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    Prove d’intesa Ue-Balcani Occidentali su politica estera e sicurezza. Sul tavolo di Bruxelles un ‘non-paper’ in 14 punti

    Bruxelles – Dopo le manifestazioni d’intenti generali, iniziano le discussioni politiche per stringere concretamente i rapporti tra i Ventisette e i sei Paesi balcanici in campi specifici, anche prima della loro adesione formale all’Unione Europea. È stato questo il senso della riunione ministeriale Ue-Balcani Occidentali svoltasi ieri sera (13 novembre) sotto la guida dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, che ha visto sul tavolo delle discussioni un documento non ufficiale – non paper in gergo – portato da 7 Stati membri più aperturisti per l’integrazione immediata dei partner per quanto riguarda la politica estera e la sicurezza comuni.Non è un caso se il vertice ministeriale Ue-Balcani Occidentali si è svolto appena dopo il Consiglio Affari Esteri in cui sono state trattate le questioni della guerra in Medio Oriente, in Ucraina e nel Caucaso Meridionale. “La discussione si è concentrata sulle sfide comuni in materia di sicurezza, sullo sfondo delle persistenti minacce alla sicurezza globale e regionale“, ha reso noto l’alto rappresentante Borrell al termine dell’incontro con i ministri degli Esteri dei Sei balcanici (e di quelli Ue intrattenutisi oltre la giornata di confronto tra i Ventisette). L’iniziativa è stata inaugurata nel maggio 2021 dallo stesso Borrell rilanciando la tradizione delle ‘cene informali’ con i leader dei Balcani Occidentali ma, dopo lo scoppio della guerra russa in Ucraina e l’intensificarsi delle discussioni per finalizzare il processo di allargamento Ue, è diventato sempre più urgente per Bruxelles contare su “partner affidabili nella politica estera, di sicurezza e di difesa, anche per quanto riguarda l’allineamento alle decisioni dell’Ue“. Un richiamo implicito non a tutti i Paesi che si trovano sul cammino europeo – visto che quattro su sei hanno lanciato l’iniziativa ‘Western Balkan Quad’ per l’allineamento completo – ma piuttosto a Serbia e Bosnia ed Erzegovina che, per motivi differenti, non hanno ancora adottato le sanzioni internazionali contro la Russia.Un primo incontro per uno scambio di vedute “sulle sfide della regione e sul suo futuro europeo” dopo che la politica di allargamento Ue nella regione ha conosciuto negli ultimi mesi “un nuovo slancio” e soprattutto a pochi giorni dalla presentazione dell’ultimo Pacchetto Allargamento Ue. Per Bruxelles è diventata una priorità fornire “un forte sostegno politico, tecnico e finanziario” a tutti i candidati – con negoziati di adesione già avviati (Albania, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia) o meno (Bosnia ed Erzegovina) – e potenziali tali (Kosovo), “per portare avanti le principali riforme politiche, istituzionali, sociali ed economiche”. L’alto rappresentante Borrell ha fatto anche riferimento al nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali presentato mercoledì scorso (8 novembre) che coniugherà riforme e investimenti sullo stile del Next Generation Eu: “Accelererà significativamente la velocità del processo di allargamento e la crescita delle loro economie“.Il non-paper Ue-Balcani OccidentaliUn tentativo di stringere i rapporti con le sei capitali balcaniche sul fronte della politica estera e di sicurezza è arrivato da sette Paesi membri riuniti nel gruppo ‘Amici dei Balcani Occidentali’ – Italia, Austria, Croazia, Grecia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Slovenia – attraverso un non paper presentato ieri sera dal ministro austriaco. Come spiegano fonti diplomatiche a Bruxelles, si tratta di un’agenda in 14 punti che si connette al Piano di crescita per i Balcani Occidentali e nella visione dell’integrazione “graduale e accelerata” in campi specifici dei Paesi sul percorso dell’allargamento Ue. “Invitiamo le istituzioni Ue a presentare un’agenda chiara per un’integrazione graduale e accelerata con fasi di attuazione concrete fino al 2024 e oltre, basata su una condizionalità equa e rigorosa e sul principio dei meriti propri”, si legge nel documento visionato da Eunews. Il punto di partenza dalla politica estera e di sicurezza è motivato dal fatto che la regione balcanica “è esposta a fattori destabilizzanti”, tra cui vengono citate disinformazione, migrazione, minacce ibride e influenza “maligna” di terzi. Ecco perché “una cooperazione rafforzata ci renderebbe più efficaci nel contrastare la Russia e altre narrazioni dannose”, mentre “un dialogo rafforzato può approfondire la comprensione” delle posizioni reciproche.Questo stringere i legami si dovrebbe basare su 14 punti definiti dal non paper dei 7 Paesi membri, a partire dall’invito ai partner balcanici a partecipare al Consiglio Affari Esteri “almeno una volta al semestre”, per “scambi informali su temi di interesse comune” (e allo stesso modo degli ambasciatori alle riunioni informali). Si dovrà spingere su visite “più regolari e coordinate” nei Balcani Occidentali, scambi di esperti sui diritti umani, formazione di giovani diplomatici e funzionari pubblici “per familiarizzare con la diplomazia e le istituzioni Ue”, ma soprattutto su “linee di condotta Ue su misura in vista delle riunioni con i Paesi terzi“. Sul piano della sicurezza vengono chieste simulazioni congiunte sui punti deboli dei sistemi di infrastrutture critiche, visite all’Agenzia Ue per la Cybersecurity (Enisa) per “promuovere il pieno allineamento” con la legislazione comunitaria e consultazioni “prima dei prossimi cicli di negoziati” sulla Convenzione Onu sulla criminalità informatica. Infine materia di difesa serviranno “ulteriori misure di assistenza nell’ambito del Fondo europeo per la pace” (come per esempio lo stoccaggio sicuro di armi e munizioni in Montenegro) e il sostengo alle capacità dei Balcani Occidentali attraverso “corsi su misura” dell’Accademia europea di sicurezza e difesa (Esdc).Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews
    L’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha ospitato la riunione ministeriale con i 6 ministri degli Esteri balcanici, in cui è stata presentata la proposta del gruppo ‘Amici dei Balcani Occidentali’ (tra cui compare l’Italia) per regolarizzare gli incontri con il Consiglio dell’Ue su base semestrale

