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    Sale la tensione tra i partiti. Scontro M5s-Lega su Superbonus

    Il Movimento si sente accerchiato, per gli attacchi al Superbonus che arrivano da tutte le parti e sanno di “campagna elettorale”, soprattutto quelli da parte della Lega. Il partito di Matteo Salvini si prepara, insieme a Forza Italia, a dare battaglia sulla riforma del Csm, forte anche della campagna referendaria che potrebbe partire già in settimana, se la Consulta darà il via libera ai quesiti sulla giustizia. E Fratelli d’Italia cerca di inserirsi nelle divisioni tra gli alleati con una mozione sulle concessioni balneari che punta a spaccare la maggioranza. Si presenta tutt’altro che tranquilla la navigazione delle prossime settimane per il governo Draghi, che si appresta a chiudere, tra giovedì e venerdì, un provvedimento che sulla carta mette tutti d’accordo, quello contro il caro bollette.    Sono gli sconti per l’edilizia a fare traballare le larghissime intese: a scatenare le polemiche erano state a dire il vero le parole dello stesso premier e del ministro dell’Economia, Daniele Franco sulle “truffe più grandi della storia” che si nascondono dietro a incentivi pensati per dare una spinta all’economia. Ma quelle parole hanno fatto riemergere dubbi da parte degli altri partiti che “si sono subito accodati” a Draghi, dicono dalle file pentastellate, pur avendo sostenuto finora la misura di bandiera del Movimento, da ultimo anche con la battaglia in manovra per levare il tetto Isee per le villette. “Mi pare che la strategia sia ormai chiara, tutti contro il movimento. Se è già iniziata la campagna elettorale basta che ce lo dicano”, va giù duro il ministro capodelegazione 5S, Stefano Patuanelli. Nel mirino ci sono soprattutto le parole del collega leghista Giancarlo Giorgetti che in una lunga intervista al Corriere della Sera di fatto smonta la misura che sta “drogando l’edilizia” e chiede che i fondi vengano dirottati a sostegno delle politiche industriali. Tra le righe, ed è il timore maggiore del Movimento, riemergono le ipotesi di un decalage dello sconto più rapido di quanto previsto finora, per spostare le risorse altrove. Un’idea che al momento non sarebbe sul tavolo, assicura chi sta lavorando ai correttivi da apportare ai meccanismi di cessione del credito per i vari bonus edilizi. Ma che potrebbe essere ripresa più avanti, forte anche delle storture emerse nel dibattito di questi giorni.    Le frodi però sono da imputare soprattutto agli altri bonus, ripetono deputati e senatori 5 Stelle, citando il presidente dell’Ance, intervenuto in tv. Il problema sarebbe non tanto il Superbonus, che richiede l’asseverazione e ha un prezzario fin dal suo esordio e rappresenta il 3% dei reati scoperti finora, quanto l’ingresso sul mercato – ha detto Buia – solo negli ultimi 6 mesi di “11.600 imprese con codice Ateco costruzioni senza neanche un dipendente”. Ecco quindi che si richiedono maggiori controlli soprattutto nella fase iniziale, per verificare che il cantiere esista davvero prima di concedere il credito d’imposta, ma anche di subordinare il 110% alle ditte che applicano i contratti sottoscritti dalle organizzazioni più significative, come chiede il ministro del Lavoro Andrea Orlando d’accordo con le categorie.    Il ministro dem, però, è più preoccupato dalla tenuta della maggioranza fino al 2023 che da queste prime scaramucce sul Superbonus, e avvisa che “se la regola sono le mani libere”, come sta accadendo sulla riforma del Csm, “il governo finisce”.    Un nuovo test si avrà in settimana, quando l’Aula della Camera sarà chiamata a votare il decreto sulla proroga dello stato di emergenza Covid e le commissioni si misureranno con gli emendamenti al decreto Milleproroghe. Proprio quella sarà la sede, tra l’altro, per le correzioni al Superbonus. E’ solo rinviato, intanto, lo stress test sulle spiagge. L’esame della mozione di Fdi inizierà domani ma al voto si arriverà solo la prossima settimana. Nel frattempo la maggioranza sta preparando una propria mozione, in attesa di capire come si orienterà il governo che, a breve, dovrebbe produrre un testo con le nuove regole per le concessioni. 

