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    Franco: 'Le truffe sul Superbonus tra le più grandi mai viste'. M5s: 'Chiarisca'

    Più controlli sul superbonus: i correttivi dovrebbero arrivare con un emendamento al quale lavorano Mef e Parlamento, come hanno spiegato il presidente del Consiglio Mario Draghi e il ministro dell’Economia, Daniele Franco.
    Sui bonus edilizi “si possono pensare ulteriori affinamenti, stiamo pensando di tracciare meglio” le operazioni, “potremmo avere dentro il sistema bancario una possibilità più ampia, con due o tre cessioni” del credito, “tutto si può fare ma resta fondamentale evitare ulteriori truffe che sono tra le più grandi che questa Repubblica abbia visto”,  ha detto il ministro Franco nella conferenza stampa al termine del Cdm.
    “Il governo vuole che il meccanismo funzioni e i correttivi dovrebbero trovare posto in un emendamento a cui sta lavorando il ministero e il Parlamento”. ha spiegato Draghi. “Quelli che oggi più tuonano sul superbonus, che dicono che queste frodi non contano, che bisogna andare avanti lo stesso… beh, questi sono alcuni di quelli che hanno scritto la legge e hanno permesso di fare lavori senza controlli. Se siamo in questa situazione è perchè si è costruito un sistema che prevedeva pochissimi controlli. E se il superbonus oggi rallenta è per i sequestri deliberati dalla magistratura per questioni fraudolente per 2.3 miliardi. Ma naturalmente le somme oggetto di indagine sono molto, molto più alte”, ha detto il premier, aggiungendo: “Non è che l’edilizia, senza superbonus, non funziona. Si è giovata di questo strumento ma non bisogna pensare che senza non andrebbe avanti”.
    “Dire che i problemi che adesso si manifestano dipendano dai controlli, non credo, dipendono dalla massiccia azione della magistratura penale che interviene su un contesto che prima era poco regolato”, ha detto ancora il ministro dell’Economia Franco parlando dei bonus edilizi. “Molte procure sono intervenute, per ipotesi di reato”, sequestrando “oltre 2 miliardi di crediti che sono corpi del reato e quindi l’intermediario non può farne niente”.
    Nell’attuale situazione “l’importante è che si riprenda l’attività, che tutti gli intermediari tornino ad accettare le richieste e che il mercato riparta in modo più sicuro di prima però”, ha aggiunto Franco. “Osseverazione, controllo ex ante dell’Agenzia delle entrate, limiti al numero di cessioni dei crediti, vanno tutti nella direzione di assicurare certezza agli operatori. Quindi massima priorità a far funzionare questo meccanismo ma deve funzionare in condizioni di certezza che aiuteranno il sistema a funzionare meglio”.
    Attribuire i 2,3 miliardi di frodi al Superbonus è semplicemente una falsità. È evidente che è arrivato il momento di sgomberare il campo da ogni equivoco: per questo alla ripresa dei lavori parlamentari chiederemo un’informativa urgente del ministro dell’Economia e delle Finanze per mettere un punto fermo alla questione e avere dati certi sull’entità delle truffe in relazione a ogni singola tipologia di incentivo. Lo fanno sapere fonti M5s. 
    “Draghi sbaglia due volte quando parla di truffe in edilizia: la prima perché fa di tutta un’erba un fascio confondendo il Superbonus con gli altri bonus. La seconda perché riconduce tutte le truffe al solo Superbonus 110%”. Lo afferma Riccardo Fraccaro, del Movimento 5 stelle. “Come confermato dal Ministro Franco le truffe sono quasi esclusivamente relative ad altri bonus, non riguardano se non in minima parte il Superbonus, proprio perché prevede asseverazioni e controlli. Alla luce di queste dichiarazioni viene meno ogni alibi. Il governo lavori subito per far ripartire i cantieri del Superbonus bloccato ormai da troppo”.
    Il 46% delle frodi registrate sulle cessioni dei bonus fiscali riguarda il bonus facciate, il 34% l’ecobonus, il 9% il bonus locazioni/botteghe, l’8% il sismabonus e il 3% il Superbonus: “questi sono i dati ufficiali trasmessi e citati dal direttore dell’Agenzia delle Entrate nel corso dell’audizione di ieri, 10 febbraio. Questa è la realtà”. Lo afferma il ministro Stefano Patuanelli postando su FB la tabella con i numeri. “Ora, – afferma – correre per sbloccare il Superbonus correggendo l’ultima sbagliata norma introdotta, e ridurre a zero le frodi senza distruggere la misura e senza bloccare cittadini e imprese oneste”.

