More stories

  • in

    Zelensky “convoca” Putin a Istanbul per colloqui diretti

    Bruxelles – Per la prima volta in oltre tre anni di conflitto, Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin potrebbero incontrarsi di persona nei prossimi giorni. I due presidenti hanno indicato la Turchia come luogo di un potenziale colloquio, per il quale spinge fortemente anche Donald Trump, che oggi ha anche annunciato che potrebbe partecipare all’incontro “se lo ritenessi importante per raggiungere un accordo”. Ma finora la diplomazia ha messo in fila solo una serie di buchi nell’acqua, e non si vede all’orizzonte alcuna tregua nei combattimenti.Il carrozzone della diplomazia internazionale è parso rimettersi in moto durante lo scorso weekend intorno alla guerra d’Ucraina. Uno spiraglio di cauto ottimismo era sembrato pervadere le cancellerie europee dopo che, al termine di una visita a Kiev sabato (10 maggio), i leader di Francia, Germania, Polonia e Regno Unito erano riusciti a portare anche il presidente statunitense dalla loro.La proposta messa sul tavolo da Emmanuel Macron, Friedrich Merz, Donald Tusk e Keir Starmer – in accordo con Volodymyr Zelensky – era quella di un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni a partire da oggi (12 maggio), come dimostrazione di buona fede da parte di Vladimir Putin rispetto all’avvio di negoziati sostanziali su una soluzione politica del conflitto. Persino Donald Trump, che dal suo re-insediamento è parso allontanarsi sempre più da Kiev per avvicinarsi a Mosca, aveva dato il suo assenso.Da sinistra: il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Friedrich Merz, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, il premier polacco Donald Tusk e quello britannico Keir Starmer a Kiev, il 10 maggio 2025 (foto: Genya Savilov/Afp)Nello stile cui ha abituato il mondo, il presidente russo ha però risposto picche sul cessate il fuoco, dichiarandosi tuttavia disponibile ad intavolare delle trattative dirette con la leadership ucraina in Turchia, evitando di legarsi le mani con qualunque precondizione. Nella Repubblica anatolica si terrà, il 14 e 15 maggio, una ministeriale informale proprio sul dossier Ucraina, e il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha ribadito per l’ennesima volta di essere disposto ad ospitare colloqui di pace tra le delegazioni di Kiev e Mosca.Tanto è bastato a Trump per tornare a mettere pressione su Zelensky. “Incontratevi ora!“, ha scritto il tycoon newyorkese sul suo social Truth, esortando l’omologo ucraino ad “accettare immediatamente” l’offerta dello zar russo. “Almeno saranno in grado di determinare se un accordo è possibile o meno e, in caso contrario, i leader europei e gli Stati Uniti sapranno come stanno le cose e potranno procedere di conseguenza“, ha ragionato l’inquilino della Casa Bianca.Ieri sera (11 maggio), Zelensky ha dunque rilanciato sfidando Putin a incontrarsi “personalmente” ad Istanbul giovedì prossimo, auspicando che “stavolta i russi non cerchino scuse” per sfilarsi dalle trattative. “Attendiamo un cessate il fuoco totale e duraturo“, ha aggiunto il presidente ucraino, “per fornire la base necessaria alla diplomazia”. Se avesse effettivamente luogo, il faccia a faccia tra i due leader sarebbe il primo da oltre tre anni a questa parte.Il presidente russo Vladimir Putin (foto: Ramil Sitdikov via Afp)Quella dei colloqui diretti tra Zelensky e Putin è un’opzione sulla quale entrambi i leader avevano fatto delle aperture in linea di principio già il mese scorso, ma sulla quale non si sono mai registrati progressi in termini concreti. I due belligeranti, come recentemente certificato dallo stesso Trump, rimangono distanti anni luce da una vera intesa e tutte le proposte di cessate il fuoco, da qualunque parte provenissero, sono finora cadute nel vuoto.Stando alla retorica ufficiale, Zelensky sembra mantenere la linea adottata fin qui: niente trattative senza tregua. Che è l’opposto di quella del Cremlino: prima il dialogo, poi (eventualmente) una pausa delle ostilità. Appare improbabile, tuttavia, che Kiev possa ignorare le pressioni dell’amministrazione a stelle e strisce, soprattutto alla luce della ratifica da parte del Parlamento ucraino, lo scorso 8 maggio, del famigerato accordo sullo sfruttamento delle materie prime critiche.Il giorno prima della visita di Macron, Merz, Tusk e Starmer a Kiev, Putin aveva ospitato sulla Piazza Rossa a Mosca decine di leader mondiali per le celebrazioni dell’80esimo anniversario della vittoria sovietica sulla Germania nazista nel 1945 (incluso lo slovacco Robert Fico, in barba alla conclamata unità dei Ventisette al fianco dell’Ucraina).L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (centro), e il primo ministro ucraino Denys Shmyhal (foto: European Council)Lo stesso giorno, alcuni ministri degli Esteri dell’Ue guidati dal capo della diplomazia a dodici stelle, Kaja Kallas, avevano annunciato a Leopoli l’imminente creazione di un tribunale ad hoc per i crimini d’aggressione dell’Ucraina che dovrebbe perseguire la leadership della Federazione.L’Alta rappresentante si trova in queste ore a Londra per partecipare alla riunione del gruppo Weimar+ (composto da Francia, Germania, Italia, Polonia, Regno Unito e Spagna). “Dobbiamo mettere pressione sulla Russia“, ha ribadito, “affinché si sieda al tavolo e parli con l’Ucraina”. “Se non c’è un cessate il fuoco, non ci possono essere negoziati sotto il fuoco” delle bombe, ha aggiunto, accusando Mosca di “giocare” con le iniziative diplomatiche. Gli europei insistono a sostenere che, se il Cremlino non accetterà di sospendere le ostilità entro la fine della giornata, imporranno nuove sanzioni.

