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    La Nato promette una “risposta determinata” in caso di sabotaggio al gasdotto Baltico

    Bruxelles – La Nato promette una “risposta determinata” se i danni al gasdotto Baltic Connector e al cavo delle telecomunicazioni che connette Estonia e Finlandia dovessero dimostrarsi il risultato di un “atto deliberato”. Non punta il dito, né fa nomi. Ma il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg, nella prima giornata di ministeriale della difesa che si è tenuta oggi (11 ottobre) a Bruxelles promette che la risposta dell’alleanza militare fra i 31 Paesi dell’America settentrionale e dell’Europa non sarà indulgente quando le cause del presunto sabotaggio saranno accertate. La prima giornata di ministeriale è stata movimentata, a sorpresa, dalla visita al quartier generale della Nato del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky. “Se si dimostrerà che si tratta di un attacco alle infrastrutture critiche della NATO, otterremo una risposta unita e determinata da parte della NATO”, ha assicurato Stoltenberg prima di iniziare i lavori. Il presidente finlandese, Sauli Niinistö, ha annunciato ieri di avviato un’indagine sulle perdite di gas che sono state osservate a partire da domenica scorsa in un gasdotto sottomarino che collega Finlandia ed Estonia passando sotto il Mar Baltico, il Baltic Connector, e di un cavo di telecomunicazioni. L’indagine è condotta in collaborazione con l’Estonia, e secondo il presidente è probabile che il danno al gasdotto e al cavo adiacente sia il risultato di “attività esterne” anche se “non è ancora noto cosa abbia causato concretamente il danno”.Il presunto sabotaggio è finito oggi sul tavolo della ministeriale Nato, anche se ancora è presto per stabilire quali potrebbero esserne le cause. In conferenza stampa, Stoltenberg ha confermato di aver sentito ieri il presidente finlandese, Sauli Niinisto, e la premier estone, Kaja Kallas, che lo hanno “aggiornato sulle indagini in Finlandia e in Estonia. Hanno condiviso con la Nato ciò che hanno scoperto e ho detto loro che siamo pronti ad aiutarli con le indagini. Ha poi aggiunto che è troppo “presto per stabilire con esattezza cosa abbia causato il danneggiamento delle condutture e dei cavi. Ci sono indagini in corso e finché non saranno concluse, è troppo presto per dirlo”. Ha aggiunto però che se i danni subiti dal gasdotto Balticconnector tra Finlandia e Estonia dovessero risultare frutto di un attacco deliberato, si tratterebbe di un fatto “molto grave”. Ha ricordato ancora che queste infrastrutture critiche sottomarine “sono vulnerabili”, perché “si parla di migliaia di chilometri di condutture, di cavi, di rete internet, di rete elettrica, che per loro natura sono vulnerabili”. 
    Il presunto sabotaggio del tubo sottomarino che collega Finlandia ed Estonia, Baltic Connector, e di un cavo di telecomunicazione sul tavolo della prima giornata di ministeriale della difesa dell’Alleanza Atlantica che a sorpresa ha visto la presenza di Zelensky

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    Zelensky fa visita alla Nato, l’Ucraina ha bisogno di missili a lungo raggio e sistemi di difesa per resistere all’inverno

