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    Simson: “Ue al lavoro per rispondere a incidente nucleare a Zaporizhzhia”

    Bruxelles – Adesso la centrale nucleare di Zaporizhzhia fa paura. La Commissione europea teme incidenti, e lavora allo scenario peggiore, comunque sempre rimasto sullo sfondo e mai davvero sottovalutato. La commissaria per l’Energia, Kadri Simson, ammette che il collegio dei commissaria “ha rafforzato la preparazione in caso di incidenti radiologici e condotto attività di modellizzazione per valutare l’impatto di un incidente nucleare in Ucraina”. Un lavoro portato avanti con i governi nazionali. “La Commissione collabora con gli Stati membri per migliorare la preparazione e la risposta in caso di emergenza radiologica o nucleare in Ucraina“.

    L’auspicio è di non dover mai ricorrere ai piani d’emergenza, ma intanto l’Ue si prepara. L’ammissione di Simson arriva nella risposta all’interrogazione parlamentare presentata dall’europarlamentare lituano del Ppe, Liudas Mažylis. A lui ricorda che comunque l’esecutivo comunitario non è mai rimasto a guardare da quanto l’impianto di Zaporizhzhia è finito al centro della guerra russo-ucraina. “La Commissione monitora da vicino la situazione presso la centrale”, e lo fa “regolarmente” insieme all’autorità ucraina di regolamentazione della sicurezza nucleare e con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), “la cui presenza continua, sostenuta dall’UE, è fondamentale per gli aggiornamenti sulla situazione”. In questa attività di controllo continuo e regolare la Commissione, spiega ancora Simson, “monitora i livelli di radiazioni in tutta Europa attraverso la piattaforma europea per lo scambio di dati radiologici con molteplici punti di lettura in Ucraina”. Inoltre, l’Ue ha già fornito a Kiev l’assistenza preventiva del caso, vale a dire “attrezzature chimiche, biologiche, radiologiche o nucleari e assistenza medica”.

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    Dall’Ue 150 milioni per sostenere le riforme economiche in Tunisia

    Bruxelles – L’Ue sblocca i 150 milioni di assistenza macroeconomica previsti nel Memorandum d’Intesa firmato a luglio 2023 con la Tunisia. Un’erogazione che doveva essere “urgente”, ma che ha dovuto attendere segnali incoraggianti dal governo di Kais Saied e dalla sua volontà di intraprendere una serie di riforme economiche.Il tanto discusso accordo “ha iniziato a dare i suoi frutti in tutti”, ha esultato il commissario Ue per l’Allargamento, Olivér Várhelyi. Sottolineando che il finanziamento “fa seguito agli sforzi compiuti dalla Tunisia in termini di gestione delle finanze pubbliche e di clima imprenditoriale e di investimenti”. In realtà, questi 150 milioni sono solo una piccola parte di un piano di assistenza macroeconomica da oltre un miliardo di euro. Ma il pacchetto sostanzioso con i restanti 900 milioni rimane lontano, vincolato allo sblocco del maxi-prestito da 1,9 miliardi che il Fondo Monetario Internazionale tiene congelati da oltre un anno.Il sostegno alle casse tunisine arriverà sotto forma di sovvenzione e – precisa ancora la Commissione – come tutti i supporti al bilancio dell’Ue “viene effettuato sulla base dei progressi effettivi compiuti nell’attuazione delle riforme strutturali avviate dalla Tunisia”. È il secondo esborso previsto dal Memorandum, dopo la querelle dello scorso ottobre, quando il presidente Saied aveva rifiutato un primo pagamento di 127 milioni – di cui circa la metà faceva parte di accordi pregressi – definendoli “un’elemosina”. Salvo poi – a luci spente – incassarli. In quel caso, i 67 milioni inerenti al Memorandum rientravano nel pilastro della lotta alla migrazione irregolare, a cui Bruxelles dedicherà in totale 105 milioni di euro.“Si tratta di un passo importante nel quadro del nostro accordo concluso l’anno scorso e di un bel passo avanti nel nostro partenariato”, ha commentato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Che ha più volte definito il Memorandum con la Tunisia come un modello di partnership strategica globale da replicare nei Paesi vicini. A partire dall’Egitto, con cui sono già stati avviate le trattative.

