volto amichevole, incoraggiando lo Stato candidato a proseguire sulla via delle riforme e chiudendo un occhio sulle violazioni dello Stato di diritto.Inizia a Belgrado il tour di António Costa nei Balcani occidentali: tre giorni di incontri nelle cancellerie della regione, che si muovono in ordine sparso (e a velocità diverse) verso l’adesione al club a dodici stelle. Stamattina (13 maggio) è in Serbia, nel pomeriggio si sposterà in Bosnia-Erzegovina; quindi Montenegro, Kosovo, Macedonia del nord e infine Albania, dove venerdì (16 maggio) si terrà il sesto summit della Comunità politica europea.Adesione e riformeIl principale impegno istituzionale di Costa è stato un bilaterale con Aleksandar Vučić, il capo di Stato nazionalista al potere dal 2014 che sta trasformando la democrazia serba in un regime autoritario e sta spostando Belgrado sempre più lontana da Bruxelles e sempre più vicina a Mosca. Le rispettive delegazioni, riunitesi dopo il faccia a faccia tra i leader, si sono confrontate soprattutto sulle relazioni Ue-Serbia nella prospettiva dell’allargamento dell’Unione ai Balcani occidentali, nonché sulle opportunità di cooperazione economica.There is a positive momentum for enlargement and a clear opportunity for Serbia to seize it.During my meetings today in Belgrade with President @avucic, PM Macut @SerbianGov and Parliament speaker @anabrnabic, I stressed the importance of progressing towards EU accession… pic.twitter.com/alm4DhzBGA— António Costa (@eucopresident) May 13, 2025Durante una conferenza stampa congiunta al palazzo presidenziale, i due non hanno lesinato sulle buone maniere e i convenevoli. Costa si è detto compiaciuto di sapere che “l’integrazione nell’Ue rimane una priorità assoluta” del governo serbo e ha lodato la traiettoria di quello che ha definito un “Paese stabile, pacifico e prospero, che ha affrontato l’eredità del passato e ha scelto di abbracciare il suo futuro democratico ed europeo”.Il processo di adesione, ha sottolineato il presidente del Consiglio europeo, non è un’imposizione di Bruxelles ma “una libera scelta di ogni Stato” cui va dato seguito attraverso una serie di azioni concrete. Per tenere fede agli impegni presi, il governo serbo deve ora lavorare alacremente alle riforme. Il terzo cluster dei negoziati verrà aperto quando Belgrado avrà compiuto progressi sufficienti sulla libertà dei media, il contrasto alla corruzione e la riforma della legge elettorale.L’asse Belgrado-Mosca (che imbarazza Bruxelles)Ma c’erano un paio di grossi elefanti nella stanza che ospitava Costa, Vučić e i giornalisti. Il primo è la vicinanza politica del presidente serbo all’omologo russo Vladimir Putin, particolarmente scomoda in questa fase storica. Una relazione tossica che, almeno teoricamente, dovrebbe creare forti imbarazzi al leader di un Paese candidato all’ingresso in Ue ma che, a quanto pare, non scalfisce eccessivamente la prima carica dello Stato balcanico.Non è passata inosservata ai cronisti la partecipazione dell’uomo forte di Belgrado alla parata della vittoria sulla Piazza Rossa a Mosca, lo scorso 9 maggio. Un vero e proprio schiaffo in faccia al capo della diplomazia comunitaria Kaja Kallas, che il mese scorso aveva esortato Stati membri e Paesi candidati a non recarsi alla corte dello zar con un ammonimento scivolato addosso tanto al presidente serbo quanto al premier slovacco Robert Fico.Il presidente russo Vladimir Putin durante le celebrazioni per l’80esimo anniversario della vittoria sovietica sulla Germania nazista, il 9 maggio 2025 a Mosca (foto: Vyacheslav Prokofyev/Sputnik via Afp)Ma Costa ha gettato acqua sul fuoco, sostenendo che la visita di Vučić nella capitale della Federazione fosse unicamente intesa a “celebrare un evento del passato” (cioè gli 80 anni della vittoria sovietica sulla Germania nazista nel 1945), mentre “nel presente la Serbia è pienamente impegnata nel processo di