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    Iran, tra le aperture sul velo e la tolleranza zero: da oggi tre giorni di scioperi in tutto il Paese

    Bruxelles – Il popolo iraniano non ha più paura, non si accontenta e rilancia ancora. Da oggi (5 dicembre) al via una nuova mobilitazione, con tre giorni di scioperi a cui stanno aderendo i lavoratori di tutto il Paese: sui social network si moltiplicano testimonianze di serrande chiuse al Gran Bazar di Teheran, per le strade di Isfahan, così come nella provincia curda e nel Beluchistan.
    Il regime teocratico, nel tentativo di scoraggiare le proteste, ha annunciato la “tolleranza zero” verso i manifestanti: le Guardie della rivoluzione, il corpo militare istituito nel 1979 dall’ayatollah Khomeini, hanno dichiarato che “non esiteranno a fronteggiare duramente i rivoltosi, i criminali armati e i terroristi sostenuti dai servizi di intelligence stranieri”.
    Sembrano quindi archiviate le timide ipotesi di aperture, circolate nel fine settimana, da parte del governo iraniano: sabato 3 dicembre il Procuratore generale Mohamad Montazeri, in una conferenza stampa a margine di un incontro con l’establishment clericale nella città santa sciita di Qom, aveva paventato lo scioglimento “de facto” della Gasht-e Ershad, la polizia morale incaricata di vigilare sul rispetto dei precetti islamici e responsabile della morte della ventiduenne Mahsa Amini, che ha dato il via alle proteste lo scorso 16 settembre.
    In realtà, non c’è stata alcuna dichiarazione ufficiale sulla sospensione della polizia morale, confermata da alcuni quotidiani riformisti iraniani, ma smentita da diverse associazioni e da esponenti della società civile. Anche perché non è la magistratura a controllare la milizia, che fu creata nel 2005 dal governo di Mahmud Ahmadinejad e rinforzata dal presidente attuale, l’ultraconservatore Ebrahim Raisi. A segnare un punto di non ritorno però, è stata un’altra comunicazione del Procuratore generale: Montazeri ha ammesso che si aprirà una commissione congiunta tra l’Assemblea islamica e il Consiglio supremo della rivoluzione per discutere le norme che regolano l’abbigliamento femminile.
    A prescindere dalle decisioni che prenderanno i mullah iraniani sul velo, ridiscutere l’obbligatorietà di uno dei simboli del regime teocratico è una concessione che potrebbe non bastare più, e che anzi potrebbe rappresentare un incentivo per insistere ulteriormente nelle proteste. Anche perché il costo sostenuto dai manifestanti, in termini di vite umane, va ben oltre la questione del velo: secondo l’ultimo bollettino dell’agenzia iraniana per i diritti umani Hrana, sarebbero almeno 471 le vittime dall’inizio delle proteste, tra cui 64 minori. E 18 mila arrestati, che rischiano la pena capitale.
    Abir Al-Sahlani
    I segni di cedimento del regime potrebbero essere cavalcati anche dalla Comunità internazionale, che finora non è riuscita a incidere in maniera significativa. È questo il pensiero dell’eurodeputata svedese di origini irachene, Abir Al-Sahlani, che lo scorso 5 ottobre si rese protagonista del gesto simbolo della mobilitazione delle donne iraniane, tagliandosi una ciocca di capelli nell’aula del Parlamento europeo di Strasburgo. Intervenuta a “Center Stage”, podcast del gruppo Renew di cui fa parte, Al-Sahlani ha affermato che “la comunità internazionale, guidata dall’Unione europea, deve prendersi maggiori responsabilità e isolare il regime iraniano”. Secondo l’eurodeputata, le sanzioni europee a 126 persone e 11 entità iraniane sono ancora troppo poche: “Sostanzialmente è solo il gabinetto del presidente. Bisogna isolare le Guardie della rivoluzione, la polizia morale, tutti i membri del Parlamento e le loro famiglie, che spesso vivono all’estero e godono dei diritti che gli verrebbero negati in patria”.
    Oltre alle sanzioni, un’altra via che l’Ue può percorrere è il supporto ai movimenti della società civile che si battono per i diritti umani: il programma Global Europe Human Rights and Democracy prevede budget specifici per sostenere associazioni per i diritti umani in Paesi terzi, che possono essere concessi senza il consenso dei rispettivi governi. Per “non distogliere lo sguardo da coloro che ci guardano dalle strade dell’Iran”, come ha dichiarato la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, in apertura al dibattito tenutosi a Strasburgo lo scorso 23 novembre sulla risposta dell’Ue alla crescente repressione delle proteste in Iran, esiste anche questa possibilità.

    Al via una nuova mobilitazione, a cui le Guardie della Rivoluzione hanno annunciato che “reagiranno duramente”. Smentito lo scioglimento della polizia morale, rimane l’apertura del regime che ridiscuterà le norme sul velo obbligatorio

