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    M5s: depositato ieri il ricorso contro la sospensiva

    Depositato dai legali del M5S il ricorso per la revoca della sospensiva emessa dal tribunale di Napoli. Secondo quanto confermano fonti M5s, il ricorso sul provvedimento cautelare che ha in sostanza congelato il nuovo statuto del Movimento e la leadership di Giuseppe Conte è stato depositato ieri. 
    “La situazione è molto più semplice di quella che voi descrivete. La questione è assolutamente burocratica, non politica. Quindi faremo i passi che abbiamo già annunciato, sperando che vadano a buon fine Conte è il leader del Movimento 5 Stelle, non c’è nessuna questione politica’”. Così il presidente della Camera Roberto Fico, rispondendo ai cronisti a margine dell’apertura del Nauticsud a Napoli.   

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    Il Governo Draghi compie un anno, missione rilancio dell'Italia

    Il governo di Mario Draghi compie un anno di vita il 13 febbraio . E’ il sessantasettesimo esecutivo della Repubblica Italiana, il terzo della XVIII legislatura. Per le sue caratteristiche viene definito un esecutivo di unità nazionale, raccogliendo una maggioranza larghissima che va dalla sinistra fino alla Lega di Salvini. 
    E’ entrato nella pienezza dei poteri ottenendo la fiducia al Senato il 17 febbraio 2021 con 262 voti favorevoli, 40 contrari e 2 astenuti, per avere la maggioranza assoluta ne sarebbero bastati 161.
    Mentre alla Camera ha avuto 535 voti favorevoli (ne sarebbero stati sufficienti 316), 56 contrari e 5 astenuti.
    Il successore di Giuseppe Conte si è insediato a Palazzo Chigi il 13 febbraio del 2021, dopo aver giurato al Quirinale nelle mani di Sergio Mattarella. Con due obiettivi fondamentali: superare la drammatica crisi della pandemia covid e aiutare la ripartenza del Paese definendo i progetti, molti infrastrutturali, finanziati con il recovery plan europeo: oltre 220 miliardi complessivi messi a disposizione dall’Ue che il nostro Paese potrà spendere solo sulla base di progetti ben definiti nell’ambito del Pnrr, il Piano Nazionale di ripresa e resilienza.
    Due sfide decisive che il presidente del Consiglio affronta con grande energia, in primo luogo affidando il primo marzo dello scorso anno al generale di corpo d’armata Francesco Paolo Figliuolo il ruolo di commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza COVID19. Un ruolo che ha come base la “mission” prioritaria di avviare e portare a compimento la campagna vaccinale nazionale contro il coronavirus. E poi coinvolgendo tutte le strutture governative (a partire dai ministeri) e le realtà locali in un delicato lavoro di messa a punto di numerosi progetti di opere pubbliche, di cui 45 da centrare tassativamente entro giugno.
    Un vero e proprio tour de force, anche comunicativo, con il premier, i ministri e i tecnici in prima fila per spiegare ai cittadini , regione per regione, città per città, il senso di questa iniziativa. Una missione di “salvataggio” che nel corso di questi mesi ha avuto non poche scosse, soprattutto per le divergenze di vedute tra i partiti dell’eterogenea maggioranza coalizzatasi attorno all’Esecutivo dell’ex Governatore della Bce. Basti pensare alle misure per combattere la pandemia, con la scelta di arrivare ad una sostanziale vaccinazione totale della popolazione: opzione non condivisa da tutti ma alla fine “digerita”, con importanti risultati, anche grazie ad una impostazione definita intransigente. Draghi in alcuni passaggi del suo Esecutivo si è imposto sui partiti, si concorda in diversi settori politici.
    Ha sempre cercato di dare una linea dai contorni definiti alla sua azione. E ciò, nonostante diversi scodamenti sulle misure da prendere. D’altra parte, sono state la pandemia e la paralisi di un sistema politico in difficoltà a dirottarlo su Palazzo Chigi.
    Il suo decisionismo ha fatto evocare a qualcuno lo spettro di un semipresidenzialismo di fatto. Agli occhi dell’Europa Draghi è l’uomo dal quale non si può prescindere, “the lender of last resort” del capitale istituzionale italiano. La sua presenza ai vertici dello Stato – si concorda in Ue, in molte Capitali europee e in ambienti politici ed economici nazionali – è un elemento di stabilità e garanzia per l’attuazione del Recovery Plan. Tutte fiches che in molti in Italia speravano di utilizzare per eleggerlo alla Presidenza della Repubblica al termine del mandato di Sergio Mattarella. E lui, nella tradizionale conferenza stampa di fine anno, da uomo delle istituzioni, anzi da “nonno”(come si è definito) ha ricordato che il suo lavoro era quello di presidente del Consiglio e che qualsiasi decisione sul futuro del governo o sul Colle spettava solo ed esclusivamente alle forze politiche e al Parlamento.
    La partita per il Quirinale ha sicuramente radicalizzato due visioni molto forti, quella di chi voleva l’attuale premier al posto di Mattarella e quella di chi riteneva che la sua missione al Governo non fosse ancora finita. Risultato: Draghi è rimasto a Palazzo Chigi e Mattarella al Quirinale. Una soluzione che alla fine accontenta tutti. E che rilancia l’azione di governo, come si è visto con la riforma del Csm e con l’annuncio di un articolato piano di aiuti per contenere il caro della bolletta energetica. Questa volta con un avvertimento in più a chi in qualche modo sembra ancora tirarlo per la giacchetta per costruirgli un “dopo-Palazzo Chigi”: “SuperMario” non entrerà mai in politica. 

