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    Referendum: la road map delle riforme

    Il “si riformista” al referendum come è stato battezzato dal Pd e da M5s dovrebbe aprire la strada ad una serie di riforme costituzionali e ad una legge elettorale pensate per “compensare” il taglio dei parlamentari. Alcune di queste leggi hanno già compiuto dei passi in Parlamento mentre di altre si è solo parlato nel dibattito politico. Sulla tempistica è difficile dare dei termini precisi poiché la maggioranza deve decidere se aprire un confronto con le opposizioni, ed anche perché all’interno della stessa maggioranza ci sono dei dissensi forti. Ad esempio la legge elettorale proporzionale con soglia al 5%, il Germanicum, non avrebbe i numeri in Aula già alla Camera.
    Ecco la possibile road map delle riforme.
    – COLLEGI: con la vittoria del sì entra in vigore il taglio dei parlamentari nonché la leggina ponte che applica l’attuale Rosatellum bis (37% collegi uninominali, 63% proporzionale) alle nuove dimensioni delle due Camere. Il governo ha 60 giorni di tempo per disegnare i collegi.
    – VOTO AI 18ENNI: è stata già approvata dalla Camera e dal Senato la riforma che permette ai 18enni di votare anche per l’elezione del Senato. Manca la doppia lettura conforme dei due rami del Parlamento che potrebbe avvenire entro il 2020 dato che la riforma ora non può essere cambiata da esse, ma solo approvata o respinta.
    – LEGGE FORNARO: prende il nome dal capogruppo di Leu alla Camera, Federico Fornaro, che è il primo firmatario. Prevede che la legge elettorale del Senato non sia più a base regionale: in tal modo è più probabile che le due Assemblee abbiano la stessa maggioranza. La legge, inoltre, a fronte del taglio dei parlamentari, taglia anche di un terzo il numero dei delegati regionali che votano per l’elezione del Presidente della Repubblica: non più 3 per Regione ma 2, uno di maggioranza ed uno di opposizione. I tempi di approvazione sono più lunghi, almeno il giugno 2021.
    – LEGGE ELETTORALE: il testo base del Germanicum, un proporzionale con soglia al 5% e listini bloccati, è stato assunto come testo base in Commissione alla Camera, ma con Leu e Iv astenuti. Leu contesta la soglia alla tedesca, mai esistita così alta in Italia, e Iv solleva dubbi addirittura sull’impianto proporzionale, a meno che sia accompagnato da altre riforme costituzionali. M5s chiede invece l’introduzione delle preferenze. Il centrodestra è ostile e chiede un sistema maggioritario. Alla luce del fatto che la legislatura sembra allungarsi al 2023, i tempi di approvazione possono andare anche oltre il 2021.
    – SFIDUCIA COSTRUTTIVA: ne parlò prima del lockdown il ministro Federico D’Incà, è stata rilanciata da Iv come riforma che compensi un sistema elettorale proporzionale ed è stata fatta propria dal Pd. Potrebbe comunque viaggiare con tempi più celeri del Germanicum se il centrodestra accettasse di sostenerla.
    – BICAMERALISMO DIFFERENZIATO: è stato rilanciato dal Pd il 12 settembre, anche se Luigi Di Maio in alcune interviste ha difeso l’attuale bicameralismo perfetto. E in effetti la parificazione dell’elettorato attivo di Camera e Senato e l’omologazione dei due sistemi elettorali vanno più nella direzione conservativa di Di Maio.   

