More stories

  • in

    L’Ue avvia una revisione dei fondi all’Unrwa, diversi Stati membri li hanno già sospesi. A rischio l’assistenza a Gaza

    Bruxelles – È cominciata la reazione a catena dopo le accuse mosse da Israele sul presunto coinvolgimento di 12 dipendenti dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa) nell’attacco terroristico di Hamas dello scorso 7 ottobre. Uno dopo l’altro, diversi governi hanno già annunciato la sospensione dei finanziamenti. L’Ue attende l’esito dell’indagine annunciata dall’Onu. E l’Unrwa fa sapere che così non sarà più in grado di garantire l’assistenza a Gaza oltre il mese di febbraio.Finora sono 13 i Paesi che si sono sfilati dagli impegni con l’Unrwa: Stati Uniti, Canada, Australia, Regno Unito, Italia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Svizzera, Norvegia, Finlandia, Romania e Giappone. Più cauta invece l’Unione europea, la cui cooperazione con l’Agenzia dell’Onu per la Palestina risale addirittura al 1971. La Commissione europea – che nel 2023 ha mobilitato 92 milioni di euro per l’Unrwa – ha fatto sapere che “attualmente non sono previsti ulteriori finanziamenti fino alla fine di febbraio” e che riesaminerà la questione “alla luce dell’esito dell’indagine annunciata dall’Onu e delle azioni che intraprenderà”.Nel frattempo, Bruxelles ha richiesto all’Unrwa di “effettuare un audit dell’agenzia che sarà condotto da esperti esterni indipendenti nominati dall’Ue”. In sostanza – ha spiegato il portavoce capo dell’escutivo Ue, Eric Mamer -, quando la Commissione “lavora intensamente come fa con l’Unrwa”, esistono diversi meccanismi di controllo e la possibilità di chiedere un audit “in qualsiasi momento”. Non si tratta di un’indagine sull’accaduto, ma riguarda la “rivalutazione dei pilastri concentrandosi in particolare sui sistemi di controllo con cui l’Unrwa previene il possibile coinvolgimento del suo personale in attività terroristiche”.

    L’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell (R) con il commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini (Photo by Kenzo TRIBOUILLARD / AFP)Non si è fatta attendere nemmeno la risposta del Palazzo di vetro. L’Onu ha immediatamente lanciato un’indagine da parte dell’Office of Internal Oversight Services (OIOS), il massimo organo investigativo delle Nazioni Unite, anche se il commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, aveva già annunciato l’avvio di un’indagine interna. Delle 12 persone implicate, nove sono state immediatamente identificate e licenziate, uno è stato confermato morto e le identità dei restanti due sono “in fase di chiarimento”.“Qualsiasi dipendente delle Nazioni Unite coinvolto in atti di terrorismo sarà ritenuto responsabile, anche attraverso procedimenti penali”, ha affermato il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. Riconoscendo le preoccupazioni dei paesi che hanno sospeso i fondi ed esprimendo il proprio orrore per le accuse, Guterres ha tuttavia lanciato un forte appello per garantire almeno la continuità delle operazioni dell’Unrwa. “I presunti atti ripugnanti di questi membri dello staff devono avere delle conseguenze. Ma le decine di migliaia di uomini e donne che lavorano per l’Unrwa, molti dei quali si trovano in alcune delle situazioni più pericolose per gli operatori umanitari, non dovrebbero essere penalizzate”, ha affermato. E con loro naturalmente la popolazione civile di Gaza, i cui “disperati bisogni devono essere soddisfatti”.Secondo i dati dell’Unrwa aggiornati al 27 gennaio, circa 1,7 milioni di sfollati interni stanno trovando riparo nei rifugi di emergenza dell’Agenzia. Delle 21.881 tonnellate metriche di farine distribuite dal 21 ottobre alla popolazione, più della metà (12.987) provenivano dall’Unrwa. Che nello stesso periodo ha consegnato a Gaza medicinali e forniture mediche per un valore totale di oltre 6,2 milioni di dollari, quasi 19 milioni di litri d’acqua, 2,7 milioni di unità di biscotti e biscotti ad alto contenuto energetico, quasi 4,7 milioni di scatole di cibo a base di proteine, oltre 6,5 milioni di unità di prodotti caseari e altri alimenti, tra cui datteri, dolci e succhi di frutta. E quasi 100.000 materassi, 80.000 kit per l’igiene familiare, oltre 3,1 milioni di pannolini, circa 144.000 coperte e oltre 1,9 milioni di articoli per la pulizia.