    Bruxelles – La prima volta di Volodymir Zelensky al quartier generale dell’Alleanza atlantica a Bruxelles. Una visita a sorpresa, resa necessaria perché il presidente ucraino teme che l’inverno alle porte – e la rinnovata attenzione internazionale sul Medio Oriente – possano minare la resistenza di Kiev contro l’invasore russo. “Sono qui per preparare la resilienza dell’Ucraina” in vista della stagione fredda, ha dichiarato al suo arrivo.Ai ministri della difesa Nato e al segretario generale, Jens Stoltenberg, Zelensky ha chiesto “tre cose concrete”: sistemi di difesa aerea, missili a lungo raggio e artiglieria. Stoltenberg ha fugato ogni dubbio sul supporto dell’occidente all’Ucraina. Anche ora che si è riacceso il conflitto israelo-palestinese. “Le azioni parlano più forte delle parole, gli alleati stanno incrementando il supporto all’Ucraina”, ha dichiarato il segretario generale. Il motivo è tanto chiaro quanto semplice: “È nel nostro interesse nazionale”. Belgio e Danimarca hanno confermato la fornitura degli aerei militari F-16, ma dal 2024-25, il Canada ha annunciato 10 milioni di dollari in equipaggiamento militare invernale, la Germania addirittura un pacchetto da 1 miliardo per migliorare i sistemi di difesa (Patriots e Iris-T). Il Regno Unito ha promesso lo stanziamento di ulteriori 100 milioni di euro, Washington più di 200 milioni di dollari in difesa aerea, missili e munizioni.“La Russia sta aumentando gli attacchi alle infrastrutture ed è pronta a usare un’altra volta l’inverno come un’arma da guerra”, ha avvisato Stoltenberg. Ecco perché soprattutto sistemi di difesa aerea efficaci sono necessari per difendere le infrastrutture energetiche e portuali dagli attacchi russi. Ma l’Occidente – garantisce Stoltenberg – “avrà le capacità di affrontare la situazione anche in Medio oriente“.L’appello a “non lasciare sola la popolazione di Israele” è arrivato in primis proprio da Zelensky, perché Kiev sa meglio di qualsiasi altro “cosa vuol dire subire un attacco terroristico”. Sulla risposta militare che il governo Netanyahu sta conducendo, Stoltenberg ha dichiarato che “Israele ha il diritto di difendersi, hanno sofferto un attacco terroristico tremendo”. Ma il capo della Nato si accoda alle raccomandazioni già espresse dal segretario generale dell’Onu, António Guterres, e dal capo della diplomazia europea, Josep Borrell: “Mi aspetto che la risposta sia proporzionata” e che Israele “faccia il possibile per prevenire la morte di civili innocenti“. Domani (12 ottobre) il ministro della Difesa israeliano, Yoav Galan, informerà i ministri Nato sulla situazione nel Paese.Meno sul velluto Lloyd Austin, il segretario alla difesa a stelle e strisce: “Ciò che farà o non farà” Israele è una scelta che spetta alle autorità di Tel Aviv, ma intanto gli Stati Uniti hanno già inviato aiuti militari, inclusi i sistemi Iron Dome, per “assicurarci che Israele abbia ciò che è necessario per difendere i suoi cittadini“. Austin ha lanciato un monito a tutta la regione araba: “Per chiunque pensi di cercare di approfittare dell’agonia in Israele, per cercare di allargare questo conflitto o cercare di spargere più sangue, abbiamo una sola parola: non fatelo”.
    Il presidente ucraino, a sorpresa al vertice dei ministri della Difesa dell’Alleanza atlantica, ha invitato i leader occidentali a “non lasciare sola la popolazione di Israele”. Stoltenberg: “La Russia userà ancora l’inverno come arma da guerra, stiamo incrementando il supporto” all’Ucraina.

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    I leader Ue omaggiano le vittime del terrorismo di Hamas. Metsola: “Questa è l’Europa, noi stiamo con Israele”

