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    Strasburgo alza la voce sul rischio di “imminente carestia” a Gaza: Israele deve garantire l’accesso degli aiuti da tutti i varchi

    Bruxelles – Un cessate il fuoco “immediato e permanente” e l’accesso umanitario “rapido, sicuro e senza ostacoli di aiuti in tutta Gaza attraverso tutti i varchi esistenti“. Sono le richieste per Israele da parte di un Parlamento europeo “profondamente preoccupato per la catastrofica situazione umanitaria a Gaza”. E per il rischio di “un’imminente carestia”.In una risoluzione non vincolante approvata con 327 voti favorevoli, 44 contrari e 120 astensioni, l’emiciclo di Strasburgo fa sentire la sua voce in difesa della popolazione palestinese di Gaza. Il testo è stato appoggiato da tutti i gruppi politici – con qualche isolata defezione -, fatta eccezione per l’estrema destra di Conservatori e Riformisti (Ecr) e Identità e Democrazia (Id). Le delegazioni italiane appartenenti ai due gruppi, Fratelli d’Italia e Lega, hanno scelto di astenersi.

    Palestinian children collect food at a donation point provided by a charity group in the southern Gaza Strip city of Rafah, on December 6, 2023, (Photo by MOHAMMED ABED / AFP)Dopo le durissime parole dell’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, che davanti al Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha accusato Israele di “usare la fame come un’arma di guerra”, affamando cioè deliberatamente la popolazione civile di Gaza per raggiungere i propri scopi militari, da Strasburgo un altro chiaro messaggio a Tel Aviv. Un messaggio che – per evitare ogni possibile fraintendimento – parte ancora dalla condanna dello “spregevole attacco del 7 ottobre” e dal “diritto di Israele all’autodifesa nei limiti del diritto internazionale”.Ma la risposta militare “sproporzionata” delle autorità israeliane ha già provocato oltre 30 mila morti e 70 mila feriti a Gaza. E oggi, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, quasi il 16 per cento dei bambini di Gaza soffre di malnutrizione acuta. Prendendo in prestito le parole di Borrell, non è la conseguenza di “un disastro naturale, un terremoto o un’alluvione”, ma è una situazione provocata artificialmente”.Il palco non regge più: l’Eurocamera “condanna fermamente l’ostruzione degli aiuti umanitari e gli attacchi contro i convogli umanitari”, con un riferimento particolare al 29 febbraio 2024, “quando le truppe israeliane hanno aperto il fuoco durante le consegne di aiuti umanitari” uccidendo oltre 100 palestinesi e ferendone 700. Anche ieri (13 marzo) il Commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, ha denunciato l’attacco da parte delle forze di difesa israeliane a un centro di distribuzione del cibo nella parte orientale di Rafah, che ha ucciso un membro dello staff dell’Agenza Onu e ferito altre 22 persone. “Ogni giorno condividiamo con le parti in conflitto le coordinate di tutte le nostre strutture nella Striscia di Gaza. L’esercito israeliano ha ricevuto ieri le coordinate di questa struttura”, ha dichiarato Lazzarini. In questo contesto, l’Eurocamera “condanna l’uccisione di 161 operatori umanitari delle Nazioni Unite, 340 operatori sanitari e 7 operatori umanitari” dall’inizio del conflitto.

    Il Parlamento accoglie con favore l’apertura del corridoio marittimo cipriota per Gaza, ma sottolinea che “la distribuzione via terra deve essere la priorità”. Israele deve garantire l’apertura dei varchi di Rafah, Kerem Shalom, Karmi ed Erez.Anche qui, l’appello dell’Eurocamera arriva in contemporanea con quello degli attori coinvolti nell’operazione Amalthea, il corridoio via mare da Cipro: nella riunione ministeriale tenutasi ieri sera, Cipro, la Commissione europea, gli Emirati Arabi Uniti, il Regno Unito, il Qatar e gli Stati Uniti hanno ribadito che “non esiste un sostituto significativo alle rotte terrestri attraverso l’Egitto e la Giordania e ai punti di ingresso da Israele a Gaza per la consegna degli aiuti su larga scala”. E sottolineato di conseguenza la necessità che Israele “apra altri varchi per consentire a un maggior numero di aiuti di raggiungere Gaza, anche nel nord, e che allenti le restrizioni doganali per facilitare un maggior flusso di assistenza umanitaria”. La stessa Ursula von der Leyen, a margine dell’incontro, ha insistito perché a Gaza entrino “un minimo di 500 camion al giorno o l’equivalente”.Nella risoluzione approvata dall’Eurocamera viene menzionato anche “il ruolo indispensabile dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi (Unrwa) nella regione”. E passa un emendamento che ricorda l’urgenza di mettere in discussione il rispetto delle clausole sui diritti umani dell’accordo di associazione Ue-Israele, come richiesto in una lettera congiunta a Ursula von der Leyen dai primi ministri di Spagna e Irlanda. Perché l’Unione europea ha a disposizione strumenti diplomatici più efficaci di una risoluzione non vincolante dell’Eurocamera per fermare la carneficina a Gaza.