    Membri dell’Unrwa distribuiscono farina a Gaza (Photo by SAID KHATIB / AFP)Ma l’Agenzia ha dichiarato che non sarà in grado di continuare le operazioni a Gaza e in tutta la regione oltre la fine di febbraio, se non riprenderanno i finanziamenti a suo favore. Anche se l’Ue ha già affermato che “gli aiuti umanitari ai palestinesi di Gaza e della Cisgiordania continueranno senza sosta attraverso altre organizzazioni partner”, è difficile immaginare di poter rimpiazzare il lavoro degli oltre 13 mila dipendenti dell’Unrwa residenti a Gaza, in gran parte essi stessi profughi palestinesi.Tutto questo a pochi giorni dal pronunciamento della Corte di giustizia internazionale, che ha chiesto a Israele che vengano consentite “senza indugi” la fornitura di servizi di base e di assistenza umanitaria “urgentemente necessari per alleviare le difficili condizioni di vita a cui sono sottoposti i palestinesi della Striscia di Gaza”. E che, per le accuse mosse allo 0,09 per cento dell’Unrwa, rischia ora tragicamente di interrompersi.

  • in

    Dombrovskis: “Nessuna proposta per messa al bando dei prodotti degli insediamenti israeliani”

    Bruxelles – Logiche e rapporti bilaterali tra Unione europea e Israele non cambiano, neppure alla luce di un conflitto in corso e le tensioni frutto di posizioni dello Stato ebraico sulla soluzione a due Stati della questione arabo-israeliana che non piacciono all’Ue. Il lavoro dei coloni israeliani nei territori palestinesi continuerà ad essere oggetto di scambi con l’Unione. “La Commissione non ha intenzione di presentare una proposta per vietare ai prodotti degli insediamenti di entrare nel mercato unico dell’UE“, scandisce il commissario per il Commercio, Valdis Dombrovskis, rispondendo a un’interrogazione parlamentare che arriva dai banchi de LaSinistra.L’esecutivo comunitario in sostanza intende lasciare tutto così com’è nelle relazioni con Israele. Pur non riconoscendo gli insediamenti israeliani come parte dello Stato ebraico, l’UE non modificherà quello che è il regime delle relazioni bilaterali politico e in materia commerciale. L’accordo di associazione UE-Israele prevede trattamenti tariffari preferenziali, vale a dire dazi ridotti alle importazioni di beni e prodotti israeliani. Un trattamento di favore che non si applica però a tutto il ‘made in Israel’ proveniente dagli insediamenti, la cui origine è anche specificata in etichetta. E non cambierà.“Il nuovo codice della tariffa doganale UE (TARIC) introdotto nel 2023 mira a facilitare e migliorare il rispetto di tale distinzione da parte degli importatori dell’UE”, specifica Dombrovskis. La politica dunque resterà quelle adottata fin qui. Dazi all’import per tutto ciò che riguarda gli insediamenti quale misura per prendere le distanze da una politica, quella delle colonie, comunque condannata dall’UE.

  • in

    L’Ue chiede all’Unrwa “piena trasparenza” sulle accuse di coinvolgimento negli attacchi di Hamas del 7 ottobre

