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    Domani Cdm road map Covid, venerdì taglia-prezzi e rifugiati 

    Si va verso due Consigli dei ministri questa settimana: secondo quanto si apprende da fonti di governo, un primo Consiglio dei ministri si terrà domani, per definire la road map dell’uscita dall’emergenza Covid. E una seconda riunione del Cdm ci sarà poi venerdì pomeriggio, con il decreto ‘taglia-prezzi’ per bollette e carburanti – su cui sono ancora al lavoro Mite e Mef – e le altre misure per fronteggiare l’impatto della guerra in Ucraina, compreso il nuovo intervento per l’accoglienza dei rifugiati.
    “Domani il Cdm definirà un cronoprogramma di uscita dallo stato di emergenza che non verrà rinnovato, ha detto il ministro della Salute, Roberto Speranza, alla Camera. Le Regioni chiedono al governo, “ove le condizioni epidemiologiche lo permettano”, di “ipotizzare l’abbandono delle restrizioni entro Pasqua”. Nel documento inviato al Governo le Regioni chiedono di eliminare le comunicazioni del bollettino quotidiano sui dati Covid, monitorando l’andamento di incidenza e occupazione dei posti letto ospedalieri su base settimanale, di mantenere la misura dell’isolamento solo per i soggetti positivi al Covid e sintomatici e di aggiornare il Sistema di monitoraggio “rispetto al contesto attuale”, semplificandolo ulteriormente. Tra le altre proposte la rimodulazione graduale dell’obbligo del possesso del Green Pass, a partire dall’eliminazione per l’accesso ad attività che si svolgono esclusivamente all’aperto (come la ristorazione), ad eccezione dei contesti che per propria natura sono a rischio di assembramenti (stadi, concerti, parchi di divertimento), per i quali si potrebbe valutare l’introduzione del Green pass base invece di quello rafforzato, per arrivare al suo superamento nelle settimane successive alla scadenza dello stato di emergenza

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    Milioni di rifugiati e aiuti sui treni di Kamyshin

    I cambi di programma dell’ultimo minuto sono all’ordine del giorno, i piani devono essere costantemente aggiornati perché gli attacchi dei russi colpiscono i binari e le stazioni continuamente. Per Oleksandr Kamyshin, 37enne presidente della rete ferroviaria ucraina, evitare la routine che l’esercito di Mosca potrebbe intercettare fa la differenza tra la vita e la morte. Finora, secondo la sua stima, il personale ferroviario ha aiutato a spostare due milioni e mezzo di rifugiati ucraini lontano dai bombardamenti.
    Ma le ferrovie non fanno solo muovere le persone in fuga dalla guerra: consegnano tonnellate di aiuti alle aree del Paese sotto attacco, trasportano le truppe nelle città del fronte e continuano ad esportare tutto ciò che l’Ucraina può produrre in queste condizioni di guerra.
    L’enorme operazione per far spostare esseri umani e merci sta però avendo un alto costo in termini di vite umane: dall’inizio dell’invasione, 33 dipendenti delle ferrovie sono rimasti uccisi sotto i colpi di artiglieria. Lo stesso Kamyshin rischia la pelle ogni giorno: si muove tra una stazione e l’altra circondato dalle guardie del corpo, i russi lo vorrebbero eliminare. “Dobbiamo essere più veloci di quelli che cercano di trovarci. La nostra gente rischia la vita. Va sotto i bombardamenti, continua a salvare la gente”, racconta alla Bbc.
    Nel giro di tre settimane, da quando è stato sferrato l’attacco russo, il presidente della rete ferroviaria è diventato uno degli uomini più importanti dell’Ucraina. Gli è bastata una manciata di giorni per passare dall’organizzazione della riforma del settore ferroviario alla strategia delle operazioni di guerra. “Tutte le persone in Ucraina erano uomini d’affari, agricoltori, professionisti prima che iniziasse l’invasione – osserva -, ora sono tutti in guerra. Tutti noi abbiamo iniziato a fare la guerra”. E la sua vita è balzata in trincea da un momento all’altro, senza il tempo per tornare a casa dalla moglie e i due figli dal 24 febbraio scorso.
    Lui si presenta come un uomo che sta pianificando una lunga campagna: “Invece dei porti marittimi andiamo a ovest – spiega – abbiamo lanciato un programma per trasferire la produzione da est a ovest. Così possiamo spostare persone, idee, piani, forse macchinari per lanciare una nuova produzione a ovest”. Un progetto ambizioso che potrebbe essere essenziale per la sopravvivenza economica del Paese. Del resto la ferrovia è il più grande datore di lavoro dell’Ucraina, con 231.000 dipendenti in 603.470 chilometri quadrati di territorio, il secondo più grande d’Europa.
    Ma intanto Kamyshin, come tutti gli ucraini, ritiene che l’Occidente debba fare di più che fornire armi e aiuti umanitari e vorrebbe che l’alleanza militare della Nato imponesse una no-fly zone. “Questa guerra sarà vinta dall’Ucraina in ogni caso. Continueremo a riparare i binari una volta che il fuoco sarà cessato, terremo i treni in funzione il più a lungo possibile. Non c’è altra opzione per noi”, assicura il presidente della rete ferroviaria ucraina.   

