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    Vienna contraria all'ingresso immediato di Kiev in Ue

       No all’adesione immediata dell’Ucraina all’Ue, per aumentare l’integrazione tra Bruxelles e Kiev ci sono “altri metodi”. Il ministro degli Esteri austriaco Alexander Schallenberg riaccende il dibattito sull’ingresso dell’Ucraina in Europa e fa capire come, al di là delle dichiarazioni di intenti, il percorso di avvicinamento sarà comunque irto di ostacoli. Anche perché l’Austria non è la sola a frenare. Nelle settimane scorse, ad esempio, una certa prudenza era stata chiesta anche dal governo della vicina Germania. Con un’appendice da non sottovalutare: entrambi i Paesi hanno rapporti molto stretti con quegli Stati dei Balcani Occidentali (Albania, Serbia, Macedonia del Nord) candidati da diversi anni ad entrare nell’Unione.    Le parole di Schallenberg hanno scatenato un putiferio. Kiev ha subito manifestato la sua “delusione” per dichiarazioni che – ha sottolineato il collega ucraino Kuleba – sono “strategicamente miopi e incoerenti con gli interessi di un’Europa unita”. Sui social la posizione dell’Austria è rimbalzata in una manciata d’ore e Vienna, al pari di Berlino e della riluttanza tedesca ad inviare armi pesanti e a porre l’embargo totale sull’energia, è finita sotto il fuoco incrociato di analisti e utenti filo-ucraini di tutta Europa.    Vienna in realtà non ha annunciato alcun veto ma ha spiegato di preferire “modelli diversi alla piena adesione di Kiev”.    Modelli già pronti come un’integrazione dell’Ucraina nella zona economica europea in aeree specifiche come energia o trasporti. L’Ucraina ha concluso la prima parte del questionario Ue per ottenere lo status di candidato. La Commissione Ue sta valutando le risposte e, nelle prossime settimane, invierà la seconda parte del questionario. L’obiettivo del presidente del Consiglio europeo Charles Michel è porre il dossier sul tavolo del vertice dei leader di fine giugno. Di certo, rispetto all’inizio della guerra, la platea di Stati a favore del sì all’Ucraina come Paese candidato è aumentata. Ma, come l’Austria ha mostrato, ottenere l’unanimità non sarà facile. E potrebbero farsi strada delle alternative. Come, ad esempio, quella dell’istituzione di una Confederazione europea suggerita da Enrico Letta nei giorni scorsi e che includerebbe i 9 Stati che vogliono entrare nell’Ue, Ucraina su tutti. 

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    Draghi: 'La vittoria di Macron splendida notizia per l'Europa'

    “La vittoria da parte di Emmanuel Macron nelle elezioni presidenziali francesi è una splendida notizia per tutta l’Europa. Italia e Francia sono impegnate fianco a fianco, insieme a tutti gli altri partner, per la costruzione di un’Unione Europea più forte, più coesa, più giusta, capace di essere protagonista nel superare le grandi sfide dei nostri tempi, a partire dalla guerra in Ucraina.Al Presidente Macron vanno le più sentite congratulazioni del Governo italiano e mie personali”. Lo afferma il premier Mario Draghi dopo la vittoria di Emmanuel Macron all’Eliseo.
    “Siamo pronti da subito a continuare a lavorare insieme, con ambizione e determinazione, al servizio dei nostri Paesi e di tutti i cittadini europei” , ha aggiunto il presidente del Consiglio. 
    I complimenti a Macron arrivano anche dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. “Complimenti e buon lavoro al presidente Emmanuel Macron. È solo con una forte spinta europeista che potremo continuare a portare avanti, tutti insieme, importanti battaglie a sostegno dei cittadini, anche in Europa. Uniti, per un’Ue sempre più coesa”, scrive su Twitter.”Un grande giorno per l’Europa. Grazie al voto dei francesi noi siamo, tutti insieme, più forti”. Lo scrive in francese su Twitter il segretario del Pd Enrico Letta commentando il successo di Macron alle presidenziali.”Complimenti a Marine Le Pen. Sola contro tutti, coerente e sorridente, hai raccolto il voto di 13 milioni di Francesi, una percentuale mai vista in passato. Avanti insieme, per un’Europa fondata su lavoro, famiglia, sicurezza, diritti e sulla libertà”. Lo scrive su Twitter Matteo Salvini.