    Bruxelles – “Siamo estremamente preoccupati per le accuse di coinvolgimento del personale dell’Unrwa negli attacchi terroristici del 7 ottobre in Israele”. L’Ue prende nota delle informazioni fornite dalle autorità israeliane sulla presunta partecipazione di diversi dipendenti dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei rifugiati palestinesi all’operazione condotta da Hamas che ha portato alla morte di oltre 1200 cittadini israeliani.In una nota, l’Alto rappresentante per gli Affari Esteri, Josep Borrell, ha dichiarato di essere in contatto con l’Unrwa e di aspettarsi che “fornisca piena trasparenza sulle accuse e che prenda misure immediate contro il personale coinvolto”. La Commissione europea – ha assicurato Borrell – “valuterà gli ulteriori passi da compiere e trarrà insegnamenti in base ai risultati di un’indagine completa ed esaustiva”.L’Unrwa è una dei maggiori partner dell’Ue in Cisgiordania e a Gaza. “L’Unrwa ha svolto per molti anni un ruolo fondamentale nel sostenere i rifugiati palestinesi vulnerabili nell’accesso a servizi vitali come l’istruzione e la salute, ed è un partner cruciale della comunità internazionale”, ha spiegato Borrell. La cooperazione tra l’Ue e l’Unrwa risale addirittura al 1971, e solo nel 2023 Bruxelles ha contribuito al lavoro dell’Agenzia con 92 milioni di euro.Il commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, ha definito “scioccanti” le accuse delle autorità israeliane e ha annunciato di aver preso la decisione di “rescindere immediatamente i contratti di questi membri e di avviare un’indagine per stabilire senza indugio la verità”. Qualsiasi dipendente coinvolto in atti di terrorismo “sarà ritenuto responsabile, anche attraverso procedimenti penali”, ha promesso l’alto funzionario.

  • in

    La Corte de l’Aia ha ordinato a Israele di “adottare le misure necessarie” per scongiurare il genocidio a Gaza

    Bruxelles – Un’occasione persa per chiedere a Israele di interrompere le operazioni militari a Gaza. O “una vittoria decisiva per lo Stato di diritto internazionale”, come l’ha definita il ministero degli Esteri del Sudafrica. Tutto sta nel voler vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Dalla Corte de l’Aia esce il primo verdetto: Israele deve “adottare tutte le misure in suo potere” per impedire un genocidio contro il popolo palestinese.C’era grande attesa per le misure provvisorie che la Corte Internazionale di Giustizia avrebbe ordinato di intraprendere a Tel Aviv, portata a giudizio dal Sudafrica con l’accusa di aver violato la Convenzione per la prevenzione e la repressione del genocidio, alla luce delle oltre 26 mila vittime dei bombardamenti su Gaza. Ma prima ancora, il primo punto fermo che esce dall’aula è che i giudici non hanno archiviato il caso, perché hanno ritenuto che alcune delle denunce presentate dal Sudafrica sono giustificate.Messo nero su bianco questo, l’aspettativa era alta perché il tribunale aveva la possibilità di chiedere – o meglio imporre, essendo le sue decisioni vincolanti – a Israele di porre fine immediatamente alla devastante risposta militare all’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso. E di spostare dunque le sorti della guerra. Ma dalla giuria, presieduta dalla statunitense Joan Donoghue, non è arrivato l’ordine di un cessate il fuoco. Israele dovrà però riferire alla corte entro un mese le precauzioni adottate per prevenire gli atti di genocidio nella Striscia, e dovrà conservare le prove di queste misure e renderle accessibili a missioni internazionali e altri organismi che operano a Gaza.