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    L’Ue trova l’accordo a 27 per altri 5 miliardi in aiuti militari all’Ucraina

    Bruxelles – I Paesi membri dell’Ue hanno raggiunto l’accordo sull’approvazione della Ukraine Assistance Facility (Uaf): una fumata bianca, alla riunione dei rappresentanti permanenti dei 27 a Bruxelles, che vale 5 miliardi di euro in aiuti militari urgenti a Kiev per il 2024.Il Fondo d’assistenza per l’Ucraina fa parte del Fondo europeo per la Pace, lo strumento attraverso cui dall’inizio dell’invasione russa i Paesi Ue hanno fornito all’Ucraina attrezzature militari – e ottenuto rimborsi, almeno parziali – per 5,6 miliardi di euro. Anche l’Uaf prevede la possibilità di coprire i costi dell’acquisto di armi sul mercato internazionale per consegnarle all’esercito ucraino.“Ce l’abbiamo fatta: il Coreper ha raggiunto un accordo sul Fondo di assistenza all’Ucraina. Il messaggio è chiaro: sosterremo Kiev con tutto ciò che è necessario per prevalere”, ha esultato con un post su X l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell. “L’Ue resta determinata a fornire un sostegno duraturo all’Ucraina e a garantire che il Paese riceva l’equipaggiamento militare necessario per difendersi“, ha aggiunto la presidenza belga del Consiglio dell’Ue, che ha guidato i negoziati tra i rappresentanti dei 27.Questi 5 miliardi si aggiungono dunque ai 5,6 già mobilitati in due anni per la fornitura di attrezzature militari letali e non letali, quali dispositivi di protezione individuale, kit di pronto soccorso, carburante, munizioni e missili. L’Epf, istituito a marzo 2021, è uno strumento fuori bilancio volto a consolidare la capacità dell’Unione di “prevenire i conflitti, costruire la pace e rafforzare la sicurezza internazionale”. Inizialmente disponeva di un massimale finanziario di 5,7 miliardi di euro a prezzi correnti per il periodo 2021-2027, ma i Paesi membri hanno ritenuto necessario aumentarlo più volte e portarlo all’attuale massimale di 12 miliardi di euro fino al 2027.La fumata bianca a livello Ue arriva dopo l’annuncio da parte di Washington di aver sbloccato l’invio di armi per 300 milioni di dollari a Kiev. Sarà ora compito dei ministri degli Esteri dei 27, che si riuniscono già lunedì 18 marzo a Bruxelles, di mettere nero su bianco l’accordo trovato dalle diplomazie dei Paesi Ue.

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    Putin annuncia l’invio di militari e “sistemi di distruzione” al confine con la Finlandia

    Bruxelles – Arriva la risposta del dittatore russo all’ingresso della Finlandia nella Nato: truppe e “sistemi di distruzione” saranno inviati al confine con il Paese entrato un anno fa nell’Alleanza.In un’intervista rilasciata all’agenzia di stampa statale Ria e alla televisione di Stato Rossiya-1, il presidente russo ha criticato l’adesione della Finlandia e della Svezia alla Nato, come riporta l’agenzia di stampa Reuters, e fa la voce grossa, lui che nonostante una lunga preparazione ha fallito nell’intento di occupare l’Ucraina: “È un passo assolutamente insignificante (per Finlandia e Svezia) dal punto di vista della garanzia dei propri interessi nazionali”, ha detto.Poi, rispondendo di fatto alle osservazioni occidentali che la mossa di attaccare Kiev è servita solo ad allargare la Nato ed a perdere spazi commerciali, Putin ha aggiunto che “non avevamo truppe lì (al confine finlandese), ora ci saranno. Non c’erano sistemi di distruzione lì, ora appariranno”.