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    Petrocelli augura buona 'LiberaZione' con Z russa,è caos

     “Per domani buona festa della LiberaZione”. Vito Petrocelli, presidente della Commissione Esteri del Senato già al centro di infuocate polemiche per il suo no al Dl Ucraina, (seguito dalla dichiarazione di non volersi dimettere e di non voler votare mai più la fiducia al governo) torna nell’occhio del ciclone per aver postato su Twitter, alla vigilia del 25 aprile, auguri per la Liberazione utilizzando la ‘Z’ maiuscola ormai simbolo dell’invasione russa all’Ucraina.

    25 aprile: Petrocelli, fa auguri con Z

        “Vito Petrocelli è fuori dal Movimento 5 Stelle. Stiamo completando la procedura di espulsione. Il suo ultimo tweet è semplicemente vergognoso. Il 25 aprile è una ricorrenza seria.    Certe provocazioni sono inqualificabili”, tuona Giuseppe Conte, presidente del M5s, ricordando che per le sue posizioni Petrocelli già era stato messo fuori dal Movimento.    “Sinceramente non ho più parole. Quella tua Z offende chi lotta oggi e chi ha lottato ieri. Quella Z offende la libertà, offende i valori su cui si fonda la nostra democrazia, offende chi è morto per la libertà, anche per la tua. Offende te, senatore della Repubblica nata dalla Resistenza”, si indigna Paola Taverna, vicepresidente del Senato, mentre sul tweet piovono decine di commenti indignati. Come quello del M5s Stefano Buffagni, che insieme ad altri chiede le definitive dimissioni di Petrocelli dalla presidenza della Commissione Esteri del Senato: “Z dal 24 febbraio vuol dire morte, distruzione, terrore, vergogna. Vito Petrocelli oggi deve solo vergognarsi per la tragedia ucraina e per aver infangato il 25 aprile. È fuori dal M5S e deve dimettersi da Presidente di Commissione! Spero abbia un po’ di dignità residua”.    “È veramente una vergogna. Non un errore, semplicemente una vergogna”, si inalbera Ettore Rosato, presidente di Italia Viva, mentre il web pullula di insulti verso il Presidente della Commissione Esteri di Palazzo Madama, orgogliosamente controtendenza e filo Putin. “Da oggi – aveva detto nei giorni del no al Dl Ucraina – sono pronto a non votare più la fiducia su qualunque provvedimento, perché l’atteggiamento del governo su una questione per me rilevante, cioè diventiamo interventisti, non è accettabile ed è la goccia che fa traboccare il vaso”. Alla vigilia del 25 Aprile la nuova provocazione, che in tanti giudicano inaccettabile al punto da invocare un definitivo intervento della Presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati.    

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    Ecco il Macron 2.0, ma il difficile viene adesso

    Nasce il quinquennio Macron 2.0 ma il difficile viene adesso: come mantenere le promesse ambiziose di riforme, a cominciare da quella delle pensioni che infiammò le piazze già tre anni fa? Soprattutto se le elezioni legislative di giugno per rinnovare il parlamento non porteranno al presidente rieletto una maggioranza affidabile. In agguato c’è Jean-Luc Mélenchon, che ha già annunciato il suo progetto di guidare il governo riunendo la sinistra. Il presidente potrebbe rispondere, secondo le analisi di questi giorni, con la creazione del “nuovo grande movimento politico” da lui annunciato la sera della vittoria al primo turno, 15 giorni fa.    En Marche!, il movimento creato da Macron per accompagnarlo nella corsa all’Eliseo di 5 anni fa e per dar vita alla maggioranza, non sembra poter garantire la tenuta di un governo.    Il presidente, nella breve campagna elettorale, ha cercato di attirare soprattutto reduci della sinistra, che a parte i radicali della France Insoumise di Mélenchon sono ormai alla deriva: socialisti, comunisti e anche Verdi, che con Yannick Jadot hanno rappresentato la delusione più cocente delle elezioni in un momento in cui i temi dell’ecologia sono dominanti. In un paesaggio politico completamente disfatto – con i socialisti che fino a 5 anni fa esprimevano il presidente della Repubblica ridotti all’1,7% di Anne Hidalgo, e i Républicains gollisti al 4,78% di Valérie Pécresse – Macron non ha altra scelta che continuare ad attirare fuoriusciti degli ex partiti tradizionali. Con il rischio che accanto ad ex gollisti si ritrovino ex socialisti, ecologisti e centristi.    Nei prossimi giorni, come prassi e come confermato dallo stesso interessato, il premier in carica, Jean Castex, si dimetterà in attesa delle elezioni legislative del 12 e del 19 giugno. Se Mélenchon riuscirà nell’impresa di coagulare i reduci della sinistra e ottenerne l’appoggio, la prospettiva è quella di una coabitazione – presidente centrista e liberal con premier di sinistra radicale – a dir poco problematica. Se Macron darà vita al suo nuovo movimento politico ed ottenesse la maggioranza anche alle legislative, partirebbe il toto-premier: escluso un ritorno di Edouard Philippe, in pole position per il dopo-Macron nel 2027, si fa il nome dell’attuale ministro dell’Agricoltura, Julien Denormandie.    