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    La Commissione Ue rispetterà gli impegni presi con l’Unrwa nel 2024: pronti i primi 50 milioni di euro

    Bruxelles – L’Ue non chiuderà i rubinetti all’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Profughi Palestinesi (Unrwa). A oltre un mese dalle gravi accuse israeliane a 12 dipendenti dell’Agenzia, presunti complici di Hamas negli attacchi del 7 ottobre, le azioni intraprese dall’Unrwa per accertare le responsabilità individuali e rafforzare il controllo dell’Agenzia hanno convinto la Commissione europea a procedere al pagamento di 50 milioni, linfa vitale per non interrompere l’assistenza alla popolazione di Gaza.Si tratta della prima sostanziosa tranche degli impegni previsti per il 2024, che ammontano a 82 milioni totali. “La seconda e la terza tranche di 16 milioni di euro saranno erogate in linea con l’attuazione dell’accordo”, fa sapere la Commissione europea. Accordo che prevede che – oltre all’indagine avviata dall’Ufficio per i servizi di supervisione interna delle Nazioni Unite (Oios) e all’istituzione di una commissione di revisione indipendente – l’Unrwa avvii un audit dell’Agenzia condotto da esperti esterni nominati da Bruxelles. La caparbietà con cui il commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, ha dichiarato di essere pronto a rivoluzionare l’agenzia per garantire una revisione del personale, mettere in atto ulteriori meccanismo di controllo e rafforzare il dipartimento di indagini interne hanno fatto il resto.UNRWA Commissioner General Philippe Lazzarini in Brussels, February 12, 2023. (Photo by Kenzo TRIBOUILLARD / AFP)Come spiegato dal commissario Ue per l’Allargamento, Olivér Várhelyi, che alla notizia del presunto coinvolgimento dei 12 dell’Unrwa agli attacchi di Hamas aveva immediatamente spinto per la sospensione dei fondi all’Agenzia, “con la decisione odierna la Commissione diversifica la sua assistenza per l’innocente popolo palestinese di Gaza”. L’esecutivo Ue ha deciso infatti di stanziare altri 68 milioni di euro ad altri partner internazionali nella regione, la Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa.L’esborso della Commissione europea arriva in un momento di catastrofe umanitaria senza precedenti, in cui ogni giorno è peggiore di quello precedente. Solo pochi giorni fa l’Unrwa aveva annunciato che a febbraio, gli aiuti umanitari entrati nella Striscia sono diminuiti del 50 per cento rispetto a gennaio. Le vittime accertate palestinesi dal 7 ottobre hanno superato quota 30 mila, a cui andranno sommate le migliaia di dispersi, e ieri (29 febbraio) Israele ha aperto il fuoco durante la distribuzione di farina a Gaza City, uccidendo 100 persone e ferendone 700.“Sono inorridito dalla notizia dell’ennesima carneficina tra i civili a Gaza alla disperata ricerca di aiuti umanitari. Queste morti sono totalmente inaccettabili. Privare le persone degli aiuti alimentari costituisce una grave violazione del diritto internazionale umanitario”, ha immediatamente reagito all’accaduto l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell. Mentre la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si è detta “profondamente turbata dalle immagini provenienti da Gaza”, perché “gli aiuti umanitari sono un’ancora di salvezza per chi ne ha bisogno e l’accesso ad essi deve essere garantito”.