    Bruxelles – L’Eurocamera, il Consiglio europeo e la Commissione europea insieme per Israele. Davanti all’edificio Altiero Spinelli, al Parlamento europeo di Bruxelles, i leader delle tre istituzioni Ue si sono riuniti per un momento di raccoglimento per le oltre mille vittime degli attacchi terroristici perpetrati da Hamas da sabato 7 ottobre.Con Roberta Metsola, Charles Michel e Ursula von der Leyen anche l’ambasciatore israeliano presso l’Ue, Haim Regev, oltre a diversi commissari europei, i presidenti dei principali gruppi politici all’Eurocamera, tanti deputati, funzionari e cittadini. Centinaia di persone che hanno riempito l’intero piazzale dedicato a Simone Veil. “Sono orgogliosa di essere qui con così tanti di voi. La vostra presenza fuori dal Parlamento europeo è significativa, la nostra voce è importante. So quanto questo significhi per le persone in Israele colpite dal peggior attacco terroristico da generazioni”, ha dichiarato Metsola.Ribadita la dura la condanna all’estremismo di Hamas: “Dobbiamo essere chiari: questo è il terrorismo nella sua peggior forma”, ha tuonato Metsola, sottolineando che il gruppo islamista è “un’organizzazione terroristica” che “non rappresenta le legittime aspirazioni del popolo palestinese”, che non “offre soluzioni” ma solo “spargimenti di sangue”. Per la leader Ue il 7 ottobre passerà alla storia come il “giorno dell’infamia globale”, il giorno in cui ancora una volta il mondo “è stato testimone dell’assassinio di ebrei semplicemente perché erano ebrei”. Il giorno in cui – ha ricordato Metsola – “Hamas ha ucciso più di mille neonati, bambini, donne e uomini innocenti, ha aperto il fuoco su centinaia di giovani durante un evento musicale uccidendo indiscriminatamente anche cittadini dell’Ue, ha rapito ragazze e ragazzi, ha preso gli anziani sopravvissuti all’Olocausto e li ha trascinati fuori dalle loro case, facendoli sfilare per le strade come trofei”.Dal Parlamento europeo l’appello al rilascio immediato degli oltre 100 ostaggi ancora nelle mani di Hamas e la promessa che “l’Europa è pronta ad aiutare a mediare le risoluzioni”. Ma con un punto fermo: “Non esiste alcuna giustificazione per il terrorismo”. Prima di indire un minuto di silenzio, Metsola si è rivolta direttamente all’ambasciatore di Israele a Bruxelles: “Ambasciatore Haim Regev, grazie per essere qui oggi. Questa è l’Europa. E noi siamo con te”. Le parole di Metsola sono state accolte da un lungo applauso delle persone raccolte in piazza. Dopo il momento di silenzio, hanno risuonato gli inni di Israele e dell’Ue.Momento di raccoglimento per Israele al collegio dei Commissari UePoco prima della cerimonia sul piazzale del Parlamento europeo, a palazzo Berlaymont anche i commissari del gabinetto von der Leyen si sono riuniti in un momento di raccoglimento per le vittime in Israele. “Ci può essere solo una risposta: l’Europa sta con Israele, supportiamo pienamente il diritto di Israele a difendersi”, ha dichiarato la presidente della Commissione europea, prima di condannare duramente le azioni terroristiche di Hamas, l’unico “responsabile per le sue azioni”, che porteranno “maggiore sofferenza ai palestinesi innocenti”.Sulla polemica montata nei giorni scorsi sui fondi dell’Ue per la Palestina, von der Leyen ha assicurato che “il sostegno umanitario al popolo palestinese non è in discussione”, ma che al contempo “è importante rivedere attentamente la nostra assistenza finanziaria alla Palestina”. Tuttavia la leader dell’esecutivo comunitario è sicura: “I finanziamenti dell’Ue non sono mai andati e non andranno mai a Hamas o a qualsiasi entità terroristica”.
    Roberta Metsola, Charles Michel e Ursula von der Leyen insieme per commemorare gli oltre mille morti in Israele per mano dell’organizzazione terroristica. Per la presidente dell’Eurocamera il 7 ottobre passerà alla storia come “il giorno dell’infamia globale”. Nessun riferimento alle vittime civili palestinesi