    La giudice Joan E. Donoghue [Photograph: UN Photo/ICJ-CIJ/Frank van Beek]Oltre a “garantire con effetto immediato che il suo esercito non commetta nessuno degli atti” che il Trattato internazionale del 1948 riconosce come genocidio, la Corte ha chiesto ad Israele di adottare tutte le misure in suo potere per “prevenire e punire l’incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio contro i membri della popolazione palestinese nella Striscia di Gaza”. In linea con quanto gli appelli della comunità internazionale, l’Aia chiede che siano consentite “senza indugi” la fornitura di servizi di base e di assistenza umanitaria “urgentemente necessari per alleviare le difficili condizioni di vita a cui sono sottoposti i palestinesi della Striscia di Gaza”.La giuria internazionale ha sottolineato infine che “tutte le parti in conflitto nella Striscia di Gaza sono vincolate dal diritto internazionale umanitario” e ha chiesto “il rilascio immediato e incondizionato degli ostaggi” ancora prigionieri di Hamas.Le reazioni di Israele e Palestina al verdetto della Corte de l’AiaVedono il bicchiere mezzo pieno il Sudafrica, che ha definito la giornata di oggi “una pietra miliare significativa nella ricerca di giustizia per il popolo palestinese“, e l’Autorità nazionale palestinese (Anp), il cui ministro degli Esteri, Riyad al Maliki, ha celebrato la sentenza ricordando che le decisioni del tribunale che fa capo alle Nazioni Unite sono vincolanti.Sospiro di sollievo a Bruxelles, dove le istituzioni europee si sarebbero trovate in difficoltà – dopo tre mesi di supporto a Israele e le recenti dichiarazioni di sostegno incondizionato alla Corte de l’Aia – in caso di una sentenza più dura nei confronti di Tel Aviv. “L’Ue si aspetta una piena, immediata ed effettiva implementazione” delle misure provvisorie richieste dalla Corte di Giustizia Internazionale, si legge in una nota congiunta della Commissione europea e dell’Alto rappresentante per gli Affari Esteri, Josep Borrell.Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha commentato che “l’impegno di Israele nei confronti del diritto internazionale è incrollabile, così come incrollabile è il nostro sacro impegno a continuare a difendere il nostro Paese”. Secondo Netanyahu la Corte ha “giustamente respinto” il “vile tentativo di negare a Israele il suo diritto fondamentale” all’autodifesa. Ma la stessa “volontà della Corte di discutere” del possibile genocidio contro i palestinesi “è un marchio di vergogna che non sarà cancellato per generazioni”. Secondo media locali, il premier israeliano avrebbe chiesto ai suoi ministri di non commentare la sentenza, per paura di uscite sopra le righe. Che sono puntualmente arrivate: il ministro per la Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, ha definito la corte de l’Aia “antisemita“, perché “non cerca giustizia, ma la persecuzione del popolo ebraico”. E ha invitato “non ascoltare decisioni che mettono in pericolo la sopravvivenza dello Stato di Israele”.

  • in

    Sul Memorandum con la Tunisia non è ancora detta l’ultima parola. I Greens vogliono bloccare i 150 milioni Ue di sostegno al budget

    Bruxelles – L’accordo di partenariato strategico siglato lo scorso luglio da Ursula von der Leyen e Kais Saied continua a fare rumore. Il gruppo dei Verdi al Parlamento europeo ha annunciato che solleverà un’obiezione per bloccare almeno l’esborso – previsto nel capitolo relativo all’assistenza macroeconomica incluso nel Memorandum – di 150 milioni di euro di sostegno al budget tunisino dalla casse Ue.Per sospendere il finanziamento, la commissione parlamentare competente – in questo caso quella per gli Affari Esteri (Afet) – può presentare una proposta di risoluzione motivata in cui afferma che “un progetto di atto o misura di esecuzione non è coerente con il diritto dell’Unione” e sottoporla al voto della plenaria dell’Eurocamera. Anche se l’obiezione non sarebbe in ogni caso vincolante per la Commissione europea.L’eurodeputata olandese, Tineke Strik, ha pubblicato la lettera che i Verdi hanno indirizzato alla commissione Afet. In cui denunciano di “non aver mai ricevuto una risposta conclusiva da parte dell’esecutivo Ue” alle continue richieste di informazioni sul controllo del rispetto dello stato di diritto, della democrazia e dei diritti umani nell’ambito dell’accordo con la Tunisia e sull’eventuale applicazione di qualche forma di condizionalità per autorizzare i finanziamenti.L’eurodeputata del gruppo dei Verdi, Tineke StrikPerché in un Paese in cui “lo Stato di diritto e i diritti umani sono continuamente sottoposti a forti pressioni da parte del governo centrale”, un supporto al bilancio da 150 milioni di euro non dovrebbe essere preso alla leggera. Nella lettera, cofirmata da Strik e dai colleghi Erik Marquardt e Mounir Satouri, si elencano “le continue vessazioni, i licenziamenti e le detenzioni arbitrarie di giornalisti, avvocati, difensori dei diritti umani e oppositori politici”, che “costituiscono un grave attacco ai principi fondamentali dello Stato di diritto“.Per questo, e per il “trattamento riservato ai migranti dalle autorità governative nell’ultimo anno, tra cui violenze fisiche e abbandono del deserto”, i Verdi europei sostengono che la decisione di concedere i 150 milioni di euro al governo di Saied violi l’articolo 21 del Trattato sull’Unione europea, secondo cui l’azione esterna dell’Unione europea deve essere guidata dai principi della democrazia, dello Stato di diritto, dei diritti umani e delle libertà fondamentali.Solo pochi giorni fa, nel corso di un’audizione in Commissione Libertà Civili (Libe) con la commissaria Ue per gli Affari Interni, Ylva Johansson, Amnesty International aveva denunciato le “continue espulsioni di massa” portate avanti dal governo di Kais Saied, che avvengono “sempre con lo stesso schema”. Quello già ampiamente documentato la scorsa estate, quando centinaia di migranti sub-sahariani erano stati caricati su pullman che da Sfax – principale località di partenza per l’Europa – li avevano abbandonati nel deserto al confine con la Libia. Inoltre, aveva avvertito Amnesty International, “la polizia tunisina è estremamente corrotta” e “prende soldi anche da chi lavora con i trafficanti”.Visto poi che – dopo la firma del Memorandum – le autorità tunisine hanno rifiutato l’accesso nel Paese a delegazioni ufficiali della Commissione europea e dell’Eurocamera – Strik, Marquardt e Satouri si dicono “preoccupati per il grado di responsabilità e di controllo parlamentare di questo sostegno al bilancio del governo tunisino”.Quei 150 milioni, che sarebbero una misura urgente per rimpinguare le casse di Tunisi in attesa di ulteriori 900 milioni vincolati allo sblocco di un maxi-prestito da 1,9 miliardi del Fondo Monetario Internazionale, “rischiano di finire nelle mani sbagliate e di sostenere un governo non democratico, mentre i benefici effettivi per la popolazione tunisina sarebbero limitati”. Secondo i Greens “esistono altri modi più efficaci per rafforzare il sostegno diretto alla popolazione tunisina, tra cui le organizzazioni della società civile”.