    Membri dell’Unrwa distribuiscono farina a Gaza (Photo by SAID KHATIB / AFP)Proprio oggi, l’Unrwa ha pubblicato un appello firmato da 17 importanti Ong – tra cui Save The Children, ActionAid International, Oxfam – perché l’Unione europea e gli Stati membri non voltino le spalle all’Unrwa, che non sostiene soltanto i quasi 2 milioni di sfollati interni a Gaza, ma un totale di oltre 6 milioni di profughi palestinesi in Libano, Giordania, Siria e nei territori occupati della West Bank. Ricordando che l’Unrwa ha più di 13 mila dipendenti a Gaza, di cui 158 sono rimasti uccisi sotto i bombardamenti israeliani, e 30 mila in tutto il Medio Oriente.La decisione della Commissione europea di non interrompere il sostegno all’Unrwa potrebbe non essere sufficiente, se è vero che lo stesso Lazzarini ha più volte ribadito che senza i fondi per 450 milioni di dollari bloccati da diversi donors in tutto il mondo, l’Agenzia potrebbe non riuscire a proseguire il proprio lavoro già dalla fine di marzo. I 50 milioni di euro di Bruxelles sono una boccata di ossigeno – che si aggiunge all’aumento di fondi mobilitato d’urgenza da alcuni Paesi come Belgio e Spagna, ma la speranza è che fungano da esempio per gli Stati membri che hanno sospeso i propri pagamenti. Austria, Estonia, Finlandia, Germania, Italia, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Romania, Svezia, oltre a Stati Uniti, Islanda, Regno Unito, Giappone e Australia.

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    Borrell a Israele: “Niente attacchi all’Onu, fondamentale per pace e stabilità”

    Bruxelles – Le ragioni di Israele non valgono più di ogni altra cosa, sicuramente non più delle Nazioni Unite. L’Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, manda un messaggio chiaro e deciso allo Stato ebraico e i suoi rappresentanti. Lo fa rispondendo a un’interrogazione parlamentare in cui ci si lamenta del comportamento di Gilad Erdan, ambasciatore di Israele presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite, critico, troppo critico, nei confronti del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres.Quello che è successo risale all’8 dicembre ed è la censura di Guterres sul modo in cui Israele sta rispondendo agli attacchi del 7 ottobre. Una risposta ritenuta eccessiva, tanto da indurre il segretario generale dell’Onu a chiedere il rispetto dei diritti umani e cessate il fuoco. Parole che non sono piaciute a Erdan, secondo cui criticando Israele ci si schiera con i terroristi di Hamas. L’ambasciatore israeliano ha chiesto le dimissioni di Guterres e minacciato di non concedere visti a nessun funzionario Onu.“L’Ue respinge gli attacchi contro il Segretario generale delle Nazioni Unite o i tentativi di squalificare l’Onu come organismo fondamentale che opera per la pace e la stabilità nel mondo“, replica oggi Borrell. Un messaggio chiaro per il governo di Netanyahu. Nei confronti del quale rincara la dose, insistendo sulla necessità del rispetto dei diritti umani di base.“L’Ue – continua Borrell nella sua risposta – sostiene l’appello rivolto dal Segretario generale delle Nazioni Unite al Consiglio di sicurezza dell’Onu affinché intervenga per evitare una catastrofe umanitaria a Gaza e il collasso del sistema umanitario”. Un implicito atto di accusa nei confronti di Israele, e di aver creato situazioni insostenibili e sempre più difficile da appoggiare. Le ragioni di Israele sono andate un po’ oltre il consentito, e Borrell lo dice come meglio non potrebbe.

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    Litio, rame, idrogeno e tanto commercio: l’Europarlamento approva il nuovo accordo Ue-Cile