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    L’Ue rilancia l’industria bellica: “Studiamo cosa manca e dove investire”

    Bruxelles – “Analizzeremo la nostra capacità militari per vedere, esercito per esercito, dove ci sono lacune, cosa manca, e dove investire“. L’Europa si riarma. Il messaggio che invia l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, è il rilancio in grande stile dell’industria bellica. E’ giustificato dalla necessità di rispondere alle manovre militari della Russia in Ucraina, e dal fatto che le munizioni di cui Kiev ha bisogno l’Ue le sta prendendo dalle riserve nazionali degli Stati membri, ora sguarnite. La produzione serve più che mai e la linea dunque è tracciata.C’era una volta l’Unione europea, progetto di pace e addirittura premio Nobel per la pace, nel 2012. Dopo un decennio e poco più benvenuti in tutt’altra Europa. La riunione dei ministri della Difesa dei Ventisette riunisce attorno al tavolo i rappresentanti dell’Agenzia europea per la difesa (EDA) e pure il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. Non è la prima volta né una novità. Ma è in questo formato che Borrell conduce l’analisi sulle lacune dell’industria bellica a dodici stelle, con l’Alleanza atlantica a fare da sponsor.“Putin deve capire che non vincerà, e l’unico modo che abbiamo per farglielo capire è continuare a sostenere militarmente l’Ucraina”, scandisce Stoltenberg. Che proietta l’Europa e il mondo di oggi nell’universo orwelliano per cui ‘guerra è pace’. Del resto essere positivi non è semplice. “Non credo che nessuno sia davvero ottimista” per ciò che riguarda il conflitto russo-ucraino, scandisce la ministra della Difesa olandese, Kajsa Ollongren. “La visione ottimistica sarebbe quella di una Russia che smette di combattere, ma è ciò che non sta accadendo”. Dal punto di vista euro-occidentale dunque, giusto andare avanti e sostenere quanto più possibile l’Ucraina. Anche perché ha molto da perdere, l’Ue. La faccia, l’immagine, la credibilità. I ritardi nella consegna del milione di munizione, con le promesse che non saranno mantenute, non depongono a favore di un’Europa decisa, a maggior ragione, alla corsa bellica.
    L’annuncio dell’Alto rappresentante Borrell. “Valuteremo le lacune esercito per esercito”. Il sostegno della Nato: “Putin deve capire che in Ucraina non può vincere”

