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    Sicurezza informatica, l’Unione Europea subisce attacchi e accusa la Cina: “Ha agevolato hacker sul suo territorio”

    Bruxelles – L’Unione Europea prova a ruggire contro la Cina, ma è difficile che Pechino si lascerà spaventare dall’accusa arrivata oggi (lunedì 19 luglio) sulla responsabilità per gli attacchi informatici ai Ventisette. L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha denunciato “attività informatiche dannose intraprese dal territorio della Cina”, che “ha consentito l’accesso a un numero significativo di hacker” nella falla del server Microsoft Exchange. Come se lo sfruttamento delle armi informatiche per affrontare le guerre ibride non fosse un segreto di Pulcinella.
    “Questo comportamento irresponsabile e dannoso ha comportato rischi per la sicurezza e significative perdite economiche per le nostre istituzioni governative e aziende private”, ha attaccato Borrell in una nota. Inoltre, “ha mostrato significative ricadute ed effetti sistemici per la nostra sicurezza, economia e società in generale”. Attacchi informatici non episodici, ma continuativi e globali, collegati a gruppi di hacker come Advanced Persistent Threat 40 e Advanced Persistent Threat 31. Lo scopo rimane sempre il furto di proprietà intellettuale e lo spionaggio indirizzato nei conforti di istituzioni governative, organizzazioni politiche e industrie strategiche sul territorio comunitario.
    L’individuazione della Cina come luogo di provenienza – nonostante sia già noto il suo coinvolgimento anche nella diffusione di fake news in Europa tramite azioni informatiche – pone questioni di “irresponsabilità” da parte di Pechino sul fronte del rispetto delle norme internazionali sottoscritte in sede ONU. “Continuiamo a sollecitare le autorità cinesi ad aderire a queste norme e a non consentire che il suo territorio venga utilizzato per attività informatiche dannose”, è stata l’esortazione dell’alto rappresentante UE, che ha anche invitato la controparte ad “adottare tutte le misure appropriate e ragionevolmente disponibili per rilevare, indagare e affrontare la situazione“.
    Per Bruxelles l’obiettivo rimane il “forte impegno” per garantire uno spazio digitale “globale, aperto, libero, stabile e sicuro”, rafforzando la cooperazione con partner internazionali e parti interessate “attraverso un maggiore scambio di informazioni e un impegno diplomatico continuo”. Ma soprattutto attraverso l’istituzione della Joint Cyber Unit, una nuova unità cibernetica comune per rispondere alle minacce informatiche che incidono sui servizi pubblici, sulle imprese e sulla vita dei cittadini europei, secondo le linee presentate dalla Commissione UE a fine giugno. “Servono sforzi continui per migliorare la sicurezza generale dei software e le loro catene di approvvigionamento“, ha avvertito Borrell. Lasciando già intuire che da Pechino ci si aspetta una risposta, ma non necessariamente positiva.

    La denuncia dell’Alto rappresentante UE Borrell: “Comportamento irresponsabile e dannoso, con significative perdite economiche”. Pechino avrebbe consentito l’accesso nella falla del server Microsoft Exchange per furti di proprietà intellettuale e spionaggio

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    La Commissione UE smentisce l’avvio di una missione militare in Libia. Per ora.