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    Dalla giustizia all'eutanasia, gli 8 quesiti

    Sono otto i quesiti referendari su cui martedì prossimo dovrà esprimersi la Corte Costituzionale: sei riguardano la giustizia, uno l’eutanasia, l’ultimo la cannabis. Se ammessi, potrebbero essere sottoposti al voto popolare in una domenica di primavera.
    LA GIUSTIZIA – I sei quesiti sulla giustizia sono stati promossi dai Radicali, dalla Lega e da nove consigli regionali di centro-destra ( Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Umbria, Veneto). Riguardano: l’elezione dei consiglieri togati del Csm, la responsabilità civile e le valutazioni sulla professionalità dei magistrati, la separazione delle carriere tra giudici e pm, la carcerazione preventiva e la legge Severino. Tra fisiche ed elettroniche, la Lega ha contato oltre 4,2 milioni di firme raccolte, stipate in ben 368 scatoloni che hanno riempito tre furgoni, ma anche in sei hard disk che contengono le firme digitali e i certificati elettorali. Sarebbe bastata la richiesta di referendum di soli cinque consigli regionali, ma la ratio dei promotori è stata ‘melius est abundare…’.
    L’EUTANASIA – Sono oltre un milione e 200mila le firme depositate in Cassazione nell’ottobre scorso da Marco Cappato dell’associazione Luca Coscioni e dagli altri volontari del Comitato promotore del referendum che vuole introdurre l’eutanasia legale. Si chiede l’abrogazione parziale dell’articolo 579 del codice penale, l’omicidio del consenziente, che punisce con la reclusione da sei a quindici anni chi procura la morte di una persona con il suo consenso. In caso di esito favorevole, non sarebbe punibile l’eutanasia attiva se compiuta nelle forme previste dalla legge sul consenso informato e il testamento biologico, e in presenza dei requisiti introdotti dalla sentenza della Consulta sul caso Cappato. Resterebbe invece il carcere per chi ha commesso il fatto contro una persona incapace o contro una persona il cui consenso sia stato estorto con violenza, minaccia o contro un minore di diciotto anni.
    LA CANNABIS – Sono oltre 630mila le firme raccolte in poco più di un mese e depositate a sostegno del quesito sulla cannabis. Secondo i promotori circa la metà dei sottoscrittori sono giovani dai 18 ai 30 anni. La mobilitazione è stata portata avanti in particolare grazie allo strumento della firma digitale, introdotta con un emendamento del parlamentare radicale Riccardo Magi. Nello specifico, il quesito – depositato dalle Associazioni Luca Coscioni, Meglio Legale, Forum Droghe, Antigone, Società della Ragione e da alcuni rappresentanti dei partiti +Europa, Possibile e Radicali italiani – propone “di intervenire sia sul piano della rilevanza penale, per quanto riguarda le condotte legate alla cannabis, sia su quello delle sanzioni amministrative in riferimento alla detenzione”.Obiettivo: depenalizzarne la coltivazione e l’uso personale.

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    Redditi: Letta il più ricco tra i leader, Draghi punta sugli immobili