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    Bruxelles annuncia una “revisione” dei fondi alla Palestina, c’è il rischio di finanziamenti indiretti ad Hamas. Ma salva gli aiuti umanitari

    Bruxelles – Dopo le dichiarazioni di pieno sostegno a Israele e al suo diritto a difendersi, la Commissione europea prende la prima iniziativa unilaterale nei confronti di Hamas. ma che potenzialmente potrebbe impattare su tutto il popolo palestinese: l’esecutivo comunitario avvierà una “revisione urgente dell’assistenza dell’Ue alla Palestina” che non colpirà però i versamenti a “tutti i palestinesi”, assicura l’alto rappresentante per la Politica estera Josep Borrell. Su cosa questo possa comportare, non sono d’accordo nemmeno a palazzo Berlaymont.La notizia è arrivata a metà pomeriggio attraverso un tweet condiviso dal commissario Ue per l’Allargamento e la politica di vicinato, Olivér Várhelyi: “Il livello di brutalità e terrore contro Israele e la sua popolazione è un punto di non ritorno. La Commissione europea rivedrà il suo intero portafoglio di sviluppo, pari a un valore di 691 milioni di euro“. È lo stesso Várhelyi che si prende la libertà di spiegare le dirette implicazioni: stop immediato ai pagamenti, tutti i progetti che tornano in cantiere a Bruxelles e le proposte di budget congelate e rinviate fino a nuovo ordine.Oliver Varhelyi, commissario Ue per l’AllargamentoMa l’annuncio del commissario ungherese ha smentito in parte quanto dichiarato in mattinata dai portavoce dell’esecutivo comunitario, Eric Mamer e Peter Stano, che avevano rimandato qualsiasi mossa del blocco Ue a domani, in occasione del Consiglio Affari Esteri straordinario convocato d’urgenza dall’Alto rappresentante, Josep Borrell. Apparentemente l’uscita di Várhelyi non è stata concordata in modo collegiale dal gabinetto von der Leyen: il commissario per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, ha immediatamente corretto il tiro con un tweet, confermando invece che “gli aiuti umanitari alla Palestina continueranno per tutto il tempo necessario”. Anche diversi Stati membri si sono allarmati dopo l’annuncio di Varhelyi: Spagna, Belgio, Irlanda e Lussemburgo in primis hanno contestato la legittimità di una scelta che riguarda la gestione del budget europeo e di conseguenza i 27 Paesi Ue.Dopo oltre quattro ore di silenzio, è intervenuta la Commissione con un comunicato stampa che annunciava la “revisione” dell’assistenza, non la sua immediata sospensione. “Oltre alle salvaguardie esistenti, l’obiettivo di questa revisione è garantire che nessun finanziamento dell’Ue consenta indirettamente a un’organizzazione terroristica di effettuare attacchi contro Israele. Anche qui, l’esecutivo Ue ha cambiato radicalmente il proprio linguaggio: poche ore prima il portavoce capo della Commissione, Eric Mamer, aveva garantito che le risorse europee per la Palestina sono soggette a “severi controlli per assicurare che non ci siano finanziamenti diretti e indiretti” ad Hamas. Ma il commissario dal tweet facile ha svelato lo scenario in realtà più realistico, e cioè che l’Ue non può avere la certezza che i propri fondi non abbiano armato il gruppo terrorista palestinese.La Commissione europea ha specificato poi che “la presente revisione non riguarda l’assistenza umanitaria fornita nell’ambito delle operazioni europee di protezione civile e aiuto umanitario (Echo)”, confermando quanto dichiarato da Lenarčič. Alla luce dei dati pubblicati dall’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (Unrwa), che ieri ha contato 73.538 sfollati interni, a cui sta dando rifugio in 64 delle sue scuole all’interno di Gaza, gli aiuti umanitari sono di vitale importanza. L’Unrwa ha anche previsto un “verosimile incremento dei numeri alla luce dei pesanti bombardamenti e attacchi aerei anche sulle aree civili” da parte dell’aviazione israeliana. Oggi il governo israeliano ha ordinato “l’assedio totale” della Striscia e dichiara di aver riunito 100 mila soldati al confine con Gaza, pronti ad un incursione via terra per recuperare gli oltre 100 israeliani che sarebbero tenuti in ostaggio in territorio palestinese. Non solo, il ministro della Difesa Yoav Gallant ha dato indicazione di tagliare completamente i rifornimenti di acqua, elettricità, carburante e generi alimentari alla popolazione della Striscia, che vive una situazione di crisi umanitaria perenne.I finanziamenti europei alla Palestina: 1,1 miliardi di euro dal 2021 al 2024Nell’ultimo anno e mezzo i 27 avevano stanziato più di 300 milioni di euro per la popolazione palestinese, impegnandosi a fornire fino a 1,1 miliardi di euro di assistenza finanziaria dal 2021 al 2024. Nell’ultimo pacchetto – relativo al 2022– erano previsti 200 milioni per sostenere l’Autorità Palestinese nel pagamento degli stipendi e delle pensioni dei dipendenti pubblici, delle indennità sociali alle famiglie vulnerabili, dei ricoveri agli ospedali di Gerusalemme Est e dell’acquisto di vaccini Covid-19, un programma specifico di 36 milioni per il periodo 2021-2023 per migliorare le condizioni di vita a Gerusalemme Est, 30 milioni per lo sviluppo del settore privato nei territori palestinesi occupati. E ancora, lo scorso febbraio, 82 milioni di euro per sostenere il lavoro sul campo dell’Unrwa.La volontà della Commissione europea sarà discussa domani dai ministri Ue, al vertice che si terrà in formato inedito a Muscat, in Oman, dove già oggi Borrell ha discusso delle “tragiche conseguenze dell’attacco di Hamas” con i leader del Consiglio di cooperazione del Golfo. L’ambasciatore spagnolo, José Manuel Albares, ha chiesto di inserire la questione all’agenda dell’incontro, dopo aver espresso il proprio disaccordo in una telefonata con il commissario responsabile dello psicodramma di oggi pomeriggio.
    Il commissario Ue Várhelyi ha annunciato la sospensione immediata dell’intero portafoglio di sviluppo con la Palestina, per un valore di 691 milioni di euro, suscitando le critiche di diversi Paesi membri. In serata la precisazione dell’esecutivo Ue: la revisione non riguarda i fondi per l’assistenza umanitaria e non riguarda “tutti i palestinesi”

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    Israele “ha il diritto di difendersi” e l’appello alla de-escalation: l’Ue contro il terrorismo di Hamas