  • in

    La Danimarca assume la presidenza del Consiglio artico

    Bruxelles – Da questa mattina (12 maggio), la Danimarca ha assunto la leadership del Consiglio artico, il forum che riunisce i Paesi che si affacciano sul circolo polare settentrionale, succedendo alla Norvegia, che ha guidato l’organismo dal 2023 al 2025. Il nuovo mandato danese, che durerà fino al 2027, si preannuncia particolarmente significativo, visto il contesto geopolitico complesso che attraversa la regione artica.Durante la presidenza norvegese, il Consiglio ha affrontato una crisi interna senza precedenti, a causa delle tensioni derivanti dalla guerra in Ucraina e dalla sospensione della cooperazione con la Russia. Nonostante queste difficoltà, la Norvegia è riuscita a mantenere l’unità e la funzionalità del Consiglio, concentrandosi su obiettivi limitati come il cambiamento climatico, la protezione dell’ambiente marino e il benessere dei popoli artici.Ora, sotto la guida danese, la sfida maggiore sarà gestire le dinamiche politiche delicate, in particolare in relazione alla Groenlandia, che è diventata un punto di interesse strategico dopo le dichiarazioni di Donald Trump, che non ha escluso la possibilità di acquisirne il controllo militarmente. La Danimarca dovrà bilanciare gli interessi geopolitici globali con la necessità di preservare la stabilità e la cooperazione tra i membri del Consiglio Artico, un compito non facile in un periodo di crescente rivalità internazionale.

  • in

    Ucraina, l’Ue sostiene la creazione di un tribunale speciale per perseguire l’aggressione russa in Ucraina