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    Ue-Svizzera: Bruxelles e Berna riprovano a negoziare un accordo per il futuro

    Bruxelles – Il Consiglio dell’Unione europea ha autorizzato oggi la Commissione a negoziare, a nome dell’Ue, un ampio pacchetto di misure con la Svizzera come base per le future relazioni UE-Svizzera, definendo anche le direttive corrispondenti per il negoziato.Dopo la brutale ed improvvisa rottura del maggio 2021 si riparte, con l’obiettivo è di modernizzare e approfondire le relazioni bilaterali tra l’Ue e la Svizzera, spiega una nota del Consiglio, di assicurare una concorrenza leale tra le imprese dell’Ue e quelle svizzere che operano nel mercato interno e di garantire la tutela dei diritti dei cittadini dell’Ue in Svizzera, anche evitando discriminazioni tra i cittadini dei diversi Stati membri. Il mandato risponde anche alle preoccupazioni della Svizzera consentendo eccezioni limitate all’allineamento con le norme dell’Ue nei settori della libera circolazione delle persone, del distacco dei lavoratori e del trasporto ferroviario e stradale.Si è insomma un po’ bilanciato il cuore della vecchia proposta dell’Unione (del 2014): arrivare ad un allineamento “dinamico” delle regole, che permettesse agli accordi vecchi di decenni di procedere al passo con le nuove regole che nel tempo l’Unione si darà.“L’Ue e la Svizzera hanno una stretta relazione, basata su valori condivisi e forti legami economici. Il mandato negoziale che abbiamo approvato oggi ci permetterà di sviluppare il nostro partenariato e di sfruttarne appieno il potenziale. Mi auguro che i negoziati progrediscano rapidamente”, afferma Hadja Lahbib, Ministro degli Affari Esteri ed Europei del Belgio e presidente di turno del Consiglio.Gli elementi chiave del pacchetto comprendono disposizioni istituzionali da includere negli accordi esistenti e futuri con la Svizzera relativi al mercato interno, che prevedono un allineamento dinamico con l’acquis dell’Ue, un’interpretazione e un’applicazione uniformi e la risoluzione delle controversie disposizioni sugli aiuti di Stato, da includere negli accordi esistenti e futuri relativi al mercato interno, un accordo che consenta la partecipazione della Svizzera ai programmi dell’Ue, tra cui Horizon Europe, un accordo sul contributo finanziario permanente della Svizzera alla coesione sociale ed economica dell’Ue come contropartita della sua partecipazione al mercato interno, il rilancio dei negoziati sugli accordi in materia di elettricità, sicurezza alimentare e salute. I negoziati sui diversi elementi del pacchetto saranno condotti in parallelo.Sulla base del mandato, la Commissione (che ha fatto sapere di accogliere “con favore” questo mandato) potrà ora avviare negoziati formali con la Svizzera sull’ampio pacchetto di misure. L’inizio dei negoziati è previsto per i prossimi giorni.Una vicenda lunga e difficileNel maggio 2014, il Consiglio ha autorizzato l’avvio dei negoziati tra l’Ue e la Svizzera su un accordo quadro istituzionale che disciplina le relazioni bilaterali. Nel novembre 2018 la Commissione europea e la Svizzera hanno finalizzato la bozza di un accordo quadro istituzionale. Nel maggio 2021, la Svizzera ha però interrotto unilateralmente i negoziati su questo accordo.Nel febbraio 2022, il Consiglio federale svizzero ha proposto una via alternativa per le relazioni tra l’Ue e la Svizzera, consistente in un ampio pacchetto di misure, tra cui elementi istituzionali da includere in ogni accordo bilaterale relativo al mercato interno. Sulla base di questo approccio alternativo sono seguiti colloqui esplorativi tra la Commissione e i rappresentanti del Consiglio federale svizzero. Il 15 dicembre 2023, la Commissione e il Consiglio Federale hanno pubblicato un’intesa comune che riporta per iscritto l’esito dei colloqui esplorativi.Il mandato dell’Ue è stato concordato in linea con questa intesa comune e si riflette nella raccomandazione della Commissione per un mandato, presentata il 20 dicembre 2023.Il mandato si basa sul mandato del 2014 per un accordo quadro istituzionale e sui precedenti mandati per gli accordi sull’elettricità, la salute, la sicurezza alimentare e la partecipazione della Svizzera alle Agenzie dell’Unione Europea per il Programma Spaziale e per le Ferrovie.Il Consiglio federale svizzero ha approvato il mandato negoziale della Svizzera l’8 marzo 2024.