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    Il presidente serbo Vučić ci ripensa. Nonostante le tensioni con il Kosovo parteciperà al vertice Ue-Balcani Occidentali

    dall’inviato a Tirana – Nelle ultime ore prima del vertice Ue-Balcani Occidentali in Albania va in scena l’ultima mossa di una partita a scacchi che dura da più di dieci anni. Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, ha annunciato che farà un passo indietro rispetto alla sua decisione di boicottare il summit come ritorsione per gli ultimi avvenimenti in Kosovo. Domani (martedì 6 dicembre) parteciperà ai lavori con gli altri cinque leader balcanici, i capi di Stato e di governo dei Paesi membri Ue e i presidenti del Consiglio, Charles Michel, e della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti (21 novembre 2022)
    Scongiurato a meno di ventiquattr’ore dall’inizio del summit la possibilità di un vertice Ue-Balcani Occidentali ‘meno uno’, che avrebbe potuto rappresentare non solo uno sgarbo istituzionale nei confronti del premier albanese, Edi Rama (promotore della prima riunione di questo genere nella regione ancora extra-Ue), ma soprattutto avrebbe reso quasi vane le conclusioni sui rapporti tra Serbia e Kosovo del vertice stesso. “Rientra nel suo gioco di fare la vittima eterna, è un paradigma che ha funzionato nel nazionalismo serbo degli ultimi 30 anni”, spiega a Eunews Giorgio Fruscione, politologo dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) ed esperto delle questioni balcaniche, Serbia in primis. “Non avevo alcun dubbio sul fatto che Vučić avrebbe confermato la sua presenza”, ribadisce Fruscione, sottolineando che il presidente serbo “non può permettersi di fare la voce grossa con Bruxelles in un momento così delicato per il dossier kosovaro“.
    A scatenare le ire di Vučić venerdì scorso (2 dicembre) era stata la nomina di Nenad Rašić come ministro per le Comunità e il ritorno dei profughi all’interno del governo kosovaro guidato da Albin Kurti. Rašić è il leader del Partito Democratico Progressista, formazione serba ostile a Belgrado e concorrente di Lista Srpska. Proprio il leader del partito serbo-kosovaro più vicino a Vučić, Goran Rakić, si era dimesso dal ministero riservato alla minoranza serba nel Paese durante l’ondata di ritiri di sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali a inizio novembre, in segno di protesta contro l’obbligo di sostituire le targhe serbe con quelle rilasciate dalle autorità di Pristina.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić
    Nonostante l’accordo del 24 novembre scorso, che ha risolto la grave tensione tra Serbia e Kosovo sulla questione delle targhe dei veicoli alla frontiera, la maggior parte dei serbi-kosovari dimessisi non è ancora rientrata in servizio e il premier Kurti ha dovuto colmare il vuoto nel suo governo, “continuando a giocare a scacchi con Belgrado”, è l’analisi di Fruscione. Proprio da questa partita a scacchi sulla questione kosovara dipende in parte la rabbia di Vučić: “La mossa di Kurti di posizionare un serbo del Kosovo non fedele a Belgrado sembra uno scacco matto“. Ma c’è di più.
    Una seconda motivazione che ha spinto il leader serbo a rilasciare delle dichiarazioni “al limite del surreale” alla rete filo-governativa Rtv Pink – in cui ha definito Rašić “la peggiore feccia serba” – è legata a questioni di politica interna: “Per anni Vučić ha creato una sovrapposizione tra partito e interesse nazionale”, spiega ancora Fruscione. Di qui il tentativo di far sembrare il Partito Progressista Serbo “l’unico o il migliore rappresentante della bandiera serba” dentro e fuori i confini nazionali (anche se il Kosovo è tutt’ora considerato da Belgrado parte del Paese), mentre “tutti gli esponenti che non ricadono sotto il suo controllo non sono ‘abbastanza’ serbi“.
    Il passo indietro di Vučić
    Il rappresentante speciale UE, Miroslav Lajčák, con il presidente serbo, Aleksandar Vučić, a Belgrado
    Il ripensamento del leader serbo – arrivato senza nessuno stupore degli analisti – è stato annunciato al termine del confronto con il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, volato questa mattina nella capitale serba proprio per cercare di risolvere con la diplomazia uno strappo che si sarebbe fatto sentire al vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana. Nella dura accusa di Vučić di venerdì le istituzioni di Bruxelles erano state definite colpevoli di “mancata condanna” della presunta incostituzionalità della decisione del governo Kurti: anche per questa ragione il boicottaggio dell’imminente summit di Tirana con i Ventisette aveva assunto un significato quantomeno simbolico.
    “La sua partecipazione non dovrebbe cambiare gli equilibri del vertice, ma è servita per scopi interni”, mette in chiaro Fruscione. Anche se “Lajčák non è andato a supplicare Vučić di essere presente a Tirana, c’è sicuramente del lavoro intenso dietro le quinte”, dal momento in cui la partita a scacchi Serbia-Kosovo potrebbe essere arrivata alle battute finali. “Credo che siano giorni e settimane, probabilmente gli ultimi mesi decisivi per chiudere la questione del Kosovo“, in cui la mediazione di Bruxelles – accompagnata da una proposta franco-tedesca in 9 punti – è “l’elemento-chiave per far ragionare le due parti, che approfittano di pretesti come questo per rivendicare interessi nazionali”. Ribaltando l’interpretazione che il presidente Vučić sta cerando di far passare in patria (che l’Ue privilegia il Kosovo e punisce la Serbia), Fruscione puntualizza la “preponderanza almeno nella forma verso Belgrado” da parte delle istituzioni comunitarie. Ma per Bruxelles la missione quasi impossibile ora è chiudere la partita senza far avvertire a nessuna della due parti il peso della sconfitta.