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    I Ventisette chiedono “pause umanitarie immediate” a Gaza. E iniziano le discussioni sulla Palestina post-guerra

    Bruxelles – Uno sforzo diplomatico a livello immediato, un impegno che inizia già ora per trovare una soluzione a medio/lungo termine alla situazione “catastrofica” nella Striscia di Gaza. Sotto la guida dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, i 27 ministri degli Esteri hanno definito oggi (13 novembre) la posizione condivisa dell’Ue sulla necessità di “pause umanitarie immediate” per permettere la consegna degli aiuti internazionali alla popolazione sotto i bombardamenti israeliani, ma soprattutto per definire un piano – al momento solo abbozzato – che guardi al “giorno dopo” la fine della guerra tra Israele e Hamas.Jabalia, Palestina (credits: Yahya Hassouna / Afp)Sul primo aspetto dell’analisi del conflitto, le discussioni si sono impostate sulla dichiarazione “unanime” pubblicata ieri (12 novembre) al termine di “un’intensa giornata di lavori, dopo la richiesta arrivata da diversi Stati membri”, ha spiegato l’alto rappresentante Borrell. Già al Consiglio Europeo del 26 ottobre era arrivata la richiesta di “pause umanitarie” ma, di fronte a una sempre più urgente necessità di portare soccorso, acqua, cibo, medicine e carburante alla popolazione della Striscia di Gaza, “la parola più importante è ‘immediate’“, ha rimarcato Borrell. È soprattutto la questione dei bombardamenti sugli ospedali a creare le preoccupazioni maggiori a Bruxelles: “L’Ue sottolinea che il diritto umanitario internazionale stabilisce che gli ospedali, le forniture mediche e i civili al loro interno devono essere protetti“, è il riferimento della dichiarazione sia ai limiti del diritto di autodifesa di Israele sia all’uso di ospedali e civili “come scudi umani” da parte di Hamas.“La situazione umanitaria nella Striscia di Gaza è catastrofica e sta solamente peggiorando con il passare delle ore“, è stata la sintesi del commissario per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, con cui i 27 ministri degli Esteri hanno fatto il punto tecnico delle conseguenze dei bombardamenti agli ospedali e più in generale della situazione del conflitto: “È urgente definire e rispettare le pause umanitarie, devono essere significative, con tempistiche certe, senza bombardamenti e annunciate con anticipo, perché le organizzazioni umanitarie possano prepararsi a sfruttarle”. I numeri della crisi umanitaria sono stati forniti dall’alto rappresentante Borrell in conferenza stampa: “Le vittime sono oltre 11 mila, ci sono 1,5 milioni di sfollati, metà degli ospedali è al collasso per la mancanza di carburante, dal valico di frontiera con l’Egitto entrano in media 40 camion al giorno, meno del 10 per cento del necessario”. Se il valico di Rafah “non è sufficiente, bisogna aumentare le capacità di transito”, le soluzioni sono due: “O più punti terrestri o l’iniziativa cipriota per un corridoio marittimo“, ha spiegato Borrell, anche se la seconda opzione è più complessa considerato il problema infrastrutturale dell’assenza di porti sulla costa di Gaza.Il piano per il dopoguerra in Palestina e a GazaL’impegno diplomatico di Bruxelles per “evitare l’escalation nella regione e ai Paesi vicini” si connette con la soluzione sul medio/lungo termine post-conflitto per costruire la pace tra Israele e Palestina. Il capo della diplomazia Ue ha messo in chiaro che “questa drammatica crisi con costi immensi di vite umane deve essere l’occasione per far capire al mondo che la soluzione può essere basata solo su due Stati”. In altre parole, “non è solo questione di ricostruire Gaza, ma soprattutto di costruire lo Stato per i palestinesi“. Il piano presentato oggi per la prima volta da Borrell al Consiglio Affari Esteri richiede “parametri per iniziare a cercare una soluzione che propizi la pace” e al momento è una sorta di “schema mentale” che passa da sei condizioni, “tre sì e tre no”, da impostare con gli Stati Uniti e i Paesi arabi.Jabalia, Palestina (credits: Mahmud Hams / Afp)Per quanto riguarda i tre ‘no’, l’alto rappresentante Borrell ha messo in chiaro che “non ci potrà essere un’espulsione forzata dei palestinesi“, che “il territorio di Gaza non si può ridurre, non può esserci rioccupazione da parte di Israele a livello permanente” e che la questione dei bombardamenti in atto a Gaza “non può essere dissociata dalla questione palestinese, va considerata nel suo complesso”. E questi sono i paletti iniziali anche per Gerusalemme. I tre ‘sì’ fanno invece parte dell’impostazione più generale di una soluzione per una pace strutturale e stabile. In primis, “a Gaza deve tornare un’autorità palestinese, la cui legittimità deve essere definita e riconosciuta”, ha spiegato Borrell, precisando che intende “non l’Autorità Nazionale Palestinese, ma una sorta di autorità palestinese”, e che in ogni caso “non si può ricostruire la Palestina né sull’occupazione israeliana né a partire da Hamas”. Come secondo punto, la soluzione deve essere “appoggiata con un forte coinvolgimento degli Stati arabi” a livello finanziario “ma soprattutto politico”. E infine dovrà mettersi in campo “più coinvolgimento dell’Ue nella regione, in particolare nella costruzione dello Stato palestinese“, ha assicurato Borell in partenza per la missione in Israele, Palestina, Bahrein, Arabia Saudita, Qatar e Giordania: “Se non troviamo una soluzione politica, continuerà la spirale di violenza che si ripeterà di funerale in funerale”.
    Al Consiglio Affari Esteri intenso confronto sulle modalità per far arrivare gli aiuti alla popolazione sotto bombardamenti israeliani. L’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha presentato un piano per cercare una soluzione a due Stati con Stati Uniti e Paesi arabi basata su “tre sì e tre no”

