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    Gli incidenti di percorso, da Ratisbona a Vatileaks

    Dalla lezione di Ratisbona al caso Vatileaks, dalla ‘riabilitazione’ di un vescovo negazionista all’intervento ‘negato’ all’Università La Sapienza, i quasi otto anni di pontificato di Benedetto XVI, fino alla sua storica rinuncia, hanno coinciso con un periodo di forti turbolenze per la Chiesa, di crisi nei rapporti esterni, dovute in parte ad alcuni incidenti di percorso che hanno segnato la permanenza del Papa tedesco sul soglio di Pietro.    La stessa strenua lotta contro la piaga della pedofilia, la “tolleranza zero” ordinata con merito proprio da papa Ratzinger, da un punto di vista mediatico fu paradossalmente quasi un’arma a doppio taglio, con lo scandalo degli abusi propagatosi a tali livelli quasi da travolgere l’immagine della Chiesa nel mondo.    IL DISCORSO DI RATISBONA – Come una pericolosa ‘gaffe’ (anche se da molti rivalutata negli anni successivi) fu vista la lectio magistralis tenuta da Benedetto XVI il 12 settembre 2006 all’Università di Ratisbona durante il suo viaggio in Baviera.    La citazione di una frase dell’imperatore bizantino Manuele II Paleologo a proposito della guerra santa – “Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava” – provocò nel mondo islamico violente reazioni perché ritenuta offensiva, con massicce proteste di piazza. Successivamente il Papa, durante un Angelus trasmesso anche da Al Jazeera, disse di essere “vivamente rammaricato per le reazioni”, specificando di non condividere il pensiero espresso nel testo citato a Ratisbona e invitando l’Islam al dialogo. La crisi però durò a lungo. Altre frasi di Ratzinger sulla necessità di una protezione internazionale dei copti in Egitto determinarono la rottura del dialogo con l’Università di Al-Azhar del Cairo, massimo istituto dell’Islam sunnita, dialogo riallacciato poi solo sotto il pontificato del successore, papa Francesco.    LA LEZIONE ‘NEGATA’ ALLA SAPIENZA – Il 15 gennaio 2008, su richiesta del rettore dell’Università di Roma “La Sapienza”, il Papa fu invitato ad intervenire all’inaugurazione dell’anno accademico. Tale scelta fu criticata da 67 docenti dell’ateneo, il che portò la Santa Sede a declinare l’invito e suscitò forti polemiche nel mondo politico, giornalistico e universitario.    LA ‘RIABILITAZIONE’ DEL VESCOVO NEGAZIONISTA – Un ‘incidente’ col mondo ebraico fu causato da un passo compiuto da Benedetto XVI nel cammino di riavvicinamento con gli ultra-tradizionalisti scismatici seguaci del vescovo Marcel Lefebvre. Il 21 gennaio 2009 il Papa concesse la remissione della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani e nello stesso giorno la tv svedese Svt rese pubblica un’intervista in cui uno dei quattro, il britannico mons. Richard Williamson, professava una posizione negazionista della Shoah. Il Gran Rabbinato di Israele rimandò subito alcuni incontri col Vaticano. Sollecitato da più parti, il Pontefice nell’udienza generale del 28 gennaio pronunciò parole chiare per contestare ogni forma di negazionismo, esprimere solidarietà agli ebrei e ribadire la volontà di continuare nel dialogo.    Critiche sulla vicenda giunsero al Papa anche da Angela Merkel.    Il 4 febbraio, una nota della Segreteria di Stato vaticana definì “assolutamente inaccettabili e fermamente rifiutate dal Santo Padre” le posizioni di mons. Williamson, “non conosciute” dal Pontefice “nel momento della remissione della scomunica”.    IL CASO VATILEAKS, IL MAGGIORDOMO ‘INFEDELE’ – Un’eco mondiale senza precedenti ebbe nel 2012 lo scandalo della fuga di documenti riservati del Pontefice, molti dei quali rivelavano trame e casi di corruzione in Vaticano, trafugati direttamente dalla segreteria del Papa dal maggiordomo ‘infedele’ Paolo Gabriele, il laico più vicino al Pontefice, e finiti nel libro “Sua Santità” di Gianluigi Nuzzi. Il 24 maggio, pochi giorni dopo l’uscita del libro, ‘Paoletto’ – così veniva chiamato nella famiglia pontificia – fu arrestato dalla Gendarmeria e rinchiuso in cella in Vaticano. “Gli eventi degli ultimi giorni riguardo alla Curia e ai miei collaboratori hanno portato tristezza nel mio cuore”, disse Ratzinger nell’udienza generale del 30 maggio.    Dopo un processo durato quattro udienze, Gabriele fu condannato a un anno e sei mesi di reclusione. Condannato a due mesi (sospesi) in un separato processo anche il tecnico informatico della Segreteria di Stato Claudio Sciarpelletti. Il 22 dicembre Benedetto andò a trovare in cella l’ex aiutante di camera e gli diede la grazia. Mancavano meno di due mesi a quell’11 febbraio 2013 in cui, davanti ai cardinali attoniti, rinunciò al Papato.    LA LETTERA ‘SBIANCHETTATA’ DA VIGANO’ – Tra gli incidenti di percorso, ma successivi alle dimissioni, può annoverarsi la lettera riservata che il Papa emerito inviò nel gennaio 2018 all’allora prefetto della Segreteria per la comunicazione, mons.    Mario Edoardo Viganò, con cui rifiutava di scrivere una “breve e densa pagina teologica” come introduzione alla collana in 11 volumetti “La teologia di papa Francesco” in uscita per la Lev, curata dal futuro arcivescovo di Torino Roberto Repole. Nella lettera, tra l’altro, Ratzinger esprimeva giudizi su un teologo tedesco a lui avverso e inserito tra gli autori della collana, dicendosi anche sorpreso per questo. All’uscita della pubblicazione, nel marzo successivo, Viganò rese però pubblica solo una parte della missiva – il resto era sfocato nella foto o nascosto -, quella dove Ratzinger descriveva papa Bergoglio come “uomo di profonda formazione filosofica e teologica” e sottolineava “la continuità interiore tra i due pontificati”.    Che il testo non fosse completo venne tuttavia alla luce in brevissimo tempo e, tra aspre polemiche, la lettera fu pubblicata integralmente, ma Viganò dovette dimettersi. (ANSA).   