    In Belgrade today, I discussed the way forward on normalisation of relations as a follow-up to the last Dialogue meetings with @predsednikrs @avucic. We also spoke about current issues, including return of Kosovo Serbs to Kosovo institutions, Energy Roadmap and missing persons. pic.twitter.com/NlhE9bfOxm
    — Miroslav Lajčák (@MiroslavLajcak) December 5, 2022

    Il numero uno della Serbia aveva annunciato che avrebbe boicottato il summit di Tirana del 6 dicembre dopo la nomina del serbo-kosovaro Nenad Rasić (ostile a Belgrado) nel governo del Kosovo. Il cambio di decisione dopo l’incontro con il rappresentante speciale Ue, Miroslav Lajčák

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    Tra energia, migrazione, roaming e guerra russa in Ucraina. È tutto pronto per il vertice Ue-Balcani Occidentali a Tirana

    dall’inviato a Tirana – Il primo in assoluto nella regione, dopo una serie di summit tutti ospitati dai Paesi membri dell’Unione Europea. L’importanza del vertice Ue-Balcani Occidentali che si svolgerà domani (martedì 6 dicembre) a Tirana parte da qui, ma va ben oltre la semplice coreografia di una ‘prima volta’. Come spiegano funzionari europei prima dell’appuntamento in Albania tra i capi di Stato e di governo dei Paesi membri Ue, quelli dei sei Paesi balcanici (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia) e i leader delle istituzioni comunitarie (i presidenti del Consiglio Ue, Charles Michel, e della Commissione, Ursula von der Leyen), “questo evento è il simbolo della nostra cooperazione rafforzata in risposta alla guerra russa” in Ucraina.
    Il Palazzo dei Congressi di Tirana, dove si svolgerà il vertice Ue-Balcani Occidentali il 6 dicembre 2022
    La base di partenza sarà lo “scambio franco” tra fine giugno e metà luglio – quando in poco meno di un mese si è passati dal fallimento del vertice Ue-Balcani Occidentali di Bruxelles ai festeggiamenti per l’avvio dei negoziati di adesione di Albania e Macedonia del Nord – ma anche gli ultimi sviluppi del Processo di Berlino, con la firma dei tre accordi sulla mobilità regionale. Non è un caso se il primo summit di questo genere nella regione ancora fuori dall’Unione Europea sarà ospitato proprio dall’Albania : “Il premier Edi Rama ha spinto la candidatura dopo i risultati di luglio e l’Ue l’ha accettata“, precisano le stesse fonti.
    Le priorità del vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana
    La priorità più urgente dei 35 leader dell’Unione e dei Balcani Occidentali (in attesa della decisione finale del presidente della Serbia, Aleksander Vučić, su un suo possibile boicottaggio del summit a causa delle tensioni con il Kosovo) sarà quella di rimanere tutti uniti contro l’escalation della guerra russa in Ucraina, che “mette a rischio la pace e la sicurezza europea e mondiale”, si legge nell’ultima bozza del vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana. “Una visione comune del futuro implica responsabilità reciproche e valori condivisi”, che si rendono indispensabili di fronte all’aggressione armata di uno Stato sovrano. Mentre l’esortazione rimane sempre quella di compiere “progressi rapidi e sostenuti” verso il “pieno allineamento” alla Politica estera e di sicurezza comune (Pesc) – un richiamo implicito alla Serbia e alla sua politica di non-allineamento alle sanzioni contro la Russia – la collaborazione con Bruxelles è considerata come “un chiaro segno dell’orientamento strategico” delle sei capitali.
    In virtù della “determinazione” dei partner più vicini a sostegno dei valori europei, l’Unione è pronta a riconfermare l’impegno “pieno e inequivocabile” a favore della prospettiva di adesione dei Paesi balcanici, anche attraverso un processo di allargamento “reversibile e basato sul merito“. Si attendono discussioni accese sullo status di candidato della Bosnia ed Erzegovina, ma anche sulla liberalizzazione dei visti per i cittadini del Kosovo (che nelle prossime due settimane dovrebbe anche presentare la propria richiesta di adesione).
    Ma una delle sfide maggiori riguarda proprio i rapporti tra Pristina e Belgrado, che da fine luglio fanno registrare intensi periodi di tensione e momenti improvvisi di slancio diplomatico. Dopo l’intesa in extremis raggiunta il 24 novembre sulla questione delle targhe dei veicoli alla frontiera, si sono riaccese le polemiche sulla nomina di Nenad Rašić – serbo-kosovaro ostile a Belgrado – come ministro per le Comunità e il ritorno dei profughi. A seguito della decisione del premier kosovaro, Albin Kurti, venerdì scorso (2 dicembre) il presidente serbo Vučić ha annunciato che boicotterà il vertice Ue-Balcani Occidentali per la “mancata condanna da parte dell’Ue”. Le riserve sulla partecipazione di Belgrado saranno in verità sciolte nella giornata di oggi, mentre Bruxelles continua a ripetere che “tutti i leader dovrebbero essere presenti” a Tirana. Nella bozza delle conclusioni del vertice trova spazio un capitolo specifico sui rapporti tra Serbia e Kosovo, sia sui “progressi concreti verso un accordo globale giuridicamente vincolante” sulla normalizzazione delle relazioni, sia sulla “forte aspettativa che tutti gli accordi passati siano pienamente rispettati e attuati senza indugio”.
    Bulevardi Dëshmorët e Kombit a Tirana, con le bandiere dell’Unione Europea e dell’Albania e le fotografie delle donne e degli uomini che hanno costruito l’Europa
