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    Uno scranno a Claudio Lotito, la decisione arriva al Senato

    Claudio Lotito è a un passo dall’ingresso in Parlamento. Ma nulla è scontato. Giovedì, l’Aula del Senato discuterà la relazione della giunta per le elezioni e le immunità, che nel settembre scorso ha accolto un ricorso presentato dal patron della Lazio, riconoscendogli il diritto di sedere a Palazzo Madama. La storia va avanti ormai da più di tre anni, esattamente dalla primavera del 2018, quando Lotito si candidò per Forza Italia in un collegio campano. Quel seggio venne assegnato al parlamentare Vincenzo Carbone, anche lui in corsa per gli azzurri, ma Lotito presentò reclamo, ritenendo che ci fosse stato un errore di calcolo. In prima battuta, la giunta di Palazzo Madama ha dato ragione al patron biancazzurro, ma l’ultima, definitiva, parola la dirà l’Aula.
    La vicenda di Lotito è speculare a quella dell’imprenditore Michele Boccardi, già parlamentare azzurro, che ritiene di essere il legittimo ‘intestatario’ del seggio occupato da Carmela Minuto, sempre di FI, eletta in Puglia. Anche Boccardi ha vinto il primo round e attende la decisione finale di Palazzo Madama. L’Aula discuterà anche sull’elezione contestata di Adriano Cario, per la circoscrizione America Meridionale, ora iscritto al gruppo Misto. Da tre anni a questa parte, Lotito si avvicina allo scranno parlamentare alla stessa velocità con cui poi si allontana. Perché il suo approdo al Senato dipende non solo dalle norme, ma anche dagli umori della politica: sia in giunta che in Aula contano le maggioranze. Che dal 2018 sono mutate spesso e volentieri. Per dire: quando Lotito si è candidato, l’esito dalle elezioni ha portato alla nascita di un governo gialloverde, con Forza Italia all’opposizione. Quando Lotito ha vinto il ricorso in giunta, il governo era cambiato, ed era giallorosso.
    Forza Italia era sempre all’opposizione, ma intanto il competitor di Lotito, cioè il senatore Carbone, era passato da Forza Italia a Italia viva, entrando così in maggioranza. Ora lo scenario è un altro ancora. C’è la grande coalizione, la (quasi) unità nazionale: Forza Italia e Italia viva sono alleate nel governo di Mario Draghi. Ecco che fare previsioni su come andrà a finire in Aula non è semplice. Che la partita sarà combattuta si è visto già al momento di decidere quando giocarla. Il calendario prevedeva che la discussione cominciasse domani. Ma Lega e Italia Viva hanno chiesto uno slittamento, un po’ perché sono in corso i lavori sul dl fisco e un po’ perché domani i renziani hanno in agenda l’incontro con Draghi sulla manovra. Il voto d’Aula ha bocciato la richiesta di rinvio, che però c’è stato lo stesso su decisione dei capigruppo. Ma di un solo giorno.   

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    Quirinale: L’elezione dei 58 delegati regionali tra i Grandi Elettori