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    Gaza, i parlamentari europei si uniscono nella condanna a Netanyahu

    Bruxelles – Israele è andato oltre, e continuare a dare man forte e pieno sostegno al governo e al suo leader, Benjamin Netanyahu, diventa difficile. L’Unione europea prende le distanze dal modo in cui lo Stato ebraico sta gestendo la risposta agli attacchi di Hamas del 7 ottobre, e di fatto inizia a scaricare la leadership israeliana. Il dibattito d’Aula del Parlamento europeo sulla situazione a Gaza registra toni duri, da parte della Commissione e da parte di molti parlamentari europei, che da ogni gruppo politico censurano una situazione considerata sempre più insostenibile.Inizia la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, a condannare l’operato di Netanyahu, senza comunque mai citarlo direttamente. Però, nel denunciare pubblicamente che “la situazione sul campo è più drammatica che mai e ha raggiunto un punto critico”, von der Leyen di fatto mette sul banco degli imputati lo Stato ebraico. “Abbiamo tutti visto le segnalazioni di bambini che muoiono di fame. Non può essere“. Accusa indirettamente il governo israeliano, quando sottolinea che “tutti sanno quanto sia difficile spostare gli aiuti dentro e dentro Gaza”. Un rimprovero chiaro. Da parte Ue garantisce tutto il sostegno possibile. Annuncia l’attivazione del meccanismo di protezione civile dell’Unione europea invitando gli Stati membri dell’Ue a partecipare, conferma il pieno sostegno al corridoio umanitario marittimo annunciato lo scorso fine settimana, e in tal senso “finanzieremo e coordineremo il flusso delle merci europee attraverso il corridoio”. La situazione, continua von der Leyen, “rende ancora più importante collaborare con quelle agenzie che sono ancora presenti sul territorio. E questo è il caso dell’Unrwa“, l’agenzia della Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi che Israele vorrebbe delegittimata e isolata dopo le accuse di funzionari coinvolti negli attacchi di Hamas. Una sottolineatura che segna le distanze tra Ue e Israele.Ma è nell’Aula che si consuma lo strappo forse più grande. Voci critiche si levano da tutti i principali gruppi: popolari (Ppe), socialisti (S&D), liberali (Re), Verdi, Sinistra radicale. Esponenti di tutte queste forze spendono parole dure, non necessariamente espressione delle posizione dell’intero gruppo, ma comunque sono personalità di alto livello a parlare, a testimonianza di un malumore diffuso. La più diretta è la capogruppo dei socialisti, Iratxe Garcia Perez, che parla apertamente di “massacro di palestinesi da parte di Netanyahu“, di fronte al quale “dobbiamo mandare un chiaro segnale” ed invita “far cessare la sua impunità”. Come Ue, continua, “dobbiamo evitare che i palestinesi vengano sopraffatti dal regime di apartheid istituito da Netanyahu”.Va giù duro anche Juan Fernando Lopez Aguilar (S&D), presidente della commissione Libertà civili: “Netanyahu impedisce l’accesso via terra agli aiuti umanitari”, denuncia. “Questa brutalità commessa contro il popolo di Gaza supera il legittimo diritto di autodifesa e il diritto internazionale”. Quindi l’affondo: i responsabili “devono essere puniti”. Un chiara messa in stato d’accusa per il governo di Tel Aviv.Dalle fila del Ppe è l’irlandese Sean Kelly a chiedere “lo stop dell’uccisione di persone innocenti a Gaza da parte di Netanyahu“, e invocare “un cessate il fuoco”. Parole che si contrappongono a quelle di von der Leyen, che in Aula sostiene invece la necessità di “una pausa umanitaria”. Il dibattito dunque mostra anche visioni diverse interne al Ppe.Senza accuse così veementi anche i liberali scaricano quello che una volta era un partner incondizionato. “Abbiamo perso ogni speranza in Netanyahu e in Israele“, scandisce il greco Georgos Kyrtsos, che non considera l’attuale classe dirigente come affidabile ai fini del processo di pace e una soluzione a due Stati. Valery Hayer, presidente di Renew Europe, invoca il “cessate il fuoco per ragioni umanitari”. Anche qui, cessate il fuoco invece di pausa umanitaria, a riprova dell’insostenibilità di una situazione considerata non più sostenibile. Si aggiunge alla richiesta Jordì Sole, dei Verdi, anch’egli critico di fronte al deterioramento a Gaza.Dai banchi de laSinistra i toni si fanno ancora più duri. Joao Pimenta Lopes accusa Israele di “genocidio a Gaza”, invitando l’Ue a ritirare appoggio e sostegno allo Stato ebraico. “La situazione è imbarazzante, e dovremmo smetterla di essere complici”. Il dibattito d’Aula sembra suggerire che, a prescindere da come finirà il confronto tra Israele e Hamas, lo Stato ebraico questo conflitto l’abbia già perso in termini di sostegno dell’opinione pubblica e di appoggio politico.

