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    Il Pd ripresenta il ddl Zan al Senato

    Il Partito democratico torna alla carica in Senato con il ddl Zan, contro i reati di omotransfobia e discriminazione. “Una battaglia mai abbandonata”, sono le parole del leader dem Enrico Letta che ripresenta lo stesso testo, approvato dalla Camera, ma affossato a palazzo Madama esattamente sei mesi fa. Il ddl sarà depositato a palazzo Madama, prima firma la capogruppo dem Simona Malpezzi.    “Nessun ultimatum, nessuna sfida, nessuna bandiera”, scandisce Letta nel corso di una conferenza stampa di presentazione in Senato insieme ai parlamentari Pd, Alessandro Zan, Monica Cirinnà e Simona Malpezzi. L’intenzione, precisa è quella di “riannodare quel filo spezzato”. Si torna dunque in Parlamento e si valuteranno anche eventuali modifiche, assicura, purché non stravolgano l’obiettivo: portare a casa una legge contro i crimini d’odio. Ma bisognerà farlo “entro la fine di questa legislatura, – sottolinea il leader dem – oppure sarebbe una sconfitta”, perché “Il tema dei diritti è nel Dna del Pd”, è “il futuro del partito”. Il Partito democartico intanto organizza agorà digitali per una partecipazione dal basso “dopo questo percorso – spiega Zan – presenteremo proposte da presentare alle forze politiche”.    Una strada in salita, ne sono consapevoli i promotori del testo, che sperano forse di portare dalla loro parte almeno qualcuno tra i gruppi che sei mesi fa hanno sbarrato la strada al provvedimento: Lega, Fdi, Iv e Forza Italia. “E’ stata una pagina brutta del Parlamento” afferma il segretario Letta portando alla memoria, “l’applauso di scherno” che seguì l’affossamento della legge il 27 ottobre scorso in Aula a palazzo Madama. Si è trattato, prova a minimizzare, di “un precipitare della situazione, in molti non si sono resi conto bene di quello che stava accadendo”. Ora il Pd farà affidamento sui “Valorosi rappresentanti della commissione giustizia”, una commissione, che però la stessa Cirinnà definisce “difficile”.    Manca ancora in Italia una legge contro i crimini d’odio, ricordano i parlamentari. “Non ce lo siamo dimenticati come non dimentichiamo le immagini tristi dell’occasione persa al Senato- – ricorda Malpezzi – Il percorso si è fermato tra urla, grida e applausi che hanno fatto giro del mondo. E’ stato fermato, ma non ci siamo fermati noi e il Paese che ha chiesto a gran voce di andare avanti”.    “Finché c’è legislatura c’è speranza, – chiosa infine Zan – una legge contro i crimini d’odio esiste in tutta Europa, tranne n Italia, Ungheria e Polonia. E l’Italia non può diventare l’Ungheria di Orban”. .   

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    Kirill, il patriarca miliardario nel mirino dell'Ue