  • in

    Crolla la resistenza dell’Ungheria di Orbán alla ratifica del protocollo di adesione della Svezia alla Nato

    Bruxelles – Non è durato nemmeno 24 ore l’ostruzionismo aperto del premier ungherese, Viktor Orbán, alla ratifica del protocollo di adesione della Svezia alla Nato, dopo lo sblocco dello stallo con il voto favorevole della Grande Assemblea Nazionale Turca arrivato nella serata di ieri (23 gennaio). Rimasta l’unico Paese membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord a non aver approvato in modo formale l’ingresso di Stoccolma come 32esimo membro dell’Alleanza Atlantica, l’Ungheria ha subito le pressioni degli altri alleati della Nato – incluso il segretario generale Jens Stoltenberg – e già oggi (24 gennaio) il premier Orbán ha reso noto che “alla prima occasione possibile” arriverà il voto dell’Assemblea Nazionale di Budapest per la ratifica del protocollo di adesione di Stoccolma.

    Da sinistra: il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e il primo ministro della Svezia, Ulf Kristersson (credits: Jonathan Nackstrand / Afp)“Ho ribadito che il governo ungherese sostiene l’adesione della Svezia alla Nato, ho anche sottolineato che continueremo a sollecitare l’Assemblea nazionale ungherese a votare a favore dell’adesione della Svezia”, ha scritto il leader ungherese su X a seguito della telefonata con il segretario generale della Nato. Lo stesso Stoltenberg ha “accolto con favore il chiaro sostegno” di Orbán e del governo ungherese, esortando la ratifica del protocollo di adesione della Svezia “non appena il Parlamento tornerà a riunirsi”. La fine delle velleità di Orbán di tenere in ostaggio l’ingresso del nuovo membro nell’Alleanza è arrivata con il secco rifiuto del governo di Stoccolma a partecipare a un incontro a Budapest per “negoziare l’adesione della Svezia alla Nato“, come recitava l’invito recapitato ieri dal primo ministro Orbán all’omologo svedese, Ulf Kristersson.Mentre nell’ultimo anno e mezzo l’attenzione era tutta rivolta ad Ankara e alle minacce esplicite del presidente Recep Tayyip Erdoǧan di bloccare il processo in caso di non rispetto delle condizioni richieste, a Budapest il dossier della ratifica del protocollo di adesione della Svezia alla Nato non è mai avanzato soprattutto per il contrasto diplomatico tra i due Paesi membri Ue. Proprio durante il semestre di presidenza svedese del Consiglio dell’Ue (tra gennaio e luglio 2023), il premier Kristersson è stato particolarmente duro nelle sue critiche all’erosione dello Stato di diritto determinato dal governo Orbán e tutt’ora è uno dei leader più intransigenti sui ricatti del premier ungherese al tavolo del Consiglio Europeo (in particolare sulle questioni dei fondi Ue e del sostegno all’Ucraina).I passi della Svezia per entrare nella NatoPer diventare membro della Nato, un Paese deve inviare una richiesta formale, precedentemente approvata dal proprio Parlamento nazionale. A questo punto si aprono due fasi di discussioni con l’Alleanza, che non necessariamente aprono la strada all’adesione: la prima, l’Intensified Dialogue, approfondisce le motivazioni che hanno spinto il Paese a fare richiesta, la seconda, il Membership Action Plan, prepara il potenziale candidato a soddisfare i requisiti politici, economici, militari e legali necessari (sistema democratico, economia di mercato, rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, standard di intelligence e di contributo alle operazioni militari, attitudine alla risoluzione pacifica dei conflitti). Questa seconda fase di discussioni è stata introdotta nel 1999 dopo l’ingresso di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, per affrontare il processo con aspiranti membri con sistemi politici diversi da quelli dei Paesi fondatori dell’Alleanza, come quelli ex-sovietici.