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    M5S: Di Maio, ha peso per sostegno popolare, non per statuto

    “Sono state giornate difficili, che però non devono né abbatterci né rallentare la nostra azione innovatrice”. Lo scrive in un post su Facebook il ministro degli Esteri ed esponente del M5S Luigi Di Maio.  “Le iniziative legali – spiega riferendosi alla battaglia legale in corso su nuovo statuto e leadership di Conte – sono sempre legittime, ma di certo non possiamo farci scoraggiare. Il peso politico di un MoVimento come il nostro deriva dal sostegno popolare, non dalle norme di uno statuto. Chi gioisce per il provvedimento del Tribunale Di Napoli non ha ancora capito questo concetto.La politica va al di là delle questioni tecniche”. 
    “Gli appuntamenti che ci aspettano – dice Di Maio – sono molto importanti. Dobbiamo lavorare a questi obiettivi in maniera compatta, forti della pluralità di idee esistenti nel MoVimento e a sostegno del nuovo corso. A chi dice che siamo morti, rispondiamo dicendo di aggiungersi a chi lo ripete da 10 anni. Noi andiamo avanti”.
       

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    Balneari, la maggioranza lavora a una mozione unitaria

    “Stiamo lavorando ad una mozione unitaria della maggioranza”. Lo dice all’ANSA Piero De Luca, vicecapogruppo del Pd alla Camera a proposito della direttiva Bolkenstein riguardante tra l’altro i balneari, su cui Fdi ha presentato una mozione la cui discussione inizierà domani alla Camera.
    De Luca spiega che in settimana inizierà solo la discussione di questi documenti di indirizzo, dato che la Camera è impegnata su due decreti urgenti, e che la mozione unitaria verrà depositata la prossima settimana quando si inizierà a votare.
    “Fratelli d’Italia – ha detto nei giorni scporsi Giorgia Meloni – sostiene da sempre l’esclusione dei balneari, come degli ambulanti, dalla direttiva Bolkestein. Per questo la prossima settimana verrà discussa la nostra mozione: quel giorno alla Camera vedremo in maniera chiara e definitiva chi sta dalla parte di imprese e lavoratori italiani e chi invece vuole regalare questo patrimonio del nostro turismo agli appetiti di multinazionali e grandi gruppi stranieri”.

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    REPORTAGE/ Kiev mantiene la calma, ma si prepara al peggio

    Il mondo dà l’allarme ma Kiev tenta di mantenere la calma: il traffico scorre regolarmente, si esce in strada, chi va al lavoro, chi fa una passeggiata in famiglia approfittando del clima che, attorno a un grado e con poca neve, da queste parti è considerato gradevole per la stagione. Ma sotto la coltre di apparente normalità, comincia a covare la paura e ci si prepara comunque al peggio: nelle scuole sono state ordinate prove di evacuazione nei rifugi, mentre c’è chi tiene già pronta in casa una valigia con i documenti e gli effetti personali più importanti per essere in grado fuggire in fretta, se la situazione dovesse precipitare da un momento all’altro e la Russia di Vladimir Putin dovesse decidere di attaccare.    Il resto del mondo sembra quasi darlo per scontato, questione se non di ore di pochi giorni, e ogni Paese invita – Italia compresa – i propri cittadini a lasciare il Paese. Il sentimento generale, o per lo meno quello ostentato, è che però l’allarme sia più mediatico che reale, e che faccia presa più in Occidente che tra gli stessi ucraini. “Noi siamo già in guerra dal 2014 – ripetono, quasi all’unisono -. E se Putin dovesse invaderci, siamo pronti”.    Diversi gli scenari presi in considerazione: un’invasione da est, oppure da nord attraverso il confine bielorusso più vicino a Kiev, o ancora un’azione dimostrativa a Odessa sul Mar Nero, fino agli attacchi cybernetici o ibridi. Tra questi si annoverano – riferiscono amministrazioni locali e politici – i falsi allarmi bomba che arrivano con regolarità, tramite email o telefonate, alle scuole o ai supermercati, paralizzando le attività e scatenando la paura tra la popolazione. “Riceviamo email simili una volta a settimana, ma è solo un’altra provocazione russa. Noi manteniamo la nostra tranquillità e cerchiamo di evitare il panico”, commenta con l’ANSA Viktor Kliminsky, segretario del Consiglio comunale di Zhytomyr, città di 260 mila abitanti che nella guerra del 2014 ne ha persi 100, oggi ricordati uno a uno con le loro foto e i loro nomi su un muro in una via del centro.    Anche a Zhytomyr, a 150 km da Kiev e altrettanti dalla Bielorussia – dove Mosca ha ammassato migliaia di truppe con il pretesto di esercitazioni congiunte -, il sabato pomeriggio appare a prima vista quello di sempre. Lungo il corso, si esibiscono gli artisti di strada, un violinista, persino due enormi pupazzi di orso bianco che attirano l’attenzione di tre soldati, senza armi, che si fermano a guardare la loro danza.    “Molti giovani si offrono per arruolarsi”, racconta Kliminsky.    Per le strade di Kiev campeggiano dei manifesti con i volti dei soldati, ragazzi e ragazze, con la scritta: “Gli eroi sono in mezzo a noi”. In uno di questi c’è la foto di una giovane in mimetica ed elmetto, occhi azzurri e lunghe trecce scure: “Natascia Borisoviska, la Mela”, è il suo nome di battaglia, “al fronte dal 2014”. L’invito ad imbracciare le armi ed entrare nelle forze armate è evidente: “Mentre tu leggi questo testo, lei è nell’est per difendere la nostra pace e la nostra possibilità di vivere senza preoccupazioni”, recita ancora il manifesto riferendosi al conflitto ancora in corso con i separatisti russi nel Donbass.    Ruslan Lavlinsky è uno degli sfollati da Donetsk, dove era docente di filosofia. Più pessimista, o realista, oggi si aspetta che Putin possa “attaccare l’Ucraina” da un momento all’altro: “Mi ricordo quando è successo a Donetsk e ho dovuto lasciare la mia città a causa delle ostilità. Tutti cercano di vivere in pace, ma lo spettro della guerra incombe”. Rifugiatosi a Kharkiv, al confine nordorientale del Paese, avverte: “Kharkiv non può non preoccuparsi. I russi si sono già presi il Donbass e la Crimea, perché non dovrebbe accadere di nuovo?”.    