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    Art.1 guarda al Pd, 'Ma l'alleanza è per cambiare'

    I numeri non gli danno il potere di imporre, ma Roberto Speranza non vuol far la parte di quello che sta lì ad aspettare che il Pd porti con sé Articolo Uno come viene viene. La frattura che nel 2017 portò alla scissione “è superata”, quindi “unirsi” con i dem “sì, anche subito e senza paura, ma per cambiare”, chiarisce il ministro della Salute chiudendo il congresso del suo partito, che lo ha confermato segretario con voto unanime (tranne uno). E poi spiega: l’alleanza progressista di cui potranno far parte Pd e Articolo Uno col M5s “dovrà porre al centro di tutto la questione sociale, che chiede risposte subito”. Se il partito di Enrico Letta resta l’interlocutore privilegiato, c’è sintonia anche con i Cinque stelle. Complice un intervento che ha toccato tutti i temi più “progressisti” fra quelli cari al Movimento, al congresso di Articolo Uno Giuseppe Conte è stato salutato con calorosi applausi e lunghi abbracci.    Il cammino da fare col Pd lo spiega Pier Luigi Bersani: “Letta ha espresso la volontà di fare un passo avanti, ma abbiamo da lavorarci. Noi proponiamo un progetto sociale nuovo. Questo significa mettersi a sinistra sul serio e non rincorrere ubbie centriste. Se le condizioni che chiediamo non maturano entro la fine dell’anno, vedremo nel campo progressista le intese elettorali. Se invece si apre lo spazio di una novità politica, noi siamo desiderosi di valutarle, prenderemo una strada nuova”.    Le ubbie centriste che Bersani non vuol rincorrere sono però quelle con cui Letta ritiene di dover fare i conti – quelle di Italia viva, Azione, Più Europa – per un’alleanza di centrosinistra più larga possibile. Insomma, fra i componenti non c’è ancora intesa sui confini della coalizione. E qua torna in ballo la questione della legge elettorale. Se Enrico Letta non si è sbilanciato, lo ha fatto il suo vice, Peppe Provenzano, che – come anche Articolo Uno – ha auspicato una legge proporzionale e pure un ritorno a una forma di finanziamento pubblico dei partiti. Anche Massimo D’Alema, che il Pd non ama particolarmente, ha detto di condividere “l’idea di portare l’esperienza di Articolo Uno dentro al processo di ricostruzione di una sinistra democratica forte”.    L’ultimo arrivato in quella parte del campo è stato accolto con calore. Conte ha parlato scegliendo bene le parole: “C’è una strada per fare questo percorso insieme, per essere progressisti insieme, lo abbiamo già sperimentato nel Conte 2”. Davanti agli alleati più di sinistra ha poi chiarito la posizione sul voto in Francia: “Trovo vergognoso il tentativo di attribuire al M5s una simpatia lepenista”, un partito di “ispirazione xeneofoba”. Poi ha parlato di salario minimo, Ius Scholae, reddito di cittadinanza. Con due puntualizzazioni che potrebbero non essere piaciute troppo a Palazzo Chigi: “Nessuno mette in dubbio l’europeismo del Movimento, ma è un europeismo critico, non fideistico”. E in Ucraina “non possiamo impegnarci in una forsennata corsa al riarmo o nella via di fornire armamenti sempre più pesanti e offensivi”. Un passaggio, quest’ultimo, che non ha stonato al congresso di Articolo Uno. “Aiutare l’Ucraina per fare la pace – ha detto Speranza – non per fare più guerra”.    L’assiste si è chiusa guardando al 25 aprile – “la festa di tutti gli italiani” – al voto del 2023 e anche al passato. Con le note prima di Bella Ciao, nella versione dei Modena City Ramblers, e poi dell’Internazionale, con i delegati in piedi a cantare. Qualcuno col pugno chiuso.    

