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    David Sassoli, da volto del Tg alla guida di Strasburgo

    Da volto familiare del TG1 a presidente del Parlamento europeo, quella di David Maria Sassoli e’ stata una vita divisa fra il giornalismo e la politica, a cavallo fra Firenze, Roma e Bruxelles fino a diventare nel 2019 presidente dell’Europarlamento.
    Nato nel capoluogo toscano il 30 maggio 1956, ha frequentato da giovanme l’Agesci, Associazione guide e scout cattolici italiani. Il padre era un parrocchiano di don Milani e lui ha cominciato fin da giovane a lavorare per piccoli giornali e in agenzie di stampa prima di passare a ‘Il Giorno’ e poi fare il grande salto in Rai. Fiorentino di nascita ma romano di adozione, era diventato un volto noto alle famiglie italiane soprattutto per la sua conduzione del Tg della rete ammiraglia della Rai, di cui e’ stato anche vicedirettore durante l’era di Gianni Riotta. Una carriera che si chiuse nel 2009, quando Sassoli decise di dedicarsi alla politica. Candidato come capolista del neonato Partito democratico nella circoscrizione Italia centrale, il presidente del Pe venne eletto la prima volta con oltre 400mila preferenze e, forte di questo successo, diventa subito il capo della delegazione del Pd al Parlamento europeo.
    Nel 2013 il tentativo di rientrare in Italia come sindaco di Roma si incaglia nelle primarie del Pd. Candidato in quota franceschiniana, Sassoli si piazza secondo, battendo il futuro presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ma ottenendo la meta’ dei voti di Ignazio Marino. Dopo un decennio passato fra i banchi di Bruxelles e Strasburgo, Sassoli – giunto alla sua terza legislatura – era uno degli eurodeputati piu’ esperti. Nel 2014-2019 ricoprì la carica di vicepresidente per l’intero mandato, occupandosi soprattutto di trasporti (il cosiddetto terzo pacchetto ferroviario), politica euro-mediterranea e bilancio. Il 3 luglio del 2019 David Sassoli, all’inizio del suo terzo mandato, venne eletto Presidente dell’assemblea. Nel suo discorso di apertura iniziale, Sassoli rabadì l’importanza di agire per contrastare il cambiamento climatico, la necessità di una politica più vicina a ai cittadini e ai loro bisogni, soprattutto ai giovani, e l’urgenza di rafforzare la democrazia parlamentare e di promuovere i valori europei. Durante la situazione eccezionale e senza precedenti causata dalla pandemia di Covid-19, Sassoli si è impegnato affinché il Parlamento europeo rimanesse aperto e continuasse ad essere operativo, introducendo – già nel marzo 2020 – dibattiti e votazioni a distanza, primo parlamento al mondo a farlo.
    Sposato e padre di due figli, tifoso della Fiorentina, Sassoli viveva a Roma ma appena possibile si spostava nella casa di Sutri, un delizioso paese medievale della Tuscia lungo la via Cassia, una trentina di chilometri a nord della capitale, per coltivare le sue passioni per il giardinaggio e le buone letture.
    Sassoli è stato il secondo presidente italiano del Parlamento europeo dopo Antonio Tajani da quando l’assemblea di Strasburgo viene eletta a suffragio universale. Il suo incarico sarebbe scaduto a giorni: la prossima settimana la riunione plenaria dell’Europarlamento che si riunirà a Strasburgo per eleggere il suo successore.