adesione“, come certificato dal suo interlocutore.Affinché questo processo vada in porto, ha rimarcato tuttavia l’ex premier portoghese, Belgrado deve garantire “pieno allineamento” con la politica estera e di sicurezza comune (Pesc) dell’Unione, che passa attraverso la condanna dell’invasione russa dell’Ucraina e il sostegno a Kiev. “Non possiamo celebrare la liberazione di 80 anni fa e non condannare l’invasione di altri Paesi oggi“, ha osservato Costa. Per poi tornare però a tendere la mano a Vučić: “Non abbiamo la stessa visione su tutto”, ha ammesso, ma “l’unico modo per affrontare le divergenze è parlare e capirsi“.Il silenzio sulle proteste antigovernativeIl secondo elefante nella stanza era la gestione di Vučić dello Stato serbo, dove la corruzione dilaga e l’impunità ostacola un vero cambiamento. Da mesi, anziché placarsi continuano a ingrossarsi quelle che potrebbero essere le più grosse proteste antigovernative nel Paese almeno dai tempi della cacciata del leader comunista Slobodan Milošević a inizio millennio, dopo il crollo della Jugoslavia. Manifestazioni oceaniche che l’apparato di sicurezza di Belgrado reprime con la violenza ricorrendo, pare, anche a strumenti banditi dalle convenzioni internazionali come i cosiddetti “cannoni sonici“.Da quando, lo scorso novembre, è crollata una pensilina a Novi Sad uccidendo 15 persone, un’ondata di malcontento popolare ha sconvolto il Paese balcanico minacciando di far traballare la presa di Vučić sul potere. Ad animare le piazze serbe è soprattutto un movimento studentesco motivato e organizzato, che giusto ieri (12 maggio) è arrivato a Bruxelles dopo una maxi-maratona a staffetta di quasi 2mila chilometri per portare di fronte al Berlaymont la protesta – ormai ampiamente trasversale e intergenerazionale – di un popolo che vuole costruire per sé un futuro europeo anziché rimanere un satellite del Cremlino.Manifestanti a Belgrado, il 15 marzo 2025 (foto: Andrej Isakovic/Afp)Su questo aspetto (un punto su cui la stessa Commissione Ue ha iniziato ad alzare la voce negli ultimi tempi), tuttavia, i due leader hanno glissato diplomaticamente. Non una parola sull’erosione dello Stato di diritto o sulla repressione del dissenso, due dinamiche che pure non si sposano troppo bene coi criteri di Copenaghen che i Paesi candidati devono soddisfare per aderire all’Unione.Per ora, Costa preferisce mantenere un tono conciliante. Da quando ha assunto l’incarico di presidente del Consiglio europeo lo scorso dicembre, si è fatto vanto di aver posto al centro dell’attenzione i partner dei Balcani occidentali nell’ottica dell’allargamento del club a dodici stelle. Prima di ripartire alla volta di Sarajevo, l’ex premier portoghese ha incontrato anche il premier Duro Macut e la presidente del Parlamento, Ana Brnabić.

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    A Tirana il sesto summit della Comunità politica europea

    Bruxelles – Continuano i lavori della Comunità politica europea (Cpe), il forum informale tirato fuori dal cappello da Emmanuel Macron tre anni fa per coordinare le cancellerie del Vecchio continente sulle sfide comuni in questa delicata fase storica. La sesta edizione si terrà la prossima settimana a Tirana, in Albania, e affronterà vari temi, dalla sicurezza alla migrazione passando per la competitività.Da Budapest, dove si è svolto il quinto vertice della Cpe lo scorso novembre, la palla passa ora a Tirana. La capitale albanese accoglierà il prossimo 16 maggio i leader delle 47 nazioni partecipanti, che includono tra gli altri i 27 membri dell’Ue più Regno Unito, Ucraina, Turchia e i sei Paesi dei Balcani occidentali. Per ora, fanno sapere funzionari del Consiglio europeo, non sono arrivate disdette ufficiali da parte dei capi di Stato e di governo. Il padrone di casa, tuttavia, dovrebbe rimanere l’attuale premier Edi Rama, a meno che le elezioni politiche in calendario per domenica (11 maggio) non smentiscano clamorosamente i sondaggi.I lavori si concentreranno su tre ambiti principali, definiti in termini vaghi per permettere a tutti di offrire contributi specifici rispetto ai propri interessi e alle proprie esperienze. A livello di coreografia, il summit si aprirà e si chiuderà con due sessioni plenarie, mentre nel pomeriggio i partecipanti si divideranno in tre tavoli tematici, ciascuno dei quali sarà co-presieduto da uno Stato membro dell’Ue e da uno extra-Ue.Artiglieria ucraina in azione (foto: Genya Savilov/Afp)Nella dimensione della difesa e della sicurezza, il fulcro delle discussioni sarà incentrato sul conflitto in Ucraina e sulla difesa continentale (diversi membri della Cpe fanno parte contemporaneamente anche della coalizione dei volenterosi a egida franco-britannica), ma si parlerà anche di come proteggere i processi democratici dalle cosiddette operazioni Fimi (interferenze e manipolazioni straniere, costantemente nel mirino di Bruxelles).La tavola rotonda su competitività e sicurezza economica toccherà elementi come l’innovazione, le infrastrutture digitali, la sostenibilità energetica, la crescita industriale e la sicurezza delle catene di approvvigionamento. Non si parlerà invece di dazi, in quanto per i Ventisette la politica commerciale è una competenza della Commissione Ue.Infine, nel terzo gruppo si scambieranno idee, suggerimenti e buone pratiche relativamente a migrazione legale e cooperazione coi Paesi terzi, ma anche rientro (e mantenimento) dei cervelli, emancipazione delle giovani generazioni e mobilità transnazionale nell’era dell’intelligenza artificiale.Trattandosi di un forum informale di dialogo e cooperazione politica, non sono previsti documenti finali di conclusioni: questo, nelle intenzioni degli organizzatori, dovrebbe consentire ai leader di discutere in maniera più franca. Soprattutto, sottolineano fonti Ue, si tratta di un’ottima occasione per incontri bilaterali o plurilaterali ai margini dei lavori, permettendo a capi di Stato e di governo di confrontarsi direttamente su singole questioni urgenti.Il presidente del Consiglio europeo, António Costa (foto: European Council)L’obiettivo generale di questi incontri, osserva un funzionario dall’entourage del presidente del Consiglio europeo, António Costa, è quello di “sviluppare una visione comune sul futuro dell’Europa” attraverso un format che rimane sui generis, sullo sfondo della mutata realtà geopolitica del continente in seguito all’aggressione russa dell’Ucraina. O almeno a parole. Nei fatti, una reale visione comune condivisa da tutti i partecipanti potrebbe rimanere una chimera.Ad esempio, almeno un paio dei leader che dovrebbero essere presenti a Tirana – il premier slovacco Robert Fico e il presidente serbo Aleksandar Vučić – parteciperanno domani (9 maggio) alle celebrazioni per l’80esimo anniversario della vittoria sovietica sulla Germania nazista nel 1945, ospitate da Vladimir Putin nella Piazza Rossa a Mosca. In barba agli ammonimenti rivolti a Stati membri e Paesi candidati dal capo della diplomazia comunitaria, Kaja Kallas, a non recarsi alla corte dello zar.Quello della prossima settimana sarà il primo vertice della Cpe nella regione. Negli stessi giorni, dal 15 al 17 maggio, Costa condurrà una serie di visite attraverso i sei partner dei Balcani occidentali – Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Macedonia del nord, Montenegro e Serbia – e si intratterrà coi leader di tutti questi Paesi in una cena informale a Tirana alla quale parteciperanno anche il capo dell’esecutivo comunitario Ursula von der Leyen e l’Alta rappresentante, a testimonianza dell’importanza che ricopre nell’agenda dell’Ue il processo di allargamento. Il 2025, ragionano i funzionari del Consiglio, è un anno potenzialmente importante per l’espansione del club a dodici stelle, ma c’è ancora molto lavoro da fare su diversi fronti.