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    Ucraina: militari italiani in 2 missioni fianco Est

    “L’Italia ha già confermato la disponibilità a fornire il proprio contributo, qualora la Nato decidesse in tal senso”. Mentre crescono gli alert su una possibile invasione russa in Ucraina e la Farnesina ha inviato gli italiani a lasciare il Paese, il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ha illustrato martedì scorso in Parlamento la strategia nazionale sulla crisi. E ieri è volato a Riga, in Lettonia, dove opera il contingente italiano schierato nell’operazione Nato ‘Baltic Guardian’. Sempre nell’area Est dell’Europa altri militari italiani operano in Romania con 4 Eurofighter in un’altra missione, ‘Enhanced Air Policing Area South’. Possibile che l’impegno italiano si allarghi presto ulteriormente. Alla ministeriale Nato di martedì e mercoledì prossimi, infatti, si valuterà proposta di prevedere una presenza stabile anche nei paesi del fianco Sud – Est dell’Alleanza e di aumentare l’offerta di assetti aerei.
    Negli ultimi 10 anni all’attivismo russo verso Ovest è corrisposto un progressivo riorientamento in chiave di deterrenza della postura militare della Nato sul fianco Est dell’Alleanza Atlantica. E l’Italia, ha sottolineato Guerini, è pienamente attiva in “queste iniziative di rafforzamento, innalzando le prontezze operative dei propri assetti e incrementando la partecipazione alle attività operative e esercitative”.
    In Lettonia sono presenti 238 militari italiani con 135 mezzi terrestri. ‘Baltic Guardian è operativa dal 2016, in risposta ad una richiesta avanzata alla Nato da parte dei Paesi Baltici e della Polonia. Nel Paese si è appena conclusa l’esercitazione ‘Ajax Strike”, promossa con l’obiettivo di testare e confermare il livello delle capacità operative e di rassicurare la popolazione dei Paesi delle aree di confine. Più a Sud, in Romania, la task force italiana ‘Black storm’ è schierata con 140 militari presso l’aeroporto di Costanza per contribuire a garantire l’integrità dello spazio aereo del Paese.
    Ma la Nato – e di conseguenza l’Italia – gioca la sua partita a scacchi con la Russia anche nel Mediterraneo, dove si è svolta nei giorni scorsi si è svolta l’esercitazione Neptune strike che ha coinvolto la portaerei della Marina Militare ‘Cavour’, insieme a quella americana ‘Uss Truman’ e francese ‘Charles de Gaulle’.
    Nella riunione dei ministri dell’Alleanza del 15 e 16 febbraio si decideranno eventuali modifiche degli schieramenti nel quadrante dell’Europa orientale in risposta alla possibile escalation russa che ha schierato già oltre 130mila militari in prossimità dell’Ucraina.

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    M5s: depositato ieri il ricorso contro la sospensiva

    Depositato dai legali del M5S il ricorso per la revoca della sospensiva emessa dal tribunale di Napoli. Secondo quanto confermano fonti M5s, il ricorso sul provvedimento cautelare che ha in sostanza congelato il nuovo statuto del Movimento e la leadership di Giuseppe Conte è stato depositato ieri. 
    “La situazione è molto più semplice di quella che voi descrivete. La questione è assolutamente burocratica, non politica. Quindi faremo i passi che abbiamo già annunciato, sperando che vadano a buon fine Conte è il leader del Movimento 5 Stelle, non c’è nessuna questione politica’”. Così il presidente della Camera Roberto Fico, rispondendo ai cronisti a margine dell’apertura del Nauticsud a Napoli.   