    Nel quadro generale, sarà affrontato in via prioritaria anche il tema della migrazione, a partire dalle proposte del piano d’azione per la rotta balcanica presentate oggi dalla Commissione Ue. “La gestione della migrazione rimane una sfida e una responsabilità comune“, si legge nella bozza delle conclusioni, considerato il fatto che la rotta balcanica rappresenta il movimento migratorio di più ampia portata alle frontiere esterne dell’Unione, maggiore – in termini di ingressi irregolari – anche di quello del Mediterraneo centrale. Secondo i dati recentemente pubblicati da Frontex (l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera), tra gennaio e ottobre 2022 si sono verificati 281 mila attraversamenti irregolari attraverso la rotta balcanica, per un aumento del 77 per cento rispetto allo stesso periodo del 2021 e il totale più alto dal 2016 (oltre 130 mila). I Ventisette porranno l’accento sul rafforzamento della protezione delle frontiere, sull’intensificazione dei rimpatri verso i Paesi di origine, sulla cooperazione con Frontex e sull’allineamento della politica dei visti.
    Le questioni energetiche, verdi e digitali
    Secondo quanto emerge dalla bozza delle conclusioni del vertice Ue-Balcani Occidentali, i leader dell’Unione ribadiscono il loro sostegno ai partner balcanici “nell’affrontare gli effetti negativi sulle loro economie e società” della guerra russa in Ucraina, per cui Mosca rimane “l’unica responsabile” della crisi energetica ed economica. Bruxelles ha risposto a queste crisi con un piano di sostegno da un miliardo di euro complessivo per l’intera regione, come anticipato dalla presidente della Commissione von der Leyen nel corso del suo viaggio nelle sei capitali (fatta eccezione per quella del Montenegro, rinviata a data da destinarsi) di fine ottobre.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, presso il cantiere della ferrovia Tirana-Durrës (27 ottobre 2022)
    Un piano che dovrebbe mobilitare 2,5 ulteriori miliardi di euro in investimenti, aiutando i sei Paesi partner a “mitigare l’impatto della crisi energetica e ad accelerare la transizione energetica nella regione”. Il pacchetto sarà finanziato attraverso lo strumento di assistenza pre-adesione (Ipa III) e sarà diviso in due parti, ciascuna da mezzo miliardo di euro. Da una parte un sostegno diretto al bilancio per affrontare l’impatto degli alti prezzi dell’energia in ciascuno dei sei Paesi dei Balcani Occidentali: 80 milioni per la Macedonia del Nord, altrettanti per l’Albania, 75 per il Kosovo, 70 per la Bosnia ed Erzegovina, 165 per la Serbia (per il Montenegro sarà comunicato al momento della nuova visita di von der Leyen). Dall’altra parte, i restanti 500 milioni saranno invece dedicati al “miglioramento delle infrastrutture per il gas e l’elettricità e gli interconnettori, compreso il Gnl“, ma anche a “nuovi progetti per le rinnovabili, aggiornamenti dei sistemi di trasmissione dell’energia, teleriscaldamento e schemi per migliorare l’efficienza energetica dei vecchi condomini”.
    A questo proposito, nella bozza delle conclusioni del vertice Ue-Balcani Occidentali i Ventisette ricordano la decisione di aprire gli acquisti comuni di gas, Gnl e idrogeno ai Paesi balcanici, chiedendo allo stesso tempo “rapida operatività di questa piattaforma” e incoraggiando i partner a “sfruttare questa opportunità”. Nella bozza si ribadisce anche che il piano RePowerEu è finalizzato a ridurre la dipendenza non solo dell’Ue, ma dell’intera regione balcanica dal gas russo e, attraverso la Comunità dell’energia, l’Unione sta aprendo il proprio mercato dell’elettricità – “anche per quanto riguarda le energie rinnovabili” – ai sei vicini, “a condizione che vengano attuate riforme normative“.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, presso il cantiere della ferrovia Tirana-Durrës (27 ottobre 2022)
    Rivestirà un ruolo centrale nelle discussioni di domani l’attuazione del Piano economico e di investimenti e delle Agende verde e digitale per i Balcani occidentali, “anche attraverso un ulteriore sostegno alla connettività, alla transizione e alla diversificazione delle forniture energetiche”. Nel pacchetto approvato nell’ottobre 2020 – che mobilita quasi 30 miliardi di euro tra sovvenzioni e investimenti – è già stato dato il via libera al finanziamento di 27 progetti-faro per un valore totale di 3,8 miliardi di euro, e nell’ultimo anno sono proseguiti i lavori per la connettività nella regione: dal corridoio ferroviario Oriente-Med per le merci ai ponti transfrontalieri a Svilaj (Croazia) e Gradiška (Bosnia ed Erzegovina). Parallelamente, grazie all’Agenda verde per la regione i leader balcanici rinnoveranno gli impegni climatici assunti con la firma dell’Accordo di Parigi, anche per combattere l’inquinamento, migliorare la gestione dei rifiuti e accelerare la transizione energetica verde. L’Ue li sosterrà invece nello sviluppo di una politica di tariffazione del carbonio nel contesto del meccanismo di aggiustamento delle frontiere del carbonio (Cbam).
    Ultima, ma di certo non per importanza, la questione della connettività digitale. Come rendono noto gli stessi funzionari europei a Tirana, appena prima del vertice Ue-Balcani Occidentali è prevista la firma di una dichiarazione congiunta sul roaming, per l’eliminazione graduale dei costi nei prossimi anni, garantendo così a tutti i cittadini di fare chiamate, mandare messaggi e navigare online sul proprio smartphone alla stessa tariffa a casa e negli altri Stati aderenti (come succede dal 2017 e almeno fino al 2032 nell’Ue). Si parte dal “successo” dell’accordo sul Roam like at Home nella regione a partire dal luglio dello scorso anno, con l’obiettivo di una prima riduzione dei costi dal primo ottobre 2023 e la “prospettiva di una completa eliminazione” al 2027, specificano le stesse fonti a ventiquattr’ore dal primo vertice Ue-Balcani Occidentali nella regione.