    Bruxelles – Una nuova iniziativa giuridica prende forma in Europa, con il sostegno politico e istituzionale dell’Ue e di numerosi partner internazionali: un tribunale ad hoc per punire il reato di aggressione della Russia contro l’Ucraina. Il progetto, annunciato lo scorso venerdì (9 maggio) dalla Commissione europea, dal Consiglio d’Europa e dal primo ministro ucraino Denys Shmyhal, mira a colmare una lacuna giuridica lasciata aperta dal diritto internazionale, che attualmente impedisce alla Corte penale Internazionale di intervenire pienamente contro Mosca, in quanto la Russia non ne riconosce la giurisdizione.Il nuovo tribunale sarà istituito sotto la legislazione ucraina con il supporto di partner internazionali e avrà sede nei Paesi Bassi, già centro simbolico e operativo della giustizia penale internazionale. Il suo compito sarà esclusivo: giudicare il crimine di aggressione, ovvero l’atto con cui la Russia ha lanciato l’invasione su larga scala dell’Ucraina nel febbraio 2022. Secondo quanto comunicato dalla Commissione Europea, il tribunale opererà con l’appoggio congiunto della Commissione, del Servizio europeo per l’azione esterna, del Consiglio d’Europa e dell’Ufficio del Procuratore generale ucraino. Sarà finanziato da una coalizione di Stati, tra cui i Paesi Bassi, il Giappone e il Canada, con l’ambizione di avviare i lavori entro la fine del 2025.Il crimine di aggressione, a differenza di altri crimini internazionali come il genocidio o i crimini di guerra, è un reato che riguarda la leadership politica e militare: mira a identificare e processare coloro che hanno deciso e diretto l’invasione, mettendo al centro il ruolo personale di figure come il presidente, il primo ministro e il ministro degli esteri. In tal senso, il tribunale si configura come uno strumento mirato per attribuire responsabilità a chi ha il potere decisionale più alto, e non solo agli esecutori materiali dei crimini sul campo. Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy ha più volte ribadito l’importanza di assicurare giustizia per il crimine originario da cui sono scaturite tutte le altre atrocità, affermando che solo un processo credibile e imparziale può fungere da deterrente contro future aggressioni. Per questo motivo, il nuovo tribunale mira a rappresentare un esempio giuridico e politico per la comunità internazionale, riaffermando il principio secondo cui l’impunità non può essere la norma nei conflitti armati.Kaja Kallas visita il cimitero di Lychakiv a Lviv (Foto: Commissione europea)La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha definito l’iniziativa come una risposta necessaria a una violazione flagrante del diritto internazionale: “Quando la Russia ha scelto di far avanzare i suoi carri armati oltre i confini dell’Ucraina, infrangendo la Carta delle Nazioni Unite, ha commesso una delle violazioni più gravi: il crimine di aggressione. Ora, la giustizia sta arrivando”. Il progetto del tribunale si inserisce nel più ampio quadro di sostegno legale fornito dall’Unione Europea, che ha già contribuito alla creazione dell’International centre for the prosecution of the crime of aggression, con sede a L’Aia e sotto la supervisione di Eurojust. Questo centro sta attualmente costruendo i dossier giudiziari necessari a preparare i futuri procedimenti. Quanto alle prove necessarie, l’Alta rappresentante Ue per la politica estera Kaja Kallas non nutre alcun dubbio: “Ogni centimetro della guerra della Russia è stato documentato. Ciò non lascia alcuno spazio a dubbi sulla palese violazione da parte della Russia della Carta Onu. L’aggressione russa non resterà impunita”.Il cammino che porterà all’operatività del tribunale non sarà privo di ostacoli. Secondo le norme del diritto internazionale, i principali leader di uno Stato godono di immunità finché restano in carica, il che potrebbe posticipare l’avvio di eventuali processi effettivi. Tuttavia, il meccanismo previsto consentirà la conservazione delle prove e l’avvio dei procedimenti istruttori, con la possibilità di avviare il processo non appena le condizioni legali lo permetteranno. Il prossimo passo, ora, sarà l’adozione formale degli atti giuridici da parte del Consiglio d’Europa e la nomina dei giudici e procuratori tramite un comitato indipendente.

  • in

    Elezioni in Albania, Edi Rama verso il poker contro il redivivo Berisha. Con l’incognita del voto della diaspora