    Bruxelles – Una missione militare dell’UE in Libia non è in programma. Non per ora, almeno. La Commissione smentisce le voci che iniziano a circolare su un possibile impegno europeo di diversa natura nel Paese nordafricano. Il clima di instabilità è tale da indurre a pensare che l’Unione dovrebbe intervenire con una presenza militare organizzata nel contesto della Politica di sicurezza e difesa comune (CSDP), con l’obiettivo di non lasciare campo libero a forze straniere. Questo è quello a cui si starebbe ragionando, secondo indiscrezioni di stampa. 
    La linea della Commissione è quella del “no comment”. Arianna Podestà, portavoce facente funzioni di responsabile del servizio di comunicazione dell’esecutivo comunitario, ricorda a Bruxelles “non si commentano mai le indiscrezioni”. Ad ogni modo, aggiunge, “non siamo a conoscenza di alcuna discussione di missioni militari in Libia”. Al momento, ricorda, restano in essere le due missioni già operative. Si tratta di EUBAM Libia, missione civile avviata nel 2013 e gestita a livello di Politica di sicurezza e difesa comune volta ad aiutare le autorità libiche a smantellare le reti di trafficanti di esseri umani, e di EUNAVFOR MED IRINI, avviata nel 2015 con  l’obiettivo di neutralizzare le rotte consolidate del traffico di profughi nel Mediterraneo. 
    Le risposte fornite a Bruxelles però non sembrano sgombrare il campo da dubbi per il medio termine. Il 24 dicembre in Libia sono previste le elezioni politiche e presidenziali, che dovranno delineare il futuro assetto dello Stato, comunque lontano da una piena stabilità. “Siamo ad un punto critico”, che non può non indurre a “guardare oltre e vedere come aiutare la Libia” nel rafforzamento dei progressi compiuti fin qui e consolidare il processo di stabilizzazione. Possibile dunque che si prepari una nuova missione per i prossimi mesi, date le risposte criptiche fornite dalla Commissione UE.

    L’esecutivo comunitario smentisce indiscrezioni circa l’avvio di un nuovo impegno nel Paese, ma ammette che occorre “guardare oltre e vedere come aiutare la Libia”

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    Clima, Pechino segue l’UE e lancia il suo mercato del carbonio

    Bruxelles – Poche ore dalla presentazione a Bruxelles del nuovo meccanismo europeo di aggiustamento del carbonio alle frontiere (CBAM) e la Cina ha lanciato il proprio mercato del carbonio, che probabilmente sarà il più grande al mondo. I primi scambi di quote di emissioni – che per ora riguardano solo l’energia elettrica – si sono svolti venerdì 16 luglio, coprendo oltre 2mila produttori di elettricità in oltre 4 miliardi di tonnellate all’anno”, ha fatto sapere in una nota l’agenzia di stampa ufficiale cinese. Lo strumento cinese, però, è stato già criticato a livello internazionale per il suo livello di prezzo relativamente basso: 52,78 yuan (sono circa 8 dollari) per tonnellata di carbonio durante la prima transazione, contro i 47 euro (55 dollari) di media attualmente stimati nell’UE. 
    Pechino è il principale produttore al mondo di gas serra e il presidente cinese Xi Jinping ha fissato per la Cina l’obiettivo di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060, un decennio dopo rispetto agli obiettivi fissati dall’Unione Europea. Secondo i piani di Pechino il mercato del carbonio sarà esteso ai produttori di cemento e alluminio a partire dal 2022. La notizia è accolta con favore da Bruxelles, dove si tenta di dar vita a una alleanza globale sul prezzo del carbonio che potrebbe essere stabilita alla prossima Conferenza sul clima delle Nazioni Unite, la COP26 in programma a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre sotto la presidenza di Boris Johnson.
    “La Commissione Europea continua a sostenere la Cina nello sviluppo di un sistema nazionale di scambio delle emissioni efficace ed efficiente che contribuisca all’attuazione degli obiettivi climatici cinesi”, ha scritto su twitter il vicepresidente esecutivo per il Green Deal, Frans Timmermans.

    Today I congratulated China on starting its national emission trading market. The @EU_Commission continues to support China in developing an effective and efficient nationwide emissions trading system that contributes to implementing the Chinese climate objectives.
    — Frans Timmermans (@TimmermansEU) July 16, 2021