     In Russia li conoscono come “i due Vladimir di San Pietroburgo”: il presidente Putin, fautore della rinascita della potenza russa, e il patriarca Kirill (al secolo Vladimir Gundjaev), sostenitore del ruolo di Mosca come Terza Roma nella difesa dell’ortodossia cristiana contro la decadenza occidentale, che in tale veste ha benedetto anche la guerra in Ucraina. Ma ad unire i due potrebbero essere presto anche le sanzioni europee.
       Dopo aver preso di mira il capo del Cremlino, l’Ue ha infatti deciso di colpire anche le ricchezze del patriarca, che secondo le accuse dell’opposizione – impossibili da verificare – avrebbe un patrimonio di quattro miliardi di dollari. La Chiesa ortodossa russa ha definito “un’assurdità” tali voci, che parlano di ville sul Mar Nero e yacht, conti bancari in Svizzera e orologi da decine di migliaia di euro. Oltre che le teorie sui metodi che avrebbero permesso al capo dei fedeli di tutte le Russie di accumulare una tale ricchezza. A partire da presunte esenzioni fiscali concesse dalle autorità di Mosca alla Chiesa sulla produzione di birra e tabacco. Le smentite non hanno convinto i funzionari europei, che si sono già messi a caccia delle proprietà da sequestrare.    La Chiesa ortodossa ha reagito affermando che il patriarca non si farà “intimidire” perché proviene da una famiglia di religiosi che per decenni è stata vittima della repressione dell'”ateismo militante comunista” senza per questo cedere.    Anche questa un’affermazione su cui i detrattori esprimono dubbi. Kirill, che è nato nel 1946 nell’allora Leningrado (come Putin) e ha scalato la gerarchia ecclesiastica sotto l’Unione Sovietica, ha mantenuto buoni rapporti con le autorità di quel tempo, al punto di essere sospettato da alcuni di essere stato un vero e proprio agente al servizio del Kgb. Sicuramente non ha mai cercato di mettersi di traverso alle politiche dei leader sovietici, contribuendo così alla collaborazione fra Stato e Chiesa che si è affermata già negli anni precedenti alla caduta del comunismo.    Per molti anni prima di ascendere al patriarcato, nel 2009, Kirill ha intessuto buone relazioni con il mondo cattolico, svolgendo importanti incarichi nel dialogo ecumenico. Ciò che ha attirato su di lui le critiche degli ambienti ortodossi estremisti.
    Quella definizione di “chierichetto di Putin” usata da Francesco deve essergli quindi sembrata un tradimento ancor più bruciante. Ciò ha evidentemente contribuito all’attacco frontale lanciato dalla Chiesa russa al Papa, accusato di avere “travisato” la conversazione a distanza tra i due leader religiosi svoltasi il 16 marzo scorso e di ostacolare un “dialogo costruttivo”.
    Don Stefano Caprio, docente di Storia e Cultura russa al Pontificio Istituto Orientale di Roma, che per 13 anni è stato missionario a Mosca e più volte ha incontrato Kirill, dice all’ANSA che il patriarca, guidato dal suo fiuto politico, ha cercato per molto tempo di mantenere una posizione cauta rispetto alla linea del Cremlino. Almeno rispetto agli ambienti monastici più estremisti da cui proviene il padre Tikhon di Pskov, considerato la guida spirituale di Putin. Nel 2014, per esempio, il patriarca rifiutò di prendere parte alle celebrazioni per l’annessione della Crimea (al quale invece era presente l’arcivescovo cattolico Paolo Pezzi) nel timore di perdere il sostegno degli ortodossi ucraini. Ma l’approvazione per l’invasione dell’Ucraina è tornata a sancire la sua alleanza con Putin: “La Russia non ha mai attaccato nessuno”, assicura Kirill. Semplicemente, “ha protetto i suoi confini”.    

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    Caso Petrocelli, dimessi tutti i 20 senatori della Commissione Esteri

    Secondo quanto si apprende da fonti parlamentari, tutti i 20 componenti della commissione Esteri del Senato – escluso il presidente Vito Petrocelli – si sono dimessi dal loro ruolo, come ulteriore pressing per sbloccare la vicenda del presidente pentastellato Petrocelli, a cui da giorni si chiede di lasciare l’incarico per le sue posizioni sulla guerra in Ucraina. Si tratta dei 4 senatori del M5s tra cui la vicepresidente del Senato, Paola Taverna, i 4 della Lega fra cui Matteo Salvini, i 3 componenti di Fi e altrettanti per il Pd e per il gruppo Misto,Casini (Autonomie), Garavini (Iv),Urso (Fdi).
    A questo punto l’iter prevederebbe un intervento della conferenza dei capigruppo e poi la questione passerebbe di nuovo al vaglio della Giunta del regolamento.
    “Inizio ad avere dubbi che ci sia qualcuno che voglia spingere Il Movimento fuori dal governo”, ha detto Conte a margine della presentazione della scuola politica del Movimento. “Non mi risulta – prosegue – che la norma sugli inceneritori a Roma sia stata spinta da Cingolani: lui non c’entra nulla”.

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    Giovanni Melillo è il nuovo procuratore antimafia, sconfitto Gratteri

    Giovanni Melillo, 61 anni, di Foggia, capo di gabinetto di Andrea Orlando quando era ministro della Giustizia e attualmente capo della procura di Napoli, è il nuovo procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Lo ha nominato a maggioranza con 13 voti il plenum del Csm. Sconfitto il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, che era il suo diretto concorrente.   

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    Dl riaperture: Camera conferma fiducia, 395 sì

    La Camera conferma la fiducia al governo con 395 sì e 46 no sul Dl Riaperture, che contiene la fine dello stato di emergenza ed il superamento delle misure di contrasto al Covid. L’esame del provvedimento è ora sospeso. Riprenderà, come deciso dai capigruppo di Montecitorio, alle 17.30 con l’illustrazione degli ordini del giorno. Domani mattina verranno votati gli ordini del giorno, dopodichè si passerà al voto finale sul testo.
    Il testo approvato a Montecitorio dovrà passare all’esame del Senato, e va convertito in legge entro il 23 maggio. Il decreto legge stabilisce, tra l’altro, la sostituzione la figura commissario straordinario per l’emergenza epidemiologica da Covid-19 con un’unità per il completamento della campagna vaccinale, attiva fino a fine 2022. Arrivano, quindi, allentamenti sull’obbligo di indossare mascherine e green pass, nelle varie formule, validi fino al 30 aprile; allentamenti che sono stati superati dalle nuove misure in vigore dal primo maggio che confermano comunque le misure precauzionali applicate nelle strutture sanitarie e quelle applicate nella scuola dell’obbligo fino alla fine dell’anno scolastico. Tra le norme inserite in commissione, la possibilità della somministrazione presso le farmacie di vaccini anti SARS-CoV-2 e di vaccini antinfluenzali, un incremento della dotazione organica della Lega italiana per la lotta contro i tumori e un’autorizzazione per il medesimo ente allo svolgimento di procedure concorsuali di reclutamento di personale.