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    La rincorsa dell’Ue a nuovi partner: von der Leyen scommette sull’Asia centrale e annuncia investimenti per 12 miliardi

    Bruxelles – Tre anni a cercare in tutti i modi di tagliare i ponti con la Russia, per poi ritrovarsi pugnalata alle spalle dall’alleato storico americano. Stretta tra nuove e vecchie grandi potenze che fanno la voce grossa, l’Ue si dimena e cerca di costruirsi nuove relazioni e commerci. La priorità non è più l’esportazione della democrazia, ma piuttosto la ricerca di partner commerciali e fornitori di energia e materie prime critiche di cui potersi fidare. Così, il primo vertice con i Paesi dell’Asia Centrale a Samarcanda all’indomani dei dazi trumpiani si tinge di significati geopolitici ed economici.“Nuove barriere globali insorgono, le potenze di tutto il mondo stanno ritagliandosi nuove sfere di influenza. Ma qui a Samarcanda, dimostriamo che c’è un altro modo”, ha affermato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel suo discorso ai leader delle ex repubbliche sovietiche di Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan. Bruxelles e i cinque dell’Asia centrale hanno lanciato un nuovo partenariato strategico, e von der Leyen ha annunciato che la Commissione europea investirà 12 miliardi di euro nella regione.Dal consolidamento del corridoio di trasporto transcaspico al sostegno a nuovi progetti di estrazione mineraria, il pacchetto prevede investimenti per 3 miliardi nel settore dei trasporti, 2,5 miliardi per le materie prime critiche, 6,4 miliardi per l’energia pulita e 100 milioni per la connettività digitale. “I vostri paesi sono dotati di immense risorse – si è sfregata le mani von der Leyen -, il 40 per cento delle riserve mondiale di manganese, oltre a litio, grafite e altro ancora”. Materie su cui mettono gli occhi tutte le grandi potenze, perché “linfa vitale della futura economia globale”.Ursula von der Leyen, Antonio Costa e i leader di Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan al vertice Ue-Asia CentraleNel lungo intervento, von der Leyen ha cercato di smarcare l’Ue da quei Paesi “interessati solo allo sfruttamento e all’estrazione”, mettendo sul piatto “un’offerta diversa“. Fatta di sviluppo delle industrie locali, di creazione di posti di lavoro e valore aggiunto locale. La leader Ue ha fatto l’esempio della miniera di rame di Almalyk, in Uzbekistan, dove aziende europee hanno contribuito all’estrazione e alla lavorazione in loco con investimenti per 1,6 miliardi di euro. “Insieme, potremmo costruire industrie locali lungo tutta la catena del valore delle materie prime. Dall’estrazione alla raffinazione. Dall’apertura di nuovi laboratori di ricerca alla formazione dei lavoratori locali”, ha proseguito von der Leyen. Tutto messo nero su bianco nella dichiarazione d’intenti congiunta sulle materie prime critiche approvata al vertice.C’è poi il capitolo relativo all’approvvigionamento energetico. La visione di von der Leyen è quella di un’Asia centrale “hub per l’energia pulita: eolica in Kazakistan, solare in Uzbekistan e Turkmenistan, idroelettrica in Tagikistan e Kirghizistan”. Metà degli investimenti totali previsti dal pacchetto Ue sono dedicati allo sviluppo di massicci progetti come come la diga di Rogun in Tagikistan, la “più alta del mondo”, e la diga di Kambarata in Kirghizistan.Con quest’approccio, l’Ue cerca di recuperare terreno sull’influenza storica della Russia ma soprattutto sulla Cina, che – come d’altronde già in Africa e in America Latina – ha silenziosamente imposto la sua supremazia commerciale. “La Russia ha da tempo dimostrato di non poter più essere un partner affidabile”, ha dichiarato von der Leyen in una breve conferenza stampa, ribadendo che “in passato, Cina e Russia estraevano qui materie prime che poi lavoravano nel loro Paese, senza alcun valore aggiunto a livello locale”.L’Unione europea è il secondo partner commerciale dei cinque dell’Asia Centrale, dietro solo a Pechino, ma il maggiore investitore (oltre il 40 per cento degli investimenti nella regione proviene dall’Ue). La penetrazione della Cina nei mercati di tutto il mondo non è solo poco mirata alla creazione di valore aggiunto locale, ma è anche svincolata dai posizionamenti strategici dei partner sullo scacchiere internazionale e dal rispetto di principi democratici e dei diritti umani nei loro Paesi.António Costa, il presidente dell’Uzbekistan Shavkat Mirziyoyev e Ursula von der LeyenIl rischio è che, in particolare quest’ultimo