    La procedura di adesione inizia formalmente con l’applicazione dell’articolo 10 del Trattato dell’Atlantico del Nord, che prevede che “le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. La risoluzione deve essere votata all’unanimità da tutti i Paesi membri. A questo punto si aprono nel quartier generale a Bruxelles gli accession talks, per confermare la volontà e la capacità del candidato di rispettare gli obblighi previsti dall’adesione: questioni politiche e militari prima, di sicurezza ed economiche poi. Dopo gli accession talks, che sono a tutti gli effetti una fase di negoziati, il ministro degli Esteri del Paese candidato invia una lettera d’intenti al segretario generale dell’Alleanza.Il processo di adesione si conclude con il Protocollo di adesione, che viene preparato con un emendamento del Trattato di Washington, il testo fondante dell’Alleanza. Questo Protocollo deve essere ratificato da tutti i membri, con procedure che variano a seconda del Paese: in Italia è richiesto il voto del Parlamento riunito in seduta comune, per autorizzare il presidente della Repubblica a ratificare il trattato internazionale. Una volta emendato il Protocollo di adesione, il segretario generale della Nato invita formalmente il Paese candidato a entrare nell’Alleanza e l’accordo viene depositato alla sede del dipartimento di Stato americano a Washington. Al termine di questo processo, il candidato è ufficialmente membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.

  • in

    La Commissione Ue punta a firmare un partenariato strategico con l’Egitto entro febbraio

    Bruxelles – Stiamo entrando in un “periodo d’oro” delle relazioni tra l’Ue e l’Egitto. In occasione del ventesimo anniversario dall’Accordo di associazione tra Bruxelles e il Cairo, il commissario europeo per l’Allargamento, Olivér Várhelyi, ha annunciato che “spera di ottenere entro il mese prossimo tutti i via libera dagli Stati membri e di arrivare alla firma” di un nuovo partenariato strategico.Il gabinetto von der Leyen è al lavoro già da tempo per replicare il modello di accordo applicato a luglio con la Tunisia in altri Paesi della regione. E ora sembra in dirittura d’arrivo il Memorandum d’Intesa ricamato sull’Accordo di associazione che lega l’Ue e l’Egitto dal 2004 e sulle priorità del partenariato firmate due anni fa. “Sono lieto che la nostra cooperazione abbia acquisito intensità e qualità”, ha dichiarato l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, nella conferenza stampa congiunta con il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry.