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    Fondo ‘perdite e danni’ e target rinnovabili, l’Ue promette un “sostanziale” contributo finanziario alla Cop28

    Bruxelles – Un “sostanziale contributo finanziario” per il Fondo per le perdite e i danni del cambiamento climatico e per raggiungere gli impegni globali su energie rinnovabili ed efficienza energetica. E’ quanto si impegna a realizzare la Commissione europea che oggi (13 novembre) ha ospitato a Bruxelles il presidente designato della Cop28, Sultan Al Jaber, per discutere gli ultimi dettagli di diplomazia climatica prima dell’avvio della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici in programma dal 30 novembre al 12 dicembre a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. A 17 giorni dall’inizio della Cop28, i negoziatori dei vari Paesi che parteciperanno alla Conferenza hanno raggiunto un accordo di principio sull’istituzione del Fondo ‘Perdite e danni’ (Loss and damage Fund), il fondo che mira a fornire assistenza finanziaria alle nazioni più vulnerabili e soprattutto ai Paesi in via di sviluppo colpiti dagli effetti diretti e indiretti del cambiamento climatico. L’architettura del fondo sarà una delle questioni più spinose da risolvere nei negoziati della Cop28 delle prossime settimane. Dopo l’incontro tra Hoekstra e Sultan Al Jaber, la Commissione europea ha rilasciato una dichiarazione in cui si impegna a garantire “un sostanziale contributo finanziario da parte dell’Ue e dei suoi Stati membri al fondo per perdite e danni alla” prossima Cop28 “nel contesto di un risultato ambizioso della Cop28 attraverso la mitigazione, l’adattamento e i mezzi di attuazione in modo da non lasciare indietro nessuno”. Nella stessa dichiarazione congiunta la Commissione si impegna inoltre ad annunciare “un contributo finanziario a sostegno dell’impegno Cop28 sulle energie rinnovabili e sull’efficienza energetica e invita i paesi a fare lo stesso durante il vertice mondiale sull’azione per il clima”.Come ampiamente anticipato nei mesi scorsi dalla Commissione europea, su energie verdi e risparmio consumi l’Unione europea punterà a Dubai ad alzare le ambizioni globali. E chiederà un’azione globale (ovvero degli impegni vincolanti) per triplicare la capacità installata di energia rinnovabile portandola a 11 TW e raddoppiare il tasso di miglioramento dell’efficienza energetica entro il 2030, nel rispetto del mix energetico nazionale di ciascun paese. La risoluzione chiede infine maggiori sforzi a livello globale in una varietà di settori: lotta all’inquinamento da plastica; affrontare l’impatto climatico e ambientale dell’industria tessile; ridurre ulteriormente le emissioni di metano, le emissioni derivanti dal trasporto marittimo e aereo internazionale, dall’agricoltura e dalla difesa.
    Il presidente designato Sultan Al Jaber a Bruxelles per incontrare il commissario Hoekstra e la presidente della Commissione Ursula von der Leyen