    Bruxelles – Nel fine settimana in cui il mondo ha riscoperto la fragilità della convivenza israelo-palestinese e ha osservato inerme l’esplosione di un nuovo-vecchio conflitto, i leader dell’Ue hanno assemblato una risposta corale all’aggressione su larga scala avviata da Hamas sabato mattina. L’Unione Europea sta con Israele e invoca il suo diritto di difendersi contro l’organizzazione terroristica palestinese. E si rimette al lavoro per un ennesimo disperato tentativo di mediazione diplomatica: l’Alto rappresentante Ue ha convocato domani (10 ottobre) un vertice straordinario dei ministri degli Esteri dei 27 per studiare una strategia comune.Gli ultimi aggiornamenti raccontano di almeno 700 morti e 2.150 feriti tra gli israeliani e circa 400 vittime e oltre 2.300 feriti sul lato palestinese. “È terrorismo nella sua forma più spregevole. Israele ha il diritto di difendersi da attacchi così atroci”, ha dichiarato già sabato mattina la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, dopo le prime notizie del lancio dell’operazione ‘Alluvione Al-Aqsa’ da parte di Hamas. “Condanniamo fermamente gli attacchi indiscriminati lanciati questa mattina contro Israele e il suo popolo, infliggendo terrore e violenza contro cittadini innocenti”, le ha fatto eco il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Anche la leader dell’Eurocamera, Roberta Metsola, ha puntato il dito contro “gli atti di terrore indiscriminato” perpetrati ai danni di innocenti israeliani. I palazzi delle istituzioni europee si sono colorati immediatamente in solidarietà a Tel Aviv: la bandiera israeliana è stata proiettata sulla facciata di palazzo Berlaymont, sede della Commissione europea, ed è stata issata di fianco a quella a dodici stelle al Parlamento europeo.La bandiera israeliana proiettata a Palazzo Berlaymont a Bruxelles (Photo by JOHANNA GERON / AFP)Già nel corso del fine settimana la solidarietà a Israele ha dato l’impulso a nuove iniziative diplomatiche. Proprio mentre il premier israeliano Benjamin Netanyahu proclamava lo stato di guerra, l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, dichiarava che “oggi più che mai è necessario lavorare per una pace sostenibile attraverso sforzi rinvigoriti nel processo di pace in Medio oriente”. Oggi Borrell discuterà delle “tragiche conseguenze dell’attacco di Hamas” con i rappresentanti di Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar, dopo che ieri aveva indicato ai ministri degli Esteri di Egitto, Giordania e Arabia Saudita la necessità di “immediata cessazione delle ostilità, riduzione della tensione, pieno rispetto del diritto internazionale umanitario”.Perché se c’è qualcuno che può giocare un ruolo negli equilibri della regione, più che Bruxelles sono i Paesi arabi che storicamente hanno appoggiato la resistenza palestinese contro l’occupazione israeliana. E che, finora, non hanno preso posizioni ferme limitandosi a condannare le violenze da entrambe le parti. “La priorità immediata è evitare un’ulteriore escalation e ulteriore violenza“, ha detto Michel in una telefonata con il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh. Il rischio è un allargamento del conflitto, che manderebbe definitivamente all’aria il tentativo di normalizzazione dei rapporti in corso tra Tel Aviv e Riad. Mentre l’Iran è già uscito allo scoperto, con il presidente Ebrahim Raisi che si è congratulato con i leader di Hamas per un attacco che “segna una pietra miliare unica in 70 anni”.L’eterno e inascoltato appello alla de-escalation di cui l’Ue si fa promotrice cozza però con la condanna a senso unico per l’azione palestinese e con il riconoscimento della legittimità della risposta militare israeliana. Bruxelles continua a inseguire il negoziato diplomatico come unica soluzione, ma contemporaneamente prende posizione in supporto “all’unica democrazia del Medio Oriente”, preferendo sorvolare sulle reiterate condanne proferite negli ultimi mesi alla violenta politica coloniale di Tel Aviv nei territori palestinesi, che il governo di estrema destra guidato da Netanyahu ha accelerato e indurito ulteriormente. L’impressione è che, oltre che ambigua, la voce dell’Ue sia priva di forza e autorevolezza. Mentre gli amici americani hanno già promesso che forniranno a Israele tutto ciò di cui hanno bisogno.
    Già più di mille vittime tra palestinesi e israeliani, l’Ue sta con Tel Aviv e condanna fermamente l’aggressione del gruppo armato dalla striscia di Gaza. Borrell oggi in Oman con i Paesi del Golfo per “discutere delle tragiche conseguenze dell’attacco di Hamas”, domani vertice straordinario dei ministri degli Esteri Ue

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    Il nodo dei ‘rifugiati climatici’ in aumento, un problema politico per l’Ue