    Il 6 dicembre la capitale dell’Albania ospiterà il primo summit nella regione tra i leader dell’Unione e dei sei Paesi balcanici. Secondo quanto emerge dalla bozza delle conclusioni, sarà centrale la risposta alle crisi comuni, con un focus specifico sui rapporti tra Serbia e Kosovo

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    Scattano il ‘price cap’ e l’embargo europeo sul petrolio russo

    Bruxelles – Da una parte, il tetto a 60 dollari al barile sulla vendita a Paesi terzi di petrolio russo e servizi collegati. Dall’altro, l’embargo europeo sul petrolio russo in arrivo via mare deciso nel sesto pacchetto di sanzioni contro Mosca per l’aggressione dell’Ucraina. E’ a partire da oggi (5 dicembre) che diventano operative entrambe le misure restrittive stabilite sul piano interno e internazionale per andare a colpire le entrate con cui il Cremlino finanzia la guerra.
    Il tetto massimo al prezzo del petrolio russo è stato stabilito a livello europeo nel quadro dell’ottavo pacchetto di sanzioni contro la Russia e sarà imposto insieme ai Paesi G7 (Canada, Francia, Italia, Germania, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti) dall’Unione Europea e dall’Australia, riuniti nella “Price Cap Coalition”. Sul prezzo effettivo del tetto l’intesa a livello europeo è arrivata venerdì sul filo di lana, dopo aver convinto anche la Polonia che ha spinto per giorni per un tetto molto più basso. Nei fatti, l’imposizione del ‘cap0 consente al petrolio russo di essere spedito a Paesi terzi utilizzando petroliere dei Paesi G7 e dell’UE solo se il carico viene acquistato al di sotto della soglia dei 60 dollari al barile, anche se il prezzo di mercato è più alto (attualmente si aggira intorno agli 80 euro).
    Il tetto entra in vigore oggi per il greggio russo, mentre sarà operativo dal 5 febbraio 2023 anche per i prodotti raffinati del petrolio (su cui il livello di ‘cap’ dovrà essere stabilito in un secondo momento). Anche una volta fissato il tetto a 60 dollari al barile, la cifra può essere modificata in ogni momento, l’intesa prevede un meccanismo di revisione del funzionamento del price cap ogni due mesi. Mosca ha già fatto sapere che il tetto al prezzo del petrolio russo deciso dai “Paesi occidentali non avrà alcun impatto sull’offensiva di Mosca in Ucraina”, ha ribadito il ​​portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, sottolineando che l’economia russa “ha tutte le capacità necessarie” per finanziare l’offensiva militare, ha precisato mettendo in guardia contro una “destabilizzazione” del mercato energetico mondiale.
    Contestualmente al tetto sul petrolio, entra in vigore oggi anche il divieto di importazione dell’UE sul greggio e ai prodotti petroliferi russi trasportati via mare, ovvero l’embargo stabilito a giugno con il via libera al sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia per l’invasione dell’Ucraina. Il divieto riguarda tutto il petrolio russo trasportato via mare in Europa ma, dopo settimane di negoziati difficili a livello europeo, ha previsto una esenzione sulle importazioni di petrolio che arrivano in Europa attraverso gli oleodotti che trasportano il greggio in Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca, ovvero i Paesi più dipendenti dalla Russia in termini di petrolio e senza sbocco sul mare. Data la “specifica esposizione geografica” è prevista una deroga temporanea speciale fino alla fine del 2024 per la Bulgaria che potrà continuare a importare petrolio greggio e prodotti petroliferi trasportati via mare, mentre la Croazia potrà inoltre autorizzare fino alla fine del 2023 l’importazione di gasolio sottovuoto russo, necessario per il funzionamento della sua raffineria.
    Secondo le stime di Bruxelles, nel 2021 l’UE ha importato dalla Russia circa 48 miliardi di euro di petrolio greggio e 23 miliardi di euro di prodotti petroliferi raffinati, come la benzina. Venerdì, dopo l’accordo tra i Ventisette sul tetto al prezzo del petrolio russo, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha salutato l’intesa come un passo per “ridurre in maniera significativa le entrate di Mosca”.

    The EU agreement on an oil price cap, coordinated with G7 and others, will reduce Russia’s revenues significantly.
    It will help us stabilise global energy prices, benefitting emerging economies around the world. pic.twitter.com/3WmIalIe5y
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) December 2, 2022

    Entrano in vigore le misure restrittive su cui i governi europei si sono accordati nel sesto e ottavo pacchetto di sanzioni contro la Russia: il divieto di importare greggio russo via mare (con eccezioni) e il tetto a 60 dollari al barile per il trasporto in Paesi terzi concordato nel quadro G7

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    Un nuovo piano Ue per un’altra rotta migratoria. Le 5 linee d’azione per i Balcani Occidentali secondo la Commissione