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    Borrell in missione in Israele e Palestina questa settimana

    Bruxelles – Israele, ma anche Palestina. Mentre a Bruxelles è in corso il Consiglio Ue Affari Esteri che discute anche della crisi in Medio Oriente tra Israele e Hamas, è con un sintetico post su X che l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, annuncia che “in settimana” sarà in “Israele, Palestina, Bahrein, Arabia Saudita, Qatar e Giordania per discutere di accesso umanitario, assistenza e questioni politiche con i leader regionali”.Borrell, capo della diplomazia europea, è il primo funzionario europeo di alto livello a recarsi anche nei territori palestinesi da quando lo scorso 7 ottobre si è brutalmente riacceso il conflitto tra Hamas e Israele. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e la numero uno del Parlamento europeo, Roberta Metsola, si sono recate solo in Israele lo scorso 13 ottobre per ribadire la posizione ufficiale della Commissione europea, ovvero che Israele ha diritto di difendersi (“in linea con il diritto internazionale” è una formula arrivata dopo nelle parole di von der Leyen) e che il conflitto si è riacceso a causa delle azioni terroristiche palestinesi da parte di Hamas che hanno ricadute anche sulla popolazione civile a Gaza.“Abbiamo bisogno di un orizzonte politico che guardi alla soluzione dei due Stati”, ha ribadito Borrell, precisando che “ciò può essere raggiunto solo attraverso il dialogo”. Solo ieri sera, il capo della diplomazia europea aveva ribadito in una dichiarazione che l’Unione europea “è seriamente preoccupata per l’aggravarsi della crisi umanitaria a Gaza”, unendosi alle richieste di una “pausa immediata delle ostilità e della creazione di corridoi umanitari, anche attraverso una maggiore capacità ai valichi di frontiera e attraverso una rotta marittima dedicata, in modo che gli aiuti umanitari possano raggiungere in sicurezza la popolazione di Gaza”.La nota richiama nello specifico alle conclusioni del Consiglio europeo del 26 ottobre, in cui i leader Ue hanno ribadito il diritto di Israele a “difendersi in linea con il diritto internazionale e il diritto internazionale umanitario”, ma chiedendo un “accesso umanitario continuo, rapido, sicuro e senza ostacoli e aiuti per raggiungere le persone bisognose attraverso tutte le misure necessarie, compresi i corridoi umanitari e le pause per i bisogni umanitari”. Per ragioni di sicurezza, Borrell non ha aggiunto dettagli sulla missione che lo terrà impegnato nei prossimi giorni. 
    Con i ministri degli Esteri riuniti a Bruxelles, il capo della diplomazia europea annuncia che in settimana sarà in Israele, Palestina, Bahrein, Arabia Saudita, Qatar e Giordania “per discutere di accesso umanitario, assistenza e questioni politiche con i leader regionali”

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    Ucraina, La Lituania: “Promessa di un milione di munizioni Ue non si materializzerà”