    All’elezione del Presidente della Repubblica partecipano anche 58 delegati delle Regioni. A prevederlo è l’articolo 83 della Costituzione, che detta le regole sul collegio elettorale del Capo dello Stato. “All’elezione – si legge nel secondo comma dell’articolo 83 – partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d’Aosta ha un solo delegato”. Una volta che il presidente della Camera ha convocato il Parlamento in seduta comune per l’elezione del presidente della Repubblica, le diverse Regioni convocano i propri Consigli che saranno chiamati a selezionare i tre delegati, due della maggioranza e uno dell’opposizione.
    Sette anni fa, dopo le dimissioni di Napolitano, la presidente Laura Boldrini il 14 gennaio convocò il Parlamento in seduta comune per il 29, e i Consigli regionali si riunirono (al netto della Valle d’Aosta che lo stesso giorno scelse come delegato il proprio Presidente) tra il 16 (Friuli Venezia Giulia) e il 26 (Emilia Romagna). La scelta da parte dei Consigli regionali avviene sulla base di leggi regionali. In genere per la maggioranza vengono scelti il Governatore e il Presidente del Consiglio, se sono di due partiti diversi. Ma non è nemmeno obbligatorio che i delegati siano membri degli stessi Consigli regionali. Nel 2013 l’allora sindaco di Firenze Matteo Renzi chiese di essere scelto tra i due delegati del centrosinistra ma da Roma arrivò lo stop della segreteria nazionale Dem, e gli fu preferito Alberto Monaci, presidente del Consiglio regionale. La scelta dei delegati implica una decisione squisitamente politica all’interno delle coalizioni. I partiti più grandi evitano di accaparrarsi tutti i delegati regionali, facendo una divisione di massima nazionale che poi viene applicata nelle Regioni. Nel centrodestra ci saranno meno problemi, mentre nel centrosinistra il Pd di Enrico Letta dovrà decidere se considerare M5s alleato e quanti delegati pentastellati votare nei vari Consigli. Questa volta, al netto della Val d’Aosta, al centrodestra spetteranno 33 delegati regionali e al centrosinistra 24.

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    Quirinale: una donna al Colle, storia di una lunga rincorsa

    La mattina più difficile della sua vita, quella in cui le toccò riconoscere la vittoria di Donald Trump, Hillary Clinton parlò così: “A tutte le donne che mi hanno sostenuto, anche se non abbiamo ancora sfondato il più alto e il più duro soffitto di cristallo, so che un giorno qualcuna lo farà”.
    Non sono le Presidenziali degli Stati Uniti, queste elezioni per il Quirinale. Eppure anche nella corsa per il Colle nessuna donna è mai riuscita a sfondare il tetto di cristallo. E neanche ci è andata vicina, a dire il vero.
    Quello che oggi è uno scenario possibile, un tempo accendeva addirittura dubbi di interpretazione costituzionale.
    Il democristiano Giuseppe Fuschini si domandò durante la Costituente: la formula “cittadino” comprende le donne, tra la platea degli italiani over 50 eleggibili? Si chiarì che sì, era possibile.
    Fino al 1978, comunque, nessun nome di donna fu appuntato nei verbali delle elezioni.
    Nel frattempo, siamo negli anni Sessanta, le preferenze accordate all’attrice Sophia Loren furono dichiarate nulle. Nel corso delle ultime settimane sono circolati i nomi del ministro della Giustizia Marta Cartabia, della giurista Paola Severino, di Emma Bonino e Rosy Bindi come profili in corsa per il Colle.
    Tocca ai grandi elettori, adesso, dire se per la prima volta una donna potrà almeno giocare una partita vera ed avere chance di vittoria. Perché altre candidate furono sì votate, ma senza reali margini di riuscita nell’urna.
    La prima donna entrò in ballo durante l’elezione del Capo provvisorio dello Stato, nel 1946: Ottavia Penna – baronessa Buscemi, una delle 21 costituenti, eletta nelle liste dell’Uomo qualunque – raccolse 32 voti (Enrico De Nicola la spuntò con 396).
    Bisogna attendere però il 1978, come detto, per trovare quattro voti registrati alla giornalista Camilla Cederna, tre ad Eleonora Moro (vedova di Aldo, la “dolcissima Noretta” nelle lettere dalla prigionia delle Br). Nel 1985, altri otto voti per Cederna e tre per Tina Anselmi, prima donna ministro.
    La prima a poter contare su un’investitura politica alle spalle fu invece Nilde Iotti nel 1992, sostenuta dal Pds. Detiene ancora oggi il record di voti ottenuti: 256 al quarto scrutinio.
    Si ritrovò per qualche ora in testa alla corsa, prima di cedere il passo a Oscar Luigi Scalfaro. E sempre nel 1992 Tina Anselmi strappò 18 preferenze, indicata dalle donne della Dc. Due preferenze andarono alla senatrice Aureliana Alberici, moglie all’epoca di Achille Occhetto.
    La strada resta in salita anche sette anni dopo, nel 1999. Emma Bonino e la popolare Rosa Russo Jervolino entrano in partita, ma ne escono appena schiuse le urne: Carlo Azeglio Ciampi diventa Presidente al primo scrutinio. La radicale, però, è la prima ad avere alle spalle un comitato, “Emma for President”. Nel 2006 un altro comitato, “Tina Anselmi al Quirinale”, anche stavolta senza centrare l’obiettivo.
    In quell’occasione, ottiene 24 voti Franca Rame, due Lidia Menapace, tre Barbara Palombelli. Altri tre a Linda Giuva, docente universitaria e moglie di Massimo D’Alema. E tre grandi elettori scelgono “Savoia Maria Gabriella”.
    Nel 2013 si fa spazio Anna Finocchiaro. Sembra un’opzione forte, ma è Matteo Renzi a bruciare in fretta l’ipotesi dell’allora capogruppo Pd al Senato. Nel 2015, invece, consensi “di bandiera” sono destinati a Luciana Castellina – 37 voti – e sempre a Bonino (25 preferenze). Tra i voti dispersi, quelli all’attrice Sabrina Ferilli. E siamo alle Presidenziali del 2022. E a quel soffitto di cristallo, ancora infrangibile.