    Da destra: il commissario Ue per l’Allargamento, Olivér Várhelyi, l’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell, e il ministro degli Esteri egiziano, Sameh ShoukryIl partenariato con l’Egitto si baserà su sei pilastri di “interesse reciproco”: relazioni politiche, stabilità economica, investimenti e commercio, migrazione e mobilità, sicurezza e demografia e “altri settori a cui stiamo lavorando”, ha spiegato Várhelyi. Già oggi Borrell e Shoukry hanno firmato un accordo che consentirà all’Egitto di partecipare ad alcuni programmi europei aperti a Paesi terzi, come Horizon Europe.A sostegno dell’idea che i tempi sono maturi per “elevare a partnership globale e strategica” la cooperazione con il Cairo, Várhelyi ha citato il “successo” del piano economico e di investimento per l’Egitto, che prevede la mobilitazione di 9 miliardi di euro in investimenti nei settori alimentare, idrico ed energetico, nel periodo 2021-2027. “Siamo orgogliosi di aver già mobilitato 5,8 miliardi di euro“, ha esultato il commissario ungherese. E poi la presenza sempre più importante delle aziende europee in Egitto, che forniscono “una parte significativa del motore dell’economia egiziana”. E il dato sugli scambi commerciali: l’Ue è il primo partner commerciale del Cairo, copre il 27 per cento di tutti gli scambi dell’Egitto.Se il Memorandum con la Tunisia ruota maggiormente intorno alla gestione delle frontiere e alla cooperazione in materia migratoria, per l’Egitto – un Paese che già ospita sul suo territorio oltre 9 milioni di migranti – le sfide e le opportunità sono differenti. Da un lato, come spiegato da Borrell, l’Ue si impegnerà a “sostenere lo sviluppo economico e sociale, accompagnare l’agenda di riforme dell’Egitto, dall’economia ai diritti umani, e attrarre investimenti cruciali” nel Paese. Dall’altro, Bruxelles è particolarmente interessata all’enorme bacino energetico del Paese nordafricano. “L’Egitto può diventare non solo un fornitore affidabile di gas, ma anche una fonte affidabile di energia rinnovabile. Il potenziale dell’Egitto in termini di elettricità verde è difficile da eguagliare”, ha dichiarato Varhelyi, a margine del confronto con Borrell e Shoukry.Ue e Egitto ribadiscono il sostegno alla Soluzione dei due Stati in Israele e PalestinaNell’agenda del decimo Consiglio di Associazione c’era anche la crisi in corso in Medio Oriente. L’Ue e l’Egitto hanno condiviso la loro preoccupazione per la disastrosa situazione umanitaria a Gaza, sollecitando “la massima moderazione e la protezione dei civili in conformità con i principi universali del diritto internazionale umanitario”.Borrell ha voluto sottolineare “il ruolo cruciale giocato dall’Egitto nel garantire assistenza alla popolazione palestinese e nel negoziare le pause umanitarie e il rilascio degli ostaggi”. I due partner hanno affermato il loro fermo rifiuto di qualsiasi forma di sfollamento individuale o collettivo, forzato o meno, di palestinesi da qualsiasi parte dei territori occupati. Compresa la Striscia di Gaza e la Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est.Ancora distanti sulla necessità di fermare le ostilità: l’Egitto chiede un cessate il fuoco immediato, mentre l’Ue ha sottolineato l’urgenza di pause umanitarie. Ma Bruxelles e il Cairo condividono la necessità di rilanciare la soluzione dei due Stati. “L’unica via verso una soluzione giusta, duratura e globale del conflitto in Medio Oriente è la soluzione dei due Stati che ponga fine all’occupazione e conduca alla creazione di uno Stato palestinese indipendente, contiguo, sovrano“, si legge nella dichiarazione congiunta pubblicata a margine dell’incontro.

  • in

    Tunisia, la Commissione Ue rassicura sull’applicazione del Memorandum: “In caso di violazioni dei diritti bloccheremo i fondi”

    Bruxelles – Per la Commissione europea il Memorandum d’Intesa con la Tunisia “funziona benissimo”. Parola di chi quell’accordo l’ha firmato, il commissario per l’Allargamento, Olivér Várhelyi, e della responsabile Ue per gli Affari interni, Ylva Johansson. Che, interrogata dagli eurodeputati della commissione Libertà civili (Libe), ha rassicurato i più critici: “I nostri progetti hanno tolleranza zero verso le violazioni i diritti fondamentali”.I dati sugli sbarchi in Italia che arrivano dal Viminale danno per ora manforte all’esecutivo Ue, anche se la stessa Johansson ha ammesso che le cifre degli ultimi mesi “sono dovute anche alle condizioni meteorologiche”. Dallo scorso autunno infatti, i numeri degli arrivi di persone migranti sulle coste italiane sono costantemente più bassi di quelli dell’anno precedente: 10.277 a ottobre 2023 (erano 13.492 nel 2022), 8.317 a novembre (9.061 nel 2022), 5.237 a dicembre (10.788 nel 2022). E anche nel nuovo anno la tendenza sembrerebbe confermata: per ora nel 2024 il Ministero degli Interni italiano ha registrato 1.298 arrivi, contro i 3.035 dell’intero gennaio 2023.