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    Ok alla riforma del Csm, stop alle porte girevoli

    Una nuova legge elettorale, che si conta di poter applicare già al prossimo rinnovo previsto per luglio; nuove regole per il Csm che serviranno ad arginare il correntismo e soprattutto a chiudere le porte girevoli tra politica e giustizia. All’unanimità il Consiglio dei ministri approva la riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario. Una riforma “ineludibile” e “dovuta” ai cittadini “che hanno diritto a recuperare la piena fiducia nei confronti della magistratura”, la cui credibilità è stata scossa dagli scandali, e agli stessi “tantissimi” giudici che “lavorano silenziosamente”. E che servirà a “arginare casi come quello di Palamara”, anche con una magistratura “più severa con se stessa”, come dice nella conferenza stampa a Palazzo Chigi la ministra della Giustizia Marta Cartabia.
    Il parto non è stato affatto semplice. C’è voluta una riunione tra il premier, Cartabia e i capidelegazione, che ha fatto slittare di oltre due ore l’inizio del Consiglio dei ministri per superare i dubbi dei partiti sulla riforma. I più forti erano da parte di Forza Italia, che alla fine ha dato il via libera dopo un’altra riunione, stavolta nella sede del partito, dei suoi ministri con il coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani, con Silvio Berlusconi consultato per telefono.
    Un confronto “non faticoso ma lungo” per il premier Mario Draghi che nella conferenza stampa, pur sottolineando la “condivisione” della riforma, ammette che nella maggioranza ci sono “differenze di opinioni che sono rimaste”, e per le quali “è stato possibile modificare molto marginalmente il testo”. Ma c’è “l’impegno a superarle” e soprattutto la volontà dichiarata da parte “di tutti i ministri a sostenere con i propri partiti questa riforma”. Tutti sono consapevoli che serve un “pieno coinvolgimento delle forze politiche” e proprio per questo, assicura, “non ci saranno tentativi di imporre la fiducia”.
    La parte più innovativa della riforma e che alla fine tanti partiti si intestano (a cominciare dal M5S, che esulta per il ritorno al testo Bonafede) è il blocco delle porte girevoli. Non sarà più possibile a un magistrato svolgere in contemporanea funzioni giurisdizionali e incarichi politici, elettivi e governativi, a livello nazionale e locale (obbligatoria l’aspettativa senza assegno). Nè candidarsi nella regione in cui ha esercitato nei tre anni precedenti. Impossibile anche tornare a fare il giudice o il pm al rientro dal mandato elettorale o da un incarico di governo: in questi casi scatterà il collocamento fuori ruolo presso il ministro della Giustizia o altre amministrazioni. Lo stop dalle funzioni giudiziarie sarà invece di 3 anni per chi si candida ma non viene eletto. E lo stesso trattamento toccherà a fine mandato a chi viene chiamato a ricoprire l’incarico di capo di gabinetto, segretario generale o capo dipartimento di un ministero, ma la regola si applicherà solo agli incarichi futuri. Una norma quest’ultima, che ha suscitato molto dubbi tra i partiti, perchè ritenuta troppo restrittiva, e che la ministra della Giustizia era disponibile a cambiare. Palazzo Chigi ha voluto però che restasse così.
    I componenti del Csm torneranno a 30, come prima della riforma del 2002 : 20 togati e 10 laici. E saranno eletti con un sistema misto, basato su collegi binominali, ma che prevede anche una distribuzione proporzionale di 5 seggi a livello nazionale. Non ci saranno liste, ma candidature individuali. C’è invece il meccanismo del sorteggio per riequilibrare le candidature del genere meno rappresentato.
    Non saranno più possibili le nomine a pacchetto dei capi degli uffici giudiziari, terreno su cui si consumano gli accordi spartitori tra le correnti della magistratura, perchè il Csm dovrà procedere, rispettando il rigoroso ordine cronologico delle scoperture. E gli avvocati avranno per la prima volta diritto di voto nei consigli giudiziari sulle valutazioni di professionalità dei magistrati ma solo se ricorrono precise condizioni.