    Il nuovo CBAM dell’UE è una delle dodici proposte legislative avanzate la settimana scorsa dalla Commissione UE nel pacchetto Fit for 55. Dare un prezzo alle emissioni di CO2 importate in UE dovrebbe avere proprio questo scopo: indurre gli altri partner globali a introdurre misure climatiche altrettanto stringenti. “Una misura di diplomazia climatica”, dice Bruxelles. Se tutti avessero un meccanismo di scambio di quote di emissioni simile all’ETS europeo non ci sarebbe bisogno di un dazio sulle importazioni. Il CBAM non è ancora operativo (non lo sarà prima del 2026) ma già fa discutere. Se la Cina si sta adeguando all’idea di un ETS cinese, la misura non è stata accolta altrettanto bene in Australia. “L’ultima cosa di cui il mondo ha bisogno ora è che vengano messe in campo ulteriori misure protezionistiche”, ha detto il ministro del commercio australiano Dan Tehan, all’indomani della presentazione da parte di Bruxelles. A detta del ministro, l’Europa starebbe “imponendo unilateralmente la propria visione a tutti gli altri Paesi”.
    L’argomento entra nel vivo anche negli Stati Uniti, l’altro grande partner che l’UE vuole portare sulla stessa strada. Il partito democratico del presidente statunitense Joe Biden ha proposto, nel giorno della presentazione da parte della Commissione europea (14 luglio), un’analoga carbon tax alle frontiere negli Stati Uniti. Il New York Times scrive che ancora non sono noti i dettagli della potenziale tassa statunitense, e dunque non è ancora certo se sia simile all’iniziativa europea. Da quando Biden è salito alla Casa Bianca a gennaio, Bruxelles ha avviato il dialogo con gli USA su questo argomento ed evitare possibili frizioni commerciali con un partner appena ritrovato. L’inviato speciale Usa per il clima, John Kerry, si è detto in più di una occasione “preoccupato” per i piani di Bruxelles, affermando che il meccanismo di aggiustamento del carbonio dovrebbe essere solo una soluzione di “ultima risorsa”.

    Parte l’Ets del primo produttore al mondo di CO2, anche se non mancano le critiche per il prezzo delle emissioni più basso rispetto a quello europeo. Timmermans: “Pronti a sostenere la Cina nello sviluppo di un sistema nazionale per l’attuazione degli obiettivi climatici cinesi”

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    Agroalimentare, sui ‘nuovi OGM’ si gioca il rilancio della partnership commerciale tra UE e USA