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    Moro: 44 anni fa l'agguato di via Fani

    Sono passati 44 anni dall’agguato di via Fani, nel quale Aldo Moro, presidente della Dc, fu sequestrato dalle Brigate Rosse e i suoi cinque uomini di scorta furono trucidati dal un commando di terroristi delle Brigate Rosse. Era il 16 marzo 1978  
    Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, – comunica una nota del Quirinale – ha disposto la deposizione di una corona di fiori in via Mario Fani dove le Brigate Rosse sequestrarono l’allora Presidente della Democrazia Cristiana uccidendo cinque agenti della sua scorta.  
       “Raffaele Iozzino, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Francesco Zizzi. L’Italia si ferma a ricordare il loro sacrificio in via Fani, il destino di famiglie straziate dalla follia criminale brigatista e i giorni più duri della nostra storia repubblicana”. Lo scrive su Twitter il segretario del Pd, Enrico Letta, nell’anniversario del sequestro di Aldo Moro. 
    “Il 16 marzo 1978 è una data indelebile nella memoria e nella coscienza del nostro Paese. Il rapimento di Aldo Moro si consumò in pochi tragici minuti, a cui seguirono i 55 lunghi e dolorosi giorni della prigionia conclusasi con l’uccisione dello statista ad opera delle Brigate Rosse. Questa pagina tragica della storia del nostro Paese rappresenta un monito costante sui rischi a cui può essere esposta una democrazia, anche solida. Per questo motivo è importante ricordare il sacrificio di Aldo Moro e degli uomini della sua scorta Francesco Zizzi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera, Domenico Ricci e Oreste Leonardi. Non si tratta di un mero omaggio rituale ma l’occasione per ribadire l’impegno nella difesa delle Istituzioni democratiche da possibili nuove derive eversive e nel perseguire altresì la verità e la giustizia sulle vicende degli anni “di piombo”. Aldo Moro diceva che la verità è sempre illuminante e ci aiuta ad essere coraggiosi. Ritengo che questa verità non sia soltanto un atto dovuto nei confronti delle vittime e dei loro familiari, ma anche uno strumento indispensabile per rendere sempre più forte e salda la nostra democrazia”. Lo scrive in una nota il presidente della Camera, Roberto Fico. 
    “Il 16 marzo di 44 anni fa l’intero Paese si fermava davanti al più grave attacco subito dalla Repubblica. L’agguato di via Fani, il rapimento di Aldo Moro e il sacrificio della sua scorta hanno cambiato per sempre la nostra storia. L’Italia non dimentica”. Così in un post il Presidente del Senato Elisabetta Casellati.  
    “L’Italia ricorda la strage di via Fani: il 16 marzo di 44 anni fa le Brigate Rosse rapirono Aldo Moro e uccisero gli agenti della sua scorta. Onoriamo il sacrificio di cinque servitori dello Stato, ci stringiamo alle loro famiglie e ricordiamo una delle pagine più buie della storia repubblicana, purtroppo segnata dalla furia cieca del terrorismo rosso e della violenza politica”. Lo dichiara il presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni.