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    Ucraina: tensione Usa-Russia a Ginevra, 'niente veti sulla Nato'

    A Ginevra inizia il braccio di ferro tra Usa e Russia sul futuro della sicurezza in Europa – e dunque delle rispettive sfere d’influenza. E l’Europa, per ora, osserva dagli spalti. Mosca, capitanata dal coriaceo vice ministro degli Esteri Serghei Ryabkov, ha spianato sul tavolo le sue note richieste, una su tutte la garanzia che l’Ucraina non entri nella Nato. Washington, rappresentata dalla sottosegretaria Wendy Sherman, ha ribadito che ogni Paese ha il diritto di scegliere il suo futuro, “senza veti terzi”. Il capo della Nato, nel mentre, ha avvertito che la Russia continua a inviare soldati verso il confine ucraino e che l’Alleanza deve farsi trovare “pronta” se il Cremlino opterà per “lo scontro”.
    Insomma, sulla carta pare che Usa e Russia siano lanciate l’una contro l’altra senza possibilità di sterzare all’ultimo secondo. Ma qualche spiraglio, al netto del posizionamento negoziale, s’intravede. Sherman ha chiarito che l’America, sulla questione dei missili a breve e corto raggio, è disposta a trattare – sulla falsariga dell’ormai defunto trattato INF – e ha già condiviso “delle idee”. Stessa cosa per quanto riguarda le esercitazioni nelle aree calde in Europa orientale (era uno dei punti sollevati da Mosca). Blocco totale invece per quanto riguarda il freno all’espansione della Nato. “La nostra linea è chiara: nessun negoziato che coinvolga il futuro dei nostri partner senza i nostri partner”, ha precisato Sherman. Ed è su questo principio che si basa tutta la strategia Usa per fronteggiare l’offesa ‘diplomatica’ russa.
    Sherman  sarà a Bruxelles per consultazioni con gli alleati proprio alla vigilia dell’incontro del consiglio Nato-Russia – “questo summit va visto come un segnale positivo”, ha notato il segretario generale Jens Stoltenberg – e poi del vertice Osce previsto a Vienna, dove saranno presenti, oltre ai Paesi Ue, anche l’Ucraina. L’obiettivo è rafforzare la posizione del blocco occidentale, in modo che parli con Mosca a una sola voce. Ryabkov ha ribadito che la Russia non ha intenzione di attaccare Kiev ma, allo stesso tempo, una fonte della delegazione Usa a Ginevra ha fatto sapere che a domanda diretta i russi non hanno dato spiegazioni sul perché le loro truppe “si trovino al confine” e hanno detto chiaramente che “ci resteranno”. “Loro sanno che noi le vediamo quindi sono lì per lanciare un messaggio”, sostiene il negoziatore.
    Ecco, quale esso sia, ancora non si capisce. Sherman ha chiesto alla Russia di ridurre la pressione (de-escalate) se vuole davvero aprire una stagione di dialogo; se non lo farà, allora se ne assumerà le responsabilità. E’ pure vero però che la materia del contendere è talmente complicata che non ci si può aspettare miracoli “in una settimana”. Mosca comprende, ma non accetta dilazioni di “anni o mesi”. Si vedrà. La vice premier per l’integrazione europea ed euro-atlantica ucraina, Olga Stefanishyna, a Bruxelles (dove ha incontrato Stoltenberg) ha messo in guardia i partner: “La Russia non vuole negoziare ma imporre la sua agenda e qualunque dialogo deve partire dal ritiro delle forze russe dall’Ucraina”. Fumo negli occhi, per il Cremlino.
    L’Europa, si diceva. L’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Josep Borrell, ha assicurato di non curarsi di non essere a Ginevra con gli Usa. “E’ solo un primo passo nel processo negoziale”. Ma è consapevole che la Russia abbia voluto “escludere deliberatamente l’Ue” dai giochi. “Antony Blinken – ha dichiarato – mi ha garantito che nulla sarà deciso senza la nostra partecipazione”. Bene. Questo potrebbe essere un ottimo test per mettere alla prova l’idea di ‘Europa sovrana’ proposta dalla Francia nel suo semestre di presidenza.    