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    Il Governo Draghi compie un anno, missione rilancio dell'Italia

    Il governo di Mario Draghi compie un anno di vita il 13 febbraio . E’ il sessantasettesimo esecutivo della Repubblica Italiana, il terzo della XVIII legislatura. Per le sue caratteristiche viene definito un esecutivo di unità nazionale, raccogliendo una maggioranza larghissima che va dalla sinistra fino alla Lega di Salvini. 
    E’ entrato nella pienezza dei poteri ottenendo la fiducia al Senato il 17 febbraio 2021 con 262 voti favorevoli, 40 contrari e 2 astenuti, per avere la maggioranza assoluta ne sarebbero bastati 161.
    Mentre alla Camera ha avuto 535 voti favorevoli (ne sarebbero stati sufficienti 316), 56 contrari e 5 astenuti.
    Il successore di Giuseppe Conte si è insediato a Palazzo Chigi il 13 febbraio del 2021, dopo aver giurato al Quirinale nelle mani di Sergio Mattarella. Con due obiettivi fondamentali: superare la drammatica crisi della pandemia covid e aiutare la ripartenza del Paese definendo i progetti, molti infrastrutturali, finanziati con il recovery plan europeo: oltre 220 miliardi complessivi messi a disposizione dall’Ue che il nostro Paese potrà spendere solo sulla base di progetti ben definiti nell’ambito del Pnrr, il Piano Nazionale di ripresa e resilienza.
    Due sfide decisive che il presidente del Consiglio affronta con grande energia, in primo luogo affidando il primo marzo dello scorso anno al generale di corpo d’armata Francesco Paolo Figliuolo il ruolo di commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza COVID19. Un ruolo che ha come base la “mission” prioritaria di avviare e portare a compimento la campagna vaccinale nazionale contro il coronavirus. E poi coinvolgendo tutte le strutture governative (a partire dai ministeri) e le realtà locali in un delicato lavoro di messa a punto di numerosi progetti di opere pubbliche, di cui 45 da centrare tassativamente entro giugno.
    Un vero e proprio tour de force, anche comunicativo, con il premier, i ministri e i tecnici in prima fila per spiegare ai cittadini , regione per regione, città per città, il senso di questa iniziativa. Una missione di “salvataggio” che nel corso di questi mesi ha avuto non poche scosse, soprattutto per le divergenze di vedute tra i partiti dell’eterogenea maggioranza coalizzatasi attorno all’Esecutivo dell’ex Governatore della Bce. Basti pensare alle misure per combattere la pandemia, con la scelta di arrivare ad una sostanziale vaccinazione totale della popolazione: opzione non condivisa da tutti ma alla fine “digerita”, con importanti risultati, anche grazie ad una impostazione definita intransigente. Draghi in alcuni passaggi del suo Esecutivo si è imposto sui partiti, si concorda in diversi settori politici.
    Ha sempre cercato di dare una linea dai contorni definiti alla sua azione. E ciò, nonostante diversi scodamenti sulle misure da prendere. D’altra parte, sono state la pandemia e la paralisi di un sistema politico in difficoltà a dirottarlo su Palazzo Chigi.
    Il suo decisionismo ha fatto evocare a qualcuno lo spettro di un semipresidenzialismo di fatto. Agli occhi dell’Europa Draghi è l’uomo dal quale non si può prescindere, “the lender of last resort” del capitale istituzionale italiano. La sua presenza ai vertici dello Stato – si concorda in Ue, in molte Capitali europee e in ambienti politici ed economici nazionali – è un elemento di stabilità e garanzia per l’attuazione del Recovery Plan. Tutte fiches che in molti in Italia speravano di utilizzare per eleggerlo alla Presidenza della Repubblica al termine del mandato di Sergio Mattarella. E lui, nella tradizionale conferenza stampa di fine anno, da uomo delle istituzioni, anzi da “nonno”(come si è definito) ha ricordato che il suo lavoro era quello di presidente del Consiglio e che qualsiasi decisione sul futuro del governo o sul Colle spettava solo ed esclusivamente alle forze politiche e al Parlamento.
    La partita per il Quirinale ha sicuramente radicalizzato due visioni molto forti, quella di chi voleva l’attuale premier al posto di Mattarella e quella di chi riteneva che la sua missione al Governo non fosse ancora finita. Risultato: Draghi è rimasto a Palazzo Chigi e Mattarella al Quirinale. Una soluzione che alla fine accontenta tutti. E che rilancia l’azione di governo, come si è visto con la riforma del Csm e con l’annuncio di un articolato piano di aiuti per contenere il caro della bolletta energetica. Questa volta con un avvertimento in più a chi in qualche modo sembra ancora tirarlo per la giacchetta per costruirgli un “dopo-Palazzo Chigi”: “SuperMario” non entrerà mai in politica. 