     

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    Il modello di neutralità di Austria e Svezia

    (ANSA) – ROMA, 16 MAR – Austria e Svezia – i cui modelli sono
    stati evocati oggi da Mosca per l’Ucraina ma rifiutati da Kiev –
    sono arrivati alla scelta della neutralità attraverso percorsi
    politici molto diversi.   
    Quella austriaca fu una scelta condizionata da un compromesso
    politico. Vienna si liberò dell’occupazione di Usa, Gran
    Bretagna, Francia e Urss successiva alla Seconda guerra mondiale
    grazie alla firma, da parte delle potenze occupanti, del
    Trattato di stato del 15 maggio 1955. Un mese prima i sovietici
    avevano chiesto a Vienna di sottoscrivere il Memorandum di Mosca
    con l’obiettivo di impedirle l’adesione alla Nato dopo il ritiro
    alle truppe di occupazione: un percorso analogo a quello
    probabilmente immaginato da Vladimir Putin e messo sul tavolo
    dei colloqui dalla delegazione russa.   
    Il 26 ottobre 1955 fu promulgata a Vienna la Dichiarazione di
    neutralità, un atto costituzionale del parlamento austriaco che
    quindi non poggia, sotto il profilo giuridico, su un accordo
    internazionale. Si tratta di una legge fondamentale dello Stato
    che sancisce l’impegno perpetuo a rimanere fuori da qualsiasi
    conflitto, a non aderire ad alleanze militari e a non ospitare
    sul territorio nazionale basi militari straniere.   
    La Svezia invece, quando scoppiò la Seconda guerra mondiale,
    era neutrale da più di un secolo, dalla fine delle guerre
    napoleoniche, e non prese parte al conflitto anche se nella
    prima fase concesse alcune facilitazioni logistiche alla
    Germania e in seguito, a partire dal 1944, agli Alleati. Una
    posizione ribadita nel 1949 quando Stoccolma si rifiutò di
    entrare nella Nato. Secondo il diritto internazionale, la Svezia
    si è impegnata a una “neutralità convenzionale” e quindi non a
    una neutralità permanente. Come membro dell’Unione europea è tra
    i promotori di un’intensificazione della politica comunitaria di
    difesa e sicurezza e le truppe svedesi – assieme a quelle
    finlandesi, norvegesi, estoni e irlandesi – partecipano al
    battaglione nordico. A partire dal 2015, a seguito
    dell’attivismo militare russo, sono state aumentate le spese
    militari ed è stato rafforzato il dispositivo a difesa della
    strategica isola di Gotland, nel mar Baltico. A seguito
    dell’invasione russa dell’Ucraina ha ripreso quota in Svezia il
    dibattito sull’adesione all’Alleanza anche a seguito dell’invio
    di armi a Kiev. (ANSA).   

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    Lo scoglio della neutralità dell'Ucraina IL PUNTO ALLE 14