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    M5s, Conte: 'Il 72% dei votanti è per il sì al 2xMille'

     “C’è stata un’ottima partecipazione e il 72% è a favore del 2xMille, la stragrande maggioranza. Se accettiamo il principio della democrazia diretta, è questo”.    Così il leader M5s Giuseppe Conte annuncia l’esito della votazione di militanti e iscritti per accedere al finanziamento.    

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    Quirinale: Da Siffredi al Conte Mascetti, tutti i 'voti burla'

    Dal Conte Mascetti al professor Sassaroli, suo ‘sodale di zingarate’ in ‘Amici Miei’, passando per Fiorello, Lino Banfi e Giancarlo Magalli, l’ex Ct della Nazionale di calcio Trapattoni e Paulo Roberto Falcao, fino alla star del porno Rocco Siffredi.
    I ‘voti burla’ hanno da sempre contrassegnato lo spoglio delle schede per la votazione del presidente della Repubblica.
    Voti ‘dispersi’, come vengono asetticamente catalogati nel verbale dello spoglio redatto dai funzionari della Camera dei deputati ma che ogni volta destano risate, sorpresa ed anche applausi nell’Aula in cui si cerca di eleggere il nuovo Capo dello Stato.
    I voti burla arrivano soprattutto quando non è alle viste un accordo per eleggere il nuovo inquilino del Colle: e cioè praticamente sempre ai primi tre scrutini. E’ lì che si scatena la fantasia dei ‘Grandi elettori’, in qualche caso anche stalkerizzati da qualcuno che, noto e non, sentendo leggere dal presidente della Camera il proprio nome scritto sulla scheda ha il suo secondo di notorietà nell’Emiciclo e nella Nazione in quel momento collegata a reti unificate.
    E lì arrivano consensi disparati: per il pornoattore Rocco Siffredi come Sergio de Caprio, il ‘Capitano Ultimo’ che arrestò Totò Riina.
    Ma la fantasia dei grandi elettori si esercita normalmente con i nomi dello showbiz. E allora, si sprecano i voti per personaggi del mondo dello spettacolo, dal cinema alla Tv, dello sport e della moda: Barbara D’Urso, Valeria Marini, Sabrina Ferilli, Sophia Loren, Miuccia Prada e Santo Versace, Michele Cocuzza, Ezio Greggio ed Enzo Iacchetti, Gianni Rivera e Giancarlo Antognoni, Francesco Guccini, sono alcuni di quelli che furono in passato fra i più gettonati. Citazioni le incassarono l’astrofisica Margherita Hack e don Luigi Ciotti di Libera.
    Tra i giornalisti anche Pasquale Laurito, il decano della stampa parlamentare autore della ‘Velina Rossa’, il direttore de Il Giornale Augusto Minzolini, Claudio Sabelli Fioretti, Paolo Mieli e Giuliano Ferrara.