    Bruxelles – Migliore accesso alle materie prime e all’energia verde, più cooperazione in materia di affari esteri, rafforzamento del commercio bilaterale. L’Aula del Parlamento europeo dice ‘sì’ all’accordo quadro avanzato Ue-Cile e il suo accordo complementare sulla liberalizzazione del commercio e degli investimenti. A grande maggioranza (358 voti a favore, 147 contrari e 45 astensioni) gli europarlamentari chiedono agli Stati membri di procedere alla definizione delle nuove relazioni con il Paese del sud America. Spetterà al Consiglio dell’Ue dare via libera alla parte commerciale dell’accordo, e i 27 Parlamenti nazionali dovranno poi ratificarlo.Per quanto riguarda il commercio circa il 99,9 per cento delle esportazioni dell’Ue sarà esente da dazi ad eccezione dello zucchero, mentre i prodotti agricoli più sensibili sono esentati dalla piena liberalizzazione. Tra questi prodotti ‘sensibili’ figurano carne, alcuni tipi di frutta e verdura e olio d’oliva.Il voto dell’Aula dà seguito all’azione della Commissione europea, che con il governo di Santiago ha trovato l’intesa preliminare più di un anno fa, a dicembre 2022. L’accordo Ue-Cile, una volta in vigore, dovrebbe garantire un migliore accesso alle materie prime utili per la transizione verde e la realizzazione degli obiettivi del Green Deal, quali litio (utile in particolare per le batterie della auto elettriche), rame (necessario per auto elettriche e turbine eoliche), carburante pulito e  idrogeno.“Il nuovo accordo quadro UE-Cile è di fondamentale importanza geopolitica“, sottolinea Maria Soraya Rodriguez Ramos (Renew), relatrice della dossier in commissione Affari esteri. Con un’Unione europea povera di quelle materie prime necessarie per la doppia transizione e la necessità di affrancarsi dalle forte dipendenza cinese, che comunque l’Ue non potrà ridurre a zero, l’accesso a litio e rame cileni acquista una valenza strategica.Non solo. Messo in soffitta l’accordo commerciale con il Mercosur i Paesi del blocco (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay più il Venezuela sospeso) per la forte protesta del mondo agricolo a dodici stelle, quello con il Cile, Paese associato al Mercosur, “sarà l’unico accordo commerciale con l’America Latina approvato durante questo mandato“, ricorda ancora Rodriguez Ramos. Questo accordo, dunque, testimonia “l’impegno politico dell’Ue a rafforzare la nostra cooperazione regionale e a rafforzare i nostri legami con un partner fondamentale latinoamericano”.

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    La Transnistria torna a preoccupare Bruxelles dopo la richiesta di protezione a Mosca dalla Moldova