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    Santa Sede: “L'eutanasia è un crimine, complice chi legifera”

    “La Chiesa ritiene di dover ribadire come insegnamento definitivo che l’eutanasia è un crimine contro la vita umana perché, con tale atto, l’uomo sceglie di causare direttamente la morte di un altro essere umano innocente”. Lo afferma la Congregazione vaticana per la Dottrina della fede nella Lettera “Samaritanus bonus”. “Coloro che approvano leggi sull’eutanasia e il suicidio assistito – aggiunge – si rendono, pertanto, complici del grave peccato che altri eseguiranno. Costoro sono altresì colpevoli di scandalo perché tali leggi contribuiscono a deformare la coscienza, anche dei fedeli”.
    L’eutanasia, spiega l’ex Sant’Uffizio, “è un atto intrinsecamente malvagio, in qualsiasi occasione o circostanza”. “Tale dottrina è fondata sulla legge naturale e sulla Parola di Dio scritta, è trasmessa dalla Tradizione della Chiesa ed insegnata dal Magistero ordinario e universale”, ribadisce, e “qualsiasi cooperazione formale o materiale immediata ad un tale atto è un peccato grave contro la vita umana”. “Dunque, l’eutanasia è un atto omicida che nessun fine può legittimare e che non tollera alcuna forma di complicità o collaborazione, attiva o passiva”, aggiunge.
    “Inguaribile non vuol dire incurabile” – “Inguaribile non è mai sinonimo di ‘incurabile'”. E’ il concetto posto a premessa del documento “Samaritanus bonus. Lettera sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita”, approvato dal Papa il 25 giugno scorso e pubblicato oggi, con cui la Congregazione vaticana per la Dottrina della Fede – dinanzi alle iniziative legislative in vari Paesi sull’argomento – ribadisce i principi dottrinali e magisteriali contro l’eutanasia e il suicidio assistito, considerando che “il valore inviolabile della vita è una verità basilare della legge morale naturale ed un fondamento essenziale dell’ordine giuridico”. Secondo l’ex Sant’Uffizio, un ostacolo “che oscura la percezione della sacralità della vita umana è una erronea comprensione dalla ‘compassione’ . Davanti a una sofferenza qualificata come ‘insopportabile’, si giustifica la fine della vita del paziente in nome della ‘compassione’. Per non soffrire è meglio morire: è l’eutanasia cosiddetta ‘compassionevole’. Sarebbe compassionevole aiutare il paziente a morire attraverso l’eutanasia o il suicidio assistito. In realtà, la compassione umana non consiste nel provocare la morte, ma nell’accogliere il malato, nel sostenerlo dentro le difficoltà, nell’offrirgli affetto, attenzione e i mezzi per alleviare la sofferenza”. Ecco, quindi che, “la Chiesa, nella missione di trasmettere ai fedeli la grazia del Redentore e la santa legge di Dio, già percepibile nei dettami della legge morale naturale, sente il dovere di intervenire in tale sede per escludere ancora una volta ogni ambiguità circa l’insegnamento del Magistero sull’eutanasia e il suicidio assistito, anche in quei contesti dove le leggi nazionali hanno legittimato tali pratiche”. 

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    Fine vita: S.Sede, gravemente ingiusto legalizzare eutanasia

    (ANSA) – CITTÀ DEL VATICANO, 22 SET – “Sono gravemente ingiuste, pertanto, le leggi che legalizzano l’eutanasia o quelle che giustificano il suicidio e l’aiuto allo stesso, per il falso diritto di scegliere una morte definita impropriamente degna soltanto perché scelta”. Così la Congregazione vaticana per la Dottrina della Fede nella Lettera “Samaritanus bonus” sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita. “Tali leggi colpiscono il fondamento dell’ordine giuridico: il diritto alla vita, che sostiene ogni altro diritto, compreso l’esercizio della libertà umana”, aggiunge il Dicastero della Santa Sede. (ANSA).   

