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    L'elezione del presidente della Repubblica, ecco il timing

    La procedura per eleggere il presidente della Repubblica è stabilita dalla Costituzione e da una serie di prassi che si sono stabilizzate nel tempo.
    Trenta giorni prima che scada il termine del mandato del Capo dello Stato, recita l’articolo 85 della Costituzione, “il Presidente della Camera dei deputati convoca in seduta comune il Parlamento e i delegati regionali, per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica”.
    Il mandato di Mattarella scade il 3 febbraio (giurò in quel giorno nel 2015), quindi il 3 gennaio Roberto Fico, convocherà il Parlamento in seduta comune. Per prassi consolidata tale seduta si svolge 15-20 giorni dopo, per permettere ai consigli regionali di eleggere i propri tre delegati.
    Quindi il presidente Fico potrebbe convocare la seduta per il 18-20 gennaio.
    Secondo alcuni osservatori la convocazione potrebbe avvenire per il 22 gennaio, cioè un sabato; questo per concedere un giorno di decantazione se si arrivasse al primo scrutinio senza un nome che abbia la maggioranza assoluta necessaria dal quarto scrutinio.
    Una volta che il Parlamento e i delegati regionali hanno eletto il Presidente della Repubblica (con i due terzi dei voti nei primi tre scrutini, e con la sola maggioranza assoluta dal quarto), viene redatto il verbale dell’elezioni che il Presidente della Camera, accompagnato dalla presidente del Senato, comunica al neo eletto.
    Sette anni fa Laura Boldrini comunicò a Mattarella la sua elezione presso la Corte Costituzionale, visto che il neo Presidente era giudice della Consulta.
    A quel punto, per prassi il presidente della Repubblica in carica si dimette, se non si è ancora concluso il suo mandato. Se quest’ultimo è passato, vale il principio generale della “prorogatio”, cioè il Presidente rimane in carica fino all’elezione del suo successore. La Costituzione non indica tempi certi tra l’ elezione e il giuramento davanti al Parlamento in seduta comune.
    Si va dai 12 giorni che passarono dall’elezione al giuramento per Giovanni Gronchi, al solo giorno che servì per Sandro Pertini o per Saragat. Matterella fu eletto il 31 gennaio 2015 e giurò il 3 febbraio.

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    Quirinale: dai catafalchi alle sciabole, una liturgia antica

    L’elezione del presidente della Repubblica segue una liturgia antica, fatta di regole e riti inossidabili dentro e fuori il Palazzo.
    Il giorno dell’elezione l’Aula di Montecitorio diventa un seggio elettorale, ogni altra attività è sospesa per accogliere i Grandi Elettori e per consentire le votazioni che per prassi sono due al giorno ma possono essere anche di più. Ecco per capitoli i principali simboli e le usanze prima e dopo la votazione.
    I ‘CATAFALCHI’. Sono le cabine elettorali montate tra il banco della presidenza e quelli del governo nell’Aula di Montecitorio che fecero la loro prima apparizione nel 1992, durante l’elezione che avrebbe portato al Quirinale Oscar Luigi Scalfaro, per garantire la segretezza del voto. I Grandi Elettori passano sotto il catafalco, scrivono il nome del candidato e poi depositano la scheda in un’urna che si chiama “insalatiera”.
    GLI APPLAUSI RIVELATORI. Lo spoglio avviene al termine di ogni votazione, il presidente della Camera legge ad una ad una le schede. In genere viene seguito nel silenzio più religioso, per consentire a chi in ogni gruppo parlamentare effettua la ‘conta’ di non commettere errori. Ma quando, secondo i calcoli, c’e’ la sicurezza dell’elezione nell’emiciclo si leva un applauso, che segna la ‘fumata bianca’ e blocca per qualche istante lo spoglio delle schede. Che poi prosegue fino all’ultima scheda.
    CAMPANE, TRICOLORI, LUCCICAR DI SCIABOLE E SALVE DI CANNONE. Sono i segni caratteristici del ‘big day’, quello del giuramento del nuovo presidente della Repubblica. La campana di Montecitorio suona per tutto il tragitto dell’eletto dalla sua residenza romana fino alla Camera dei deputati e, poi, nel momento in cui egli pronuncia il giuramento. In questo stesso momento il cannone del Gianicolo spara 21 salve, l’onore riservato ai capi di Stato. Al suo arrivo a Montecitorio, il presidente eletto riceve gli onori militari da un reparto di Carabinieri in alta uniforme. Da li’ si dirige in Aula, ornata con 21 bandiere e drappi rossi. Qui il capo dello Stato rivolge il suo messaggio alla Nazione. Quando esce, da presidente nella pienezza dei poteri, a rendere gli onori sono i Corazzieri Guardie del presidente della Repubblica. Il nuovo Capo dello Stato ascolta l’Inno di Mameli in Piazza Montecitorio, passa in rassegna il reparto d’onore schierato con bandiera e banda. Poi sale sulla Lancia Flaminia 355 decappottabile con il presidente del Consiglio ed il segretario generale del Quirinale per andare a rendere onore all’Altare della Patria e, da li’, per raggiungere il Colle, scortato dai Corazzieri a cavallo e dai motociclisti. Giunto al Quirinale riceve gli onori militari. Poi sale allo studio alla vetrata dove ha un colloquio con il presidente uscente che consegna al nuovo Capo dello Stato il collare di Gran Croce decorato di gran Cordone, la massima onorificenza della Repubblica. A quel punto, il presidente si trasferisce nel salone dei Corazzieri per un intervento alla presenza dei vertici delle istituzioni e dai leader politici.