    Bruxelles – Come promesso lo scorso 25 novembre, nel giorno della presentazione ai 27 ministri Ue degli Interni del piano d’azione per il Mediterraneo centrale, la Commissione ha presentato una nuova strategia operativa per affrontare l’aumento degli arrivi di persone migranti lungo la rotta balcanica, in tempo per il vertice Ue-Balcani Occidentali di domani (martedì 6 dicembre) a Tirana. “Ci basiamo sulla buona cooperazione con i partner e forniamo un percorso per continuare a lavorare a stretto contatto” con Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia, ha spiegato in conferenza stampa oggi (lunedì 5 dicembre) la commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson.
    La commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson
    Per il gabinetto von der Leyen l’obiettivo del piano d’azione per la rotta balcanica è quello di definire una serie di misure per rafforzare il sostegno dell’Unione verso gli Stati membri e i partner extra-Ue “che si trovano ad affrontare una maggiore pressione migratoria lungo le rotte” che attraversano la penisola. La ragione principale che ha reso necessario questa strategia è l’aumento “significativo” dei movimenti di persone migranti nel corso del 2022 “a causa di diversi fattori, tra cui le pressioni economiche e l’insicurezza derivante dai conflitti in corso”, sottolinea la Commissione. Secondo i dati recentemente pubblicati da Frontex (l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera), tra gennaio e ottobre 2022 si sono verificati 281 mila attraversamenti irregolari attraverso la rotta balcanica, per un aumento del 77 per cento rispetto allo stesso periodo del 2021 e il totale più alto dal 2016 (oltre 130 mila). A oggi, la rotta balcanica rappresenta il movimento migratorio di più ampia portata alle frontiere esterne dell’Unione, maggiore – in termini di ingressi irregolari – anche di quello del Mediterraneo centrale.
    Tra i problemi maggiori riscontrati da Bruxelles c’è in particolare quello del mancato allineamento del regime di esenzione dei visti con la politica dell’Unione, che “contribuisce ad aumentare il numero di persone che arrivano direttamente in aereo nei Paesi dei Balcani Occidentali e proseguono verso l’Ue”. La commissaria Johansson ha avvertito che “tutti i partner balcanici presentano carenze sulla politica dei visti liberi, ma i problemi principali sono registrati con Belgrado“, ed è per questo che – in concomitanza con il vertice di Tirana – “domani una missione Ue si recherà in Serbia per capire come proteggere le frontiere con l’Ungheria, anche attraverso Frontex”. Ma, più in generale, la Commissione spinge per affrontare tutte le questioni aperte all’interno di un quadro più ampio, proprio attraverso il piano d’azione per la rotta balcanica, che individua 20 misure operative strutturate su 5 pilastri: dal rafforzamento della gestione delle frontiere alla velocizzazione delle procedure di asilo e il sostegno alle capacità di accoglienza, dalla lotta contro il traffico di esseri umani al miglioramento della cooperazione per riammissioni e rimpatri, fino all’allineamento – appunto – della politica dei visti.
    Cosa prevede il Piano d’azione per la rotta balcanica
    Il piano d’azione per la rotta balcanica prevede come prima strategia operativa il rafforzamento della gestione delle frontiere, non solo quelle esterne dell’Ue, ma anche quelle tra i sei Paesi balcanici. Per questo motivo l’esecutivo comunitario punta su dispiegamenti congiunti di Frontex, attraverso accordi come quello firmato con la Macedonia del Nord lo scorso 26 ottobre a Skopje, e spingendo sui negoziati con altri quattro Paesi (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Serbia) dopo l’autorizzazione del Consiglio. A questo si aggiunge la fornitura di attrezzature per la gestione e la sorveglianza delle frontiere attraverso i 40 milioni di euro previsti dallo strumento di assistenza pre-adesione (Ipa), “concentrandosi su Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Montenegro e Serbia”, ma anche la possibilità di “aumentare il sostegno di Frontex agli Stati membri alle frontiere esterne dell’Ue“.
    Campo di Lipa dopo l’incendio del 23 dicembre 2021 (credits: S&D)
    Il secondo pilastro del piano d’azione per la rotta balcanica si focalizza sul garantire procedure di asilo più rapide e sul sostegno alle capacità di accoglienza. Per Bruxelles è prioritaria l’attuazione della tabella di marcia dell’Agenzia Ue per l’Asilo, ma anche azioni mirate attraverso lo strumento Ipa per “alloggi ed esigenze di base” per le persone migranti, sul modello del centro di accoglienza multifunzionale di Lipa in Bosnia ed Erzegovina (dopo l’incendio che lo aveva distrutto nel dicembre 2021). Sul fronte interno dell’Ue – punto di arrivo delle persone lungo la rotta balcanica – si punta invece sulla registrazione “accurata” in Eurodac (il database europeo delle impronte digitali per coloro che richiedono l’asilo), su progetti-pilota per procedure più rapide “in particolare applicando la procedura di frontiera, i concetti di Paese terzo sicuro e Paese d’origine sicuro”, sui trasferimenti Dublino per affrontare i movimenti secondari e sulla possibilità di istituire gruppi di gestione della migrazione a partire da quello esistente in Grecia.
    Rimane centrale la lotta al traffico di esseri umani lungo la rotta balcanica, attraverso la task-force operativa di Europol al confine Serbia-Ungheria e il programma regionale Ipa da 30 milioni di euro, per aumentare indagini, procedimenti giudiziari e condanne da parte delle autorità giudiziarie dei Paesi balcanici, in collaborazione con agenzie Ue e organizzazioni internazionali. I Paesi membri dell’Unione dovranno invece “riprendere e concludere” i negoziati sulla proposta della Commissione di sanzionare gli operatori dei trasporti coinvolti nell’agevolazione del traffico di migranti e della tratta di esseri umani.
    Il rafforzamento della cooperazione per la riammissione e i rimpatri è il quarto pilastro del piano d’azione per la rotta balcanica, che prevede uno sforzo più intenso da parte dell’Unione nell’aumentare i ritorni di persone direttamente dai Paesi dei Balcani Occidentali. A questo proposito la Commissione intende sviluppare nel 2023 un nuovo programma che copra i rimpatri volontari e non volontari dalla regione, incentrato sul rafforzamento della cooperazione tra l’Ue, i sei partner balcanici e i Paesi di origine e sul sostegno di Frontex attraverso il dispiegamento di specialisti e la formazione alle autorità nazionali.
    L’ultimo punto del piano d’azione per la rotta balcanica ritorna invece sull’allineamento della politica di esenzione dei visti, a partire dal “ripristino e attuazione efficace” dell’obbligo per Paesi terzi “in linea con la politica dei visti dell’Ue”. A questa azione richiesta (e non solo supportata, come negli altri quattro pilastri) ai partner dei Balcani Occidentali, si accompagnano gli sforzi dei Ventisette sulle “attività di sensibilizzazione e di monitoraggio” degli sviluppi operativi sul campo e delle azioni legislative dei Sei balcanici, con iniziative congiunte delle delegazioni Ue e delle ambasciate nazionali e nel contesto del meccanismo di sospensione dei visti.