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    Quirinale: il discorso d'insediamento, biglietto da visita del presidente

    Un po’ manifesto programmatico, un po’ “discorso della corona”, i discorsi di insediamento dei 12 Presidenti della Repubblica sono il biglietto da visita con cui si sono presentano agli italiani.
    Il primo a rivolgersi ai rappresentanti del popolo fu ENRICO DE NICOLA, eletto capo provvisorio dello Stato nel 1946. Il ricordo della guerra era ancora vivo e De Nicola chiese ai partiti di pensare al “bene comune” e di “marciare uniti” per risollevare l’Italia.
    Due anni dopo, il liberale LUIGI EINAUDI, che nel referendum del ’46 aveva sostenuto la monarchia, disse che il trapasso verso la forma repubblicana era stato “meraviglioso” perche’ mostrava che l’Italia “era ormai pronta per la democrazia”.
    Nel 1955 GIOVANNI GRONCHI, votato anche da socialisti e comunisti, confermo’ la sua fama di democristiano di sinistra: chiese di “far entrare nell’edificio dello Stato le masse lavoratrici” e di “contrastare il dominio delle multinazionali in Italia”.L’ambasciatrice americana in Italia Claire Booth Luce lascio’ scandalizzata la tribuna.
    Il suo successore ANTONIO SEGNI, nel 1962, si presento’ alle Camere come l’uomo che avrebbe tutelato la Costituzione: “Non tocca a me determinare la vita dello Stato, prerogativa che spetta al Governo e al Parlamento”.
    Due anni piu’ tardi, GIUSEPPE SARAGAT, leader del piccolo partito socialdemocratico, fisso’ tre obiettivi di riforma in linea con quelli dei governi di centrosinistra: “casa ai lavoratori, sanita’ pubblica, scuola democratica”.
    La burrascosa elezione di GIOVANNI LEONE nel 1971 (fu eletto al ventitreesimo scrutinio con i voti decisivi dei missini) si riverbero’ nella cerimonia di insediamento: i comunisti, guidati da Giancarlo Pajetta, rumoreggiarono per tutto il tempo e ci fu anche qualche lancio di monetine. Leone fece l’equilibrista tra destra e sinistra: disse che la guerra aveva testimoniato “il senso del dovere dei cittadini” (concessione fatta ai missini che l’avevano votato), ma disse che il suo ruolo sarebbe stato “alimentare la nostra repubblica democratica fondata sul lavoro”.
    Sette anni dopo (siamo nel 1978), SANDRO PERTINI eletto pochi mesi dopo l’assassinio di Moro, fece l’elogio dello statista democristiano: “Se non fosse stato crudelmente assassinato, lui, non io, parlerebbe oggi da questo seggio a voi”. Il suo discorso e’ passato agli annali anche per l’esortazione pacifista che il vecchio partigiano rivolse al Parlamento: “Si svuotino gli arsenali di guerra e si colmino i granai”.
    FRANCESCO COSSIGA, eletto nel 1985, si presento’ come “uno dei tanti” che qualche anno prima avevano condotto la lotta contro il terrorismo. Di li’ a cinque anni, Cossiga si trasformo’ nel “picconatore” della partitocrazia, ma nel suo discorso niente lo lasciava immaginare.
    Nel 1992, OSCAR LUIGI SCALFARO racconto’ di aver chiesto aiuto a Dio e alla Madonna. E si scaglio’ contro la piaga del malaffare (eravamo agli albori di Mani Pulite): “L’abuso di denaro pubblico e’ un fatto gravissimo che froda e deruba il cittadino”.
    L’impegno in difesa dell’unita’ nazionale di CARLO AZEGLIO CIAMPI, fu pienamente annunciato nel suo discorso alle Camere.
    GIORGIO NAPOLITANO, arrivato al Quirinale nel 2006 dopo la fragile vittoria del centrosinistra, fece capire subito che avrebbe lavorato per avvicinare gli schieramenti. “Considero mio dovere impegnarmi per favorire piu’ pacati confronti tra le forze politiche”. Di fronte al caos politico del 2013, dopo la bocciatura di Marini e Prodi come suoi successori, Napolitano accetto’ il bis ma strapazzo’ i partiti con il discorso di insediamento piu’ duro della storia della Repubblica: “Ho il dovere di essere franco: se mi trovero’ di nuovo dinanzi a sordita’ come quelle contro cui ho cozzato in passato non esitero’ a trarne le conseguenze dinanzi al paese”.
    SERGIO MATTARELLA. Il 3 febbraio 2015 si presenta come un “arbitro imparziale” e punta il dito contro la mafia che è un “cancro pervasivo” e contro la corruzione che “divora risorse che potrebbero essere destinate ai cittadini”. E traduce il suo ruolo di garante della Costituzione che “significa garantire il diritto allo studio”, “riconoscere e rendere effettivo il diritto al lavoro”, “significa promuovere la cultura diffusa e la ricerca di eccellenza”, “amare i nostri tesori ambientali e artistici” e “ripudiare la guerra e promuovere la pace”.