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    Franco: 'Le truffe sul Superbonus tra le più grandi mai viste'. M5s: 'Chiarisca'

    Più controlli sul superbonus: i correttivi dovrebbero arrivare con un emendamento al quale lavorano Mef e Parlamento, come hanno spiegato il presidente del Consiglio Mario Draghi e il ministro dell’Economia, Daniele Franco.
    Sui bonus edilizi “si possono pensare ulteriori affinamenti, stiamo pensando di tracciare meglio” le operazioni, “potremmo avere dentro il sistema bancario una possibilità più ampia, con due o tre cessioni” del credito, “tutto si può fare ma resta fondamentale evitare ulteriori truffe che sono tra le più grandi che questa Repubblica abbia visto”,  ha detto il ministro Franco nella conferenza stampa al termine del Cdm.
    “Il governo vuole che il meccanismo funzioni e i correttivi dovrebbero trovare posto in un emendamento a cui sta lavorando il ministero e il Parlamento”. ha spiegato Draghi. “Quelli che oggi più tuonano sul superbonus, che dicono che queste frodi non contano, che bisogna andare avanti lo stesso… beh, questi sono alcuni di quelli che hanno scritto la legge e hanno permesso di fare lavori senza controlli. Se siamo in questa situazione è perchè si è costruito un sistema che prevedeva pochissimi controlli. E se il superbonus oggi rallenta è per i sequestri deliberati dalla magistratura per questioni fraudolente per 2.3 miliardi. Ma naturalmente le somme oggetto di indagine sono molto, molto più alte”, ha detto il premier, aggiungendo: “Non è che l’edilizia, senza superbonus, non funziona. Si è giovata di questo strumento ma non bisogna pensare che senza non andrebbe avanti”.
    “Dire che i problemi che adesso si manifestano dipendano dai controlli, non credo, dipendono dalla massiccia azione della magistratura penale che interviene su un contesto che prima era poco regolato”, ha detto ancora il ministro dell’Economia Franco parlando dei bonus edilizi. “Molte procure sono intervenute, per ipotesi di reato”, sequestrando “oltre 2 miliardi di crediti che sono corpi del reato e quindi l’intermediario non può farne niente”.
    Nell’attuale situazione “l’importante è che si riprenda l’attività, che tutti gli intermediari tornino ad accettare le richieste e che il mercato riparta in modo più sicuro di prima però”, ha aggiunto Franco. “Osseverazione, controllo ex ante dell’Agenzia delle entrate, limiti al numero di cessioni dei crediti, vanno tutti nella direzione di assicurare certezza agli operatori. Quindi massima priorità a far funzionare questo meccanismo ma deve funzionare in condizioni di certezza che aiuteranno il sistema a funzionare meglio”.
    Attribuire i 2,3 miliardi di frodi al Superbonus è semplicemente una falsità. È evidente che è arrivato il momento di sgomberare il campo da ogni equivoco: per questo alla ripresa dei lavori parlamentari chiederemo un’informativa urgente del ministro dell’Economia e delle Finanze per mettere un punto fermo alla questione e avere dati certi sull’entità delle truffe in relazione a ogni singola tipologia di incentivo. Lo fanno sapere fonti M5s. 
    “Draghi sbaglia due volte quando parla di truffe in edilizia: la prima perché fa di tutta un’erba un fascio confondendo il Superbonus con gli altri bonus. La seconda perché riconduce tutte le truffe al solo Superbonus 110%”. Lo afferma Riccardo Fraccaro, del Movimento 5 stelle. “Come confermato dal Ministro Franco le truffe sono quasi esclusivamente relative ad altri bonus, non riguardano se non in minima parte il Superbonus, proprio perché prevede asseverazioni e controlli. Alla luce di queste dichiarazioni viene meno ogni alibi. Il governo lavori subito per far ripartire i cantieri del Superbonus bloccato ormai da troppo”.
    Il 46% delle frodi registrate sulle cessioni dei bonus fiscali riguarda il bonus facciate, il 34% l’ecobonus, il 9% il bonus locazioni/botteghe, l’8% il sismabonus e il 3% il Superbonus: “questi sono i dati ufficiali trasmessi e citati dal direttore dell’Agenzia delle Entrate nel corso dell’audizione di ieri, 10 febbraio. Questa è la realtà”. Lo afferma il ministro Stefano Patuanelli postando su FB la tabella con i numeri. “Ora, – afferma – correre per sbloccare il Superbonus correggendo l’ultima sbagliata norma introdotta, e ridurre a zero le frodi senza distruggere la misura e senza bloccare cittadini e imprese oneste”.