    Alla vigilia del vertice di Tirana, l’esecutivo Ue presenta la strategia per affrontare l’aumento degli arrivi dalla rotta balcanica. Dal rafforzamento della gestione delle frontiere all’allineamento della politica dei visti, fino alla cooperazione per procedure di asilo, riammissioni e rimpatri

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    L’Unione europea trova l’accordo sul tetto a 60 dollari al petrolio russo

    Bruxelles – Fumata bianca. Gli ambasciatori dei Ventisette hanno hanno raggiunto oggi (2 dicembre) un accordo sul tetto massimo al prezzo del petrolio russo a 60 dollari al barile, dopo il via libera della Polonia, l’ultimo Paese rimasto a esprimere riserve sulla cifra (perché chiedeva una soglia più bassa).
    Dopo l’accordo politico di principio sul tetto al prezzo del petrolio russo deciso nell’ottavo pacchetto di sanzioni, gli ambasciatori dei 27 stati membri hanno iniziato nei giorni scorsi le trattative per trovare un’intesa sulla fascia di prezzo oltre la quale vietare il trasporto globale via mare del greggio di Mosca verso Paesi terzi. E’ nel contesto del G7 (che riunisce oltre all’Unione europea, Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e USA) che le sette economie più ricche al mondo hanno concordato all’inizio del mese di settembre in linea di principio di introdurre un tetto massimo globale sul prezzo del petrolio russo trasportato verso i Paesi terzi, nell’ottica di impedire alla Russia di continuare a trarre profitto dalla guerra di aggressione in Ucraina e di sostenere la stabilità dei mercati energetici globali.
    La scadenza ultima per trovare un accordo era il 5 dicembre, quando entrerà in vigore l’embargo al petrolio russo deciso nel sesto pacchetto di sanzioni contro Mosca adottato a inizio giugno, con cui i governi hanno deciso di tagliare entro la fine del 2022 il 90 per cento delle importazioni russe di petrolio in arrivo nel continente europeo, attraverso un embargo su tutto il petrolio in arrivo via mare e un impegno di Germania e Polonia a tagliare anche le proprie importazioni attraverso l’oleodotto Druzhba, che è rimasto esentato dall’embargo per andare incontro alle richieste del premier ungherese Viktor Orbán. L’embargo europeo sul greggio russo entrerà in vigore dal 5 dicembre ed è la stessa data di scadenza che hanno i governi per mettersi d’accordo anche sul tetto al prezzo del petrolio via mare. A quanto si apprende, la procedura sarà formalizzata nel fine settimana.

    #COREPERII | ✅ Ambassadors have just reached an agreement on price cap for Russian seaborne #oil 🛢️. Written procedure follows, decision will enter into force on publication in the Official Journal. EU stays united and #StandWithUkraine. 🇺🇦🇪🇺 #EU2022CZ pic.twitter.com/92vHTFDzxV
    — EU2022_CZ (@EU2022_CZ) December 2, 2022

    L’intesa degli ambasciatori dei 27 dopo il via libera della Polonia, che durante le trattative ha chiesto una soglia più bassa

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    Proteste in Cina per la politica ‘Zero Covid’, Xi Jinping pronto a maggiori riaperture

    Bruxelles – “La variante Omicron prevalente in questo momento in Cina, meno letale della Delta, permetterà maggiori aperture”: è quanto avrebbe dichiarato, secondo fonti diplomatiche, il leader cinese Xi Jinping nel bilaterale di ieri (1 dicembre) con il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Il leader della Repubblica popolare, incalzato da Michel sulle preoccupazioni dell’Ue per la repressione delle proteste contro i draconiani lockdown in diverse città cinesi, avrebbe risposto che si tratta soprattutto di “studenti e adolescenti, frustrati dopo tre anni di pandemia”.
    Tre anni in cui Pechino ha scelto di combattere i contagi con un ferreo controllo della popolazione, basato su lockdown, screening di massa e quarantene, piuttosto che investire nella prevenzione: la popolazione non è ancora sufficientemente immunizzata, anche a causa degli scarsi risultati ottenuti dai vaccini locali rispetto a quelli occidentali a tecnologia mRna. “Le compagnie farmaceutiche europee sono disponibili a consegnare i loro vaccini in Cina, quando verranno riconosciuti dalle autorità di Pechino”, ha dichiarato Michel dopo l’incontro con Xi Jinping, riferendosi all’offerta del governo tedesco di Olaf Scholz di inviare in Cina dosi del vaccino contro il Covid-19 sviluppato da BioNTech e Pfizer.
    Charles Michel e Xi Jinping
    “I due leader hanno potuto scambiarsi le proprie esperienze nel contrasto alla pandemia”, hanno raccontato fonti diplomatiche vicine a Michel, “la sensazione è che la Cina potrebbe iniziare a seguire la linea europea”. Viste le proteste dell’ultima settimana, definite da molti come le più importanti manifestazioni di dissenso nel Paese dalla tragedia di Tien’anmen del 1989, è plausibile che il regime provi a cambiare strategia: negli ultimi giorni la Cina ha allentato la stretta anti-Covid in alcune grandi città come Guangzhou, Chongqing, Zhengzhou e Pechino, dove le autorità avrebbero concesso l’isolamento domiciliare solo per i pazienti contagiati a basso rischio, sospendendo il trasferimento obbligatorio nei siti di quarantena governativi.
    Allentamento delle restrizioni sulle libertà personali, ma maggiore controllo e censura dell’informazione: le autorità del partito, preoccupate per l’ondata di “fogli bianchi” nelle piazze cinesi, secondo il Wall Street Journal avrebbero adottato nuove misure per limitare l’accesso alle Vpn, utilizzate dai cittadini per aggirare i controlli governativi su internet.
    “Il diritto di manifestare è un diritto fondamentale”, ha ricordato Charles Michel a Xi Jinping, salutando con favore la disponibilità del leader cinese a riprendere il dialogo Ue-Cina sui diritti umani. Un dialogo che, vista la situazione in cui versano milioni di cittadini nel Paese asiatico a causa della politica “Zero-Covid”, non potrà che essere lungo e faticoso.