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    I politici, lo Ior e il fardello di essere Papa

    Dai politici allo Ior, dalla sua elezione a Papa alla rinuncia, passando per i giorni dell’infanzia e arrivando anche a Papa Bergoglio. Può considerarsi un vero e proprio testamento spirituale il libro-intervista di Benedetto XVI con Peter Seewald “Ultime conversazioni” del 2016, al quale seguirono altre ‘confessioni’ con l’amico giornalista contenute nella corposa biografia pubblicata nel 2020.    Tra gli argomenti affrontati, il Papa emerito, con molta umanità, aveva parlato anche della sua morte. Paura? gli aveva chiesto il giornalista tedesco. “Per certi versi sì”, aveva confidato Ratzinger informando di avere comunque già steso il suo testamento “definitivo”. E aveva aggiunto che avrebbe voluto che sulla lapide fosse scritto il solo nome.    Ma Benedetto XVI rivelò anche le sfaccettature più nascoste dei suoi giorni da Papa: per esempio la sua insofferenza per le visite dei politici, o la questione Ior che era “un punto di domanda”. Disse anche che non si aspettava l’elezione di Bergoglio.    In quelle pagine si ritrova anche il suo lungo, e non sempre facile, rapporto con Papa Wojtyla, ma anche dettagli più intimi come il fatto che amasse dormire, o che fosse da anni cieco da un occhio.    Ratzinger dunque si è aperto al suo biografo con grande sincerità e naturalezza, ridendo durante la conversazione, diverse volte. Come quando raccontò della zia che fece ‘marameo’ ai nazisti che passavano su un treno. Ma anche piangendo, quando ricordò le campane che lo salutarono nel momento in cui, dopo la rinuncia, lasciò in elicottero il Vaticano per ritirarsi a Castel Gandolfo.    Nel trarre un bilancio del suo pontificato aveva detto: “Il governo pratico non è il mio forte e questa è certo una debolezza. Ma non riesco a vedermi come un fallito”. Però confermò quanto già tutti sapevano, ovvero la fatica, lui, che pensava che sarebbe stato per tutta la vita solo un professore, di essere a capo della Chiesa cattolica. Ci sono state “belle esperienze”, aveva avuto anche la consapevolezza di “essere sostenuto”. “Ma è stato naturalmente sempre anche un fardello”, ammise Ratzinger.    Una grande libertà espresse infine in quelle parole su Papa Francesco. “Nessuno – disse il Papa emerito – si aspettava lui.    Io lo conoscevo, naturalmente, ma non ho pensato a lui”. Sempre su Papa Francesco disse di apprezzare il suo modo di stare con la gente ma “mi chiedo quanto potrà andare avanti” a “stringere ogni mercoledì duecento mani o più”, diceva il Papa emerito così riservato, così diverso nel rapporto con le folle rispetto al Papa argentino. (ANSA).   