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    Gaza, la nave di Open Arms è salpata da Cipro con 200 tonnellate di aiuti umanitari

    Bruxelles – Questa mattina (12 marzo), la nave dell’Ong Open Arms che per prima consegnerà aiuti umanitari a Gaza lungo il corridoio marittimo cipriota è salpata di buon ora. Con due giorni di ritardo sulla tabella di marcia, ma in perfetto orario per il contemporaneo intervento di Ursula von der Leyen alla plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo.“Mentre parliamo, una nave sta salpando da Cipro verso il nord di Gaza. Aiuti umanitari di base, cibo per una popolazione che si trova ad affrontare una catastrofe umanitaria”, ha annunciato la presidente della Commissione europea agli eurodeputati aprendo il dibattito di preparazione al prossimo Consiglio europeo. Un carico di 200 tonnellate di farina, riso e cibo in scatola. Una missione “molto complessa che confidiamo sarà la prima di molte”, scrive in un post su X l’ong spagnola che trasporterà il carico.L’apertura del corridoio marittimo per Gaza viene in soccorso a von der Leyen, per poter dimostrare l’impegno della Commissione europea di fronte a un’Eurocamera che la critica sempre più duramente per la sua posizione molto morbida nei confronti di Tel Aviv. E in effetti, la leader Ue si concentra sulla catastrofe umanitaria a Gaza senza mai nominare l’amico israeliano. Prima esulta per “la prima nave autorizzata a consegnare aiuti umanitari nella Striscia dal 2005”, in un momento in cui “la situazione sul terreno è più drammatica che mai e ha raggiunto un punto critico”.Fianco a fianco con Stati Uniti, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito e Cipro, la Commissione europea potrà così “aiutare in modo decisivo ad aumentare la quantità di aiuti che raggiungono effettivamente le persone”. Von der Leyen ha spiegato che gli Emirati e altri partner cofinanzieranno i carichi, Cipro gestirà le partenze dal porto di Larnaca e “noi dell’Ue intensificheremo il nostro supporto logistico sul campo“. In questo senso, un team di coordinamento dell’Ue “è già a Cipro e finanzierà e coordinerà il flusso di merci europee attraverso questo corridoio”, ha annunciato la presidente dell’esecutivo Ue. E in attesa dell’allestimento del porto galleggiante da parte di Washington, il corridoio marittimo sarà percorso da “navi più piccole”.