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    Conte guarda alle riforme ma il Pd spinge, rebus rimpasto

    Il sospiro di sollievo per il “3 a 3” alle Regionali, dalle parti di Palazzo Chigi, non è scevro d’ombre. La tornata elettorale, di fatto, rafforza doppiamente Giuseppe Conte, sostenitore convinto del Sì al referendum e promotore, finora invano, di un’alleanza organica Pd-M5s che, forse, avrebbe potuto cambiare le sorti in qualche Comune e nelle Marche. Ma per Conte si apre una nuova stagione da “mediatore”.
    Il Pd post-Regionali aumenterà la sua pressione lasciando da parte, probabilmente, la prudenza di questo primo anno di governo. Di certo i Dem vorranno battere cassa su argomenti chiave come i dl sicurezza o il Mes. Con un ulteriore nodo che potrebbe finire, magari non subito, sul tavolo di Palazzo Chigi, quello del rimpasto. Il premier, per ora, fa filtrare solo la sua “piena soddisfazione” per la regolarità delle votazioni nonostante l’emergenza Covid. E per il fatto che, anche nel tempo della pandemia, “gli italiani hanno dato prova di attaccamento alla democrazia”. Conte passa il suo lunedì elettorale a Palazzo Chigi, lavorando su dossier sui quali, già nei prossimi giorni, il premier vuole dare un’accelerazione: il piano Cashless e le linee guida del Recovery Plan.
    E nel pomeriggio, quando la vittoria del Sì e quelle in Toscana e Puglia sono ormai in cassaforte, telefona al segretario Nicola Zingaretti. L’agenda del governo, però, è destinata a cambiare sensibilmente. Il Pd tornerà alla carica sul Mes mentre già arriva la richiesta di accelerare sulle modifiche ai decreti sicurezza, tema scottante dalle parti di un M5s che, al di là della vittoria referendaria, torna a leccarsi le ferite dopo l’ennesima debacle sui territori. Un Movimento “balcanizzato” che si avvia agli Stati Generali, vero spartiacque per le future alleanze con il Pd. Su un punto l’ala governista (ormai arricchitasi anche della presenza di Luigi Di Maio), il capo del governo, e i Dem sembrano d’accordo: già nelle prossime settimane si dovrà lavorare ad alleanze non raffazzonate sulle Comunali 2021. Non sarà facile e tra il dire e il fare c’è di mezzo il congresso pentastellato e la mozione Alessandro Di Battista, contraria a qualsiasi tipo di apparentamento. Per il Movimento, tuttavia, il rischio è di finire schiacciato da un lato dalla poca chiarezza sul suo futuro e dall’altro dal pressing del Pd. Un Pd rafforzato nel governo, che rivendica di aver dimostrato nelle urne di non essere “subalterno” al M5S.
    Il Nazareno, nel post-voto, “blinda” Nicola Zingaretti: perde forza, infatti, in questa fase, la sfida di Stefano Bonaccini, cui una parte della minoranza già lavorava. E si allontana, conseguentemente, anche il congresso. Nel Pd tutti dicono che Iv si è dimostrata irrilevante, anche se per i renziani la prima prova del voto è andata bene. E – sottolineano in Iv – nel governo non abbasseranno la voce.
    Dal quartier generale Dem, poi, assicurano che tra le richieste di Zingaretti il rimpasto non c’è. Ma, fuori taccuino, tra gli esponenti Pd il tema circola eccome. Agli atti resta la richiesta di chi, come Andrea Orlando, alla vigilia del voto auspicava un “tagliando” al governo. “Molti di noi pensano che serva un rimpasto per rafforzare il governo”, spiega un sottosegretario ed esponente Dem. Come si configurerebbe questo rimpasto è tutto da vedere. Nel Pd si esclude che Zingaretti voglia prendere il posto di Luciana Lamorgese al Viminale, anche perché la scelta di un tecnico all’Interno fu una decisione mirata dello stesso segretario.
    Si tratterebbe, si ragiona tra i Dem, più che altro di sostituire le figure M5S più “deboli”. Non sarà semplice, perché il passo tra un rimpasto e nuove consultazioni al Colle con successiva fiducia è breve. E Conte, finora, sul cambio di squadra si è mostrato più che prudente. E il Movimento? Attende che la richiesta venga formalizzata dal Pd. Un rimpasto, dalle parti dei pentastellati, non sarebbe il peggiore dei mali, soprattutto se servisse a sostituire uno o più esponenti “interni” sui quali crescono i mlaumori nei gruppi. Ma il rischio per Di Maio & Co è che, una volta mossa una casella, quella stessa casella vada al Pd.