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    La lotta agli abusi, lo scandalo che rischiò travolgere Chiesa

    Benedetto XVI è stato il primo Papa ad avviare una campagna di “tolleranza zero” per sradicare il fenomeno della pedofilia nel clero e per punire i colpevoli, compresi i vescovi ‘omertosi’. Fu lui – a cui, all’epoca ancora cardinale, si deve la clamorosa denuncia della “sporcizia nella Chiesa” nella Via Crucis del 2005 – a portare a sentenza l’annoso processo sul ‘caso Maciel’, il fondatore dei Legionari di Cristo. E fu lui a volere massima trasparenza su ogni caso, contro la prassi degli insabbiamenti delle denunce di abusi e dei semplici spostamenti dei pedofili da una diocesi all’altra.    L’emergere di sempre nuove vicende risalenti ai decenni passati (una lambì la stessa figura del Pontefice, per il cambio d’incarico a un prete pedofilo quand’era arcivescovo a Monaco) fece però divampare ancora di più lo scandalo a livello globale.    Il Papa indirizzò anche una lettera “ai cattolici d’Irlanda”, Paese tra i più colpiti. Ma nell’estate del 2011 l’uscita delle relazioni governative sugli abusi nelle diocesi d’Irlanda innescò perfino una crisi diplomatica con Dublino.    La forte spinta anti-pedofili da parte di Benedetto XVI, insomma, sembrò diventare un’arma a doppio taglio, che s’infiammò ancora di più negli anni successivi con le uscite delle varie indagini indipendenti o governative in diversi Paesi europei, in singole diocesi, come pure negli Stati Uniti.    Lo scandalo, all’inizio del 2010, investì anche la Chiesa tedesca e in marzo arrivò a sfiorare lo stesso Benedetto XVI, già arcivescovo di Monaco di Baviera dal 1977 al 1982: proprio in quel ruolo, l’allora cardinale Joseph Ratzinger accettò nel 1980 di accogliere nella sua diocesi, da quella di Essen, al solo scopo di farlo curare, un sacerdote sospettato di molestie sessuali su minori. Secondo la ricostruzione fatta dalla diocesi di Monaco, l’allora vicario generale della capitale bavarese, mons. Gerhard Gruber, decise però di affidare al religioso, definito retrospettivamente come “padre H.”, un ruolo pastorale in una parrocchia. Ciò senza avvertire il suo superiore, ovvero lo stesso Ratzinger. Il sacerdote si rese poi responsabile di nuovi crimini di pedofilia tanto che nel 1986 il tribunale dell’Alta Baviera lo condannò a 18 mesi di carcere e a una multa di 4 mila marchi tedeschi.    Immediatamente, sia il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, sia l’arcivescovado di Monaco sostennero l’assoluta estraneità di Benedetto XVI a quanto accaduto. Lo stesso ex vicario generale, mons. Gruber, si assunse ogni colpa, con una dichiarazione pubblicata sul sito diocesano.    Ma il caso tornò a galla nel gennaio 2022, quasi nove anni le dimissioni di Benedetto XVI – intanto nel 2019 suscitò non poche polemiche un suo testo sulla pedofilia nella Chiesa, da lui collegata al “collasso morale” della rivoluzione sessuale del ’68 – con l’uscita del rapporto indipendente sugli abusi sessuali nell’arcidiocesi bavarese, che ha accusato Ratzinger di “comportamenti erronei” nella gestione di singoli casi.    Tra l’altro, in quei giorni l’autodifesa del Papa emerito conobbe uno spiacevole inciampo quando dovette correggere una sua dichiarazione essenziale rilasciata in relazione al dossier.    Contrariamente al suo precedente resoconto, infatti, Ratzinger partecipò alla riunione dell’Ordinariato il 15 gennaio 1980, durante la quale si parlò del prete giunto da Essen che aveva abusato di alcuni ragazzi ed era venuto a Monaco per una terapia. Tuttavia, dichiarò il segretario particolare mons.    Georg Gaenswein, nell’incontro in questione “non fu presa alcuna decisione circa un incarico pastorale del sacerdote interessato”.    Piuttosto, la richiesta fu approvata solo per “consentire una sistemazione per l’uomo durante il trattamento terapeutico a Monaco di Baviera”. La questione che restava in piedi, però, era che Benedetto sapeva del prete accusato di pedofilia, anziché il contrario. In seguito, al prete fu affidata la cura delle anime e continuò nei suoi comportamenti. E l’accusa che veniva rivolta all’allora arcivescovo Ratzinger era di non aver preso alcun provvedimenti affinché ciò non accadesse.    Un’accusa che è costata all’ormai 95/enne Ratzinger anche una denuncia sporta in sede civile al Tribunale provinciale di Traunstein, nella Baviera tedesca, da un uomo che ha riferito di aver subito gli abusi proprio dal recidivo H. nella località di Garching an der Alz. Il Papa emerito, agli inizi di novembre 2022, ha anche accettato di difendersi nella causa insieme agli altri tre denunciati: oltre al prete già condannato penalmente, anche il cardinale Friedrich Wetter, successore di Ratzinger sulla cattedra di Monaco, e l’arcidiocesi stessa. Se non si fosse dichiarato disposto alla difesa, il Pontefice emerito, nella quiete dell’ex monastero Mater Ecclesiae, avrebbe rischiato una condanna in contumacia. (ANSA).   