    Bruxelles – Da un lato, la promessa di ripulire il Paese dalla corruzione e dell’ingresso lampo nell’Unione europea. Dall’altro, una sorta di Make Albania Great Again di chiara ispirazione trumpiana. L’Albania che arriva al voto di domenica 11 maggio è ancora dominata da due volti ultra-noti della politica nazionale: il premier socialista Edi Rama, a caccia del quarto mandato, e Sali Berisha, primo presidente eletto dopo il crollo del regime comunista e leader della coalizione di centro-destra. L’unica vera novità, in grado di sparigliare le carte, è la prima volta del voto della numerosissima diaspora albanese, che conta circa 250 mila elettori registrati.La carta di Rama per assicurarsi il poker di mandati è la promessa dell’adesione all’Ue entro il 2030. Una prospettiva che in Albania gode del sostegno di oltre quattro cittadini su cinque, il più alto dei Paesi dei Balcani occidentali. Tanto che uno dei segni distintivi dei sostenitori di Rama è proprio una maglietta bianca con scritto sopra un gran numero 5 multicolore, ad indicare gli anni che mancano al 2030. Durante i suoi comizi, questa settimana, Rama ha issato le bandiere a dodici stelle e – ai suoi sostenitori nella città di Pogradec – ha dichiarato: “Siamo alle porte dell’Europa e quelle porte ora sono aperte per noi”. Negli ultimi sei mesi, l’Albania ha aperto 16 dei 35 capitoli negoziali per l’adesione al blocco Ue.Edi Rama e il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, a Bruxelles il 14/04/2025Secondo i dati della Banca mondiale, la crescita economica annuale per il periodo 2022-2024 ha superato il 4 per cento, trainata dal commercio con l’Ue, dal boom del turismo e dall’importante produzione di energia idroelettrica. D’altra parte, il basso tenore di vita e l’alto tasso di disoccupazione continuano a nutrire un’emigrazione di massa: tra il 2011 e il 2023, la popolazione albanese è diminuita di circa 420 mila unità.In questo contesto pieno di contraddizioni, il Partito Socialista è ancora il favorito e punta a riconfermare la maggioranza assoluta dei 140 seggi del Parlamento di Tirana. Di fronte a Rama, che negli anni è riuscito a costruire un potere personale che sembra incontrastato, gli avversari di sempre, ma indeboliti: il Partito Democratico, con cui i socialisti hanno dominato il panorama politico dal crollo del regime di Enver Hoxha all’inizio degli anni ’90. L’Alleanza per una Magnifica Albania – a guida democratica – è “la coalizione più forte che l’Albania abbia mai visto in 32 anni”, è convinto Sali Berisha, l’ottantenne ex primo ministro e leader del principale partito d’opposizione a Rama.Socialisti e Democratici, nessuno immune dalla corruzione dilaganteIl redivivo Berisha è tornato al timone del Partito Democratico dopo tre anni di caos, in cui è stato preso di mira dall’amministrazione di Joe Biden per presunta corruzione, espulso dal proprio gruppo parlamentare e posto agli arresti domiciliari dalla magistratura albanese. La sua liberazione ha revitalizzato la base del partito, ma Berisha rimane sotto inchiesta e soggetto a sanzioni sia da parte degli Stati Uniti che del Regno Unito, il che limita decisamente la sua credibilità internazionale.Il leader del Partito Democratico, Sali Berisha, a Tirana il 15/5/25 (Photo by Adnan Beci / AFP)Berisha punta tutto su una rivisitazione in salsa albanese del MAGA trumpiano. Ha assunto come consulente per la campagna elettorale Chris LaCivita, una delle menti dell’ultima campagna presidenziale di Trump, e ha adottato gli slogan tipici dell’universo della destra sovranista: la battaglia contro il woke e Soros e le accuse alla magistratura politicizzata che ha cercato di eliminarlo. Il suo principale alleato, l’ex presidente e leader del Partito della Libertà Ilir Meta, è attualmente in detenzione, arrestato lo scorso ottobre con l’accusa di corruzione e riciclaggio di denaro.Nemmeno Rama è immune alla corruzione endemica nel Paese. In questi dodici anni al potere, diversi scandali hanno lambito il premier e colpito membri dei suoi governi e del partito socialista. Per ultimo, il caso di alcuni contratti a sei zeri per la costruzione di inceneritori assegnati illegalmente, per cui – a seguito delle indagini condotte dalla SPAK, la procura anticorruzione fondata nel 2019 – l’ex ministro dell’Ambiente Lefter Koka è stato incarcerato e l’ex vice di Rama, Arben Ahmetaj, è stato incriminato e ha lasciato il Paese (risiede ora in Svizzera).In cinque anni di attività, la SPAK ha confiscato 200 milioni di euro in casi di corruzione e criminalità organizzata, e diversi rapporti di media e organizzazioni internazionali hanno evidenziato le ambiguità e i torbidi legami tra l’establishment politico albanese e le reti criminali coinvolte nel traffico di droga e nel riciclaggio di denaro. Uno studio pubblicato il mese scorso dalla Global Initiative Against Transnational Organized Crime ha fatto luce sul ruolo della mafia albanese nel traffico globale di cocaina, in particolare attraverso il porto di Durazzo, reso possibile dalla corruzione all’interno delle istituzioni politiche, di polizia e giudiziarie albanesi.Le incognite: la diaspora e i nuovi partiti anti-corruzioneNon è chiaro quale impatto avranno queste vicende sulle elezioni, alla quale parteciperanno per la prima volta circa 250 mila elettori registrati della diaspora albanese. L’impressione è che, in mancanza di un’alternativa valida, Rama centrerà il poker. Ma se il Partito socialista non dovesse raggiungere i 71 seggi necessari per governare da solo (attualmente ne ha 76), il calendario a tappe forzate promesso da Rama per l’adesione all’Ue potrebbe uscirne compromesso.Nel conto dei seggi, potranno giocare un ruolo anche nuove formazioni che sono entrate in corsa per dare un’alternativa ai due partiti dell’establishment percepiti come troppo corrotti: Levizja Bashke (Movimento Insieme), partito di sinistra fondato nel 2022 con radici nell’attivismo civico, Shqiperia behet (Fare l’Albania) e Nisma Thurje (Iniziativa), due partiti centristi anti-corruzione che corrono in una lista unita, e Mundesia (L’Opportunità), guidato Agron Shehaj, imprenditore ed ex deputato del Partito Democratico.