    Bruxelles – Un fenomeno in aumento e che crescerà ancora. Un problema reale, naturale, sociale, economico e ancor più politico. Perché nel diritto comunitario manca ancora una definizione di ‘rifugiato climatico’, e riconoscerlo vorrebbe dire dover aprire confini e frontiere a masse di migranti crescenti. Ma i numeri parlano chiaro, e il centro studi e ricerche del Parlamento europeo li raccoglie e li aggiorna. Dal 2008 oltre 376 milioni di persone in tutto il mondo sono state costrette a lasciare la propria abitazione a causa di inondazioni, tempeste di vento, terremoti o siccità, con un record di 32,6 milioni solo nel 2022. Non è la prima volta che il centro studi e ricerche del Parlamento europeo si sofferma sulla questione dei rifugiati climatici. L’ultimo rapporto realizzato nel 2021 censiva 318 milioni di sfollati causa eventi meteorologici estremi dal 2008. In due anni soltanto, dunque, si contano 58 milioni di sfollati ulteriori in tutto il mondo. Ma a dirla tutta “dal 2020 si è registrato un aumento annuo del numero totale di sfollati a causa di catastrofi rispetto al decennio precedente in media del 41 per cento”. Si tratta, guardando i numeri, di una “tendenza al rialzo chiara in modo allarmante”. Tanto che nello scenario peggiore si stima che “1,2 miliardi di persone potrebbero essere sfollate entro il 2050 a causa di disastri naturali e altre minacce ecologiche”. Un invito ad agire. Con la transizione sostenibile e la sua traduzione in pratica, certo. Ma pure con politiche di prevenzione e mitigazione dei rischi. Perché, avvertono gli analisti di Bruxelles, “con il cambiamento climatico come catalizzatore trainante, il numero di rifugiati climatici continuerà ad aumentare”, come dimostra l’ultimo anno, quello in corso. Mettendo insieme i principali eventi di cronaca, emerge come “solo nel 2023 centinaia di migliaia di persone sono state colpite da pericoli naturali e gravi catastrofi meteorologiche in tutto il mondo”. Qualche esempio: a settembre la tempesta Daniel ha causato la morte di oltre 12mila persone in Libia e 40mila persone sono state costrette a lasciare le proprie case; nel corso dell’estate le temperature nella regione del Mediterraneo e negli Stati Uniti hanno raggiunto livelli record e le inondazioni in Emilia-Romagna hanno ucciso 14 persone e provocato 50mila sfollati.“Il cambiamento climatico continuerà ad avere un effetto enorme su molte popolazioni, soprattutto quelle delle zone costiere e pianeggianti”, avverte il documento di lavoro. Uomini, donne e bambini si metteranno in marcia, ancora di più di adesso, perché il crescente impatto del cambiamento climatico sta rendendo alcune aree sempre più inabitabili, rendendo difficile il ritorno. Ma qui c’è il nodo politico della questione. Perché già adesso gli Stati membri dell’Ue litigano sulla gestione dei flussi, insistono sulla necessità di fermare le partenze per ridurre gli sbarchi. Un approccio che sembra in contrapposizione a tendenze peggiorative, dal punto di vista climatico e le sue ricadute. Oggi il diritto prevede che la protezione internazionale possa e debba essere riconosciuta da chi scappa da guerre e persecuzioni. Il clima non è contemplato, neppure dalle convenzioni Onu. L’Unhcr, l’agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite, spinge per un cambio di rotta e magari anche un nuovo trattato.Il Green Deal europeo riconosce che i cambiamenti climatici sono una delle cause che alimentano i fenomeni migratori, ma si limita a spostare l’accento sull’investimento in sostenibilità nei Paesi terzi. L’Europa ha già preso coscienza del fenomeno, ma non ha il coraggio, ancora, di introdurre una definizione giuridica di ‘rifugiato climatico’. Farlo vorrebbe dire aprire porti e porte dell’Ue.
    Un’analisi del centro studi e ricerca del Parlamento europeo torna su un tema noto e sempre più una sfida per i Ventisette. Nello scenario 1,2 miliardi di persone sfollate entro il 2050 a causa di minacce ecologiche

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    A Granada i leader Ue hanno iniziato a discutere dell’agenda strategica per l’allargamento e le riforme interne