    Bruxelles – Era da quasi un anno che la Transnistria era scomparsa dai radar delle maggiori preoccupazioni dell’Unione Europea sulla destabilizzazione russa nell’Est Europa, ma la più irrequieta delle regioni separatiste del continente europeo è tornata con prepotenza sul tavolo dei dossier più caldi nelle ultime ore. “Seguiamo da vicino l’evolversi della situazione nella Repubblica di Moldova e nel territorio separatista della Transnistria“, ha reso noto oggi (29 febbraio) il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, commentando la richiesta delle autorità dell’autoproclamata Repubblica filo-russa di “protezione” a Mosca dal governo di Chișinău: “Siamo in costante e stretto contatto con le autorità della Repubblica di Moldova e confidiamo che faranno tutto il possibile per gestire la situazione”.La notizia dell’appello arrivato da Tiraspol poco più di 24 ore fa è uno dei punti più bassi delle relazioni tra Chișinău e i separatisti della regione, che ricorda in modo inquietante quanto accaduto nei giorni precedenti all’invasione dell’Ucraina il 24 febbraio 2022, con il riconoscimento da parte della Russia delle Repubbliche separatiste Donetsk e Luhansk, nel Donbass ucraino. Il Congresso speciale della Transnistria – la cui autorità non è riconosciuta a livello internazionale – ha adottato ieri (28 febbraio) una risoluzione con cui chiederà al Consiglio della Federazione Russa e alla Duma di Stato “di attuare misure per proteggere la Transnistria di fronte alla crescente pressione” della Moldova, motivando la richiesta con il fatto che “sono presenti in modo permanente oltre 220 mila cittadini russi” sul territorio della regione separatista e sulla scorta “dell’esperienza positiva russa di peacekeeping e dello status di garante e mediatore nel processo negoziale” per l’indipendenza da Chișinău.A Bruxelles si cerca di fare appelli alla calma, con il portavoce del Seae Stano che ricorda come “la stabilità in questa regione è nell’interesse di tutti, in primo luogo della popolazione”, mentre si cerca di spingere “un dialogo costruttivo” tra le due parti: “L’Unione Europea continua a sostenere una soluzione pacifica e globale in Transnistria, si tratta di un conflitto congelato” sul territorio moldavo “e per questo lo stiamo affrontando sulla base del rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità della Moldova”, ha concluso Stano. Ma mentre la presidente moldava, Maia Sandu, e l’omologo ucraino, Volodymyr Zelensky, a Tirana discutevano degli ultimi tentativi di Mosca di destabilizzare la regione e del “sostegno vicendevole” sui rispettivi percorsi verso l’ingresso nell’Unione Europea (Moldova e Ucraina hanno entrambe ricevuto il via libera ai negoziati di adesione Ue al Consiglio Europeo del dicembre 2023), sia la Duma di Stato sia il ministero degli Esteri russo hanno confermato che “la protezione dei nostri compatrioti in Transnistria è una priorità” e che sarà valutata la richiesta di Tiraspol “non appena sarà ricevuta ufficialmente”.Le tensioni nella regione della TransnistriaLa regione moldava a maggioranza russofona che confina a est con l’Ucraina si è separata unilateralmente dalla Moldova a seguito del crollo dell’Unione Sovietica. Nel corso della guerra civile del 1992 i separatisti furono sostenuti dall’intervento dell’esercito russo, prima della cristallizzazione della situazione e il referendum del 2006 (non riconosciuto dalla comunità internazionale) che per la prima volta ha sancito la volontà di farsi annettere dalla Russia. Dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina il 24 febbraio 2022 sono aumentate le tensioni nella Repubblica di Moldova, con attacchi a Tiraspol e lungo il confine con l’Ucraina (primi segnali di un tentativo di trovare un pretesto per un possibile intervento armato). Nei primi mesi del 2023 si sono registrati sempre più numerosi atti di provocazione palese di Mosca, compresi missili che hanno attraversato lo spazio aereo della Repubblica di Moldova in direzione del territorio ucraino.Il 9 febbraio dello scorso anno il presidente ucraino Zelensky aveva informato per primo i 27 leader Ue del piano del Cremlino per “rompere l’ordine democratico e stabilire il controllo” russo in Moldova e solo pochi giorni più tardi la presidente moldava Sandu aveva confermato il tentativo di Mosca di “un cambio di potere a Chișinău”, attraverso “azioni violente, mascherate da proteste della cosiddetta opposizione“, con il coinvolgimento anche di “cittadini stranieri”. Il dito era puntato contro il Movimento per il Popolo che riunisce diversi gruppi filo-russi come Șor, il partito di Ilan Shor, oligarca moldavo sanzionato nell’ottobre 2022 dagli Stati Uniti per la sua vicinanza al governo russo e oggi in esilio in Israele per proteggersi da un furto bancario da 1 miliardo di dollari.

    Sul piano politico la situazione si è aggravata con le dimissioni a sorpresa il 10 febbraio dello scorso anno da parte della premier europeista Natalia Gavrilița. Il suo successore, Dorin Recean, ha subito tranquillizzato i partner occidentali sulla linea di continuità nelle politiche e nelle alleanze della Moldova, Paese che ha fatto richiesta formale per aderire all’Ue a una sola settimana dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Dopo l’ulteriore allarme lanciato a Bruxelles dalla ministra degli Interni moldava, Ana Revenco, sul fatto che “la Repubblica di Moldova si trova sulla strada di Mosca per rompere la stabilità e l’unione in Europa”, sette persone legate al Cremlino sono state arrestate durante le proteste antigovernative guidate da Șor, che tra l’altro intimavano le dimissioni della presidente Sandu. Dal 24 aprile 2023 è stata istituita la missione civile di partenariato in Moldova (Eupm Moldova) con l’obiettivo dichiarato di rafforzare la sicurezza del Paese contro crisi e minacce ibride: “Stiamo intensificando il sostegno dell’Ue per proteggere la sicurezza, l’integrità territoriale e la sovranità” di Chișinău di fronte alle “attuali difficili circostanze”, aveva spiegato l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell.