    Bruxelles – La meta è la stessa, un’agricoltura sostenibile a emissioni zero. Ma sul percorso per arrivarci, Unione Europea e Stati Uniti hanno visioni diverse e non lo nasconde Tom Vilsack, Segretario di Stato americano per l’agricoltura, che ieri (12 luglio) si è confrontato virtualmente con gli eurodeputati della commissione per l’Agricoltura (AGRI), che lo hanno ringraziato a più riprese per la sospensione dei dazi sui prodotti agricoli europei nel contesto del contenzioso Boeing/Airbus. Pronti a buttarsi alle spalle anni di relazioni tese durante l’amministrazione di Donald Trump anche in termini commerciali.
    Tom Vilsack, Segretario di Stato americano per l’agricoltura
    Da qui in poi le relazioni commerciali devono ripartire, anche sul piano agroalimentare. Ma non mancano “serie e difficili” questioni da risolvere. “Il rapporto con l’UE dal punto di vista commerciale ha degli aspetti critici, è sempre stato difficile nei negoziati trovare una intesa perché percorriamo strade diverse verso sostenibilità e produttività”, ha detto Vilsack nel suo intervento di apertura. “Sta a noi affrontare queste divisioni per avere un rapporto commerciale di successo, sarà necessario concentrarsi su queste difficoltà per superarle”.
    Tra gli aspetti commerciali su cui emergono posizioni distanti ci sono le nuove tecniche di modifica del genoma (NBT) – banalmente chiamate ‘nuovi OGM’ – che per gli Stati Uniti sono un modo efficace “per migliorare redditività e produttività” del settore, ma anche portare allo sviluppo di tecniche innovative, ad esempio misure più efficaci di sequestro di carbonio. L’obiettivo di Washington è quello di portare anche il comparto agricolo a nuove emissioni nette zero entro la metà del secolo. Secondo diversi studi pubblicati in UE, i prodotti NGT possono contribuire a sistemi alimentari sostenibili perché sviluppano piante più resistenti alle malattie, o alle condizioni ambientali o ancora agli effetti dei cambiamenti climatici. Ma anche perché i prodotti possono beneficiare di qualità nutrizionali più elevate come un contenuto di acidi grassi più sano e una ridotta necessità di altri input agricoli, come i pesticidi. 
    In UE il tema dei “nuovi OGM” è scivoloso: nel quadro della Farm to Fork, la Commissione Europea ha annunciato di voler lavorare a un nuovo quadro giuridico sulle biotecnologie agrarie, ovvero su queste nuove tecniche genomiche (NGT) che servono ad alterare il genoma di un organismo e che – riconosce l’UE – “hanno il potenziale per contribuire a un sistema alimentare più sostenibile come parte degli obiettivi del Green Deal europeo”. Per chi le sostiene, sono tecniche che nulla hanno a che vedere con gli organismi geneticamente modificati (OGM) tradizionali. L’apertura annunciata appena pochi mesi fa per aggiornare il quadro normativo attuale sugli OGM è accolto con freddezza dalla parte più ambientalista dell’Europarlamento e anche del mondo ecologista. “Riconosco che in UE potrebbe esserci una impostazione diversa, ma a causa di questa impostazione diversa la nostra capacità di accedere al mercato europeo è limitata”, ha spiegato il segretario americano.
    Norbert Lins, eurodeputato presidente della commissione AGRI
    Questo crea una barriera commerciale. “La nostra capacità di esportare prodotti sul vostro mercato è limitata, è complicato parlare di libero scambio e di commercio equo quando siamo di fronte al nostro deficit commerciale (con l’UE)”, ha osservato Vilsack. Il messaggio è chiaro: se vogliamo rinsaldare i legami commerciali UE, servirà fare progressi con soluzioni “creative” per aiutare a far avanzare i negoziati commerciali tra le due parti. Non solo tecniche genomiche, il segretario di Stato cita tra gli elementi conflittuali anche gli ormoni per le carni bovine.
    Vilsack annuncia anche un cambio di passo nella politica agroalimentare statunitense, con la necessità di concentrarsi sui redditi agricoli. Negli ultimi cinquant’anni “ci siamo concentrati sulla produttività ma non abbiamo riconosciuto l’importanza della redditività delle piccole e medie imprese agricole”. Cita diversi studi pubblicati in USA secondo cui la “maggior parte degli agricoltori sono in grado di sostenere l’attività solo facendo anche altri lavori”. “Sono convinto che una forte cooperazione UE-USA non solo avvantaggia gli agricoltori di entrambe le parti, ma incoraggi anche a trovare modi per affrontare il difficile tema del cambiamento climatico”, ha commentato il presidente della commissione AGRI, Norbert Lins, al termine del colloquio virtuale. “Insieme, troveremo una soluzione per massimizzare il supporto di cui i nostri agricoltori e le aree rurali hanno bisogno, che sono la spina dorsale della nostra società”.

    Visioni diverse su come rendere la filiera agroalimentare sostenibile e produttiva limitano “la nostra capacità di accedere al mercato europeo”, ha detto il Segretario di stato americano Tom Vilsack al Parlamento europeo, citando le nuove tecniche di modifica del genoma (NBT) tra le possibili barriere commerciali che andranno superate

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    Bielorussia, l’Unione Europea alza la voce contro Lukashenko: “Il popolo di Minsk deve sapere che li stiamo sostenendo già ora”