    Bruxelles – È un punto di partenza, almeno per i leader dei 27 Paesi membri Ue. Tra i corposi contorni della crisi energetica, della politica di migrazione e asilo e della competitività economica, il piatto forte del Consiglio Europeo informale andato in scena oggi (6 ottobre) a Granada è stato il confronto sul futuro allargamento Ue e sulle riforme interne all’Unione per preparsi ad accogliere nuovi membri (fino a 10, quanti sono i Paesi che almeno hanno fatto richiesta di aderire). “Quello di oggi è il punto di inizio di un’agenda strategica basata su tre punti“, ha rivendicato con orgoglio il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel: “Le nostre priorità future, come decideremo insieme e come pagheremo per le iniziative”.I capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri Ue e i leader delle istituzioni comunitarie al Consiglio Europeo informale di Granada (6 ottobre 2023)In altre parole, dopo aver salutato i partner arrivati a Granada ieri (5 ottobre) per il terzo vertice della Comunità Politica Europea, i Ventisette si sono ritrovati da soli a discutere in modo coerente “per la prima volta a così alto livello” di cosa sarà l’Unione Europea del futuro: prospettive dell’allargamento Ue, graduale abbandono dell’unanimità in Consiglio e distribuzione dei fondi del budget comunitario nello scenario di un’Unione a 32 (con i candidati che hanno già avviato i negoziati di adesione), a 35 (con anche quelli che hanno ricevuto lo status di Paese candidato) o 37 (con tutti dentro, compresi Kosovo e Georgia). “Allargamento significa che i candidati hanno riforme da fare e dal nostro lato che dobbiamo prepararci”, ha puntualizzato Michel. Come si legge nella dichiarazione di Granada, l’allargamento Ue “è un motore per migliorare le condizioni economiche e sociali dei cittadini europei, ridurre le disparità tra i Paesi e promuovere i valori su cui si fonda l’Unione” e, in vista di una nuova fase, “gli aspiranti membri devono intensificare i loro sforzi di riforma, in particolare nel settore dello Stato di diritto”, e “parallelamente l’Unione deve porre le basi e le riforme interne necessarie“.Rieccheggia nella Dichiarazione di Granada l’eco della recente proposta franco-tedesca per adeguare l’Unione Europea a un suo futuro allargamento, che costituisce al momento la base di partenza più dettagliata e approfondita per le discussioni tra i leader. Il viaggio è cominciato oggi in Spagna e come tappa decisiva per un aggiornamento si può già segnare in calendario l’estate 2024, quando “sotto presidenza belga” del Consiglio dell’Ue (prima del primo luglio, dunque) saranno presentati “degli orientamenti” per “identificare e convergere” su obiettivi e progressi di breve e medio termine, ha precisato ancora Michel. A proposito di date, nonostante lo scetticismo della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, il numero uno del Consiglio ha rivendicato l’utilità di fornire una scadenza per “essere pronti” all’allargamento Ue: “Il 2030 è condiviso da molti Stati membri perché è un incoraggiamento, abbiamo visto troppe procrastinazioni negli ultimi 20 anni”.A proposito di ciò che la Commissione Europea sta facendo a riguardo, la presidente von der Leyen ha messo in chiaro a Granada che “lavoreremo a diverse revisioni delle politiche in diversi campi all’interno dei Trattati“, sia per quanto riguarda “i compiti che devono fare i Paesi candidati, sia quelli che dobbiamo fare noi come Unione “Europea”. È centrale il fatto che “l’esperienza dell’allargamento Ue è stata sempre estremamente vantaggiosa per entrambe le parti”, fermo restando che “coloro che vogliono aderire devono essere pronti per entrare nel Mercato unico”. Anche dalla presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, è arrivato un appello a “non lasciare indietro nessuno”, ovvero che “una volta soddisfatte tutte le condizioni con report positivi, dovremmo essere in grado di avviare i negoziati di adesione“. In attesa del Pacchetto Allargamento Ue 2023 – che sarà pubblicato l’8 novembre dalla Commissione – anche l’Unione stessa deve “avviare un dialogo per chiederci cosa dobbiamo fare per riformarci”, ha esortato Metsola: “Ciò che funziona attualmente per i Ventisette, non funzionerà per i 32, 33 o 35” futuri Paesi membri. Sulla stessa linea il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, che ha puntato il dito soprattutto contro il processo decisionale interno: “Abbiamo cercato di chiarire che in politica estera o in politica fiscale non può sempre esserci unanimità, dobbiamo anche essere in grado di prendere decisioni a maggioranza qualificata”.Il vertice di Granada oltre l’allargamento UeIn un vertice in cui Polonia e Ungheria hanno posto il veto sull’inserire nel testo congiunto il capitolo sulla migrazione – pubblicato separatamente come una striminzita ‘dichiarazione del presidente del Consiglio Europeo’, esattamente come successo al vertice di giugno – i 27 leader hanno dato il via libera a un documento molto generico, a partire dalla questione Ucraina: “Abbiamo confermato che il futuro dei nostri aspiranti membri e dei loro cittadini è all’interno dell’Unione Europea“, anche se il premier ungherese, Viktor Orbán, ha sollevato alcuni dubbi (“non è mai successo un allargamento con un Paese in guerra, non sappiamo quali sono i confini veri”). Allo stesso modo i Ventisette promettono che “rafforzeremo la nostra preparazione alla difesa e investiremo nelle capacità sviluppando la nostra base tecnologica e industriale” a partire da “mobilità militare, resilienza nello spazio e contrasto alle minacce cibernetiche e ibride e alla manipolazione delle informazioni straniere”.Da sinistra: il primo ministro spagnolo e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Pedro Sánchez, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (6 ottobre 2023)Non più incisivo il capitolo sulla competitività. “Lavoreremo sulla nostra resilienza e sulla nostra competitività globale a lungo termine, assicurandoci che l’Ue abbia tutti gli strumenti necessari per garantire una crescita sostenibile e inclusiva e una leadership globale in questo decennio cruciale“, si legge nel testo, che parla di “affrontare le vulnerabilità e rafforzare la nostra preparazione alle crisi” in particolare “nel contesto dei crescenti rischi climatici e ambientali e delle tensioni geopolitiche”. Con l’obiettivo di “garantire la sostenibilità del nostro modello economico, senza lasciare indietro nessuno“, il lavoro si concentrerà su “efficienza energetica e delle risorse, circolarità, decarbonizzazione, resilienza alle catastrofi naturali e adattamento ai cambiamenti climatici”. La questione riguarda anche il tema dell’energia: “Garantiremo l’accesso a prezzi accessibili, aumenteremo la nostra sovranità e ridurremo le dipendenze esterne in altri settori chiave” in cui l’Unione “deve costruire un livello sufficiente di capacità per garantire il suo benessere economico e sociale”. Si tratta di “tecnologie digitali e a zero emissioni, farmaci, materie prime essenziali e agricoltura sostenibile“, specifica la dichiarazione, che ribadisce la necessità di “rafforzare la nostra posizione di potenza industriale, tecnologica e commerciale”.
    Al vertice informale i capi di Stato e di governo si sono confrontati su “priorità future, come decideremo insieme e come pagheremo”, ha spiegato il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel. In arrivo nell’estate 2024 “orientamenti” su obiettivi e progressi di breve/medio termine