     In attesa del nuovo round di colloqui fra Ucraina e Russia, previsto per oggi, spunta uno scoglio cruciale nella trattativa: la possibilità che Kiev, dopo aver rinunciato all’adesione alla Nato, accetti anche uno statuto di neutralità, sul modello dell’Austria o la Svezia. Secondo il Cremlino “è possibile un compromesso”, in base ad una “neutralità smilitarizzata, stile Svezia, con un proprio esercito”. Il ministro degli Esteri Serghei Lavrov parla di “un margine di speranza di raggiungere un compromesso”, sottolinea che uno status di neutralità è “seriamente considerato” e spiega che “questo è ciò che si sta discutendo attualmente”.    Kiev però rifiuta l’idea e dice di aver proposto “un modello di garanzie di sicurezza”, con “un accordo rigido con un certo numero di Stati garanti che si impegnano con chiari obblighi giuridici a prevenire attivamente gli attacchi in Ucraina”.    “L’Ucraina è in uno stato di guerra diretta con la Russia.    Pertanto, il modello può essere solo ucraino”, ha detto il capo negoziatore Mykhailo Podoliak Sul fronte bellico, al ventunesimo giorno dell’invasione le forze militari russe continuano a non avanzare in modo significativo sul terreno, ma sembrano intensificare i bombardamenti sul fronte meridionale, particolarmente contro Odessa e Mariupol, nonché sugli altri centri urbani, in primis Kiev e Kharkiv, dove durante la notte sono stati colpiti vari palazzi residenziali, e si contano almeno due morti.    Secondo il governo locale di Kharkiv – seconda città del Paese – almeno 500 residenti della città sono stati uccisi dall’inizio dell’invasione. Ora è Odessa – terza città e principale porto del Paese – che teme di finire sotto assedio: all’avanzata dei russi da est, una volta che avranno superato la resistenza di Mykolaiv, si aggiunge l’attacco dal mare. Sono 14 le navi russe che si stanno avvicinando, con un dragamine ad aprire la strada. Nella notte sono iniziati i bombardamenti sulle coste a sud della città.    Secondo un rapporto dell’intelligence britannico, per compensare “le continue pesanti perdite” in Ucraina, Mosca sta richiamando rinforzi. “È probabile che la Russia fatichi nelle sue operazioni militari di fronte alla resistenza ucraina” e che dunque “utilizzi queste forze per tenere i territori conquistati e liberare il suo potenziale offensivo per far ripartire operazioni in stallo”, dice il rapporto. Secondo Kiev, in 20 giorni di combattimento le forze di difesa ucraine hanno ucciso dieci membri del comando delle truppe russe: quattro generali, tre colonnelli e tre tenenti colonnelli. Il governo ucraino sostiene inoltre che i russi “hanno deciso di coinvolgere nel conflitto anche i primi cadetti degli istituti di istruzione militare superiore”, perché “hanno perso il 40% delle unità impiegate sul terreno” e “hanno problemi a fornire munizioni alle truppe”.    La Cina sostiene che non sapeva dei piani russi per l’invasione dell’Ucraina e se li avesse conosciuti, “avrebbe fatto il possibile per fermarli”. Lo chiarisce sul Washington Post l’ambasciatore cinese negli Usa Qin Gang, spiegando che dire che Pechino “era a conoscenza, ha acconsentito o tacitamente sostenuto questa guerra è pura disinformazione”. E mentre il presidente americano Joe Biden si appresta ad annunciare oggi lo stanziamento di 800 milioni di dollari in aiuti alla sicurezza per l’Ucraina, probabilmente dopo il collegamento di Zelensky con il Congresso di Washington. La Corte internazionale di giustizia dell’Onu si pronuncerà intorno alle 16.00 sulla richiesta urgente dell’Ucraina affinché la Russia fermi immediatamente l’invasione.    Sono 47.153 i cittadini ucraini arrivati finora in Italia, in grande maggioranza donne (24.032) e minori (19.069), mentre gli uomini sono solo 4.052. Il dato è analizzato in una riunione a Palazzo Chigi sulle misure per l’accoglienza con il sottosegretario Garofoli, i ministri Lamorgese, Franco e Orlando e il capo della protezione civile Curcio. Fonti del governo definiscono “superata” l’ipotesi di nominare un commissario straordinario per la gestione dei profughi, e segnalano che l’assistenza ai rifugiati, sarà garantita attraverso le reti dei centri Cas e Sai – gestite dal ministero dell’Interno – e con l’accoglienza diffusa presso famiglie e in appartamenti, gestita da enti del terzo settore.    

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    Addio a Sergio Canciani, volto Rai dai Balcani e Mosca

    E’ morto il giornalista e scrittore Sergio Canciani, volto noto della Rai per aver seguito per il Tg2 la guerra nell’ex Jugoslavia come inviato e per essere stato corrispondente Rai da Mosca per tredici anni. Cresciuto professionalmente nella redazione regionale della Rai Fvg, Canciani ha scritto numerosi saggi. Era nato a Trieste nel 1946.
    Canciani si è spento nella sua casa, a Trieste. Entrato alla Rai Fvg, prima nella redazione slovena e poi in quella italiana, raccontò i funerali di Tito, la caduta di Ceausescu in Romania, la guerra nell’ex Jugoslavia, l’assedio di Sarajevo, l’evolversi del conflitto nei Balcani.
    Innumerevoli i suoi servizi per per Tg1, Tg2 e Tg3. Alla fine degli anni ’90 divenne corrispondente Rai da Mosca; in Russia rimase fino al 2011, da Eltsin all’arrivo di Putin.
    Quasi profetici i suoi due libri: “Roulette Russia” sulla disfatta dell’ex impero sovietico, e quindi “Putin e il neo-zarismo. Dal crollo dell’URSS alla conquista della Crimea”.Fu tra i primi a capire e a parlare della politica di Putin in Ucraina.