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    Dalla giustizia all'eutanasia, gli 8 quesiti

    Sono otto i quesiti referendari su cui martedì prossimo dovrà esprimersi la Corte Costituzionale: sei riguardano la giustizia, uno l’eutanasia, l’ultimo la cannabis. Se ammessi, potrebbero essere sottoposti al voto popolare in una domenica di primavera.
    LA GIUSTIZIA – I sei quesiti sulla giustizia sono stati promossi dai Radicali, dalla Lega e da nove consigli regionali di centro-destra ( Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Umbria, Veneto). Riguardano: l’elezione dei consiglieri togati del Csm, la responsabilità civile e le valutazioni sulla professionalità dei magistrati, la separazione delle carriere tra giudici e pm, la carcerazione preventiva e la legge Severino. Tra fisiche ed elettroniche, la Lega ha contato oltre 4,2 milioni di firme raccolte, stipate in ben 368 scatoloni che hanno riempito tre furgoni, ma anche in sei hard disk che contengono le firme digitali e i certificati elettorali. Sarebbe bastata la richiesta di referendum di soli cinque consigli regionali, ma la ratio dei promotori è stata ‘melius est abundare…’.
    L’EUTANASIA – Sono oltre un milione e 200mila le firme depositate in Cassazione nell’ottobre scorso da Marco Cappato dell’associazione Luca Coscioni e dagli altri volontari del Comitato promotore del referendum che vuole introdurre l’eutanasia legale. Si chiede l’abrogazione parziale dell’articolo 579 del codice penale, l’omicidio del consenziente, che punisce con la reclusione da sei a quindici anni chi procura la morte di una persona con il suo consenso. In caso di esito favorevole, non sarebbe punibile l’eutanasia attiva se compiuta nelle forme previste dalla legge sul consenso informato e il testamento biologico, e in presenza dei requisiti introdotti dalla sentenza della Consulta sul caso Cappato. Resterebbe invece il carcere per chi ha commesso il fatto contro una persona incapace o contro una persona il cui consenso sia stato estorto con violenza, minaccia o contro un minore di diciotto anni.
    LA CANNABIS – Sono oltre 630mila le firme raccolte in poco più di un mese e depositate a sostegno del quesito sulla cannabis. Secondo i promotori circa la metà dei sottoscrittori sono giovani dai 18 ai 30 anni. La mobilitazione è stata portata avanti in particolare grazie allo strumento della firma digitale, introdotta con un emendamento del parlamentare radicale Riccardo Magi. Nello specifico, il quesito – depositato dalle Associazioni Luca Coscioni, Meglio Legale, Forum Droghe, Antigone, Società della Ragione e da alcuni rappresentanti dei partiti +Europa, Possibile e Radicali italiani – propone “di intervenire sia sul piano della rilevanza penale, per quanto riguarda le condotte legate alla cannabis, sia su quello delle sanzioni amministrative in riferimento alla detenzione”.Obiettivo: depenalizzarne la coltivazione e l’uso personale.

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    Redditi: Letta il più ricco tra i leader, Draghi punta sugli immobili