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    Raggi: 'E' caccia alle streghe, un errore le divise Vax e No vax'. Salvini: 'Inaccettabile attaccarla per un tampone'

    “Alcuni quotidiani hanno rilanciato una fotografia che mi riprende mentre sono in fila, insieme a decine di persone, davanti ad una farmacia in attesa di poter fare un tampone. Chiariamo subito due punti: non stavo facendo nulla di illegale” e “non ero in ‘incognito”. Lo scrive su Fb l’ex sindaca di Roma Virginia Raggi (M5s). A suo avviso “dobbiamo fermare questa atmosfera di caccia alle streghe” e “le divise vax e no-vax, sono sbagliate perché creano partigianerie avverse e pronte a scontrarsi”. Sul vaccino “è una scelta che va fatta ascoltando i medici e gli specialisti”, spiega. 
    “Virginia Raggi per me è un’avversaria politica, sicuramente, ma a tutto c’è un limite: che qualche giornale e qualche politico attacchino l’ex sindaco perché era tranquillamente in coda fuori da una farmacia romana per fare un tampone, come fanno altre migliaia di cittadini ogni giorno, è inaccettabile. Mala tempora currunt”. Lo scrive su Facebook il leader della Lega, Matteo Salvini. 
    “Non potendo parlare della figura del sindaco Gualtieri, su cui i giornali di regime giustamente non spendono mezza parola, tutta l’attenzione mediatica è nuovamente concentrata su Virginia Raggi, come del resto è stato nei precedenti cinque anni di consiliatura. Adesso si sono inventati una nuova polemica mettendola in croce per aver fatto la fila per un tampone in farmacia. Insomma, l’ennesimo attacco politico ai danni della ex sindaca che nulla ha a che vedere con il dato sanitario o di salute pubblica. Il morboso e perverso attenzionamento nei suo confronti continua: sapevamo che molti giornali avevano un debole per lei, ma non immaginavamo fino a questo punto…”. Lo afferma in una nota Daniele Diaco, consigliere capitolino del M5S. 
    “Quindi ogni persona che è in fila per farsi i tamponi è NoVax? Chiedo per un’amica”. Lo ha scritto su Twitter Andrea Severini, marito della sindaca di Roma Virginia Raggi, facendo riferimento alla foto che ritrae l’ex prima cittadina in fila per un tampone a Roma.   

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    Il caso Tortora: quell'arresto che divise l'Italia

    Era il 17 giugno 1983 quando Enzo Tortora, giornalista e popolare presentatore televisivo, fu ammanettato, fotografato e così proposto all’opinione pubblica.    Dal carcere scrisse numerose lettere urlando la sua innocenza, molte delle quali indirizzate alla figlia Silvia, morta la scorsa notte a 59 anni, che le pubblicò in un libro dal titolo ‘Cara Silvia’ (Marsilio 2002) e che non ha mai smesso di lottare per la completa riabilitazione del padre. Poi Tortora fu assolto e divenne il simbolo, tuttora spesso evocato, dell’errore giudiziario.    L’ inchiesta nei riguardi di Enzo Tortora – che a lungo ha diviso il Paese tra innocentisti e colpevolisti ed ha alimentato il dibattito sul “pentitismo” – cominciò nei premi mesi del 1983, quando Pasquale Barra e Giovanni Pandico, personaggi di rilievo della ”Nuova Camorra Organizzata” (Nco), capeggiata da Raffaele Cutolo, decisero di dissociarsi dall’organizzazione e di collaborare con gli inquirenti. I due ”pentiti” indicarono Tortora, ”quello di Portobello” – il popolare programma televisivo che conduceva – quale appartenente alla “Nco” con l’incarico di corriere di stupefacenti, per cui Enzo Tortora fu arrestato a Roma il 17 giugno di quell’ anno, nel corso di un’operazione diretta dalla Procura di Napoli per l’esecuzione di 856 ordini di cattura. Tortora fu bloccato all’alba in un albergo di Roma, ma fu portato in carcere in tarda mattinata, solo quando – secondo i difensori – fotografi e cineoperatori furono pronti a ritrarre l’imputato in manette. Fin dal primo momento Tortora si disse innocente, nonostante crescesse continuamente il numero dei pentiti che lo accusavano.    Dopo sette mesi di detenzione in carcere, l’imputato ebbe gli arresti domiciliari dal tribunale della libertà, quasi in coincidenza con il pentimento di un rapinatore, Gianni Melluso, detto “Gianni il bello”, che raccontò di consegne di stupefacenti da lui fatte a Tortora per conto del boss milanese Francis Turatello. Enzo Tortora fu eletto eurodeputato radicale il 17 giugno 1984. Il 20 luglio 1984 tornò in libertà ed annunciò che avrebbe chiesto al Parlamento europeo di concedere l’autorizzazione a procedere nei suoi riguardi; autorizzazione che fu data il 10 dicembre. Rinviato a giudizio, il 4 febbraio 1985 comparve davanti al Tribunale di Napoli, ribadendo ai giudici la sua innocenza, in contrasto con le accuse dei pentiti. Il 17 settembre arrivò la sentenza di primo grado: condanna a dieci anni di reclusione per associazione per delinquere di tipo mafioso e traffico di stupefacenti.    Un anno dopo, il 15 settembre 1986, la Corte di Appello di Napoli rovesciò il verdetto: Tortora fu assolto con formula piena, ed i pentiti furono giudicati non credibili. “E’ la fine di un incubo”, disse il presentatore. L’innocenza dell’ imputato fu definitivamente confermata il 13 giugno 1987 dalla prima sezione penale della Corte di Cassazione. Meno di un anno dopo, il 18 maggio 1988, Enzo Tortora morì per un cancro ai polmoni.     