  • in

    Stoccolma respinge la lettera trumpiana contro le politiche di inclusione: “Non rinunciamo alla diversità”

    Bruxelles – Il comune di Stoccolma ha dichiarato di non avere alcuna intenzione di aderire alla richiesta, inviata dall’ambasciata statunitense, lo scorso martedì (6 maggio), che invitava la capitale a ridimensionare le proprie politiche di diversità, equità e inclusione (Dei), riprendendo la politica anti-inclusività dell’amministrazione statunitense di Donald Trump. Questo episodio è stato descritto come il primo caso in cui una lettera di questo tipo è stata inviata da un governo straniero.Jan Valeskog, vicesindaco di Stoccolma con delega alla pianificazione, ha definito la richiesta “assurda” e ha ricordato come contino “le nostre priorità politiche, non quelle di questa o altre ambasciate”. La lettera, che ha suscitato grande scalpore in Svezia, chiedeva a Stoccolma di confermare che non fossero in corso programmi per promuovere la diversità, l’equità e l’inclusione. In caso di rifiuto, veniva richiesto di fornire spiegazioni dettagliate da inviare al team legale statunitense. Valeskog ha confermato che la richiesta è stata inviata all’ufficio urbanistico, probabilmente in quanto destinatario di pagamenti e responsabile dell’applicazione delle tariffe per i permessi edilizi. “Siamo rimasti davvero sorpresi” ha affermato: “perché la diversità, l’uguaglianza e l’inclusione sono valori fondamentali che perseguiamo e difendiamo a Stoccolma”.La lettera fa parte di una serie di iniziative intraprese dall’amministrazione Trump per applicare le sue politiche contro le politiche Dei, che si estendono anche alle aziende straniere che intrattengono rapporti con il governo degli Stati Uniti. A marzo diversi funzionari europei, in particolar modo in Francia, avevano già espresso preoccupazione dopo che alcune aziende avevano riferito di aver ricevuto comunicazioni simili.Questo caso è stato il primo segnale di una possibile interferenza diretta nelle politiche locali da parte degli Stati Uniti, in un contesto che si aggiunge a un clima di crescente tensione tra le politiche americane e quelle europee. Dopo la pubblicazione della notizia, il caso ha suscitato un’ondata di reazioni sui social media e tramite email da parte di residenti e cittadini in tutta la Svezia. “Migliaia di persone sono davvero indignate” ha commentato Valeskog: “Molti seguono le notizie su quanto sta accadendo negli Stati Uniti, ma improvvisamente con queste richieste la questione è diventata molto più vicina“. L’episodio ha sollevato interrogativi sul ruolo delle politiche estere americane nelle scelte interne dei Paesi europei e ha riaffermato l’importanza dei valori democratici e inclusivi per le amministrazioni locali, in particolare quelle svedesi, che continuano a sostenere con forza la diversità e l’inclusione come principi irrinunciabili.