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    Quirinale: Letta, è momento di unità, smussiamo gli spigoli

     “Questo non è il momento delle divisioni, ma dell’unità. Lo dico mentre ci apprestiamo ad approvare la legge di bilancio. E a gennaio affronteremo la scelta del nuovo capo dello Stato, del nuovo presidente o della nuova presidente. Tutto ciò ha bisogno di senso di unità, tutti dobbiamo fare dei passi avanti di comune accordo, smussando gli spigoli e facendo questo lavoro insieme”. Lo ha detto il segretario del Pd, Enrico Letta, intervenendo agli stati generali dell’Associazione Logistica dell’Intermodalità Sostenibile.    

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    Covid: Mattarella, non abbassare guardia contro la recrudescenza

    “La recrudescenza dei contagi ci ricorda di non abbassare la guardia e ci richiama alla massima responsabilità nei comportamenti individuali e collettivi, per contrastare la circolazione del virus e non compromettere la libertà che abbiamo faticosamente riconquistato nella vita economica e sociale”. Così il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in un messaggio inviato al Presidente di Confartigianato, Marco Granelli.”La sfida che abbiamo di fronte, oltre a consolidare la ripresa, è di avviare un percorso solido di cambiamento verso un modello sostenibile e inclusivo, facendo leva sulle straordinarie opportunità offerte dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. In particolare, le transizioni verde e digitale possono consentire anche al nostro “ecosistema” di borghi e piccole imprese di assicurare la sostenibilità – ambientale, economica e sociale – del proprio territorio e di connettersi alla dimensione globale”. Così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in un messaggio inviato al Presidente di Confartigianato, Marco Granelli. ” Tutte le forze vitali e attive della nostra società – dalle istituzioni, ai corpi intermedi, alle imprese, ai cittadini – sono chiamate – sostiene il Capo dello Stato a partecipare a questo impegno corale per il bene del Paese”. Salutando “tutti i partecipanti all’Assemblea annuale di Confartigianato” Mattarella ricorda che sono “rappresentanti di un comparto impegnato fortemente nell’uscita dalla drammatica crisi causata dalla pandemia. Il mondo della piccola impresa diffusa ha affrontato con coraggio e resilienza questa durissima prova, confermando il suo ruolo di ossatura delle comunità territoriali e di ancora per la tenuta sociale”. “Il forte recupero della nostra economia è sostenuto dalla fiducia di famiglie e imprese, con la ripartenza degli investimenti e della spesa, anche nei settori più colpiti dalla pandemia”, aggiunge.