    Bruxelles – Niente da fare, l’Ue non ce la farà a rifornire l’esercito ucraino di un milione di munizione entro la fine dell’anno. Il ministro degli Esteri della Lituania, Gabrielus Landsbergis, di fronte ai ritardi già accumulati, non può non ammettere che a questo punto, data la situazione, “la promessa per quest’anno non si sta materializzando e non credo che si materializzerà“. Sono state consegnate appena 300mila munizioni, meno di un terzo concordato, a riprova di un’industria bellica a dodici stelle non pronta a nuove produzioni su questa scala.I Ventisette si erano impegnati a sostenere l’Ucraina, convinti della necessità di rifornire le forze armate di Kiev per respingere l’avanzata della Russia. Lo scorso 5 maggio il Consiglio ha deciso di mettere a disposizione un miliardo di euro per l’aumento della produzione bellica, attraverso appalti e acquisti congiunti, con l’obiettivo di rifornire le forze armate ucraine di proiettili di artiglieria calibro 155 mm e, su richiesta, di missili. Ma il progetto si sta arenando, per il disappunto anche del ministro degli Esteri estone, Margus Tsahkna. “Prendiamo molte decisioni ma non sempre riusciamo a tradurle in pratica“, commenta.L’intenzione adesso è di provare ad avviare i negoziati di adesione di Kiev all’Unione europea, come proposto dalla Commissione Ue la settimana scorsa. C’è già un gruppo di Stati membri favorevole all’idea. L’intenzione di accogliere l’Ucraina viene espressa dai baltici (Estonia, Lettonia, Lituania), Repubblica ceca, Romania, con Svezia e Belgio disposti a valutare. Non si mostrano così possibilisti, ma neppure chiudono la porta come invece fa l’Ungheria. Di fronte ai ritardi nella consegna di munizione c’è da dover salvare la faccia, e l’allargamento può essere il modo migliore per farlo, politicamente parlando.Da un punto di vista militare i ritardi Ue sono però un problema per le strategie euro-ucraine. Kiev ha bisogno del sostegno dei partner per poter sperare di respingere l’aggressore, con gli europei consapevoli che in questo momento “un cessate il fuoco sarebbe una vittoria di Putin”, taglia corto il ministro degli Esteri lituano. Non a caso infastidito per l’obiettivo mancato sulle munizioni.
    Il ministro degli Esteri di Vilnius ammette i ritardi dell’Unione della sua industria bellica. L’idea di un avvio dei negoziati di adesione entro l’anno per salvare la faccia

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    Solo 300 mila munizioni su un milione consegnate finora all’Ucraina. La produzione europea non decolla

    Bruxelles – L’Unione europea “è ancora davvero impegnata a consegnare tutte le munizioni all’Ucraina il più presto possibile”. Dietro le rassicurazioni che arrivano da alte fonti europee, l’altra faccia della medaglia: finora, solo il 30 per cento dell’artiglieria promessa dai 27 a Kiev è stato effettivamente consegnato.Il forte ritardo nell’attuazione del Piano per la difesa sarà in cima all’agenda del prossimo vertice dei ministri Ue della difesa, previsto martedì 14 novembre a Bruxelles. All’incontro parteciperà anche il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg: poco più di un mese fa Rob Bauer, il più alto funzionario militare dell’Alleanza atlantica, riguardo ai rifornimenti bellici all’Ucraina aveva dichiarato che “il fondo del barile è ormai visibile“.Jens Stoltenberg e Volodymyr Zelensky“Il problema principale è la capacità industriale“, ha ammesso un alto funzionario Ue. Da un lato ci sono le difficoltà dell’industria bellica europea nell’aumentare il ritmo di produzioni di proiettili, dall’altro il rincaro dei prezzi delle munizioni, che potrebbe rendere insufficiente il budget stanziato dal blocco. Il risultato è che la controffensiva lanciata da Kiev quasi sei mesi fa ha potuto contare su 300 mila munizioni dall’Ue, su un milione previste.Il Piano europeo è composto da tre pilastri: un miliardo di euro mobilitato attraverso lo Strumento europeo per la pace (strumento fuori bilancio comunitario) per la consegna immediata di munizioni a Kiev attraverso le scorte degli Stati membri, un altro miliardo di euro per gli acquisti congiunti di armi e 500 milioni di euro a sostegno di progetti di investimento per un valore massimo di 1,4 miliardi di euro, incentivando così l’incremento della produzione di munizioni e missili nell’Unione europea.Quest’ultimo, l’Act in Support of Ammunition Production (Asap), “richiede tempo, non si fa dal giorno alla notte”. Ci si aspettava maggiore rapidità dai primi due pilastri, che dovrebbero coprire i rifornimenti di proiettili d’artiglieria, munizioni da 155 mm e missili. Ma da Bruxelles garantiscono che “avranno luogo consegne significative entro la fine dell’anno“. E che, al di là del piano a 27, “non bisogna dimenticare” che diversi Stati membri stanno autonomamente inviando armi alla resistenza di Kiev.Se sarà sufficiente per bilanciare le stime che provengono dagli stabilimenti russi, pronti a consegnare 2 milioni di proiettili all’esercito entro l’inverno – senza contare i rifornimenti dalla Corea del Nord- si vedrà dall’esito delle operazioni militari, con la controffensiva ucraina che si è già impantanata e ora si prepara all’inverno. “Sappiamo che la Russia sta aumentando le proprie capacità belliche“, ma è ancora “troppo presto per dire che non raggiungeremo gli obiettivi”, dichiarano fonti comunitarie. Le tegole però si moltiplicano, dentro e fuori il vecchio continente: a Washington, dove rimangono in stallo oltre 6 miliardi di dollari di assistenza per l’Ucraina, l’attenzione è ora soprattutto per il conflitto tra Israele e Hamas. E l’Unione europea se la deve vedere al suo interno con l’Ungheria e con il nuovo governo in Slovacchia, che continuano a rallentare qualsiasi mossa in soccorso di Kiev.
    Mentre la Russia sta aumentando la propria capacità industriale bellica, i 27 fanno sempre più fatica a mantenere gli impegni presi per sostenere la controffensiva di Kiev. Fonti Ue: “Consegne significative entro la fine dell’anno”