    Bruxelles – Non è solo il tempo delle denunce e delle sanzioni economiche. Contro il regime del presidente bielorusso, Alexander Lukashenko, l’Unione Europea vuole dimostrare che già adesso è impegnata a sostegno della società civile e dell’opposizione democratica: una questione che spesso si sente dire o si legge alla voce “cose che Bruxelles non fa a sufficienza”. Proprio nei giorni in cui si è riaccesa la tensione tra l’UE e Minsk sulla questione della migrazione irregolare verso la Lituania, il Parlamento Europeo ha organizzato audizioni e attività nelle commissioni per accendere i riflettori sulla situazione nel Paese in tutta la sua drammaticità e per chiarire in che modo la macchina comunitaria si sia attivata per non lasciare soli i cittadini bielorussi.
    “Lo spazio per le libertà della società civile in Bielorussia si sta riducendo in maniera sempre più significativa”, ha avvertito Vassilis Maragos, capo unità per il Partenariato Orientale di DG Near (dipartimento della Commissione Europea deputato alle politica di vicinato e dei negoziati di allargamento), durante il confronto odierno con gli eurodeputati della commissione Cultura (CULT). “Non smettiamo però di mantenere aperti i canali con attivisti e giornalisti, per condividere lo sforzo verso una transizione democratica nel Paese”. Tra le modalità di assistenza offerta da Bruxelles compare il “potenziamento della rete degli attuali 13 media indipendenti che sono dovuti fuggire dalla Bielorussia, o che dall’interno stanno creando una narrazione per i cittadini diversa da quella di Stato”.
    Nonostante le sanzioni economiche imposte a Minsk, l’UE sta cercando per quanto possibile di non abbattere il sistema produttivo del Paese, soprattutto quello formato dalla maggioranza di imprenditori che non hanno nulla a che fare con il regime: “Da marzo stiamo sostenendo finanziariamente le piccole e medie imprese con prestiti, ma solo quelle che possiamo individuare prive di legami con lo Stato”, ha spiegato Maragos. Importante anche la solidarietà nel contesto COVID-19: “Non abbiamo mai smesso di fornire apparecchiature e materiale sanitario agli ospedali“, anch’essi spesso colpiti dalla scure della repressione, come ha dimostrato il caso dell’Ospedale dei Bambini di Grodno.
    C’è poi il capitolo degli studenti universitari, “presi di mira, sospesi o incarcerati” per aver manifestato le proprie posizioni politiche ed essere scesi nelle piazze a protestare. “Per loro abbiamo previsto un regime di borse di studio per il prossimo anno accademico nelle università europee nelle quali hanno trovato rifugio”. Infine Maragos ha ricordato agli europarlamentari il pacchetto di investimenti da 3 miliardi di euro per il futuro della Bielorussia: “Non appena si metterà in moto un vero sistema democratico, saranno già pronti investimenti per la connettività e le PMI, per il sostegno ai media indipendenti e alle istituzioni democratiche”.
    Il relatore sulla Bielorussia per il Parlamento UE, Petras Auštrevičius (Renew Europe)
    Il relatore sulla Bielorussia per il Parlamento UE, Petras Auštrevičius, ha riconosciuto che “solidarietà e sanzioni devono andare di pari passo fino a quando non riusciremo ad annullare il regime di Lukashenko”. Ricordando il rapporto che deve essere rinsaldato con la società civile (“i nostri interlocutori per il futuro sono loro”), l’eurodeputato lituano ha voluto porre l’attenzione sulla situazione dei media: “La Bielorussia è il Paese più pericoloso per i giornalisti“. Lo dimostrano le 480 detenzioni nel 2020 e i 147 incidenti – tra vessazioni, perquisizioni o incarcerazioni – solo a giugno di quest’anno. “La libertà di stampa non c’è più da tempo”, ha ribadito uno sconsolato Auštrevičius, “tutte le testate che si discostano dalla posizione dei media statali vengono represse dalla legge sugli estremismi”.
    Proprio su questo tema ieri (lunedì 12 luglio) si è focalizzata l’attenzione della commissione Affari esteri (AFET). “Il giornalismo in Bielorussia è a rischio di estinzione“, è stato il grido di aiuto di Natalia Belikova, rappresentante dell’organizzazione Belarus in Focus. “Senza il sostegno della comunità internazionale non sopravviveremo, abbiamo bisogno della vostra solidarietà e del vostro aiuto”. Cosa significa in termini pratici “rischio di estinzione” lo ha messo in chiaro Daria Losik, moglie del blogger bielorusso Igor, detenuto dal giugno dello scorso anno: “Mio marito si trova nella prigione di Gomel in condizioni disumane, la sua cella è una cassa di cemento vuota. È in una situazione allucinante sia a livello fisico che psichico“, che ha portato l’uomo a tentare il suicidio e ora lo sciopero della fame.
    Il dramma del giornalismo bielorusso è stato descritto in prima persona anche da Stanislav Ivashkevich, reporter di Belsat TV, televisione indipendente con sede in Polonia. Due colleghe – Katsiaryna Andreyeva e Darya Chultsova, condannate a febbraio a due anni di carcere – già da otto mesi si trovano dietro le sbarre: “La vita in prigione significa tortura”, è stato il commento lapidario del relatore. “Contro i giornalisti in prigione si usano tentativi di soffocamento“, come “chiudere cinque persone in una cella di due metri quadrati per far loro mancare l’aria necessaria e cospargerla di cloro”, ufficialmente per disinfezione, “ma in realtà per rendere ancora più difficile la respirazione”.
    Il tentativo di Lukashenko è quello di “distruggere tutti i media, uno per uno, cominciando con i giornalisti più visibili”. Per questo motivo è stato chiesto “più sostegno ai media liberi”, perché non si zittiscano le voci critiche dentro i confini nazionali, quelle che ancora non sono state piegate dalla violenza dell’ultimo dittatore d’Europa. L’Unione sta facendo molto a sostegno della società civile bielorussa. Ma per dire “abbastanza” è necessario che anche l’ultimo prigioniero politico ingiustamente incarcerato sia fuori dalle sbarre e possa godere dei diritti fondamentali dell’essere umano.