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    Il flash ANSA dell'11 febbraio 2013 che fece giro mondo

    Era un giorno festivo per il Vaticano, quell’11 febbraio del 2013. Si ricorda come ogni anno, a parte la Madonna di Lourdes, l’anniversario dei Patti Lateranensi, e l’orario degli uffici è ridotto. Nella sala stampa della Santa Sede non c’è il ‘pienone’ non solo per questo motivo ma anche perché l’unico appuntamento della giornata è un Concistoro di routine per fissare la data in cui verranno proclamati santi i martiri di Otranto. Ma quell’appuntamento ha una coda inaspettata che cambia il corso della storia della Chiesa, ma forse anche della storia in generale.    Papa Ratzinger parla ai cardinali in latino per dire loro che non sono stati convocati solo per quelle canonizzazioni: “Conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata ad cognitionem certam perveni vires meas ingravescente aetate non iam aptas esse ad munus Petrinum aeque administrandum” (“Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino”). Pronuncia dunque due parole chiave, “ingravescente aetate”, che richiamano il provvedimento di Paolo VI del 1970 che poneva un limite di età per i vescovi. E ora Benedetto XVI sente che quel limite chiama anche lui.    Ad informare il mondo di questa decisione, senza precedenti da otto secoli, è un flash dell’ANSA delle 11.46. Nel box, questo in gergo il nome della postazione delle agenzie nella sala stampa vaticana, c’è in quel momento Giovanna Chirri che capta la gravità di quelle due parole in latino ed annuncia la notizia al mondo.    Era una decisione meditata da tempo, come si scoprirà in seguito, e Papa Benedetto indica nel 28 febbraio la fine della data del suo pontificato e chiede che venga indetto un conclave.    Il Papa ha il volto stanco ma anche molto sereno quando afferma che vuole annunciare “una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa”.    La prima reazione è quella di uno dei cardinali presenti al Concistoro, il decano Angelo Sodano”Un fulmine a ciel sereno”.    Un commento tempestivo arriva dall’allora premier italiano Mario Monti che alle 12.11 (secondo l’ora della notizia ANSA) dirà’ di essere “molto scosso da questa notizia inattesa”. Sarà lo stesso commento ripetuto poi nella giornata centinaia di volte perché nessuno, neanche all’interno della stessa Chiesa, poteva attendersi una notizia simile. Nel giro di pochi minuti anche Piazza San Pietro comincia a riempirsi di fedeli increduli.    L’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano commenta: ”Un grande coraggio e da parte mia grandissimo rispetto”.    L’allora portavoce di Ratzinger, padre Federico Lombardi, tiene una conferenza stampa ed esordisce: ”Il Papa ci ha preso un po’ di sorpresa”.    Il resto è storia con tutte le emittenti del mondo, dalla Rai alla Bbc, dalla Cnn ad Al-Jazeera, che cambiano i palinsesti e diventano una lunga all-news per cercare di capire che cosa c’è dietro questa decisione e che cosa succederà. I siti di tutti i giornali del mondo rilanciano per la giornata la notizia “appresa dall’ANSA”.    Arrivano i commenti dei capi di Stato, tra i quali anche quello del presidente Usa Barack Obama, degli altri leader religiosi, di intellettuali e gente comune. Non manca in quelle ore qualche nota di alleggerimento dal mondo dello spettacolo. A Sanremo c’è la conferenza stampa del Festival che comincerà il giorno dopo. Luciana Litizzetto commenta: ”Non so se avete sentito, si è dimesso il Papa e io propongo Fabio Fazio come camerlengo”.