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    Quirinale: Da De Nicola a Mattarella, le 13 votazioni, i record e i consensi

    Bastò un solo scrutinio per eleggere presidente della Repubblica Francesco Cossiga e Carlo Azeglio Ciampi, mentre ben 23 votazioni servirono invece per Giovanni Leone, che resta il Presidente eletto con la percentuale più bassa, il 51% delle preferenze. Il recordman di voti è stato invece Sandro Pertini, eletto con 82% di consensi. La partita del Quirinale dall’inizio della storia della Repubblica è anche una “lotteria”, una battaglia tra partiti e correnti. Ecco, in sintesi, una scheda su come sono avvenute le elezioni dei 12 presidenti, la durata del mandato e i partiti di appartenenza:
    1) ENRICO DE NICOLA: capo provvisorio dello Stato, fu eletto il 28 giugno 1946 dall’assemblea Costituente con 396 voti su 501. De Gasperi dovette insistere molto per vincere la sua perplessità ad accettare la candidatura. Liberale fedele alla monarchia, originario di Torre del Greco, una volta eletto arrivò a Roma sulla sua automobile e rifiutò di insediarsi al Quirinale. Rinunciò anche allo stipendio da presidente. Fu presidente dal 1º luglio del 1946 al 31 dicembre 1947, la durata più breve nella storia della Repubblica Italiana.
    2) LUIGI EINAUDI – Luigi Numa Lorenzo Einaudi, originario di Carrù (Cuneo), fu eletto l’11 maggio 1948. Economista, accademico e giornalista italiano era un esponente del partito liberale, ministro del Tesoro e governatore della Banca d’Italia. Si votò due volte al giorno e al quarto scrutinio prese 518 voti su 871 votanti. Nelle prime votazioni naufragò la candidatura del candidato indicato da De Gasperi, il repubblicano Carlo Sforza, ministro degli Esteri, impallinato dalla sinistra Dc. Fu in carica dal 12 maggio 1948 all’11 maggio 1955.
    3) GIOVANNI GRONCHI – Democristiano, originario di Pontedera (Pisa), fu eletto il 28 aprile 1955. Anche per lui solo 4 scrutini (prese 658 voti su 833 votanti) e passaggio alla prima votazione a maggioranza assoluta. Gronchi fu imposto dai franchi tiratori della destra Dc che avevano bocciato nei primi scrutini il candidato ufficiale scelto da Fanfani, Cesare Merzagora. Rimase in carica fino all’11 maggio del 1962.
    4) ANTONIO SEGNI – Accademico e politico, due volte presidente del Consiglio, originario di Sassari, fu eletto il 6 maggio 1962 e rimase in carica fino al 6 dicembre del 1964, quando si dimise volontariamente. Con tre votazioni in un giorno, al nono scrutinio fu eletto con 443 voti su 842 votanti. Candidato ufficiale della Dc, fu eletto senza imboscate di franchi tiratori.
    5) GIUSEPPE SARAGAT – Giuseppe Efisio Giovanni Saragat, politico e diplomatico italiano, originario di Torino, fu eletto il 28 dicembre 1964. Era segretario del partito socialdemocratico e ministro degli Esteri. Si voto’, oltre che alla vigilia, anche il giorno di Natale. Furono necessari 21 scrutini (prese alla fine 646 voti su 927 votanti). Nelle votazioni andate a vuote non riuscì a imporsi il candidato ufficiale della democrazia cristiana Giovanni Leone, per l’ostilità del gruppo di Fanfani.
    6) GIOVANNI LEONE – Avvocato, giurista e accademico, democristiano originario di Napoli, fu eletto il 24 dicembre 1971. Con record di 23 scrutini (prese alla fine 518 voti su 996 votanti), supero’ il quorum con uno scarto di soli 13 voti. Leone fu scelto dopo che andò a vuoto il tentativo di Amintore Fanfani di farsi eleggere.
    7) SANDRO PERTINI – Alessandro Giuseppe Antonio Pertini, partigiano e giornalista, originario di San Giovanni (Savona), fu eletto l’8 luglio 1978. Ci vollero 16 scrutini per eleggerlo con 832 voti su 995 votanti, record di preferenze ancora imbattuto. Fu il primo socialista a essere eletto al Quirinale: ma il primo a indicarlo non fu il segretario del Psi Craxi, bensi’ il comunista Berlinguer.
    8) FRANCESCO COSSIGA – Originario di Sassari come Segni, democristiano, ministro dell’Interno in vari governi, già premier e presidente del Senato, fu eletto il 24 giugno 1985, il più giovane Capo di Stato della storia repubblicana a 57 anni. Elezione rapidissima: tre ore esatte e un solo scrutino (prese 752 voti su 979 votanti). La sua candidatura fu costruita dal segretario Dc Ciriaco De Mita, che riusci’ a convincere tutti i partiti.
    9) OSCAR LUIGI SCALFARO – Politico e magistrato, originario di Novara, democristiano, fu eletto il 25 maggio 1992. Si dovette aspettare il sedicesimo scrutinio (prese 672 voti su 1002 votanti). L’elezione fu accelerata dalla strage di Capaci: nei giorni precedenti il Parlamento aveva bocciato la candidatura del segretario della Dc Arnaldo Forlani, non votato dagli amici di Andreotti che si vendicarono per la mancata candidatura del loro leader.
    10) CARLO AZEGLIO CIAMPI – Economista originario di Livorno e governatore di Banca d’Italia prestato alla politica, già premier, fu eletto il 13 maggio 1999. Record assoluto di velocità: solo 2 ore e 40 minuti e un solo scrutinio Ciampi prese 707 voti su 990 votanti. Sulla sua candidatura accordo trasversale tra Veltroni, Fini e Berlusconi.
    11) GIORGIO NAPOLITANO – Dirigente del Pci, originario di Napoli, fu eletto il 10 maggio 2006. Elezione rapida, al quarto scrutinio, prese 543 voti su 990 votanti. Il primo ex comunista a salire al Colle, fu votato dalla maggioranza di centrosinistra, con l’astensione del centrodestra.
    12) GIORGIO NAPOLITANO BIS – Napolitano fu rieletto il 20 aprile 2013 al sesto scrutinio con 738 voti su 997 votanti. La sua rielezione avvenne dopo un disastro politico e istituzionale: al primo scrutinio fu “bruciato” Franco Marini che con 521 voti non passo’ il quorum dei due terzi richiesto. Ancora peggio ando’ a Romano Prodi che al quarto scrutinio prese solo 395 voti, tradito dagli ormai famosi 101 parlamentari del centrosinistra. Si dimise il 14 gennaio 2015. 1
    3) SERGIO MATTARELLA – Giurista, accademico e ministro, prima nella Dc poi nella Margherita e nel Pd, originario di Palermo, fu eletto al quarto scrutinio con 665 voti, poco meno dei due terzi dell’assemblea elettiva, in una votazione che avvenne tra il 29 e il 31 gennaio 2015. La sua candidatura fu avanzata da Matteo Renzi e ottenne subito l’appoggio di Sinistra Ecologia Libertà, Scelta Civica e di vari gruppi minori della maggioranza di governo.