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    Bruxelles in pressing su Belgrado: “Attuare le raccomandazioni Osce in vista di future elezioni”

    Bruxelles – Continua il botta e risposta tra Bruxelles e Belgrado sullo svolgimento delle elezioni anticipate in Serbia del 17 dicembre, con un nuovo elemento sul tavolo: il rapporto finale dell’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) sugli elementi di criticità alle urne. “Conferma le preoccupazioni dell’Unione Europea, il processo elettorale richiede miglioramenti tangibili e ulteriori riforme” e “le segnalazioni di irregolarità devono essere affrontate in modo trasparente, comprese quelle relative alle elezioni locali”, è quanto sottolineato questa mattina (29 febbraio) dal portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano.

    Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, alle urne il 17 dicembre 2023 (credits: Elvis Barukcic / Afp)Il rapporto dell’Osce pubblicato meno di 24 ore fa conferma l’allarme già anticipato dalle conclusioni preliminari di dicembre, in particolare sul fronte delle interferenze interne e delle condizioni inique per i concorrenti del partito Partito Progressista Serbo (Sns) al potere. “Sebbene tecnicamente ben amministrate e in grado di offrire agli elettori una scelta di alternative politiche”, le elezioni anticipate del 2023 “sono state dominate dal coinvolgimento decisivo del presidente” Aleksandar Vučić che, “insieme ai vantaggi sistemici del partito al potere, ha creato condizioni ingiuste per i concorrenti”, è quanto rilevato dall’Osce. A questo si aggiunge il fatto che, anche se “le libertà fondamentali sono state generalmente rispettate durante la campagna elettorale”, il voto è stato “inficiato da una retorica aspra, dalla parzialità dei media, dalle pressioni sui dipendenti del settore pubblico e dall’uso improprio delle risorse pubbliche”.È con queste indicazioni che si riapre la partita delle misure da prendere a seguito di uno svolgimento non completamente trasparente delle elezioni anticipate del 17 dicembre scorso. Solo pochi giorni fa la prima ministra serba in carica, Ana Brnabić, aveva chiuso completamente la porta a un’indagine internazionale, “perché richiederebbe l’annullamento della sovranità nazionale”, respingendo la risoluzione del Parlamento Europeo in cui erano state richieste azioni pesanti alla Commissione Ue nel caso in cui venisse accertato il coinvolgimento delle autorità e del governo uscente nei brogli elettorali. Tra queste una “sospensione dei finanziamenti dell’Ue sulla base di gravi violazioni dello Stato di diritto” e, implicitamente, un possibile stop ai negoziati di adesione: “Dovrebbero avanzare solo se il Paese compie progressi significativi nelle riforme legate all’Ue”. Oltre all’indagine internazionale indipendente gli eurodeputati hanno chiesto alla Commissione anche di lanciare “un’iniziativa per l’invio di una missione di esperti in Serbia” sull’esempio dei ‘rapporti Priebe’ (le raccomandazioni di un gruppo di esperti incaricato dalla Commissione nel 2015 sulla Macedonia del Nord).“Non c’è tempo da perdere” sull’attuazione delle 25 raccomandazioni dell’Osce “in vista delle future elezioni nel Paese”, è l’esortazione del portavoce del Seae Stano all’indirizzo delle autorità di Belgrado, facendo riferimento agli “obblighi e standard internazionali per le elezioni democratiche”. Le raccomandazioni principali riguardano la necessità di “rivedere la legislazione per affrontare efficacemente” le carenze a proposito di “un processo consultivo inclusivo basato su un ampio consenso politico”, l’introduzione di “una formazione obbligatoria standardizzata per tutti i membri delle commissioni elettorali locali e dei comitati elettorali” e lo sviluppo di “un programma di educazione degli elettori tempestivo, completo e mirato”, compresa “la prevenzione del voto di gruppo” e “l’importanza del voto a scrutinio segreto”. L’Osce raccomanda anche “una revisione significativa dei registri elettorali e civili” e l’adozione di “misure per prevenire l’uso improprio delle cariche e delle risorse statali”, allo stesso tempo implementando “meccanismi efficaci di controllo legale e istituzionale per prevenire intimidazioni e pressioni sugli elettori, compresi i dipendenti delle istituzioni pubbliche e statali”.Le tensioni in Serbia dopo le elezioni anticipate