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    Ok alla riforma del Csm, stop alle porte girevoli

    Una nuova legge elettorale, che si conta di poter applicare già al prossimo rinnovo previsto per luglio; nuove regole per il Csm che serviranno ad arginare il correntismo e soprattutto a chiudere le porte girevoli tra politica e giustizia. All’unanimità il Consiglio dei ministri approva la riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario. Una riforma “ineludibile” e “dovuta” ai cittadini “che hanno diritto a recuperare la piena fiducia nei confronti della magistratura”, la cui credibilità è stata scossa dagli scandali, e agli stessi “tantissimi” giudici che “lavorano silenziosamente”. E che servirà a “arginare casi come quello di Palamara”, anche con una magistratura “più severa con se stessa”, come dice nella conferenza stampa a Palazzo Chigi la ministra della Giustizia Marta Cartabia.
    Il parto non è stato affatto semplice. C’è voluta una riunione tra il premier, Cartabia e i capidelegazione, che ha fatto slittare di oltre due ore l’inizio del Consiglio dei ministri per superare i dubbi dei partiti sulla riforma. I più forti erano da parte di Forza Italia, che alla fine ha dato il via libera dopo un’altra riunione, stavolta nella sede del partito, dei suoi ministri con il coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani, con Silvio Berlusconi consultato per telefono.
    Un confronto “non faticoso ma lungo” per il premier Mario Draghi che nella conferenza stampa, pur sottolineando la “condivisione” della riforma, ammette che nella maggioranza ci sono “differenze di opinioni che sono rimaste”, e per le quali “è stato possibile modificare molto marginalmente il testo”. Ma c’è “l’impegno a superarle” e soprattutto la volontà dichiarata da parte “di tutti i ministri a sostenere con i propri partiti questa riforma”. Tutti sono consapevoli che serve un “pieno coinvolgimento delle forze politiche” e proprio per questo, assicura, “non ci saranno tentativi di imporre la fiducia”.
    La parte più innovativa della riforma e che alla fine tanti partiti si intestano (a cominciare dal M5S, che esulta per il ritorno al testo Bonafede) è il blocco delle porte girevoli. Non sarà più possibile a un magistrato svolgere in contemporanea funzioni giurisdizionali e incarichi politici, elettivi e governativi, a livello nazionale e locale (obbligatoria l’aspettativa senza assegno). Nè candidarsi nella regione in cui ha esercitato nei tre anni precedenti. Impossibile anche tornare a fare il giudice o il pm al rientro dal mandato elettorale o da un incarico di governo: in questi casi scatterà il collocamento fuori ruolo presso il ministro della Giustizia o altre amministrazioni. Lo stop dalle funzioni giudiziarie sarà invece di 3 anni per chi si candida ma non viene eletto. E lo stesso trattamento toccherà a fine mandato a chi viene chiamato a ricoprire l’incarico di capo di gabinetto, segretario generale o capo dipartimento di un ministero, ma la regola si applicherà solo agli incarichi futuri. Una norma quest’ultima, che ha suscitato molto dubbi tra i partiti, perchè ritenuta troppo restrittiva, e che la ministra della Giustizia era disponibile a cambiare. Palazzo Chigi ha voluto però che restasse così.
    I componenti del Csm torneranno a 30, come prima della riforma del 2002 : 20 togati e 10 laici. E saranno eletti con un sistema misto, basato su collegi binominali, ma che prevede anche una distribuzione proporzionale di 5 seggi a livello nazionale. Non ci saranno liste, ma candidature individuali. C’è invece il meccanismo del sorteggio per riequilibrare le candidature del genere meno rappresentato.
    Non saranno più possibili le nomine a pacchetto dei capi degli uffici giudiziari, terreno su cui si consumano gli accordi spartitori tra le correnti della magistratura, perchè il Csm dovrà procedere, rispettando il rigoroso ordine cronologico delle scoperture. E gli avvocati avranno per la prima volta diritto di voto nei consigli giudiziari sulle valutazioni di professionalità dei magistrati ma solo se ricorrono precise condizioni.