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    Il Club ‘anti-Cina’ delle materie prime critiche vedrà la luce alla prossima Cop28 sul clima

    Bruxelles – Il ‘Club’ delle materie prime critiche per la transizione gemella, verde e digitale, vedrà presto la luce. “Il mese prossimo, in occasione della Cop28 lanceremo il Club delle materie prime critiche per rafforzare questa cooperazione internazionale ai massimi livelli”, ha confermato ieri (9 novembre) il vicepresidente esecutivo per il Green Deal, Maros Sefcovic, nel suo intervento alla conferenza degli ambasciatori dell’Ue 2023. Il  Club è stato annunciato nei mesi scorsi dalla Commissione europea nel quadro del ‘Critical Raw Material Act’, la proposta di regolamento sulle materie prime critiche presentata lo scorso 16 marzo come pilastro normativo del Piano industriale per il Green Deal, la risposta ‘Made in Europe’ al piano statunitense da 370 miliardi di dollari di sussidi verdi che l’Ue teme possa svantaggiare le imprese dell’Ue. Pochi ancora i dettagli, ma nell’idea della Commissione dovrebbe trattarsi di un gruppo di partner internazionali considerati ‘affidabili’ con cui dialogare e riunirsi per garantire un approvvigionamento globale sicuro, sostenibile e conveniente di materie prime essenziali per la transizione verde e digitale, come il litio per le batteri.Quattro pilastri per l’approvvigionamento di materie prime Il Club dovrebbe dunque sviluppare principi per riunire i “consumatori” di materie prime e i Paesi ricchi di risorse e promuovere la cooperazione per consentire ai Paesi in via di sviluppo ricchi di risorse di risalire la catena del valore. E l’occasione migliore per lanciare l’iniziativa sarà la prossima Conferenza delle Nazioni Unite sul clima, la Cop28 che si terrà dal 30 novembre al 12 dicembre a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti e che riunirà oltre 190 Paesi che cercheranno di alzare le ambizioni globali sul clima. Bruxelles non lo dice espressamente, ma il Club è pensato in chiave anti-Cina (che oggi concentra oltre il 90 per cento delle materie critiche importate dall’Ue) e dovrebbe essere un’iniziativa sostenuta anche dal governo statunitense, riflettendo il lavoro della partnership Usa già avviata sul fronte dei minerali (a cui l’Unione europea ha aderito insieme ad altri Stati membri, tra cui Italia, Francia e Germania). Sulle materie prime critiche l’Unione europea è già impegnata in una partnership bilaterale con il Canada, il club dovrebbe seguire gli stessi obiettivi ma su un piano multilaterale. Dall’anticipazione delle crisi di approvvigionamento agli investimenti, passando per la produzione sostenibile e la tutela ambientale. Nei mesi scorsi il vicepresidente della Commissione europea con delega al commercio, Valdis Dombrovskis, ha anticipato che quattro saranno i pilastri del futuro gruppo di amici delle materie prime critiche: condividere le conoscenze e cooperare per prevenire le crisi; promuovere la produzione sostenibile e le capacità di trasformazione locali; garantire un commercio affidabile e investimenti in materie prime e che l’aumento della fornitura di materie prime non vada a scapito delle comunità e dell’ambiente.