    Le proteste di piazza dell’opposizione serba a Belgrado (credits: Miodrag Sovilj / Afp)Nonostante le grandi aspettative della vigilia da parte della coalizione ‘La Serbia contro la violenza’, il Partito Progressista Serbo si è imposto nuovamente alle elezioni anticipate con il 46,67 per cento dei voti, staccando di 23 punti percentuali proprio l’opposizione unita che si è piazzata al secondo posto. A fronte delle frodi e delle numerose azioni illecite alle urne, migliaia di persone sono scese in piazza rispondendo all’appello dei partiti e movimenti che avevano tradotto in istanze politiche (europeiste) le proteste di piazza contro il clima che ha portato alle sparatorie di maggio. Anche la missione di osservazione elettorale guidata dall’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) – a cui hanno partecipato anche alcuni membri del Parlamento Europeo – ha rilevato “l’uso improprio di risorse pubbliche, la mancanza di separazione tra le funzioni ufficiali e le attività di campagna elettorale, nonché intimidazioni e pressioni sugli elettori, compresi casi di acquisto di voti”. Dopo quasi un mese dalle elezioni anticipate continuano le proteste contro i brogli del partito al potere, in particolare a Belgrado.Proprio nella capitale la situazione rimane ancora tesa e non è da escludere che si possano ripetere le elezioni amministrative la cui vittoria è stata rivendicata dal Partito Progressista Serbo: il partito guidato a Belgrado dal filo-russo Aleksandar Šapić ha conquistato 49 seggi (su 110), che però non sarebbero abbastanza per controllare l’Assemblea cittadina solo con il supporto del partito nazionalista di estrema destra russofila ‘Noi, voce del popolo’ di Branimir Nestorović. La coalizione ‘La Serbia contro la violenza’ ha denunciato che oltre 40 mila persone arrivate dalla Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina) hanno votato a Belgrado senza essere formalmente registrate come residenti e ha chiesto l’annullamento del risultato delle urne, parlando esplicitamente di “furto elettorale”. La stessa denuncia è arrivata dall’eurodeputata e membro della delegazione parlamentare Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/Ale): “Abbiamo assistito a casi di trasporto organizzato di elettori dalla Republika Srpska e di intimidazione dei votanti”.

    Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić (credits: Alex Halada / Afp)A questo si aggiunge il caso che Bruxelles “sta seguendo da vicino” (parole della dalla portavoce della Commissione Ue responsabile per la politica di vicinato e l’allargamento, Ana Pisonero) sulle violenze subite dal leader del Partito Repubblicano di opposizione, Nikola Sandulović, prelevato dai servizi segreti serbi il 3 gennaio e duramente picchiato durante la detenzione per aver reso omaggio alla tomba di Adem Jashari, uno dei fondatori dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uçk). Membri dell’Agenzia serba per le informazioni sulla sicurezza (Bia) avrebbero sequestrato e torturato Sandulović, poi detenuto nella prigione centrale di Belgrado senza accesso a cure mediche indipendenti. Tra le persone responsabili per le violenze ci sarebbe anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska (il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo e controllato da vicino dal presidente Vučić) che tra l’altro ha già ammesso di aver organizzato l’attacco armato nel nord del Kosovo a fine settembre dello scorso anno. L’ex-capo dell’intelligence serba (dimessosi due mesi fa), Aleksandar Vulin, ha riferito di aver personalmente ordinato l’arresto di Sandulović, ma l’avvocato della difesa ha puntato il dito contro il presidente Vučić.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Dall’Ue l’ennesimo avvertimento a Israele: “Le decisioni de l’Aia sono vincolanti”. Ma a Gaza entrano sempre meno aiuti umanitari