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    Ratzinger Papa emerito, la coabitazione col successore

    La storica rinuncia di Benedetto XVI, primo Papa a dimettersi da sei secoli – l’ultimo era stato Gregorio XII nel 1415 -, e la sua decisione di restare a vivere nella Città Leonina, seppur appartato nell’ex monastero Mater Ecclesiae, determinarono una situazione davvero senza precedenti: per la prima volta in duemila anni di storia della Chiesa due Papi si trovavano a coesistere in Vaticano.    Joseph Ratzinger, tra l’altro, pur avendo abbandonato il pontificato, non volle essere chiamato “vescovo emerito di Roma”, come consigliato da alcuni canonisti, scegliendo per sua stessa decisione la denominazione di “Papa emerito” o “Romano Pontefice emerito”, mantenendo anche la veste bianca, per quanto senza mantellina, e il titolo di “Sua Santità”. Comunque la ‘coabitazione’ col successore, papa Francesco – cui al momento stesso di lasciare il papato alla fine di febbraio del 2013, aveva promesso “obbedienza” -, è stata per alcuni anni senza scosse, di armonia pubblicamente perfetta, priva assolutamente di ingerenze nel governo della Chiesa come di atti o dichiarazioni che potessero in qualche modo mettere in dubbio l’autorità o le decisioni del Pontefice in carica. Vivere “nascosto al mondo”, dedito allo studio, alla meditazione e alla preghiera, era stata l’intenzione annunciata dal Papa dimissionario: una linea che ha sempre mantenuto, con discrezione ‘bavarese’, interrotta solo dalle poche uscite pubbliche, e nel 2016 da un paio di interviste e soprattutto dall’uscita del libro-testamento, “Ultime conversazioni”, ampio domanda e risposta col giornalista tedesco Peter Seewald che aveva già realizzato con lui “Luce del mondo”.    A costituire un ‘caso’ – Ratzinger aveva già quasi 93 anni – fu però l’uscita nel gennaio 2020, prima in Francia e poi in Italia, del libro con il cardinale prefetto per il Clero, Robert Sarah, “Dal profondo del nostro cuore”, testo in cui i due autori proclamavano le loro tesi radicalmente contrarie a ogni innovazione sul celibato sacerdotale. C’era appena stato il Sinodo sull’Amazzonia, in cui i vescovi avevano votato a maggioranza la possibilità di forme di sacerdozio uxorato, cioè il conferimento del presbiterato a persone sposate, proprio per far fronte alle esigenze pastorali nelle impervie e sterminate lande amazzoniche. Papa Bergoglio stava allora redigendo l’esortazione post-sinodale e si era in attesa delle sue decisioni sul tema, tanto che l’uscita del libro a quattro mani – Ratzinger però a un certo punto tolse la sua firma come co-autore – sembrò un tentativo di condizionare le scelte del Pontefice in carica. Tentativo che, alla prova dei fatti, riuscì, dal momento che nella sua ‘Querida Amazonia’ papa Francesco scelse di non aprire ad alcuna innovazione sul celibato, rinviando ad ulteriori elaborazioni e riflessioni.    Da parte sua, papa Francesco ha manifestato in ogni situazione un rispetto filiale per il suo predecessore, manifestandogli anche vicinanza con frequenti chiamate o visite.    “E’ come avere il nonno saggio in casa”, ha detto più volte per riconoscere il coraggio e il sostegno che gli dava poter avere vicino a sé la “saggezza” e l'”esperienza”, oltre che la sterminata cultura teologica del Papa emerito. A cui riconosceva anche di aver aperto con la sua coraggiosa rinuncia, “atto di governo della Chiesa”, una strada nuova: quella appunto dei “Papi emeriti”, che prima non esistevano, e che invece ora, col prolungarsi della vita e con eventuali decisioni analoghe a quelle di Ratzinger in momenti in cui l’età avanzata e il venir meno delle forze spingessero futuri Papi alle dimissioni, diventavano una figura da mettere in conto e anche da riconoscere canonicamente. A papa Benedetto, tra l’altro, Francesco riconosceva di essere stato colui che aveva aperto la lotta senza quartiere contro la pedofilia, già portando avanti il ‘caso Maciel’ (fondatore dei Legionari di Cristo) da cardinale, contro tutto e tutti, quando “non aveva forza per imporsi”.    Questa ‘convivenza’ di manifesta sintonia fu sottolineata da ripetuti incontri: due immagini su tutte, quella del 23 marzo 2013 quando il neo-eletto Francesco si recò in visita a Castel Gandolfo al Papa da poco ‘emerito’, che gli affidò in consegna lo scatolone con l’inchiesta ‘Vatileaks’ fatta dai suoi tre cardinali-007 Herranz, Tomko e De Giorgi, e quella dell’8 dicembre 2015, giorno di apertura del Giubileo straordinario della Misericordia, quando Francesco e Benedetto XVI varcano insieme, uno dopo l’altro, la Porta Santa di San Pietro. Essa, però, non impedì che attorno alla presenza dei due Papi si alimentassero le nostalgie dei ‘ratzingeriani’ avversi alle innovazioni e alle riforme del successore, dei vari ‘sedevacantisti’, che ritenevano le dimissioni di Benedetto XVI non valide perché date non liberamente, come pure ritenevano non valida l’elezione di Bergoglio per una votazione annullata a causa della presenza di una scheda in più. Fecero discutere nel maggio 2016 anche le dichiarazioni del segretario di Ratzinger e prefetto della Casa Pontificia, mons. Georg Gaenswein, sul “ministero (petrino) allargato con un membro attivo e uno contemplativo”, che vedrebbe Benedetto XVI “come se avesse fatto un passo di lato per fare spazio al suo successore e a una nuova tappa nella storia del Papato”. Dichiarazioni in qualche modo esplosive, che ridiedero, anche se brevemente, non poca linfa ai detrattori di Bergoglio. Ma fu proprio lui, interrogato il mese dopo dai giornalisti sul volo che lo riportava a Roma dall’Armenia, a porre fine alle polemiche. “Ho sentito – disse a proposito del Papa emerito -, che alcuni sono andati lì a lamentarsi perché ‘questo nuovo Papa…’, e lui li ha cacciati via! Con il migliore stile bavarese: educato, ma li ha cacciati via”. “Ma c’è un solo Papa”, aggiunse con decisione, parlando del predecessore come di “questo grande uomo di preghiera, di coraggio che è il Papa emerito – non il secondo Papa – che è fedele alla sua parola e che è un uomo di Dio. E’ molto intelligente, e per me è il nonno saggio a casa”.    