    E’ on line sul sito di ogni parlamentare la dichiarazione dei redditi del 2021. La documentazione patrimoniale dei deputati e dei senatori è disponibile sulla pagina personale di ogni singolo deputato e senatore.
    E’ il segretario del Pd Enrico Letta il leader con il reddito complessivo più alto in base alla documentazione patrimoniale presentata che riguarda i redditi del 2020. Il segretario Dem ha un reddito 621.818 euro. Segue Matteo Renzi con 571.391 euro. Al terzo posto si classifica Giorgia Meloni con 134.206 euro. Il leader di Leu Roberto Speranza ha un reddito complessivo di 107. 842 euro. il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni ha un reddito complessivo di 101.800 euro. “Ultimo” in base alla documentazione il segretario della Lega Matteo Salvini di 99.699 euro.
    E’ Niccolò Ghedini, senatore di Forza Italia e avvocato di Silvio Berlusconi il senatore più ricco in base alla documentazione patrimoniale presentata che fa riferimento all’anno 2020. Il senatore di Fi ha un reddito complessivo di 2milioni 689 euro. Al secondo posto, un altro avvocato, la senatrice della Lega Giulia Bongiorno con un reddito complessivo di 2miloni 402euro. Il senatore a vita Renzo Piano dichiara un reddito imponibile di 1 milione 860 euro. Non risulta visibile la dichiarazione patrimoniale del senatore a vita Mario Monti.
     Il premier Mario Draghi ha un reddito complessivo di 527.319 euro. Nella documentazione patrimoniale presente sul sito del governo risulta inoltre che il capo del governo è proprietario di 16 immobili tra terreni e fabbricati tra cui un appartamento a Londra, varie proprietà tra Roma, Anzio, Stra in provincia di Venezia e a Città della Pieve. Tra i ministri politici: il titolare della Farnesina Luigi Di Maio ha un reddito complessivo di 98.471. euro, il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà 95.811, Stefano Patuanelli, ministro per le Politiche agricolo è di 98.980 euro. Fabiana Dadone, ministro per le politiche giovanili 98.471euro il leghista Giancarlo Giorgetti, ministro Sviluppo Economico ha un reddito di 99.883 euro. Erika Stefani, ministro per le disabilità 99.699. Il ministro per il Turismo Massimo Garavaglia ha un reddito complessivo di 98.874 A guidare la delegazione di Fi è Renato Brunetta con 206.996 euro. Mara Carfagna, ministro per il Sud ha un reddito di 139.833 euro mentre il ministro per gli affari regionali Maria Stella Gelmini ha un reddito di 100.324 Il ministro per le Pari Opportunità Elena Bonetti in quota Iv) ha un reddito complessivo 99.864. Per il Pd, il ministro del Lavoro Andrea Orlando ha un reddito complessivo 104.269 euro, quello della Difesa Lorenzo Guerini è pari a 112.018 euro. Il ministro della Cultura Dario Franceschini ha un complessivo di 165.384 euro.

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    Non ha voluto il molecolare in Russia, Macron a quattro metri da Putin

    Il lungo tavolo che separava lunedì scorso Emmanuel Macron e Vladimir Putin nell’incontro al Cremlino sulla crisi ucraina era una soluzione obbligata per il faccia a faccia tra i due leader dopo il rifiuto del presidente francese di sottoporsi a un tampone molecolare dopo l’arrivo a Mosca. E’ quanto rivelano diverse fonti giornalistiche che erano presenti lunedì nella capitale russa all’incontro. L’Eliseo conferma che ci sono stati problemi di “tempistica” che hanno consigliato all’entourage di Macron di rinunciare all’opzione di “un minor distanziamento” che sarebbe stata possibile effettuando il tampone all’arrivo.    Nessun commento, invece, sulla motivazione addotta da alcune delle fonti giornalistiche, in particolare britanniche, secondo le quali il tampone sarebbe stato rifiutato da parte francese affinché “il Dna del presidente non finisse nelle mani dei russi”.    Il presidente ha “fatto quello che era necessario fare come sempre quando viaggia, così come tutta la sua delegazione”, dicono fonti della presidenza francese questa mattina.    “La questione – sottolineano – è soltanto quella delle condizioni del tampone, ma questi sono elementi che spetta al medico decidere. Stiamo parlando di questioni come la persona che esegue il tampone, come il tampone viene praticato e quali sono le esigenze imposte in termini di tempistica (ad esempio, presentarsi molto in anticipo per il test). Abbiamo semplicemente ritenuto che le condizioni che avrebbero consentito un minore distanziamento non erano accettabili per noi e abbiamo scelto l’altra opzione proposta dal protocollo russo”.    Nessun commento, da parte dell’Eliseo, sulla voce secondo la quale il tampone sarebbe stato rifiutato per non consentire ai medici russi di avere accesso al Dna di Macron. A domanda precisa, le fonti della presidenza francese rispondono che “il presidente ha dei medici che definiscono insieme a lui le regole accettabili o no in termini di protocollo sanitario che lo riguardano”.    