    Dall’inviato a Strasburgo – L’Eurocamera torna sulla catastrofe umanitaria di Gaza. All’allarme lanciato dal commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, secondo cui a febbraio gli aiuti umanitari entrati nella Striscia sono diminuiti del 50 per cento rispetto a gennaio, ha risposto da Strasburgo il commissario Ue per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič. Il messaggio è chiaro: Israele deve implementare le misure richieste dalla Corte di Giustizia Internazionale.Lo scorso 26 gennaio il tribunale de l’Aia ha emesso la prima decisione relativa al rischio di genocidio nella Striscia di Gaza, concedendo un mese di tempo alle autorità israeliane per presentare un rapporto in cui illustrasse le misure adottate per prevenire tale crimine. Un portavoce della Corte ha confermato a Eunews che il rapporto è arrivato ed è ora sotto la lente dei giudici.Ma nell’ultimo mese, la situazione sul campo è ulteriormente peggiorata. Israele minaccia un’operazione su vasta scala a Rafah, dove si sono ammassati in questi cinque mesi quasi 2 milioni di sfollati interni palestinesi, se Hamas non dovesse rilasciare gli ostaggi prima dell’inizio del Ramadan (previsto il 10 marzo). E l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati palestinesi ha denunciato la preoccupante riduzione dell’assistenza umanitaria a Gaza a causa di “mancanza di volontà politica, chiusura regolare dei valichi di frontiera e mancanza di sicurezza dovuta alle operazioni militari”. 

    Addirittura, nel nord della Striscia l’Unrwa non riuscirebbe a distribuire aiuti dal 23 gennaio. Alla denuncia dell’Unrwa si è unito Lenarčič, che ha partecipato al dibattito sulla situazione a Gaza all’emiciclo di Strasburgo per conto dell’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell. “Un mese dopo che la Corte ha chiesto misure provvisorie, la situazione è solo peggiorata. Sono apparse sacche di fame a Gaza, le persone sono così disperate che la distribuzione ordinaria non è più possibile”, ha dichiarato in aula. E ha ricordato agli eurodeputati che l’Ue si aspettava “la piena, immediata e effettiva implementazione” degli “ordini vincolanti” de l’Aia.I bollettini diffusi quotidianamente dal ministero della Salute di Gaza parlano di 30 mila vittime accertate nella Striscia dal 7 ottobre. Una carneficina, a cui andranno aggiunti diverse migliaia di dispersi sotto le macerie. Secondo un report della Johns Hopkins University, il numero dei morti potrebbe superare le 60 mila unità se non ci sarà un cessate il fuoco e un massiccio aumento degli aiuti umanitari il più presto possibile. Lenarčič ha ricordato che “26 Stati membri su 27” hanno accolto l’appello della comunità internazionale perché Israele non avanzi su Rafah, e perché si raggiunga “un accordo per la fine immediata dei combattimenti e la liberazione degli ostaggi israeliani ancora detenuti da Hamas”.Così come a 26 – e il bastian contrario è sempre Budapest – c’è “un accordo sull’adozione di sanzioni” contro i coloni israeliani estremisti, ma il veto ungherese immobilizza l’Ue. “Alcuni Stati membri hanno introdotto divieti di ingresso a livello nazionale. Con l’avvicinarsi del Ramadan tra due settimane, il rischio che la situazione possa sfuggire ulteriormente di mano è elevato”, ha avvertito il commissario sloveno.Che è poi tornato sulla vicenda dell’Unrwa e sulle accuse israeliane di complicità di alcuni membri dello staff negli attacchi terroristici del 7 ottobre. “Il lavoro delle Nazioni Unite, compresa l’Unrwa, rimane cruciale“, ha messo in chiaro Lenarčič, ricordando che il segretario generale dell’Onu, Antronio Guterres, e lo stesso Lazzarini “stanno prendendo molto sul serio le accuse israeliane e hanno preso misure immediate”. Lenarčič ha invitato gli eurodeputati a “riconoscere l’ambiente ad alto rischio in cui opera l’Unrwa” e a rifiutare “punizioni collettive che contribuirebbero al collasso umanitario a Gaza“. Oltre che all’instabilità in Giordania, Libano, Siria e nella West bank occupata. Per il commissario Ue responsabile delle crisi umanitarie non c’è dubbio: “Resta di fondamentale importanza fornire all’Unrwa finanziamenti adeguati”, semplicemente perché “non c’è alcun sostituto per l’Unrwa, ora e per il giorno dopo”.