aspetto, venga meno anche nella strategia europea, ora che Bruxelles si sente improvvisamente sola e in pericolo. “I principi stabiliti nella Carta delle Nazioni Unite non sono solo parole sulla carta, ma rappresentano l’impegno condiviso delle nazioni per prevenire i conflitti, promuovere la pace e salvaguardare il benessere dei nostri cittadini”, ha ricordato nel suo discorso il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa. Nella dichiarazione congiunta approvata al termine del vertice, Ue e Asia Centrale hanno sottolineato “l’importanza di raggiungere al più presto una pace globale, giusta e duratura in Ucraina” e hanno concordato di “continuare a cooperare per prevenire l’elusione delle sanzioni” alla Russia.“Al centro delle relazioni” tra l’Ue e le cinque repubbliche ex-sovietiche rimangono anche “il rispetto della libertà di espressione e di associazione, un ambiente favorevole alla società civile e ai media indipendenti, la protezione dei difensori dei diritti umani, nonché il rispetto dei diritti delle donne, dei diritti dei bambini e dei diritti dei lavoratori”, si legge nel documento. Difficile non notare che in realtà in tutti e cinque i Paesi dell’Asia centrale le criticità da questi punti di vista rimangono molte, e pesanti. Criticità portate alla luce negli ultimi anni anche dal Parlamento europeo, in diverse occasioni.Nel gennaio 2022, l’Eurocamera approvò una risoluzione sulle proteste e le violenze in Kazakistan, ribadendo la forte preoccupazione per le violazioni dei diritti umani e “il diffuso ricorso alla tortura“. A più riprese si è espressa sul Kirghizistan, il cui governo ha imposto di recente una legge di stampo russo sui “rappresentati stranieri” ed una sulle “false informazioni”: lo scorso dicembre gli eurodeputati hanno sottolineato che il Paese dovrebbe attenersi agli standard democratici concordati nell’ambito dell’accordo di partenariato e cooperazione rafforzata con l’Ue. Stesso discorso per Turkmenistan e Tagikistan: nei confronti del primo, il Parlamento europeo ha finora bloccato l’accordo di partenariato a causa della situazione precaria dei diritti umani, mentre per il secondo ha adottato nel gennaio 2024 una risoluzione sulla repressione dello Stato contro i media indipendenti.Infine, nonostante decisi progressi sul fronte democratico, anche in Uzbekistan non è tutto rose e fiori: il presidente Shavkat Mirziyoyev, padrone di casa del vertice, ha rafforzato le relazioni con la Russia e ha firmato un accordo con Mosca sull’estensione della collaborazione tecnico-militare con l’impegno di procurarsi congiuntamente beni militari, equipaggiamento militare, ricerca e assistenza. L’Uzbekistan si è astenuto dal condannare l’invasione russa dell’Ucraina in sede Onu, adottando ufficialmente una posizione neutrale.

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    L’Ue e gli Stati Uniti sono in disaccordo sulla questione delle sanzioni alla Russia

    Bruxelles – Chiedendo di alleggerire parte delle sanzioni occidentali contro Mosca, Vladimir Putin sembra intenzionato a scavare un altro solco tra le sponde dell’Atlantico. Conta sulle aperture di Donald Trump e spera che Washington cominci a fare pressioni su Bruxelles perché ceda soprattutto sulla riammissione delle banche russe nello Swift. Per ora, dal Vecchio continente emerge la volontà di tenere la barra dritta senza cedere ai ricatti del Cremlino, ma siamo solo all’inizio di una partita geopolitica particolarmente delicata.I desiderata di PutinNelle ultime ore si è tornato a parlare con insistenza di sanzioni alla Russia, soprattutto quelle comminate dall’Ue e codificate in 16 pacchetti (l’ultimo adottato in occasione del terzo anniversario dell’invasione su larga scala dell’Ucraina lo scorso febbraio). Con una mossa da manuale, Vladimir Putin ha sparigliato le carte in tavola tirando in ballo, dopo che si erano conclusi i colloqui di Riad con gli Stati Uniti, la questione dell’allentamento di alcune misure restrittive contro Mosca.Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)In un comunicato con cui il Cremlino ha dato il suo resoconto dei negoziati, si menzionano una serie di condizioni poste dalla Federazione per rispettare la tregua appena concordata in Arabia Saudita. Tra tali condizioni, soprattutto, l’abolizione delle restrizioni contro la Rosselkhozbank (la banca agricola nazionale) e altri istituti bancari e assicurativi attivi nel commercio di prodotti agroalimentari e fertilizzanti, nonché di quelle contro produttori, esportatori ed armatori, e la loro riammissione sul sistema Swift, dal quale erano stati estromessi nel 2022.Non così in frettaLo Swift è un sistema informatico che collega oltre 11mila istituti in più di 200 Paesi in tutto il mondo, permettendo loro di scambiarsi qualcosa come 50 milioni di “messaggi finanziari” quotidianamente. La sede legale dell’ente si trova a La Hulpe, poco fuori Bruxelles, ed è pertanto sottoposta al diritto comunitario, incluso l’obbligo di rispettare le sanzioni decise dall’Ue.Secondo la vulgata del Cremlino, il ritiro nel luglio 2023 della Federazione dall’accordo sul grano mediato l’anno prima da Turchia e Onu (quell’iniziativa del Mar Nero che ora Mosca sta cercando di rimettere in piedi) sarebbe dovuto proprio al rifiuto degli europei e dell’amministrazione Usa di Joe Biden di ricollegare le banche russe allo Swift. Ma ora che nello Studio ovale è tornato il tycoon newyorkese, Putin ci sta riprovando. E stavolta potrebbe andargli meglio.Il presidente statunitense Donald Trump (foto: Brendan Smialowski/Afp)Di là dell’Atlantico si stanno infatti moltiplicando le voci possibiliste circa un eventuale alleggerimento del regime sanzionatorio internazionale contro la Russia, da concedere in cambio di un’entrata in vigore rapida del cessate il fuoco parziale concordato in Arabia Saudita. Trump ha dichiarato che “stiamo esaminando” le condizioni poste da Mosca, tenendo di fatto la porta aperta alle richieste di Putin (come si evinceva già dal comunicato diffuso dalla Casa Bianca dopo i colloqui sauditi). Anche il titolare del Tesoro statunitense, Scott Bessent, ritiene che “tutto sia sul tavolo” e che andrebbe iniziata “una lunga discussione” sulle modalità con cui “riportare la Russia nel sistema internazionale“.Le reazioni europeeIl problema è che non si tratta di decisioni che spettano (solo) a Washington. A Bruxelles, al contrario, c’è ben poco entusiasmo per procedere su questa strada. Tanto la Commissione quanto i Ventisette sembrano intenzionati a seguire la linea della fermezza contro l’aggressore russo. Potrebbe trattarsi del momento tanto agognato dalle cancellerie europee, in cui possono far sentire la loro voce nelle trattative sulla guerra d’Ucraina.Dall’esecutivo comunitario si fa sapere che “una delle principali precondizioni” per rivedere o abolire le sanzioni – una decisione che va presa all’unanimità dal Consiglio ogni sei mesi (e già messa a repentaglio più di una volta dall’Ungheria di Viktor Orbán) – sarà “la fine dell’aggressione russa” e “il ritiro di tutte le truppe russe” dall’ex repubblica sovietica. Le misure restrittive in questione puntano del resto a “massimizzare la pressione” su Mosca: se non fossero efficaci, il Cremlino non ci chiederebbe di rimuoverle, si ragiona al Berlaymont. Del medesimo avviso è anche il presidente del Consiglio europeo, António Costa, oggi a Parigi per partecipare alla riunione della coalizione dei volenterosi.The best way to support Ukraine is to stay consistent in our objective to reach a just and lasting peace. This means keeping up the pressure on Russia through sanctions.I will convey this message at today’s Leaders’ meeting on peace and security for #Ukraine organised by… pic.twitter.com/csBYcIbkr1— António Costa (@eucopresident) March 27, 2025Pure tra gli Stati membri il mood sembra il medesimo. Emmanuel Macron, parlando dall’Eliseo accanto a Volodymyr Zelensky, ha detto chiaro e tondo ieri sera che “non elimineremo le sanzioni“, sostenendo che è ancora “troppo presto” per fare alla Federazione una concessione di questo genere. Per il presidente del Senato ceco, Miloš Vystrčil, accettare di rimuovere le sanzioni prima che Mosca interrompa i bombardamenti “è come se un marito picchiasse la moglie e dicesse che si fermerà solo quando la moglie smetterà di chiedere aiuto“. Sotto la spinta soprattutto di alcuni Paesi, come i baltici, si starebbe anzi lavorando in Ue al diciassettesimo pacchetto di sanzioni.Ma la partita diplomatica è complessa e il rischio di mettere il piede in fallo è dietro l’angolo. A Bruxelles c’è la consapevolezza che quelle di Putin potrebbero essere richieste strumentali, una trappola tesa dall’ex agente Kgb ai Ventisette. Se gli europei iniziano a discutere sul rinnovo delle sanzioni, le divisioni interne ai Ventisette faranno il gioco del Cremlino. Viceversa, se l’Ue dimostrasse unità nella fermezza, Mosca avrebbe una scusa per proseguire le trattative a due, dialogando esclusivamente con la Casa Bianca, poiché avrebbe “smascherato” la malafede degli europei.