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    Vita di Ratzinger, l'infanzia in Baviera e la rinuncia

     E’ stato soprattutto un fine teologo Joseph Ratzinger, che il 19 aprile del 2005 fu eletto Papa e scelse il nome di Benedetto XVI. Arrivava da una famiglia comune, con il papà poliziotto e la mamma cuoca, la quale ben presto però lasciò il lavoro per dedicarsi alla famiglia. Ratzinger era nato a Marktl am Inn, nel cuore della cattolicissima Baviera, il 16 aprile del 1927.    Raffinato teologo, grande studioso, uomo timido, sembrava non essere destinato ad un ruolo di guida di tale portata. Ma invece fin dai tempi della Congregazione per la Dottrina della Fede era divenuto uno dei cardinali punto di riferimento per tutta la Chiesa nel mondo. Chiunque lo ha conosciuto da vicino riferisce di una grande capacità di ascolto che ha mantenuto anche negli anni susseguenti alla rinuncia, con il Monastero Mater Ecclesiae divenuto un un punto di riferimento per tutti coloro che erano alla ricerca di un consiglio, di una parola, una benedizione.    Maestro nel predicare in modo accessibile anche sui temi più complessi, in quasi otto anni di pontificato ha incontrato milioni di persone, ha compiuto decine di viaggi internazionali e in Italia, ha scritto diverse encicliche mettendo al centro l’amore e la speranza. Ha rilanciato e rinnovato la dottrina sociale della Chiesa, rendendola più aderente ai tempi difficili del mondo, tra globalizzazione e crescere delle povertà, relativismo e imperversare dell’effimero.    Resteranno nella storia della Chiesa le sue numerose pubblicazioni, a partire da “Gesù di Nazareth” in più volumi. Un ritratto per mostrare che la fede non è un elenco di proibizioni ma soprattutto un rapporto di amicizia con Dio.    Benedetto XVI, nel corso del suo pontificato, ha posto i temi della povertà e dell’Africa, dei giovani, dell’ecumenismo e dell’annuncio della fede al mondo ormai secolarizzato. Per primo poi ha sollevato i tappeti mostrando la polvere che era stata accumulata sotto: è lui che ha voluto intraprendere la lotta contro la pedofilia nella Chiesa. Era ancora cardinale (ma di lì a pochi giorni sarebbe succeduto a Giovanni Paolo II sul soglio di Pietro) quando nel 2005, nelle meditazioni della Via Crucis al Colosseo, diceva senza tanti giri di parole: “Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui!”.    Tornando alle sue origini, dopo i primi anni a Marktl, trascorse l’adolescenza a Traunstein; negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale era stato arruolato nei servizi ausiliari antiaerei, mentre era iscritto d’ufficio alla Gioventù hitleriana. Una nota che gli costò tante accuse e critiche, pur essendo una condizione ‘normale’ per la Germania di quei difficili anni.    Diventato sacerdote il 29 giugno 1951, prese poi il dottorato in teologia con una tesi su sant’Agostino e fu abilitato alla docenza con un’opera su san Bonaventura. Ha insegnato in diverse università della Germania: a Frisinga, Bonn, Muenster, Tubinga e Ratisbona. E’ stato anche tra gli esperti che lavoravano accanto ai vescovi nel Concilio Vaticano II. Nel ’77 Paolo VI lo ha nominato arcivescovo di Monaco e il 27 giugno lo ha creato cardinale.    Ha partecipato ai conclavi che nel ’78 hanno eletto Papa Luciani e Papa Wojtyla. Nel 1981 Giovanni Paolo II lo ha nominato Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. E’ stato presidente della commissione per la preparazione del Catechismo della Chiesa cattolica, vice decano e poi decano dei cardinali. E’ stato eletto Papa il 19 aprile del 2005, al quarto scrutinio. Infine l’11 febbraio del 2013 la decisione a sorpresa di lasciare il Pontificato. Prima di lui occorre risalire a Gregorio XII il 4 luglio 1415, e prima ancora a Celestino V il 13 dicembre 1294, per trovare Papi che avevano fatto una scelta così dirompente. 

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    Mattarella vuole un'Italia che abbia visione del futuro