  • in

    Nuovo papa lo statunitense Prevost: è Leone XIV

    Roma (in collaborazione con Agenzia Gea) – E’ fumata bianca dopo la quarta votazione. I 133 cardinali elettori in Cappella Sistina hanno eletto il 267esimo Papa: è lo statunitense Robert Francis Prevost , 69 anni, che ha scelto il nome di Leone XIV.  Dopo la quarta votazione, i 133 cardinali elettori in Cappella Sistina hanno eletto il 267esimo PapaPrefetto del Dicastero per i Vescovi nel pontificato di papa Francesco e presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina. La sua formazione agostiniana e la lunga esperienza pastorale in Sud America hanno influenzato profondamente la sua visione ecclesiale e sociale, rendendolo un profilo apprezzato sia dagli Stati Uniti che dal Global South.Il nuovo pontefice incarna una visione che unisce spiritualità, giustizia sociale e responsabilità ambientale, promuovendo un impegno concreto e condiviso per la cura della casa comune.“Ci congratuliamo sinceramente con Sua Santità Leone XIV per la sua elezione a Papa e capo della Chiesa cattolica”, scrivono in un messaggio congiunto la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e quello del Consiglio, Antonio Costa. “Milioni di europei traggono ogni giorno ispirazione dall’impegno costante della Chiesa per la pace, la dignità umana e la comprensione reciproca tra le nazioni. Siamo certi – continuano -che Papa Leone XIV userà la sua voce sulla scena mondiale per promuovere questi valori condivisi e incoraggiare l’unità nella ricerca di un mondo più giusto e compassionevole”.Costa e von der Leyen aggiungono che “l’Unione europea è pronta a collaborare strettamente con la Santa Sede per affrontare le sfide globali e alimentare uno spirito di solidarietà, rispetto e gentilezza. Auguriamo che il pontificato di Papa Leone XIV sia guidato dalla saggezza e dalla forza, mentre guida la comunità cattolica e ispira il mondo attraverso il suo impegno per la pace e il dialogo”.Nato a Chicago il 14 settembre 1955, Prevost è un agostiniano missionario laureato in Matematica e Filosofia, inviato in missione in Perù per diversi anni, prima di diventare provinciale della provincia agostiniana di Chicago nel 1999. Richiamato a Roma da Papa Francesco per ricoprire il ruolo delicatissimo di prefetto dei vescovi, è stato creato cardinale da Bergoglio il 30 settembre 2023.Il papa è un convinto sostenitore dell’ecologia integrale. Nel 2024, durante il seminario ‘Affrontare i problemi della crisi ambientale alla luce della Laudato si’ e della Laudate Deum’, sottolinea la necessità di passare “dalle parole ai fatti”, basando la risposta alla crisi ambientale sulla Dottrina Sociale della Chiesa. Per Prevost, il “dominio sulla natura”, affidato da Dio all’umanità, non deve trasformarsi in “tirannia”, ma deve essere vissuto come una “relazione di reciprocità” con l’ambiente.Leone XIV mette anche in guardia dalle conseguenze dello sviluppo tecnologico incontrollato. Evidenzia l’importanza di un’economia umana che rispetti l’ambiente e promuova modelli circolari di produzione e consumo, opponendosi alla “cultura dello scarto”, ribadendo che l’economia dovrebbe migliorare, e non distruggere, il nostro mondo.Prevost ricorda l’impegno concreto alla Santa Sede nella tutela dell’ambiente, dall’installazione del maxi-impianto fotovoltaico sul tetto dell’Aula Paolo VI alla transizione in atto verso veicoli totalmente elettrici in Vaticano. Azioni che, scandisce, “testimoniano la volontà della Chiesa di essere un modello di sostenibilità”.Per il neo papa, una cooperazione globale deve essere alla base della lotta alla crisi climatica, con un ordine giuridico, politico ed economico che possa rafforzare il lavoro congiunto mondiale per “lo sviluppo di tutti i popoli in solidarietà”.