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    Csm: Garofoli non partecipa a Cdm, sensibilità istituzionale

    Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli, secondo quanto si apprende, ha chiesto di non partecipare ai lavori del Consiglio dei ministri nel momento in cui si è cominciato a discutere della riforma Giustizia. Pur non essendoci ragioni di merito per astenersi dalla partecipazione, perché le norme in discussione non si applicano (già in base al testo Bonafede) agli incarichi in corso, quindi né a Garofoli né agli altri magistrati impegnati in questo Governo, il sottosegretario ha chiesto di lasciare la sala per sensibilità istituzionale.

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    Referendum: Amato, impegno per assicurare voto popolare

    “Dobbiamo impegnarci al massimo per consentire, il più possibile, il voto popolare”. Lo ha ricordato il neopresidente della Corte costituzionale Giuliano Amato nel suo saluto agli assistenti di studio, durante la riunione di ieri. Lo riporta un tweet della Corte costituzionale e il riferimento è ai referendum sulla cui ammissibilità la Consulta si pronuncerà il 15 febbraio.
    “È banale dirlo ma i referendum sono una cosa molto seria e perciò bisogna evitare di cercare ad ogni costo il pelo nell’uovo per buttarli nel cestino”: è un altro passaggio del breve saluto rivolto ieri dal presidente della Corte costituzionale agli assistenti di studio durante la riunione settimanale in vista delle prossime udienze. “Davanti ai quesiti referendari ci si può porre in due modi – ha osservato il presidente Amato -: o cercare qualunque pelo nell’uovo per buttarli nel cestino oppure cercare di vedere se ci sono ragionevoli argomenti per dichiarare ammissibili referendum che pure hanno qualche difetto. Noi dobbiamo lavorare al massimo in questa seconda direzione, perché il nostro punto di partenza è consentire, il più possibile, il voto popolare”. 

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    Dl green pass: Ok del Senato con 139 sì, passa alla Camera

    Con 139 voti favorevoli, 16 contrari e 2 astenuti il decreto per la proroga dello stato di emergenza nazionale, per il contenimento della diffusione dell’epidemia e sul green pass è stato approvato dall’Aula del Senato. Il provvedimento, che deve essere approvato definitivamente entro il 22 febbraio, passa alla Camera. 
    “Sono molto felice che il Senato abbia approvato l’emendamento, a mia prima firma, che consente l’utilizzo dei mezzi di trasporto da e per le Isole del territorio italiano semplicemente con il Green pass base anziché con il Green pass rafforzato come sin qui avvenuto. Diamo una risposta concreta ai cittadini delle isole che in queste settimane avevano giustamente segnalato una stortura che limitava in maniera eccessiva la libertà di spostamento. Si trattava di una questione estremamente rilevante, sulla quale il Parlamento ha ritenuto di superare il parere contrario del governo”. Così il senatore del M5s Pietro Lorefice. 
    Grazie a un emendamento a mia prima firma, approvato questa sera in aula al Senato, le norme sullo smart working applicate ai lavoratori fragili vengono prorogate dal 28 febbraio fino al 31 marzo di quest’anno. Ciò significa che per questi lavoratori sarà possibile continuare a fruire dello Smart working o, ove non possibile, della malattia. Dal 1 aprile sarà poi possibile per specifiche categorie di lavoratori individuate con apposito decreto ministeriale, continuare a fruire dello Smart working. Era assolutamente corretto e doveroso dare una risposta ai lavoratori più fragili, sostenere persone particolarmente esposte ai pericoli della pandemia e che hanno il diritto di lavorare nella massima sicurezza. E’ un impegno che il MoVimento 5 Stelle si era preso ed ha portato fino in fondo”. Lo afferma in una nota la senatrice del Movimento 5 Stelle ed ex ministra del Lavoro Nunzia Catalfo.   