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    Csm, 16 maggio sciopero dei magistrati contrari alla riforma

    Si terrà il 16 maggio lo sciopero dei magistrati contro la riforma del Csm. Lo ha deciso la giunta dell’Anm. La decisione è stata presa “in attuazione della mozione approvata dall’Assemblea nazionale straordinaria del 30 aprile scorso”. Si tratterà di un’ “astensione totale dei magistrati dalle loro funzioni, salvi i limiti derivanti dal codice di Autoregolamentazione”. Spiega in una nota la segreteria generale dell’Anm.   

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    Palermo, centrodestra tenta l'accordo unitario

    Siamo molto vicini, l’accordo di massima c’è. Siamo ai dettagli. Il candidato unitario ci sarà quando saranno sciolti tutti i nodi. Franco Miceli (centrosinistra) può stare tranquillo”. Lo dice il leader di Forza Italia in Sicilia, Gianfranco Miccichè, alla fine della riunione del centrodestra, con tutti i dirigenti della coalizione riuniti in un hotel di Palermo. Il confronto proseguirà domani.”Nel corso della riunione abbiamo parlato solo di programmi per Palermo e non di assessorati, comunque il via libera all’accordo unitario deve includere l’ok al Musumeci-bis”. Così fonti di FdI a conclusione del vertice del centrodestra sulle Comunali di Palermo.

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    Caso Petrocelli, verso azzeramento della commissione

    Il Senato stringe l’assedio contro il presidente della commissione esteri Vito Petrocelli. Se non farà il primo passo per abbandonare la sua carica, la maggior parte dei senatori della commissione si dice pronta alle dimissioni di massa. Mentre ancora questa mattina Petrocelli arroccato nella sua posizione scriveva sui social: “Non mi dimetto perché sento di rappresentare la Costituzione e la volontà degli italiani” e la capogruppo 5s Mariolina Castellone ribadiva “non farò forzature, deciderà Casellati”, a palazzo Madama si delineava quella che, per ora, appare come l’unica strategia possibile per aggirare tutti i contrasti creati dalle posizioni filo-putiniane di Petrocelli che hanno messo i imbarazzo la maggioranza e il M5s: l’abbandono da parte dei commissari. Sul tavolo del presidente Casellati, nei giorni scorsi, sono arrivate due lettere con l’obiettivo di uscire dalla palude, una dai membri della commissione Esteri e l’altra dal presidente della Commissione Affari europei. L’individuazione di un percorso possibile arriva però nel pomeriggio, alla fine di una lunga capigruppo e di una successiva riunione della Giunta del Regolamento. Per poter intervenire, fanno sapere al termine della Giunta, servono fatti concreti. E a quanto si apprende, ci sarebbe già un tacito accordo per cavalcare le dimissioni in blocco della commissione non appena ci saranno. Tanto che sono già state delineate le tappe che porteranno all’azzeramento della commissione e di Petrocelli: una volta arrivate le dimissioni – per ora solo il senatore Emanuele Dessì del nuovo gruppo parlamentare Cal è contrario – i presidenti dei gruppi dovranno formalizzare l’intento di non sostituirli con colleghi di partito. A questo punto la presidente Casellati e la Giunta per il regolamento, sarebbero disposti a sostenere lo scioglimento della commissione stessa per l’impossibilità di poter continuare a svolgere i suoi compiti, in un momento così delicato determinato dalla guerra in Ucraina. Subito dopo si procederà alla ricomposizione con la nomina di un nuovo presidente. La vicepresidente della commissione, Laura Garavini, ha già fatto il primo passo con una lettera di dimissioni al suo capogruppo Davide Faraone. Intanto la commissione Esteri presieduta da Petrocelli continua a riunirsi, domani è convocata alle 10 e questo irrita FdI che accusa la maggioranza di essere “ambigua”: “A parole vuole le dimissioni – lamenta un comunicato del gruppo – ma nei fatti corre a garantire il numero e il funzionamento della Commissione stessa”.