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    In Comune foggiano un solo candidato sindaco, ma manca quorum

    Per soli 58 voti non è stato raggiunto il quorum, pertanto Lesina (Foggia) non avrà il suo sindaco e dovrà tornare al voto. È quanto rende noto la Prefettura di Foggia. Il caso singolare e’ accaduto nel comune Foggiano dove oltre che per il referendum e le regionali si votava anche per il rinnovo del consiglio comunale. Alla competizione elettorale si è presentata una sola lista di centrodestra con un solo candidato alla fascia tricolore: Primiano Leonardo Di Mauro a capo della civica “Lesina Azzurra”.
    Affinché la votazione fosse valida , avrebbe dovuto recarsi alle urne il 50% più uno de 5746 elettori. L’affluenza è stata del 49,01%, pertanto si tornerà a votare per il rinnovo del consiglio comunale probabilmente nella prossima primavera.   

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    Regionali: vincono voto utile e liste dei Presidenti

    Il 3 a 3 di questa tornata di Regionali è caratterizzato da un forte protagonismo dei presidenti eletti, le cui liste civiche risultano addirittura il primo partito nel Veneto di Luca Zaia e nella Liguria di Giovanni Toti. Ma è anche una tornata all’insegna del voto utile, determinante in Toscana e Puglia dove è stato significativo il voto disgiunto di molti elettori di M5s.
    Il Movimento di Vito Crimi rimane su soglie modeste, lontano anni luce da quelle del 2018 e 2019, mentre il Pd non solo archivia la grande paura di perdere la Toscana, ma vi risulta essere il primo partito con il 34%, “mangiandosi” Italia Viva, ferma al 3,7% E’ quanto emerge dalle prime proiezioni basate su un campione significativo di seggi scrutinati, mentre solo in nottata si avranno i dati definitivi.
    Le due Regioni il cui risultato era politicamente più “pesante” erano Toscana e Puglia, governate finora dal centrosinistra e in bilico secondo i sondaggi. Infatti le rilevazioni davano il centrodestra sicuramente vincente in Veneto, Liguria e Marche, con il centrosinistra in grando di mantenere senza incertezze solo la Campania con Vincenzo De Luca. Rispetto al testa a testa che ci si aspettava tra Giani e Ceccardi in Toscana e tra Emiliano e Fitto in Puglia, le proiezioni hanno regalato il sorriso a Nicola Zingaretti: i candidati del Pd si stanno affermando con un distacco più marcato del previsto sugli antagonisti di centrodestra. Emiliano è al 46,1% rispetto al 37% di Raffaele Fitto, mentre Eugenio Giani è al 47,2% contro il 40,8% di Susanna Ceccardi.
    In attesa dello scrutinio reale sembra essere stato decisivo il voto disgiunto di molti elettori di M5s, che hanno sì votato la lista del Movimento ma hanno votato come presidente i candidati con più chance di vittoria, cioè Emiliano e Giani. Infatti i candidati Governatori di M5s hanno ottenuto meno voti di quanto lasciassero pensare i sondaggi: In Puglia Antonella Laricchia si attesta all’11,9%, 3-5 punti meno delle aspettative, e in Toscana Irene Galletti non va oltre il 7,1%. Per altro in Puglia ha funzionato il voto di preferenza sui numerosissimi candidati al Consiglio regionale delle 15 liste che sostenevano Emiliano. Anzi quelle che si riferivano esplicitamente a lui, hanno ottenuto il 27,3%, ben 10 punti più del Pd.
    E qui si inserisce il discorso delle liste del Presidente. In Veneto la Lista Zaia è al 47,3% annichilendo Lega (14,9%), Fdi (8,3%) e FI (2,6%). In Liguria la Lista di Toti sale al 22,1% rispetto al 16% della Lega, al 9,4% di Fdi e al 4,3% di FI. Cifre che proiettano i due governatori su una dimensione di leadership nazionale.
    M5s risulta ininfluente nella vittoria o nella sconfitta del Pd in cinque regioni su 6. In Liguria l’alleanza M5s-Pd su Ferruccio Sansa ha fallito l’obiettivo, e in Puglia e Toscana la corsa in solitaria del Movimento non ha influito sulla vittoria di Emiliano e Giani. Invece nelle Marche se il 9,3% del pentastellato Mercorelli si fosse sommato al 37,6% del Dem Mangialardi, la partita con Acquaroli (47,3%) sarebbe stata aperta.
    Tra i partiti con i risultati più deludenti, a fianco di Fi, c’è Italia Viva. Il partito di Renzi è bloccato al 3,7% nella sua Toscana, e i candidati Governatori non sono andati meglio: Scalfarotto al 2% in Puglia, Massardo al 2,8% in Liguria, Sbrollini sotto l’1% in Veneto.
       