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    Erdogan ripropone la mediazione turca IL PUNTO alle 17

     Un colloquio telefonico tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky riapre la possibilità di una mediazione utile a dare una scossa agli stagnanti negoziati Russia-Ucraina. Erdogan infatti ha ribadito la volontà della Turchia di sostenere il processo negoziale, anche con un ruolo di mediazione. Mentre Zelensky, da par suo, ha sottolineato la necessità “dell’immediata evacuazione dei civili da Mariupol, compresa l’acciaieria Azovstal”.    L’Onu chiede a sua volta una tregua “immediata” a Mariupol per evacuare i civili dalla città. “Siamo ispirati dalla resilienza dei cristiani ortodossi in Ucraina di fronte alla brutale guerra di aggressione del presidente Putin. Stiamo continuano a sostenerli e oggi auguriamo a loro e a tutti gli altri che celebrano la Pasqua speranza e un rapido ritorno alla pace”: lo twitta il segretario di stato americano, Antony Blinken, di cui ieri il presidente ucraino ha annunciato la visita a Kiev proprio per oggi.    “Diamo il benvenuto a qualsiasi tentativo di trovare la pace.    E se l’arrivo di papa Francesco potrà contribuire a questo, noi lo aspettiamo. È anche importante che venga a vedere con i suoi occhi cosa è successo qui”. Lo ha detto all’ANSA Andrei Golovin, prete della chiesa ortodossa di Bucha, il paese a nord ovest di Kiev martoriato dai russi, al termine delle celebrazioni per la Pasqua. Far portare la croce a due donne, russa e ucraina, “è una buona idea di unità, ma una delle due parti deve ammettere le proprie colpe e pentirsi”, ha aggiunto riferendosi alla Via Crucis a Roma.    “Il fatto che la guerra in Ucraina sia in corso, che la nostra gente, i nostri bambini vengano uccisi, chiarisce che l’attuale politica delle sanzioni è insufficiente. Nuove sanzioni devono essere imposte costantemente”. Lo ha detto il capo dell’ufficio del presidente ucraino, Andriy Yermak, in un’intervista all’emittente francese TF1, riferisce Ukrinform.    “Il sostegno dell’Ue all’imposizione di un embargo completo su energia, gas e petrolio russi, nonché sanzioni contro tutte le banche russe è molto importante per l’Ucraina” ha sottolineato.    Domani inizia la missione del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che arriverà ad Ankara per incontrare Erdogan per poi andare martedì a Mosca, dove si riunirà con il presidente Vladimir Putin, prima di viaggiare a Kiev giovedì.    Zelensky ha criticato quello che ha definito l’itinerario “illogico” di Guterres. “La guerra è in Ucraina, non ci sono corpi nelle strade di Mosca. Sarebbe logico che prima veda la gente qui e le conseguenze dell’occupazione”, ha spiegato.    A due mesi dall’inizio della guerra gli ingressi di profughi ucraini in Italia hanno superato quota 100mila. Sono 100.306, secondo quanto riporta il sito del Viminale: 51.880 sono donne, 12.426 uomini e 36.000 minori. Le città di destinazione dichiarate all’ingresso in Italia continuano ad essere Milano, Roma, Napoli e Bologna. Dall’inizio della guerra la Germania invece ha accolto 376.124 rifugiati dall’Ucraina.    “Il mese prossimo la Commissione Ue presenterà una nuova strategia sull’energia solare, come parte del pacchetto RePowerEu”. Lo ha annunciato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. “La necessità di energia pulita non è mai stata ovvia come oggi. La guerra scatenata dalla Russia contro Kiev ha ricordato duramente, a noi europei, che la dipendenza dall’energia di Mosca non è più sostenibile. Come possiamo fare affari con chi minaccia l’Europa e porta la guerra ai nostri vicini più stretti?”, ha aggiunto.    