    La commissaria Ue per gli Affari Interni, Ylva JohanssonSecondo la commissaria, dall’inizio di ottobre le partenze dalla Tunisia sarebbero diminuite addirittura dell’80-90 per cento. E – dalla firma del Memorandum avvenuta il 16 luglio – le autorità tunisine avrebbero arrestato 750 trafficanti di esseri umani e scafisti. “È estremamente importante prevenire queste pericolose partenze”, ha dichiarato Johansson. Dai dati raccolti dal Migrants Missing Project, sulla rotta del Mediterraneo centrale sarebbero morti e dispersi almeno 2498 migranti nel 2023. Di questi, dopo il picco di giugno in cui le vittime sono state 729, solo 665 nella seconda metà dell’anno. E 75 a gennaio 2024.La Commissione Ue respinge le accuse di violazioni dei diritti umani in TunisiaSe – con lo zampino delle cattive condizioni meteo – l’intensificazione dell’attività delle autorità tunisine ha effettivamente portato a un migliore controllo delle coste, questo non significa automaticamente che il Memorandum Ue-Tunisia sia vincente. All’audizione in Commissione Libe ha partecipato anche Hussein Baoumi, responsabile nella regione per Amnesty International: Baoumi ha denunciato le “continue espulsioni di massa” portate avanti dal governo di Kais Saied, che avvengono “sempre con lo stesso schema”. Quello già ampiamente documentato la scorsa estate, quando centinaia di migranti sub-sahariani erano stati caricati su pullman che da Sfax – principale località di partenza per l’Europa – li avevano abbandonati nel deserto al confine con la Libia.Inoltre, ha avvertito Amnesty International, “la polizia tunisina è estremamente corrotta” e “prende soldi anche da chi lavora con i trafficanti”. Ma Johansson non ne ha voluto sapere, la diminuzione delle partenze non è legata alle deportazioni nel deserto, ma al fatto che la guardia costiera e la polizia tunisine stiano combattendo i trafficanti. E per quel che riguarda le condizioni delle persone migranti che rimangono bloccate sulle coste del Paese nordafricano, “la Tunisia è sempre di più un Paese di transito e non è attrezzata per gestire la situazione, ci vuole tempo per costruire le capacità”, ha spiegato la commissaria.Secondo i dati citati da Johansson, in Tunisia c’è stato un aumento del 600 per cento dei richiedenti asilo negli ultimi anni. E l’Ue, nell’ambito del Memorandum d’intesa e attraverso la cooperazione con l’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni (Oim) e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), sta cercando di rafforzare un sistema di asilo che non è mai esistito. La Commissione europea rispedisce al mittente le accuse di finanziare progetti che violano i diritti umani in Tunisia. “I fondi Ue per la Tunisia collegati alla migrazione non vanno ‘ad amici di amici’, vanno a organizzazioni internazionali”, ha dichiarato Johansson. L’Oim, l’Unhcr, la Croce rossa tunisina. “C’è controllo e valutazione su come vengono utilizzati e sono pronta a esplorare ulteriori meccanismi di monitoraggio per far sì che che i nostri fondi non siano usati da chi viola diritti umani“, ha promesso.Nonostante ci siano ancora numerose criticità sull’implementazione dei 5 pilastri del Memorandum con la Tunisia – che inserisce il capitolo gestione delle migrazioni in una “partnership comprensiva globale” – Johansson ha confermato che l’Ue è “vicina a un accordo su una dichiarazione congiunta con l’Egitto“, anticamera di un nuovo Memorandum d’Intesa sul modello di quello con la Tunisia. Un memorandum che dovrà rispondere ad altre sfide, perché l’Egitto “non è proprio un Paese di transito”. Proprio no, in Egitto ci sono oggi oltre 9 milioni di persone migranti.