    E’ on line sul sito di ogni parlamentare la dichiarazione dei redditi del 2021. La documentazione patrimoniale dei deputati e dei senatori è disponibile sulla pagina personale di ogni singolo deputato e senatore.
    E’ il segretario del Pd Enrico Letta il leader con il reddito complessivo più alto in base alla documentazione patrimoniale presentata che riguarda i redditi del 2020. Il segretario Dem ha un reddito 621.818 euro. Segue Matteo Renzi con 571.391 euro. Al terzo posto si classifica Giorgia Meloni con 134.206 euro. Il leader di Leu Roberto Speranza ha un reddito complessivo di 107. 842 euro. il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni ha un reddito complessivo di 101.800 euro. “Ultimo” in base alla documentazione il segretario della Lega Matteo Salvini di 99.699 euro.
    E’ Niccolò Ghedini, senatore di Forza Italia e avvocato di Silvio Berlusconi il senatore più ricco in base alla documentazione patrimoniale presentata che fa riferimento all’anno 2020. Il senatore di Fi ha un reddito complessivo di 2milioni 689 euro. Al secondo posto, un altro avvocato, la senatrice della Lega Giulia Bongiorno con un reddito complessivo di 2miloni 402euro. Il senatore a vita Renzo Piano dichiara un reddito imponibile di 1 milione 860 euro. Non risulta visibile la dichiarazione patrimoniale del senatore a vita Mario Monti.
     Il premier Mario Draghi ha un reddito complessivo di 527.319 euro. Nella documentazione patrimoniale presente sul sito del governo risulta inoltre che il capo del governo è proprietario di 16 immobili tra terreni e fabbricati tra cui un appartamento a Londra, varie proprietà tra Roma, Anzio, Stra in provincia di Venezia e a Città della Pieve. Tra i ministri politici: il titolare della Farnesina Luigi Di Maio ha un reddito complessivo di 98.471. euro, il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà 95.811, Stefano Patuanelli, ministro per le Politiche agricolo è di 98.980 euro. Fabiana Dadone, ministro per le politiche giovanili 98.471euro il leghista Giancarlo Giorgetti, ministro Sviluppo Economico ha un reddito di 99.883 euro. Erika Stefani, ministro per le disabilità 99.699. Il ministro per il Turismo Massimo Garavaglia ha un reddito complessivo di 98.874 A guidare la delegazione di Fi è Renato Brunetta con 206.996 euro. Mara Carfagna, ministro per il Sud ha un reddito di 139.833 euro mentre il ministro per gli affari regionali Maria Stella Gelmini ha un reddito di 100.324 Il ministro per le Pari Opportunità Elena Bonetti in quota Iv) ha un reddito complessivo 99.864. Per il Pd, il ministro del Lavoro Andrea Orlando ha un reddito complessivo 104.269 euro, quello della Difesa Lorenzo Guerini è pari a 112.018 euro. Il ministro della Cultura Dario Franceschini ha un complessivo di 165.384 euro.

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    Non ha voluto il molecolare in Russia, Macron a quattro metri da Putin

    Il lungo tavolo che separava lunedì scorso Emmanuel Macron e Vladimir Putin nell’incontro al Cremlino sulla crisi ucraina era una soluzione obbligata per il faccia a faccia tra i due leader dopo il rifiuto del presidente francese di sottoporsi a un tampone molecolare dopo l’arrivo a Mosca. E’ quanto rivelano diverse fonti giornalistiche che erano presenti lunedì nella capitale russa all’incontro. L’Eliseo conferma che ci sono stati problemi di “tempistica” che hanno consigliato all’entourage di Macron di rinunciare all’opzione di “un minor distanziamento” che sarebbe stata possibile effettuando il tampone all’arrivo.    Nessun commento, invece, sulla motivazione addotta da alcune delle fonti giornalistiche, in particolare britanniche, secondo le quali il tampone sarebbe stato rifiutato da parte francese affinché “il Dna del presidente non finisse nelle mani dei russi”.    Il presidente ha “fatto quello che era necessario fare come sempre quando viaggia, così come tutta la sua delegazione”, dicono fonti della presidenza francese questa mattina.    “La questione – sottolineano – è soltanto quella delle condizioni del tampone, ma questi sono elementi che spetta al medico decidere. Stiamo parlando di questioni come la persona che esegue il tampone, come il tampone viene praticato e quali sono le esigenze imposte in termini di tempistica (ad esempio, presentarsi molto in anticipo per il test). Abbiamo semplicemente ritenuto che le condizioni che avrebbero consentito un minore distanziamento non erano accettabili per noi e abbiamo scelto l’altra opzione proposta dal protocollo russo”.    Nessun commento, da parte dell’Eliseo, sulla voce secondo la quale il tampone sarebbe stato rifiutato per non consentire ai medici russi di avere accesso al Dna di Macron. A domanda precisa, le fonti della presidenza francese rispondono che “il presidente ha dei medici che definiscono insieme a lui le regole accettabili o no in termini di protocollo sanitario che lo riguardano”.    

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    Csm: Garofoli non partecipa a Cdm, sensibilità istituzionale

    Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli, secondo quanto si apprende, ha chiesto di non partecipare ai lavori del Consiglio dei ministri nel momento in cui si è cominciato a discutere della riforma Giustizia. Pur non essendoci ragioni di merito per astenersi dalla partecipazione, perché le norme in discussione non si applicano (già in base al testo Bonafede) agli incarichi in corso, quindi né a Garofoli né agli altri magistrati impegnati in questo Governo, il sottosegretario ha chiesto di lasciare la sala per sensibilità istituzionale.