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    L'annuncio di Giachetti: “Ho un tumore, no chiacchiericcio”

     Roberto Giachetti, deputato di Iv, ha annunciato in un post su Fb di essere affetto da un tumore.    “Chi mi conosce – scrive – sa quanto sia sempre stato maniacalmente geloso del mio privato e quindi può immaginare quanto la scelta di questo post sia stata ponderata”.    “Sono giorni, però, – prosegue – che ricevo messaggi preoccupati per i giorni di assenza dalla rassegna stampa su RadioLeopolda. Ieri poi ho capito che qualche amico già lo aveva saputo. Insomma, come probabilmente è normale che sia, la cosa stava già circolando. Ho pensato, quindi, anche per cercare di evitare quel compassionevole chiacchiericcio che non amo per nulla , di comunicarlo io, direttamente, nella semplicità che la cosa rappresenta”.    “Per chi vuole ci sentiamo domani alle 7.30 per la rassegna stampa su RadioLeopolda. Un abbraccio a tutti!”, conclude Giachetti 

       

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    Politica italiana guarda Parigi e gap Macron-Le Pen

    L’esito delle elezioni presidenziali francesi per qualcuno sarà forse scontato, visto l’ampio margine di Emmanuel Macron su Marine Le Pen fotografato dai sondaggi, ma la politica italiana vive la vigilia del voto Oltralpe con una certa agitazione. Le diverse percentuali che otterranno i due contendenti per l’Eliseo rafforzeranno determinate istanze dei partiti all’interno delle coalizioni italiane, con riflessi anche sull’assetto della maggioranza di governo.
    Il presidente del Consiglio Mario Draghi, diversamente dai colleghi tedesco, spagnolo e portoghese – che hanno fatto un endorsemente per Macron – ha mantenuto uno stretto riserbo, stando lontano dagli umori della maggioranza trasversale che lo sostiene. Dopo il primo turno, infatti, se il segretario del Pd Enrico Letta o il leader di Iv Matteo Renzi hanno plaudito alla “pole position” di Macron, Matteo Salvini si è complimentato con Le Pen. Certamente l’attuale inquilino dell’Eliseo è in questo momento il partner più forte di Draghi in Europa e – hanno osservato i commentatori – la sua conferma renderebbe più semplice per il premier italiano portare avanti in Europa alcune istanze fondamentali, a partire dal tetto europeo per il prezzo del gas, fino al debito comune per alcuni investimenti europei.
    Se nel centrodestra la faglia è stata meno clamorosa, nel centrosinistra il chiarimento di Giuseppe Conte venerdì sulla sua iniziale equidistanza tra Macron e Le Pen ha calmato le acque. Letta, pur senza polemizzare, ha ribadito di “tifare” per Macron: “Se vincesse Le Pen – ha detto – finirebbe l’Europa, Putin avrebbe vinto e le forze di destra populiste e antieuropee nel nostro Paese avrebbero una spinta unica e fondamentale”.
    Forse per prendere ulteriormente le distanze dall’iniziale posizione di Conte, Letta ha detto ancora: “Io penso che le elezioni di domani siano un referendum sull’Ue, da una parte c’è chi la vuol distruggere e chi ha ascoltato Putin, cioè la Le Pen, dall’altra chi vuole una Europa più forte e difende il popolo dell’Ucraina. Noi speriamo che vinca Macron”. Intanto, dentro il Pd, l’area riformista, a cui ha dato voce Andrea Marcucci, insiste per evitare l’alleanza con M5s, in sintonia con il leader di Azione Carlo Calenda.
    Dentro al Movimento, tuttavia, l’ala che fa riferimento a Luigi Di Maio, è “macroniana” per i motivi detti da Letta, come ricorda Sergio Battelli, presidente della Commissione della Camera per le Politiche Ue. “In questo momento – ha chiosato il ministro degli Esteri – se vogliamo una Ue forte e che sia in grado di istituire il tetto al costo del gas, che è una battaglia importantissima, è chiaro che a noi serve più europeismo e il sovranismo tende a chiudere gli Stati e a distruggere l’Ue e la Nato”.
    Nel centrodestra se Salvini si è complimentato con Le Pen, tutta Fi spera in un successo di Macron, definito da Silvio Berlusconi “un europeista, un moderato, un uomo che guarda l’Occidente”. Tra gli azzurri si teme che, qualora la forbice tra Macron e Le Pen si restringesse sotto i 10 punti, con la seconda in grado di sfondare parzialmente al centro, Salvini possa essere tentato da una operazione analoga in Italia, con riflessi anche sulla stabilità della maggioranza e dell’esecutivo Draghi. La leader di FdI Giorgia Meloni, invece, nei giorni scorsi ha ribadito di condividere molte delle battaglie della Le Pen , chiosando: “Se arriva al ballottaggio con Macron e il risultato è meno scontato dell’ultima volta vuol dire che le posizioni di Le Pen hanno un consenso in Francia e io ho grande rispetto della democrazia, a differenza di altri”.