    Intensa attività nelle commissioni del Parlamento UE per denunciare i soprusi del regime Lukashenko verso società civile, studenti e giornalisti. Attivate borse di studio universitarie e supporto finanziario a PMI e media indipendenti

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    Iran, Borrell attacca la presidenza slovena del Consiglio: “Il premier Janša non ci rappresenta in politica estera”

    Bruxelles – È un gancio destro in pieno volto quello sferrato da Josep Borrell, alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza: “Il primo ministro sloveno, Janez Janša, non rappresenta l’Unione Europea in politica estera“. Una dichiarazione durissima che, a nemmeno due settimane dall’inizio del semestre sloveno di presidenza del Consiglio dell’UE, approfondisce il distacco tra Bruxelles e Lubiana e alimenta le polemiche sulla figura del nuovo presidente di turno.
    La reazione del capo diplomatico dell’Unione è arrivata a seguito di alcune esternazioni del primo ministro sloveno sull’Iran. In un discorso di sabato scorso (10 luglio) al Free Iran World Summit, evento annuale organizzato dal Consiglio nazionale della resistenza iraniana, Janša aveva esplicitato la necessità di avviare un’inchiesta internazionale sulle esecuzioni dei prigionieri politici iraniani nel 1988 (almeno duemila secondo Amnesty International): “Per quasi 33 anni il mondo ha dimenticato le vittime del massacro, è ora che questo cambi“.
    Il polverone diplomatico che si è alzato da Teheran nel corso del fine settimana ha coinvolto Janša non tanto in qualità di capo del gabinetto sloveno, ma soprattutto per la carica che riveste per i prossimi sei mesi all’interno dell’istituzione comunitaria. Il controverso nuovo presidente di turno del Consiglio dell’UE ha ricordato quanto sia facile scatenare confusione tra i messaggi inviati a Paesi terzi e come i diversi livelli di leadership spesso non rendono chiaro chi stia parlando a nome del proprio governo o per l’intera Unione.
    A dimostrazione di questa problematica, Borrell ha confermato di aver ricevuto una telefonata dal ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, che voleva essere messo al corrente “se le dichiarazioni del primo ministro sloveno rappresentano la posizione ufficiale dell’Unione Europea”. L’alto rappresentante UE ha parlato proprio di “una certa confusione“, legata al fatto che la Slovenia è attualmente il Paese membro che detiene la presidenza di turno del Consiglio. Il ministro iraniano è stato rassicurato sul fatto che, anche in questo frangente, “la posizione di un primo ministro non rappresenta la posizione dell’Unione Europea” e che solo il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, può rappresentare i Ventisette a livello di capi di Stato e di governo.
    In merito alla complessa situazione iraniana, Borrell ha affermato che l’Unione ha “una posizione equilibrata“, fatta di un mix di “pressioni politiche, quando necessario” e di “cooperazione, quando possibile”. In questo contesto si inserisce l’impegno dell’Unione Europea – attraverso la figura dell’alto rappresentante – per quanto riguarda l’accordo sul nucleare iraniano (il Piano di azione congiunto globale, JCPOA). Allo stesso tempo, “la politica estera rimane una competenza degli Stati membri, che possono avere l’opinione che ritengono adatta per ogni questione internazionale“, ha precisato Borrell alla stampa di Bruxelles. “Se mi chiedete se la posizione di Janša rappresenta quella dell’Unione Europea, devo ribadire che di certo non è così”.