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    Oltre il gas, Bruxelles guarda all’Algeria per l’idrogeno verde e le emissioni di metano

    Bruxelles – Non solo gas, ma per Bruxelles la partnership con l’Algeria passa anche per il metano e per l’idrogeno rinnovabile. Si è chiuso nel pomeriggio di oggi (5 ottobre) a Bruxelles il quinto Dialogo energetico tra Unione europea e Algeria, l’occasione per la Commissione europea di guardare oltre la cooperazione con il Paese africano.Rispetto allo scorso anno nel pieno della crisi energetica con la Russia, la riunione ad alto livello ha preso le mosse questa volta in un contesto molto diverso, dando l’occasione ai due partner per riflettere su come approfondire la partnership anche oltre il gas. Dopo la decisione di ridurre gradualmente le importazioni di gas dalla Russia con l’inizio della guerra in Ucraina, l’Algeria è diventata il secondo fornitore di gas all’Ue (prima della guerra era il terzo, dopo la Norvegia). “L’Algeria è stata e continua ad essere un importante e affidabile fornitore di energia per l’Ue. L’anno scorso è stato un partner fondamentale per la sicurezza delle nostre forniture di gas ed è il secondo più grande fornitore di gas per l’Unione europea”, ha ricordato Simson, precisando che oggi durante la riunione di alto livello si è “discusso dell’evoluzione della situazione del mercato del gas e dello scenario a breve e medio termine della domanda di gas in Europa”.In conferenza stampa al fianco del ministro algerino dell’Energia e delle Miniere, Mohamed Arkab, la commissaria estone ha poi puntualizzato che il focus delle discussioni non è stato solo il gas. Prende forma l’idea di dare vita a una partnership sull’idrogeno rinnovabile. “Abbiamo concordato oggi di lavorare a una partnership tra Ue e Algeria dedicata all’idrogeno per sviluppare produzione, consumo e commercio di idrogeno rinnovabile che sarà centrale per decarbonizzare i nostri sistemi energetici”, ha confermato Simson. E per raggiungere gli obiettivi il prossimo anno sarà decisivo per attuare queste ambizioni. “Per prima cosa, riuniremo insieme i portatori di interesse algerini e europei per mettere a punto una valutazione per questa partnership. Parallelamente, studieremo la fattibilità di un primo progetto su larga scala per la produzione di idrogeno rinnovabile e la possibile esportazione in Europa”, ha anticipato ancora Simson.Nella dichiarazione congiunta pubblicata al termine della riunione si legge che Simson e l’omologo algerino Arkab “hanno convenuto che esiste un eccellente potenziale per un partenariato fruttuoso e reciprocamente vantaggioso sull’idrogeno rinnovabile e si sono impegnati a intensificare la cooperazione in questo campo”. L’altra area di cooperazione a cui lavora la Commissione europea è quella della riduzione delle emissioni di metano in particolare nell’industria del petrolio e del gas e hanno concordato di lavorare insieme per promuovere il recupero e la commercializzazione del metano che altrimenti verrebbe disperso nell’atmosfera. “Ciò comporterà vantaggi reciproci in termini di mitigazione del cambiamento climatico, migliore redditività dell’industria del gas algerina e maggiore potenziale di fornitura aggiuntiva all’Unione europea”, si legge nella nota in comune.
    Si è chiuso a Bruxelles il quinto Dialogo energetico tra Unione europea e Algeria, l’occasione per la Commissione europea di guardare oltre la cooperazione sul gas con il Paese africano. Prossimo anno sarà decisivo per la partnership sull’idrogeno pulito