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    Salvini: 'Non chiedo le elezioni anticipate'

     “Come sempre e più di sempre, anche questa volta dico GRAZIE ai milioni di Italiane e di Italiani che ci hanno dato fiducia. Se i dati verranno confermati, da domani Lega e centrodestra saranno alla guida di 15 Regioni su 20! E anche dove non ce l’abbiamo fatta, tutti al lavoro con un solo obiettivo: aiutare, proteggere e far crescere la nostra bellissima Italia”. Lo scrive Matteo Salvini su faceook. 
    Le elezioni anticipate “non le chiedevo ieri e non le chiedo oggi. Prima ci sono meglio è, ma non per le elezioni regionali e il referendum”, ha sottolineato Salvini in conferma stampa, confermando l’intezione di non usare il voto delle amministrative a livello nazionale.
    Quanto al trionfo di Zaia in Veneto, il leader della Lega ha commentato: “Che sia uno dei governatori più amati è un motivo di vanto. Non temo e non soffro nessuna competizione interna, la mia competizione è con il Pd”.

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    La periferia per il Sì, i centri storici votano No

    Il Si vince anche a Roma, Milano, Torino, sospinto soprattutto dalla periferia, ma il centro storico delle città ha premiato il No. Insomma se l’andamento del voto per il referendum per il taglio dei parlamentari a Roma, Milano e Torino è assolutamente in linea con il dato nazionale, nei quartieri a vocazione borghese, ovvero le zone dove tradizionalmente il voto è più orientato verso il centrosinistra, ha prevalso di gran lunga il No. Un elemento questo che a Roma, dove il Sì ha registrato il 60% dei voti, si sposa con un dato politico in più e significativo: a votare No sono stati solo i municipi I e II, ovvero il centro storico, entrambi a guida Pd in una capitale a trazione pentastellata. Proprio qui però il No ha prevalso e non di misura: nella roccaforte del I municipio a guida Sabina Alfonsi e nel II con la minisindaca Francesca del Bello il No si attesta rispettivamente al 56% e al al 57%.
    Stessa situazione a Milano dove il Si incassa il 56,4%: nel centro storico la situazione è rovesciata col 56,5% di voti per il No. Nella capitale lombarda il Sì prevale in tutti gli altri 8 Municipi, ma comunque con un dato inferiore a quello nazionale, visto che in una sola zona è stato superato il 60%.
    Anche a Roma il sì al taglio dei parlamentari vince in periferia, anche qui con una media che si attesta sul 60% , compresi gli altri due municipi a guida Pd, ovvero al III col 59% e all’VIII al 56% Altro dato significativo: il Si stravince al VI municipio , ovvero nella periferia difficile di Tor Bella Monaca e Torre Angela dove raggiunge il 73%, il dato più alto nella capitale. Ma sempre all’VIII municipio si registra un altro record capitolino, ovvero l’affluenza più bassa, il 39,38%.
    A Torino il Sì si attesta al 60,74%, ma, anche qui, le uniche circoscrizioni ad avere premiato il no sono state il Centro e la Crocetta, il quartiere elegante del capoluogo piemontese, dove il no ha ottenuto il 56,84%.