    L’alto rappresentante UE reagisce alle polemiche nate dopo la richiesta del primo ministro di Lubiana di avviare un’inchiesta internazionale sull’esecuzione di prigionieri politici nel 1988. “Ogni Paese membro ha le proprie opinioni, ma la nostra è una posizione equilibrata”

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    L’ONU: “In Afghanistan imminente crisi umanitaria”. Per l’UE il rischio di nuove emergenze migranti

    Bruxelles – L’Afghanistan sta producendo nuovi sfollati che rischiano di mettersi in marcia verso l’Europa, a causa del ritorno dei talebani e dei signori della guerra, nuove forme di povertà e insicurezza. L’allarme di “imminente crisi umanitaria” nel Paese asiatico che lancia l’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu (UNHCR) fa paura all’Europa, che vede riaprirsi una crisi migratoria che si considerata e sperava circoscritta.
    Gli afghani sono una delle principali nazionalità tra quelle che percorrono la rotta dei Balcani occidentali. Frontex, l’agenzia di guardia costiera e di frontiera europea, lo riporta costantemente nei suoi monitoraggi periodici. Ora l’Europa di pagare a caro prezzo il disimpegno degli Stati Uniti e le incertezze che già ne stanno derivando.
    Tanto più che la Bielorussia sta aprendo un nuovo canale di immigrazione. Il leader Alexander Lukashenko è intenzionato a inviare richiedenti asilo, soprattutto iracheni, alla frontiera con la Bielorussia.
    L’organismo delle Nazioni Unite rileva che da gennaio sarebbero circa 260mila i nuovi sfollati all’interno del paese, “principalmente a causa dell’insicurezza e della violenza”, e la situazione potrebbe precipitare ulteriormente. “Il fallimento nel raggiungere un accordo di pace in Afghanistan e arginare l’attuale violenza porterebbe anche a ulteriori spostamenti all’interno del paese, oltre che attraverso i confini internazionali verso i paesi vicini e oltre”, il monito dell’UNHCR, che esorta la comunità internazionale “a rafforzare il sostegno al governo e al popolo afghano in questo momento critico”. Critico soprattutto per l’Ue, dato il contesto e le prospettive.

    L’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite denuncia il deterioramento nel Paese. Gli afghani sono una delle principali nazionalità tra quelle che percorrono la rotta dei Balcani occidentali

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    Migranti, è sempre più l’Europa dei muri: la Lituania pronta a spendere 41 milioni lungo il confine con la Bielorussia