    Gli italiani frastornati dal ritorno del covid, preoccupati per l’inflazione galoppante e spaventati dalla guerra alle porte d’Europa la sera di capodanno saranno rassicurati dal presidente della Repubblica che, alle 20.30 a reti unificate, apparirà come sempre nelle case degli italiani per motivare il Paese attraverso un discorso semplice, energetico e di forte spessore solidale.
    Sergio Mattarella toccherà le corde profonde dei cittadini per smorzare ansie e preoccupazioni, con l’obiettivo di scuotere un Paese fiaccato da anni di crisi e pandemia riportando al centro dell’attenzione la forza di un’Italia che non si è mai arresa, ed anzi, nonostante tutto continua a crescere più di altri in Europa.
    Il messaggio di questo complesso 2022 sarà breve (meno di 15 minuti) e sarà l’ottavo per un presidente che si è ritrovato al Quirinale suo malgrado ed oggi, dall’alto della sua esperienza, riconosce un Paese vitale, ben più forte di come si auto-descrive. Sergio Mattarella ha compiuto 81 anni nel luglio scorso ma ha dimostrato nel tempo la capacità di non perdere contatto con le sfide di questo millennio, con i desideri e i sogni delle nuove generazioni, con le difficoltà di una delle popolazioni più vecchie del pianeta. Per questo il suo discorso non si limiterà a un bilancio di quanto accaduto – e non è poco – dalla sua rielezione alla presidenza della Repubblica.
    Il presidente siciliano, cattolico progressista, ha confermato la sua imparzialità di arbitro anche con un governo evidentemente lontano dal suo credo personale e domani, fedele alla sua impostazione, parlerà a tutto il Paese. Nessuna intromissione nella politica in senso stretto: piuttosto nel suo messaggio il capo dello Stato si porrà come cerniera tra le diverse generazioni, tra giovani ed anziani: svilupperà la sua analisi ricordando che la stabilità si poggia sulle radici costituzionali e elencherà le sfide ineludibili, dalla tutela dell’ambiente, alla messa a terra del Pnrr senza dimenticare l’impegno infaticabile per la creazione di posti di lavoro. Le parole chiave di questo messaggio saranno infatti solidarietà, visione, responsabilità, comunità.
    Ma forse la parola che definisce meglio il pensiero di Sergio Mattarella è “coesione”. Da anni il presidente si spende per unire, ricucire, ridurre le distanze e riportare all’interno di un dibattito civile le tensioni che attraversano un grande Paese come l’Italia. Sforzo che certo non finirà con la nascita del governo di Giorgia Meloni che in ogni caso ha confermato la fotografia di un’Italia spaccata come una mela. Ecco, in questo contesto difficile Mattarella difende in ogni caso l’Italia, il senso di comunità e di appartenenza. Sa bene quanto sia importante una “coesione” di fondo per non perdere il ritmo della crescita, per prendere di petto la gravissima crisi climatica. Una coesione sociale sui valori di fondo che di fatto viene richiesta a tutti, ai giovani come agli anziani, alla maggioranza come all’opposizione. Per il “bene dell’Italia” come ha detto più e più volte. Poi le differenze di vedute sono il sale della democrazia.
    Avere “visione del futuro”, quindi. Il che significa saperselo costruire questo futuro e nel miglior modo possibile. Con la volontà, la determinazione e, perchè no?, anche con una sana dose di ottimismo. Il tutto, naturalmente, senza spericolate fughe in avanti, sempre con grande responsabilità. Come è successo, e purtroppo bisognerà continuare a far succedere, con la pandemia. Ne parlerà certamente il presidente, senza allarmismi ma anche senza inviti ad abbassare la guardia. D’altronde la sua posizione di grande cautela rispetto al virus è nota, così come sono stati senza soluzione di continuità i suoi inviti a vaccinarsi e ad avere sempre fiducia nella scienza. Una linea che certamente non sarà cambiata dopo 15 lunghi giorni di positività al covid. Per dare peso e corpo alla parola “coesione” ci sarà sicuramente l’esempio della posizione da tenere rispetto all’invasione della Federazione russa dell’Ucraina. Mattarella parlerà anche di questa “sciagurata” guerra e lo farà come ha sempre fatto, con estrema franchezza. Ci sono e ci saranno dei sacrifici da fare ma ne vale la pena: c’è un aggressore e un aggredito e in gioco ci sono i valori di pace e libertà dell’Unione europea. L’Italia sa da che parte stare e sta facendo la sua parte: non sono ammessi distinguo.

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    Roma prega per Ratzinger, “segno del volto bello della chiesa”

    La diocesi di Roma si è stretta in preghiera per il suo ex vescovo. La Basilica di San Giovanni in Laterano, cattedrale della città eterna, si è riempita di fedeli, con file all’ingresso fin dal primo pomeriggio, per la messa di preghiera per Benedetto XVI, gravemente malato, celebrata dal cardinale vicario Angelo De Donatis.
    “Benedetto XVI, umile operaio nella vigna del Signore, è testimone dell’Incontro” con Gesù, che è all’origine “dell’essere cristiano”, “collaboratore della verità e della gioia, dell’amore a Cristo e alla Chiesa. Uomo della Parola e uomo di parola, ci indica in questo momento, come ha fatto negli ultimi dieci anni, che ‘chi crede non è mai solo’. Anche nella vecchiaia e nella malattia, si continua a sostenere l’umanità con l’offerta di sé stessi”, ha detto nell’omelia. “Rivestito ‘di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, in profonda comunione con papa Francesco, il papa emerito è segno del volto bello della Chiesa che riflette la luce del volto di Cristo”.
    Le condizioni di salute di Benedetto XVI intanto restano “stabili”, secondo quanto riferisce una fonte direttamente dal Monastero Mater Ecclesiae.
    Al momento non trapelano ulteriori dettagli se non che il Papa emerito ha continuato stamane, nella sua camera e pur con le difficoltà di un quadro clinico ancora grave, a partecipare alla messa, concelebrandola con mons. Georg Gaenswein semplicemente indossando una leggera stola sopra il camice della sua degenza.Le quattro memores domini e l’infermiere fra Eligio continuano a costituire intorno a Ratzinger, tenuto sotto costante controllo medico, un cordone di sicurezza e assistenza continue.