  • in

    A Tirana il sesto summit della Comunità politica europea

    Bruxelles – Continuano i lavori della Comunità politica europea (Cpe), il forum informale tirato fuori dal cappello da Emmanuel Macron tre anni fa per coordinare le cancellerie del Vecchio continente sulle sfide comuni in questa delicata fase storica. La sesta edizione si terrà la prossima settimana a Tirana, in Albania, e affronterà vari temi, dalla sicurezza alla migrazione passando per la competitività.Da Budapest, dove si è svolto il quinto vertice della Cpe lo scorso novembre, la palla passa ora a Tirana. La capitale albanese accoglierà il prossimo 16 maggio i leader delle 47 nazioni partecipanti, che includono tra gli altri i 27 membri dell’Ue più Regno Unito, Ucraina, Turchia e i sei Paesi dei Balcani occidentali. Per ora, fanno sapere funzionari del Consiglio europeo, non sono arrivate disdette ufficiali da parte dei capi di Stato e di governo. Il padrone di casa, tuttavia, dovrebbe rimanere l’attuale premier Edi Rama, a meno che le elezioni politiche in calendario per domenica (11 maggio) non smentiscano clamorosamente i sondaggi.I lavori si concentreranno su tre ambiti principali, definiti in termini vaghi per permettere a tutti di offrire contributi specifici rispetto ai propri interessi e alle proprie esperienze. A livello di coreografia, il summit si aprirà e si chiuderà con due sessioni plenarie, mentre nel pomeriggio i partecipanti si divideranno in tre tavoli tematici, ciascuno dei quali sarà co-presieduto da uno Stato membro dell’Ue e da uno extra-Ue.Artiglieria ucraina in azione (foto: Genya Savilov/Afp)Nella dimensione della difesa e della sicurezza, il fulcro delle discussioni sarà incentrato sul conflitto in Ucraina e sulla difesa continentale (diversi membri della Cpe fanno parte contemporaneamente anche della coalizione dei volenterosi a egida franco-britannica), ma si parlerà anche di come proteggere i processi democratici dalle cosiddette operazioni Fimi (interferenze e manipolazioni straniere, costantemente nel mirino di Bruxelles).La tavola rotonda su competitività e sicurezza economica toccherà elementi come l’innovazione, le infrastrutture digitali, la sostenibilità energetica, la crescita industriale e la sicurezza delle catene di approvvigionamento. Non si parlerà invece di dazi, in quanto per i Ventisette la politica commerciale è una competenza della Commissione Ue.Infine, nel terzo gruppo si scambieranno idee, suggerimenti e buone pratiche relativamente a migrazione legale e cooperazione coi Paesi terzi, ma anche rientro (e mantenimento) dei cervelli, emancipazione delle giovani generazioni e mobilità transnazionale nell’era dell’intelligenza artificiale.Trattandosi di un forum informale di dialogo e cooperazione politica, non sono previsti documenti finali di conclusioni: questo, nelle intenzioni degli organizzatori, dovrebbe consentire ai leader di discutere in maniera più franca. Soprattutto, sottolineano fonti Ue, si tratta di un’ottima occasione per incontri bilaterali o plurilaterali ai margini dei lavori, permettendo a capi di Stato e di governo di confrontarsi direttamente su singole questioni urgenti.Il presidente del Consiglio europeo, António Costa (foto: European Council)L’obiettivo generale di questi incontri, osserva un funzionario dall’entourage del presidente del Consiglio europeo, António Costa, è quello di “sviluppare una visione comune sul futuro dell’Europa” attraverso un format che rimane sui generis, sullo sfondo della mutata realtà geopolitica del continente in seguito all’aggressione russa dell’Ucraina. O almeno a parole. Nei fatti, una reale visione comune condivisa da tutti i partecipanti potrebbe rimanere una chimera.Ad esempio, almeno un paio dei leader che dovrebbero essere presenti a Tirana – il premier slovacco Robert Fico e il presidente serbo Aleksandar Vučić – parteciperanno domani (9 maggio) alle celebrazioni per l’80esimo anniversario della vittoria sovietica sulla Germania nazista nel 1945, ospitate da Vladimir Putin nella Piazza Rossa a Mosca. In barba agli ammonimenti rivolti a Stati membri e Paesi candidati dal capo della diplomazia comunitaria, Kaja Kallas, a non recarsi alla corte dello zar.Quello della prossima settimana sarà il primo vertice della Cpe nella regione. Negli stessi giorni, dal 15 al 17 maggio, Costa condurrà una serie di visite attraverso i sei partner dei Balcani occidentali – Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Macedonia del nord, Montenegro e Serbia – e si intratterrà coi leader di tutti questi Paesi in una cena informale a Tirana alla quale parteciperanno anche il capo dell’esecutivo comunitario Ursula von der Leyen e l’Alta rappresentante, a testimonianza dell’importanza che ricopre nell’agenda dell’Ue il processo di allargamento. Il 2025, ragionano i funzionari del Consiglio, è un anno potenzialmente importante per l’espansione del club a dodici stelle, ma c’è ancora molto lavoro da fare su diversi fronti.