    Ursula von der Leyen al Parlamento europeo di Strasburgo, 12/03/24Poi la presidente della Commissione europea ha inoltre annunciato che l’attivazione del Meccanismo di protezione civile dell’Ue per “rafforzare il sostegno” alle iniziative di distribuzione degli aiuti da terra e dal cielo. “Invito tutti gli Stati membri a contribuire con mezzi, dai paracadute ai container“, ha lanciato l’appello von der Leyen.Davanti ai report e alle notizie di “bambini che muoiono di fame”, gli sforzi dell’Ue devono andare tutti nella direzione di assicurare l’ingresso nella Striscia della maggior quantità di assistenza umanitaria possibile. “Tutti sanno quanto sia difficile far arrivare gli aiuti a Gaza“, ha sottolineato von der Leyen. Senza però fare neanche un accenno al fatto che gli ostacoli all’ingresso dei convogli via terra e alla distribuzione dei beni alla popolazione sono molto spesso causati dall’esercito israeliano. Che non apre tutti i varchi disponibili, che blocca gli aiuti per controlli interminabili e che soprattutto non garantisce la loro distribuzione in sicurezza.“In questo momento c’è solo un modo per ripristinare un flusso adeguato di aiuti umanitari: la popolazione di Gaza ha bisogno di una pausa umanitaria immediata che porti a un cessate il fuoco sostenibile, e ne ha bisogno ora”, ha concluso von der Leyen. Una formula che – nonostante la netta evoluzione rispetto all’inizio del conflitto – rimane significativamente più indietro rispetto a quella richiesta di “cessate il fuoco immediato” che ormai da tempo viene rilanciata da una larga maggioranza della comunità internazionale. E dei Paesi dell’Ue, ma non ancora dal loro esecutivo.

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    La Commissione Ue dà il via libera all’avvio dei negoziati di adesione per la Bosnia ed Erzegovina

    dall’inviato a Strasburgo – Ora il semaforo è pienamente verde. “Raccomanderemo al Consiglio l’apertura dei negoziati di adesione con la Bosnia ed Erzegovina“, ha annunciato oggi (12 marzo) la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, nel suo intervento alla sessione plenaria del Parlamento Europeo durante il dibattito sulla preparazione del Consiglio Europeo del 21-22 marzo. “Il messaggio della Bosnia ed Erzegovina è chiaro, anche il nostro messaggio deve essere chiaro: il suo futuro è nella nostra Unione”, è l’esortazione della numero uno dell’esecutivo Ue.

    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (12 marzo 2024)Dopo il viaggio di fine gennaio con i primi ministri della Croazia, Andrej Plenković, e dei Paesi Bassi, Mark Rutte, la presidente della Commissione Ue ha spinto il lavoro del Berlaymont per presentare la relazione sui passi compiuti da Sarajevo dalla decisione presa durante l’ultimo Consiglio Europeo di dicembre di avviare i negoziati di adesione “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. Parlando agli eurodeputati, von der Leyen ha anticipato i punti della relazione sui progressi bosniaci: “Si tratta di un’analisi fattuale degli ultimi sviluppi e traccia un quadro molto chiaro”, ovvero che “da quando abbiamo concesso lo status di candidato [nel dicembre del 2022, ndr], la Bosnia ed Erzegovina ha compiuto passi impressionanti verso di noi”. In altre parole, “in poco più di un anno sono stati compiuti più progressi che in un decennio“, ha assicurato la numero uno della Commissione, fornendo alcuni esempi.In primis, la Bosnia ed Erzegovina “è ora pienamente allineata alla nostra politica estera e di sicurezza“, un passo “fondamentale in questi tempi di turbolenze geopolitiche”. Inoltre “il Paese sta adottando leggi importanti“, tra cui quella sulla prevenzione del conflitto di interessi, “che era rimasta in stallo per 7 anni”, e quella sulla lotta al riciclaggio di denaro e al finanziamento del terrorismo. Un riferimento è stato fatto anche alla gestione della migrazione, che “continua a migliorare con i negoziati per un accordo Frontex pronti ad iniziare dopo che la Presidenza ha approvato il mandato negoziale“. Infine il Ministero della Giustizia bosniaco “ha accettato di includere nel casellario giudiziario nazionale le sentenze del Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia”, ed “è appena diventato operativo” il nuovo Comitato direttivo per il consolidamento della pace. “Sono necessari ulteriori progressi per entrare a far parte della nostra Unione, ma il Paese sta dimostrando di essere in grado di adempiere i criteri di adesione e l’aspirazione dei suoi cittadini a far parte della nostra famiglia”, è quanto assicura la presidente von der Leyen, passando la palla al Consiglio.Il percorso di adesione Ue della Bosnia ed ErzegovinaIl cammino di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione Europea è iniziato il 15 febbraio 2016, con la presentazione ufficiale della domanda di adesione. Per più di sei anni non è arrivata nessuna risposta positiva da parte delle istituzioni comunitarie, proprio per la situazione quasi disastrata del Paese sul fronte delle condizioni-base (i criteri di Copenaghen) per essere considerato un candidato formale. Tuttavia negli ultimi due anni si sono intensificati i segnali di fiducia soprattutto da parte dell’esecutivo comunitario e della sua presidente, anche considerati i rischi di destabilizzazione russa di un Paese e di una regione molto delicati nel cuore dell’Europa.