    Durante l’incontro con il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, il leader cinese avrebbe aperto a un allentamento delle misure anti-Covid, a causa della “bassa letalità della variante omicron prevalente ora nel Paese”

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    Unione europea e Giappone rafforzano la cooperazione sull’idrogeno

    Bruxelles – L’Unione europea rafforza la cooperazione energetica con il Giappone. In viaggio fino a domani a Tokyo, la commissaria europea per l’Energia, Kadri Simson, ha siglato con il ministro dell’Economia, del Commercio e dell’Industria, Yasutoshi Nishimura, un memorandum di cooperazione per stimolare l’innovazione e sviluppare un mercato internazionale dell’idrogeno, riconoscendo che l’idrogeno “può dare un contributo fondamentale sia alla transizione verde sia alla sicurezza energetica”.
    Il memorandum individua una serie di aree in cui i governi, gli attori industriali, gli istituti di ricerca e le autorità locali dell’UE e del Giappone saranno incoraggiati a cooperare come sul piano normativo per standard e certificazioni comuni; progetti di ricerca e sviluppo di progetti anche nell’ambito di iniziative di cooperazione multilaterale, nell’ottica di supporto ad altri Paesi del mondo; istruzione, miglioramento delle competenze, riqualificazione e istruzione e formazione professionale, anche tramite scambi. L’accordo “conferma l’impegno dell’UE e del Giappone a lavorare insieme sull’idrogeno, che è fondamentale sia per i nostri obiettivi climatici sia per la sicurezza energetica”, ha commentato Simson, auspicando di “vedere i primi risultati concreti di questa cooperazione nei mesi e negli anni a venire”. Il memorandum, in quanto tale, definisce solo un rafforzamento della partnership energetica, senza indicare con precisione se aumenteranno le cifre negli scambi commerciali energetici delle due parti.

    In addition to signing the MoC on #hydrogen, Minister Nishimura & I discussed the #energy crisis, scaling up renewables, the situation on the LNG market & Japan’s 🇯🇵 priorities for the #G7 Presidency next year.
    We also confirmed our commitment to continue helping #Ukraine🇺🇦. pic.twitter.com/Rk11bNJRgU
    — Kadri Simson (@KadriSimson) December 2, 2022

    Per l’Unione europea, si tratta del quarto partnenariato rafforzato in materia di idrogeno siglato nel giro di pochi mesi. “Il Giappone è un partner energetico su cui possiamo contare”, ha sottolineato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in un tweet dopo la firma dell’accordo. A margine della Cop27 di Sharm el-Sheikh, nelle scorse settimane l’Ue ha siglato un memorandum con l’Egitto, con il Kazakistan e poi con la Namibia su materie prime, idrogeno rinnovabile e batterie. Bruxelles ha indicato nel piano ‘REPowerEu’ presentato a maggio scorso per affrancarsi dai combustibili fossili russi, l’obiettivo di raggiungere 20 milioni di tonnellate di consumo di idrogeno rinnovabile nel 2030, di cui dieci provenienti dall’Ue e dieci dalle importazioni. Si tratta anche del terzo accordo di alto livello a cui l’Ue ha lavorato con i partner africani e asiatici a margine della Cop27, per accaparrarsi materie prime e altri materiali raffinati indispensabili per attuare la transizione verde del Green Deal.
    Non solo idrogeno. Secondo un tweet della commissaria per l’energia, con l’omologo Nishimura si è discusso anche della crisi energetica in atto, dell’aumento delle energie rinnovabili, della situazione del mercato del GNL e delle priorità del Giappone per la presidenza G7 del prossimo anno. L’Ue si è rivolta al Giappone non solo per riaffermare l’importanza della transizione verso l’energia verde e l’ambizione comune di essere climaticamente neutrali entro il 2050, ma anche per rafforzare la cooperazione con il governo giapponese per la diversificazione dei propri fornitori di risorse energetiche per affrancarsi dalla dipendenza da Mosca. Su richiesta di Washington e Bruxelles, il Giappone ha deciso nei primi mesi dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina di dirottare alcuni carichi di gas naturale liquefatto (GNL), con spedizioni extra verso il Continente europeo alla ricerca di gas da fornitori alternativi alla Russia.

    Per l’Unione europea, si tratta del quarto partnenariato rafforzato in materia di idrogeno siglato nel giro di pochi mesi, dopo gli accordi con l’Egitto, con il Kazakistan e poi con la Namibia siglati a margine della Cop27