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    Sprint di Draghi sulla giustizia, 5S e Lega sulle barricate

    Il governo vuole chiudere sulla riforma della giustizia. Per la mattina è previsto il cdm che avrà sul tavolo il nuovo pacchetto di proposte messo a punto da Marta Cartabia e sul quale molti sono ancora i dubbi di alcune forze di maggioranza, soprattutto del M5s e della Lega.
    Non ci dovrebbe essere una cabina di regia. Ma fonti dell’Esecutivo assicurano che le proposte saranno illustrate nei dettagli dal premier Draghi e dalla responsabile del dicastero della Giustizia.
    Proposte – rimacano – caratterizzate da un forte equilibrio. Con tre piani distinti: i magistrati eletti, per i quali non si transige sul ritorno indietro; i cosiddetti ‘tecnici’ cioè i pm che lasciano la toga per ricoprire cariche non elettive (un esempio recente è il prefetto Luciana Lamorgese scelta per il Viminale) e i magistrati prestati al servizio dello Stato nell’apparato pubblico. Si tratta, dunque, di esigenze diverse da garantire e soprattutto prevedendo periodi di ‘decantazione’ o “raffreddamento” per chi, assolto l’incarico pubblico o politico, possa successivamente tornare alla magistratura, si spiega ancora in ambienti dell’Esecutivo. In attesa di dettagli e chiarimenti, resta lo scontento di fondo di alcuni partiti.
    5 Stelle e Lega sono in tensione per la nuova proposta che rimodella le cosiddette ‘porte girevoli’ che fino ad ora hanno consentito ai magistrati di tornare al loro posto in tribunale, dopo un’avventura politica (da candidati, eletti o non eletti). Il tema – insieme al sistema con cui vengono eletti i componenti dell’organo di autogoverno della magistratura – rischia di diventare un pomo della discordia serio all’interno della maggioranza “Una volta che un magistrato decide di entrare in politica non può più ritornare a vestire la toga”, scandisce la responsabile Giustizia della Lega, Giulia Bongiorno. Il partito di Salvini martella chiedendo una riforma che “non investa singoli segmenti, ma che incida profondamente e in modo incisivo su tutto il sistema”. E insiste anche per marcare il terreno su un tema che, dopo il caro bollette, è molto sentito, vista la battaglia fatta con i referendum promossi insieme ai Radicali e su cui il 15 febbraio la Consulta dovrà esprimersi.
    Vanno oltre i pentastellati, che bocciano l’ipotesi di un distinguo per i pm che assumono ruoli tecnici, ad esempio entrando in governi o giunte senza essersi candidati. “Sono norme ad personam e ne abbiamo già avute abbastanza in passato”, taglia corto la pentastellata Giulia Sarti. Considerazione che non vede d’accordo il governo: “nessuna norma ad personam”, ribattono fonti accreditate dell’Esecutivo. Non fa sconti nemmeno Forza Italia, nonostante il sì all’impostazione di base della riforma: “I nostri ministri non potranno votare se non ci sarà un testo scritto che potrà essere esaminato e studiato in maniera approfondita”, insiste Antonio Tajani da Bruxelles in vista del Consiglio di ministri di domani.
    Una bozza scritta era in effetti stata chiesta dai partiti – in primis FI e Azione – dopo gli incontri avuti nei giorni scorsi con la Guardasigilli. E finora mai ricevuta, riferiscono più fonti. Era un modo per valutare, nero su bianco, gli orientamenti del governo rispetto al Csm, uno dei pilastri della riforma della giustizia che ha già modificato il processo penale e civile e che l’Italia si è impegnata ad approvare per ottenere i fondi del Recovery. Una riforma sollecitata da tempo anche per combattere il potere delle ‘correnti’ politiche interne alla magistratura, specie dopo gli scandali degli ultimi anni. Su questa base si articolerà la discussione in cdm. Sul tavolo, il pacchetto di emendamenti alla riforma che l’esecutivo proporrà al Parlamento. Del resto mercoledì prossimo la commissione Giustizia dovrebbe avviare il voto proprio sulle modifiche. In ballo oltre alle porte girevoli, c’è il sistema di elezione del Csm tra uno maggioritario binominale, senza nessuna lista e uno proporzionale.