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    Rai: Conte, il Movimento 5 stelle torna in Tv

    “Crediamo che sia questo il momento decisivo per proporre una riforma che declini al futuro l’azione della Rai, rendendola appetibile e al passo con le sfide tecnologiche e culturali che i tempi ci impongono. Per queste stesse ragioni, abbiamo deciso di sospendere l’assenza simbolica dalle testate del servizio pubblico radiotelevisivo sulla quale avevamo collegialmente convenuto lo scorso 17 novembre”. Così il leader M5s Giuseppe Conte.    

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    Il Guardian elogia il successo di Draghi, 'ma la democrazia dovrà tornare'

    Mario Draghi “ha presieduto con autorità” un governo “di unità” nazionale e sotto la sua guida, “Il recovery plan dal Covid di Roma è stato entusiasticamente finanziato dalla Commissione Europea”. Lo sottolinea in un editoriale dedicato alla Penisola il Guardian, unendosi agli elogi recenti riservati da altre testate liberal britanniche al presidente del Consiglio, non senza sostenere tuttavia come “la democrazia debba essere presto o tardi ripristinata” dopo la transizione affidata a “un primo ministro tecnocrate”, “non votato in una elezione”, malgrado la consapevolezza del “periodo d’instabilità potrebbe seguirne”.
    “Il signor Draghi merita molto credito per la pausa di successo” che l’Italia si è assicurata in questi mesi, “ma la politica tradizionale è destinata a fare il suo ritorno” nel Paese, scrive il giornale d’Oltremanica nell’editoriale odierno intitolato “Il punto di vista del Guardian sull’Italia: la Draghi-dipendenza, comprensibile ma non sana”. Nel commento si evoca il dibattito in corso fra chi ritiene che Draghi debba restare ancora per una fase a Palazzo Chigi alla testa del governo e chi lo preferirebbe in veste di garante al Quirinale come presidente della Repubblica per 7 anni. Il giornale in ogni modo auspica il consolidamento di una candidatura del centro-sinistra per la guida del Paese nel prossimo futuro, dopo i risultati dell’alleanza fra Pd e “gli anti establishment” del Movimento 5 Stelle: candidatura che a suo giudizio andrebbe fondata anche su quanto “costruito” nell’ambito del sostegno al governo Draghi. Mentre giudica pericoloso per la Penisola un potenziale avvento al governo di una coalizione di centro destra “nazionalista” animata da “Matteo Salvini e Giorgia Meloni”.   