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    Quirinale: i poteri del presidente della Repubblica

    “Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale”, recita l’articolo 87 della Costituzione, indicando con queste parole un ruolo che travalica i poteri di garanzia e assegna quindi al presidente della Repubblica il compito di interpretare il “sentiment” della popolazione e portarlo nei “Palazzi”.
    La Carta assegna una serie di funzioni al Presidente della Repubblica rispetto agli altri poteri dello Stato. Innanzi tutto scioglie le Camere e indice nuove elezioni, o a fine legislatura o quando queste non sono in grado di esprimere una maggioranza di governo. Quando tale maggioranza si palesa, durante le consultazioni, il Presidente dà l’incarico al Presidente del Consiglio di formare il governo, di cui nomina i ministri; quindi ha voce in capitolo nella loro scelta. Può nominare fino a cinque personalità come senatori a vita, incidendo quindi sulla composizione del Parlamento.
    Inoltre può inviare messaggi alle Camere. L’inquilino del Quirinale autorizza la presentazione al Parlamento dei decreti del Governo, ed è capitato che facesse “moral suasion” sull’esecutivo per correggerli. E’ sempre lui che promulga le leggi, che può rinviare alle Camere, con un messaggio, perché siano modificate. Una prerogativa esercitata da vari presidenti che si sono succeduti. Rilevante è anche il potere di nomina di cinque dei 15 giudici della Corte costituzionale, a cui spetta il vaglio di tutte le leggi. Per quanto riguarda il potere giudiziario, il Capo dello Stato presiede il Consiglio superiore della magistratura (Csm), cioè l’organo di autogoverno dei magistrati, e può concedere la grazia ai condannati.
    Infine il Presidente della Repubblica “ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa, e dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere”.