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    Draghi e Mattarella all'anniversario dei Patti Lateranensi

    Il premier Mario Draghi è a Palazzo Borromeo, all’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, per la cerimonia per il 93.mo anniversario dei Patti Lateranensi. A prendervi parte le più alte cariche istituzionali della Repubblica italiana e della Santa Sede. Presente anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Gli incontri governativi bilaterali sono iniziati intorno alle 16.15. A Palazzo Borromeo sono presenti anche diversi ministri: dal titolare degli Esteri Luigi Di Maio al responsabile dell’Istruzione Patrizio Bianchi.
    Un’atmosfera cordiale e sorridente ha caratterizzato l’incontro bilaterale tra le delegazioni di Italia e Vaticano a Palazzo Borromeo, Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, per il 93/o anniversario dei Patti Lateranensi e il 38/o dell’Accordo di modifica del Concordato. Nella sessione intergovernativa, prima ancora quindi dell’arrivo del presidente della Repubblica Sergio Mattarella per l’evento celebrativo, erano seduti fianco a fianco il presidente del Consiglio Mario Draghi e il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, con dietro le bandiere italiana, vaticana e dell’Unione Europea. Su un lato del salone, nella delegazioni italiana, sedevano quindi, tra gli altri, il ministro degfli esteri Luigi Di Maio, quello del Lavoro Andrea Orlando, quello dell’Istruzione Patrizio Bianchi, la ministra per le Disabilità Erika Stefani. Sull’altro lato, nella delegazione vaticana, il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, cardinale Gualtiero Bassetti, il sostituto per gli Affari generali, arcivescovo Edgar Pena Parra, il segretario per i Rapporti con gli Stati, arcivescovo Paul Richard Gallagher. Particolarmente cordiali i momenti delle strette di mano tra il card. Parolin e il premier Draghi e il ministro Di Maio, alla presenza del nuovo ambasciatore italiano presso la Santa Sede Francesco Di Nitto.
    “Confermo che nel corso dell’incontro di oggi pomeriggio particolare attenzione è stata data alla situazione internazionale, con riferimento anzitutto alla guerra in Ucraina, fonte di estrema preoccupazione, e alla crisi in Libano”. Lo ha dichiarato ai giornalisti il direttore della Sala stampa vaticana, Matteo Bruni, in merito alla bilaterale Italia-Santa Sede per la ricorrenza dei Patti Lateranensi. “In tal senso – ha proseguito – si è sottolineata anche la necessità di uno sforzo condiviso per rendere più umane le condizioni di vita dei migranti, particolarmente di coloro che fuggono dalla guerra, anche tramite specifici interventi presso le nazioni di transito o che accolgono rifugiati”. “Tra i vari temi trattati, infine – ha aggiunto il portavoce della Santa Sede -, ci si è soffermati sul prossimo Giubileo del 2025, con l’attivazione di percorsi e servizi in tutta Italia, in collaborazione con la CEI e il Vicariato di Roma, per quanti da pellegrini vorranno raggiungere le basiliche papali nella Capitale.”

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    Verso stop obbligo super green pass sul lavoro per over 50

    Il super green pass potrebbe non essere più richiesto obbligatoriamente agli over 50 sui luoghi di lavoro. A chi ha superato questa soglia d’età, per cui in linea generale l’obbligo resterebbe in vigore, sui luoghi di lavoro potrebbe essere richiesto solo il certificato base. È questo l’orientamento che, a quanto si apprende, sta maturando nel governo, alle prese con la road map per uscire dall’emergenza Covid che potrebbe arrivare presto in Cdm.