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    Carceri: Cartabia, interventi nelle prossime settimane

    Gli interventi sul carcere saranno una delle “priorità” dei prossimi giorni. Lo ha sottolineato la ministra della Giustizia Marta Cartabia, alla lezione inaugurale del Corso in Scienze giuridiche della Scuola di dottorato dell’Università Bicocca di Milano ricordando che si sono da poco conclusi i lavori della commissione Ruotolo. “Sul mondo del carcere abbiamo posto attenzione sin dall’inizio e vuole essere una priorità” ha detto Cartabia, annunciando che “alcune iniziative legislative saranno impegno del Ministero nelle prossime settimane”.
    Dopo i fatti di Santa Maria Capua Vetere “abbiamo messo in campo il lavoro di una commissione, presieduta da Marco Ruotolo, che ha concluso lavori a fine dicembre”, ha sottolineato la ministra riferendosi alla commissione ministeriale sull’Innovazione penitenziaria presieduta dal professor Marco Ruotolo che ha elaborato le proposte per migliorare la quotidianità dei detenuti e di chi vi lavora. “All’inizio del 2020 sappiamo cosa è successo nelle carceri per la paura del contagio. In questo periodo di pandemia, affrontare questi problemi significa anche assicurare le vaccinazioni, le mascherine e tutti i controlli necessari ma far proseguire allo stesso tempo una proposta di attività e di percorsi rieducativi anche in queste condizioni che sono particolarmente difficili nella vita in carcere”, ha concluso.

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    Quirinale: Calenda rilancia Cartabia, Draghi resti a Chigi

    Carlo Calenda rilancia Marta Cartabia per il Quirinale. La questione “si deve risolvere con un incontro fra i segretari di partito. La nostra proposta è la ministra Cartabia, una persona di grande qualità, ex presidente della corte costituzionale. Si può trovare un altro nome ma troviamolo: sediamoci e facciamolo subito”, ha detto il leader di Azione, ribadendo che Mario Draghi “deve restare” a Palazzo Chigi, perché c’è Omicron, i prezzi dell’energia sono impazziti, le imprese rischiano una fermata produttiva, c’è l’inflazione e dobbiamo spendere 50 miliardi di Pnrr: che senso ha cambiare questo presidente del Consiglio?”. 
    “Incontriamoci per parlare del governo e poi, sgomberato il tavolo da questo, possiamo parlare di una figura condivisa per il Quirinale”: è la proposta lanciata dal leader di Azione a poco più di due settimane dall’elezione del nuovo capo dello Stato. “E’ un dovere che i segretari di tutti i partiti, in primo luogo chi sostiene il governo, si siedano insieme, fisicamente, e discutano per prima cosa del governo – ha detto Calenda a margine della presentazione della ‘giunta ombra’ per Roma -. Il governo è inceppato dall’azione dei partiti, dobbiamo verificare se i partiti desiderano veramente andare avanti firmando un patto di legislatura alla tedesca. Prima di tutto dobbiamo decidere se questo governo può andare avanti e come. Vediamo se c’è, come auspico, la forza di andare avanti fino fine legislatura con Draghi premier. Il tema fondamentale oggi è chi governa l’Italia, non chi va al Quirinale”.
    “Replicare una maggioranza larga anche della giunta Zingaretti con i 5 stelle alle prossime regionali? Sì, se il candidato fosse di qualità come l’assessore D’Amato che sosterremmo in ogni caso. La Regione Lazio è un caso unico. Ci sono cose che condivido e non condivido di Zingaretti ma il giudizio per me è generalmente molto positivo. L’assessore D’Amato ha fatto un lavoro strepitoso. Se lui fosse il candidato del centrosinistra, in qualunque forma, noi saremmo disponibili ad appoggiarlo”. Lo ha detto Calenda, alla conferenza stampa alla stampa Estera, per presentare la giunta ombra,