    Bruxelles – L’annuncio era nell’aria da una settimana, dal giorno della visita del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, al valico di frontiera di Padvaronys, in Lituania. Si attendeva solo la conferma. Vilnius costruirà un muro al confine con la Bielorussia per contenere la nuova ondata migratoria favorita dal regime del presidente Alexander Lukashenko, come ricatto nei confronti delle sanzioni economiche imposte al Paese dall’Unione Europea.
    È un nuovo, pressoché inevitabile, mattoncino della fortezza Europa. Un’Unione che non sa come affrontare la gestione delle migrazioni sul Vecchio Continente, se non militarizzando ed ergendo barriere alle frontiere (dall’Ungheria alla Bulgaria, fino alle enclave spagnole di Ceuta e Melilla), stringendo accordi con regimi quantomeno discutibili per il rispetto dei diritti umani (vedi Turchia e Libia) e litigando per anni in seno al Consiglio Europeo sull’impostazione di una politica comune sull’asilo.
    In questo quadro non può stupire la decisione del governo lituano di innalzare una barriera di filo spinato e una recinzione parallela per evitare l’ingresso irregolare di centinaia di persone in transito dal territorio bielorusso. L’annuncio è arrivato dalla ministra degli Interni, Agnė Bilotaitė, che ha poi precisato che “saranno spesi circa 41 milioni di euro” per questa doppia recinzione da costruire “nel più breve tempo possibile”. In totale sono 678,8 i chilometri di confine con la Bielorussia da coprire, per un piano articolato in due fasi: prima la barriera di filo spinato costruita dall’esercito, poi il muro vero e proprio.
    Tutto questo per impedire l’accesso al territorio lituano – e di rimando a quello dell’Unione – se non dai valichi regolari  di frontiera. I numeri non lasciano spazio a dubbi: se solo 10 giorni fa la guardia di frontiera della Lituania riportava l’arrivo di 672 migranti nei primi sei mesi del 2021 (più del doppio rispetto ai quattro anni precedenti messi insieme), nella prima settimana di luglio sono stati registrati più di 800 attraversamenti illegali. Nella prima metà dell’anno la maggior parte delle persone extra-comunitarie arrivate alla frontiera lituana provenivano da Iraq, Iran e Siria, mentre più di recente sembra essere cambiata la composizione dei flussi migratori: a luglio la maggioranza degli arrivi era di cittadini della Repubblica del Congo, del Gambia, della Guinea, del Mali e del Senegal.
    La commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, durante l’audizione in commissione LIBE (12 luglio 2021)
    Nel corso di un’audizione alla commissione per le Libertà civili (LIBE) del Parlamento Europeo, in cui sono stati ascoltati anche la ministra lituana Bilotaitė e il direttore esecutivo dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex), Fabrice Leggeri, la commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, ha avvertito che “la situazione peggiora di settimana in settimana”. Ma per l’Unione Europea l’unica cosa che importa adesso è bloccare il flusso e denunciare la complicità di Minsk. Dura l’accusa nei confronti delle autorità bielorusse, che “sembrano facilitare la migrazione irregolare come rappresaglia alle nostre misure”. Nonostante non sia ancora chiaro il modo in cui opererebbero, “sembra ci siano dei voli commerciali che arrivano da Istanbul e da Baghdad ogni giorno” e in un secondo momento “i migranti vengono portati alla frontiera, dopo aver pagato circa 15 mila euro”, ha spiegato Johansson. Il tentativo di attraversamento avviene poi a piedi, “ma ci sono stati casi in cui è stato utilizzato addirittura il servizio Uber” per arrivare a Vilnius.
    È pronto il supporto da parte di Bruxelles al Paese baltico che sabato scorso (10 luglio) ha richiesto l’attivazione del meccanismo d’emergenza per la creazione di squadre Frontex di intervento rapido. Il direttore esecutivo Leggeri ha confermato che “sarà sostenuta la crescente pressione migratoria e rafforzato il confine esterno dell’UE”. Questo tipo di intervento di Frontex è progettato per fornire assistenza immediata a uno Stato membro sottoposto a pressioni urgenti ed eccezionali alle sue frontiere esterne. “Nei prossimi giorni dispiegheremo le nostre guardie di frontiera, insieme a funzionari degli Stati membri”, ha garantito Leggeri. Ma non è tutto. La commissaria Johansson ha anticipato che “supporteremo la sfida sproporzionata per il governo lituano con 10 milioni di euro già ad agosto“, che dovrebbero essere resi disponibili dal Fondo asilo migrazione e integrazione.

    The Executive Director of #Frontex has agreed to launch a rapid border intervention at Lithuania’s border with Belarus to assist with the growing migration pressure https://t.co/Aw0l30TV4i pic.twitter.com/MVW9dSSYdn
    — Frontex (@Frontex) July 12, 2021

    Lo ha annunciato la ministra degli Interni, Agnė Bilotaitė. Frontex ha accettato di attivare squadre di intervento rapido sulla nuova frontiera calda dell’UE, mentre la commissaria Johansson garantisce supporto economico al Paese “entro agosto”