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    Qurinale: che succede se viene a mancare un grande elettore nel corso della seduta comune?

    Che cosa succede se nei giorni di votazione del presidente della Repubblica viene a mancare un Grande elettore? Se nel corso della seduta comune venisse a mancare un deputato o un senatore, si proclama il primo dei non eletti, che partecipa subito al voto. Più lunga la procedura per un delegato regionale: deve essere eletto dal consiglio regionale cui apparteneva.
    C’e’ un solo precedente e risale al 1971: quello del senatore democristiano Giovanni Celasco. Proclamato eletto in sostituzione del collega Annibale Fada, morto lo stesso giorno, partecipo’ alla votazione per eleggere al Colle Giovanni Leone. I ‘vecchi’ di Montecitorio ricordano che Celasco nella precedente legislatura era gia’ stato eletto a palazzo Madama in sostituzione di un altro collega deceduto.

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    Mattarella, c'è senso responsabilità diffuso nel Paese

    “Questa cerimonia premia i protagonisti di gesti di solidarietà e di altruismo, di senso di responsabilità nei confronti della collettività. Ma esprime anche una sensibilità diffusa di senso responsabilità per gli altri che è radicata nella vita civile dell’Italia. Senza solidarietà non esiste una vera comunità nella quale vivere e convivere. Sentirsi parte di una comunità conferisce fiducia ed anche sicurezza”. Lo ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella parlando alla cerimonia di consegna delle onorificenze dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
    La pandemia “ha reso evidente come dipendiamo gli uni dagli altri. Bisogna sottolineare quanto sia decisivo il legame che ci lega. Voi rappresentate tanti altri italiani, perchè fortunatamente sono diffusi i comportamenti di chi si fa carico degli altri”. Lo ha detto dal Quirinale il presidente della Repubblica Sergio Mattarella rivolgendosi ai partecipanti alla cerimonia di consegna delle onorificenze dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

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    Quirinale: età, sistema di voto, durata. Come funziona negli altri Paesi Ue

    Stati Ue Sono molteplici i sistemi di elezione del Presidente della Repubblica nei diversi Paesi dell’Unione Europea: la principale differenza e’ tra l’elezione diretta da parte dei cittadini a quella indiretta da parte di un Assemblea di Grandi elettori, che puo’ comprendere o solo i membri del Parlamento o anche esponenti delle Amministrazioni locali.
    Bisogna inoltre tener presente che alcuni Paesi sono monarchie (Spagna, Inghilterra, Olanda, Danimarca, Svezia e Lussemburgo), dunque non hanno un presidente eletto.

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    Il peso dell'home page dei quotidiani online

    Audiweb ha pubblicato i dati relativi alla total digital audience del mese di settembre. Dopo aver analizzato l’audience dei quotidiani online nei primi 9 mesi del 2021 e il tempo speso per le news online da gennaio a settembre di quest’anno, DataMediaHub analizza il peso dell’audience dell’home page di alcune delle principali fonti d’informazione del nostro Paese.
    Di otto testate per le quali Audiweb rende disponibile pubblicamente tale dato il quotidiano per il quale la total digital audience nel giorno medio della propria home page ha il peso minore sul totale dell’audience è il Messaggero al 10.7%. Quella per la quale invece il peso è maggiore è ANSA che si attesta ad oltre un terzo [33.9%] del totale della propria audience.
    I dati, che sono riportati nell’infografica per tutte e otto le testate prese in esame, sono un buon indicatore del livello di fidelizzazione di ciascuna testata. Infatti, è ragionevole presumere che una maggior audience dell’home page corrisponda ad un maggior accesso diretto al sito Web, e dunque sia indice di maggior fidelizzazione. In tal senso non è un caso che il primato spetti ad ANSA, che secondo il “Digital News Report 2021” dell’Istituto Reuters è il primo news brand italiano di informazione per affidabilità. Se dunque questa è una prima interessante indicazione, uno studio, condotto sempre dal Reuters Institute for Journalism, mostra che le persone che utilizzano più spesso i social media, i motori di ricerca e gli aggregatori di news per ottenere notizie hanno diete mediatiche più diversificate rispetto alle persone che accedono principalmente alle notizie andando direttamente ai siti Web di notizie.
    Infine, per tornare al punto di partenza, è chiaro che ad una maggior fidelizzazione corrisponde, a parità di condizione, una maggior propensione ad abbonarsi. Gli accessi diretti sono dunque un dato che può essere un indicatore di valore in tal senso.