  • in

    Israele, l’Ue respinge “qualsiasi tentativo di cambiamento demografico” a Gaza

    Bruxelles – Per la prima volta da quando le è stato affidato l’incarico di Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas promette di “fare di più” per mettere pressione a Israele affinché rispetti il diritto internazionale nella sua devastante offensiva a Gaza. Incalzata dalla “maggioranza dei Paesi membri” alla riunione informale dei ministri degli Esteri Ue a Varsavia, il capo della diplomazia europea ha dichiarato: “Respingiamo qualsiasi tentativo di cambiamento demografico o territoriale nella Striscia di Gaza, così come il trasferimento forzato della popolazione palestinese”.Quel che sta succedendo nell’enclave palestinese – dove da oltre due mesi non entrano più aiuti umanitari a causa del blocco imposto da Israele – “è insostenibile” e la situazione “si sta rapidamente deteriorando”, ha affermato Kallas a margine della riunione. Dopo settimane di silenzi assordanti, gli ultimi sviluppi hanno riportato il conflitto tra Israele e Hamas in alto nell’agenda di Bruxelles. Che da un lato invoca il rispetto del diritto internazionale in Ucraina, dall’altro continua a mantenere rapporti più che amichevoli con il governo di Benjamin Netanyahu, accusato di crimini di guerra e contro l’umanità – come Vladimir Putin – dalla Corte penale internazionale.Prima la rottura del cessate il fuoco e il nuovo disumano assedio della Striscia, ora il piano per prendere il controllo della distribuzione di aiuti umanitari tagliando fuori l’Onu e i suoi partner e soprattutto l’annuncio dell’estensione delle operazioni militari per conquistare Gaza. Dove non ci sono solo i miliziani di Hamas, ma 2,2 milioni di civili che sopravvivono tra le macerie, in mezzo a bombardamenti indiscriminati e senza più né acqua né cibo. L’agenzia di stampa palestinese Wafa ha riferito che nelle ultime 24 ore almeno 106 persone sono state uccise e altre 367 ferite a causa degli attacchi israeliani. Ieri, in un comunicato, il Commissario generale dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa), Philippe Lazzarini, ha riportato dell’uccisione di almeno 30 sfollati in una scuola dell’Unrwa. “A Gaza, giorno dopo giorno, l’inazione e l’indifferenza stanno normalizzando la disumanizzazione e ignorando i crimini trasmessi in diretta sotto i nostri occhi: famiglie bombardate, bambini bruciati vivi, bambini affamati”, ha scritto.Distribuzione di cibo nel centro della Striscia di Gaza, 5/5/25 (Photo by Eyad BABA / AFP)A sollevare la questione con urgenza a livello Ue sono stati a sorpresa i Paesi Bassi, finora tra i più restii a criticare l’alleato israeliano. Il ministro degli Esteri olandese, Caspar Veldkamp, ha rispolverato la richiesta – già sostenuta da Spagna e Irlanda e poi accantonata da Bruxelles – di procedere a una revisione dell’accordo di associazione Ue-Israele a causa delle chiare violazioni del diritto internazionale umanitario da parte di Tel Aviv. L’articolo 2 dell’accordo prevede infatti il rispetto dei diritti umani e dei principi democratici come base della cooperazione tra l’Unione e lo Stato ebraico.“Abbiamo deciso di discuterne al prossimo Consiglio Affari Esteri, che si terrà il 20 maggio”, ha annunciato Kallas. È un passo in avanti, a onor del vero già compiuto sei mesi fa dal suo predecessore Josep Borrell, il cui tentativo di interrompere il dialogo politico con Israele venne però bocciato sul nascere dai Paesi membri. Ed anche ora, di fronte alla nuova escalation israeliana, gli Stati membri restano divisi, ne è la riprova il fatto che nessuna nota di condanna è stata diffusa finora a nome dei 27. “Naturalmente dobbiamo fare brainstorming su cosa possiamo fare di più, sapete bene che su alcune questioni abbiamo opinioni molto divergenti fra gli Stati membri“, ha ammesso Kallas. Ma “ora la situazione è cambiata”, ha aggiunto. Forse se n’è accorta anche lei, la liberale estone falco dell’Ue per l’Ucraina. Meglio tardi che mai.