    È così che in occasione della presentazione del Pacchetto Allargamento 2022 è arrivata la raccomandazione al Consiglio di concedere alla Bosnia ed Erzegovina lo status di candidato all’adesione Ue, accompagnata da un discorso particolarmente appassionato a Sarajevo di von der Leyen durante il viaggio nelle capitali balcaniche per annunciare il supporto energetico di Bruxelles. Dopo aver valutato il parere della Commissione, il vertice dei leader Ue del 15 dicembre 2022 ha dato il via libera alla concessione alla Bosnia ed Erzegovina dello status di Paese candidato all’adesione Ue, sottolineando allo stesso tempo la necessità di implementare le riforme fondamentali nei settori dello Stato di diritto, dei diritti fondamentali, del rafforzamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione.Dopo essere diventata l’ottavo Paese candidato all’adesione nel processo di allargamento Ue, la Bosnia ed Erzegovina ha continuato a spingere sul percorso di avvicinamento all’Unione. Grazie ai progressi (seppur limitati) registrati da Bruxelles, nel Pacchetto Allargamento 2023 la Commissione Ue ha deciso di includere la raccomandazione al Consiglio Europeo di avviare i negoziati di adesione per Sarajevo “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. In altre parole, la raccomandazione c’è, ma era già scontato che la risposta del vertice dei leader avrebbe aspettato nuove notizie positive sul fronte delle 14 priorità indicate dalla Commissione (di cui solo 2 sono state completate). All’ultimo Consiglio Europeo di dicembre è andata esattamente così, con la decisione di avviare i negoziati con la Bosnia ed Erzegovina ma senza indicare un vero momento di inizio.L’ostacolo Republika SrpskaEppure il percorso di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione è reso particolarmente ostico dal presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, che si è fatto promotore di un progetto secessionista dall’ottobre del 2021. L’obiettivo è quello di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina. Il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche e, dopo la dura condanna dei tentativi secessionisti dell’entità a maggioranza serba in Bosnia (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno del 2022 i leader bosniaci si sono radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme elettorali e costituzionali nel Paese balcanico.

    Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, al Cremlino il 23 maggio 2023 (credits: Alexey Filippov / Sputnik / Afp)Ma le preoccupazioni si sono fatte sempre più concrete da fine marzo 2023, quando il governo dell’entità serbo-bosniaca ha presentato un progetto di legge per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero. La cosiddetta legge sugli ‘agenti stranieri’ è simile a quella adottata da Mosca nel dicembre 2022 ed è stata approvata a fine settembre dall’Assemblea nazionale di Banja Luka, tra le apre critiche di Bruxelles. Parallelamente è avanzato anche l’iter per l’adozione degli emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per diffamazione. Dopo la proposta – anch’essa a fine marzo – l’entrata in vigore è datata 18 agosto e ora sono previste multe da 5 mila a 20 mila marchi bosniaci (2.550-10.200 euro) se la diffamazione avviene “attraverso la stampa, la radio, la televisione o altri mezzi di informazione pubblica, durante un incontro pubblico o in altro modo”. Il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) e la delegazione Ue a Sarajevo hanno attaccato Banja Luka, mettendo in luce che le due leggi “hanno avuto un effetto spaventoso sulla libertà di parola nella Republika Srpska“.Alle provocazioni secessioniste si è affiancata la questione del rapporto con la Russia post-invasione ucraina. Già il 20 settembre 2022 Dodik aveva viaggiato a Mosca per un incontro bilaterale con Putin, dopo le provocazioni ai partner occidentali sull’annessione illegale delle regioni ucraine occupate dalla Russia. Provocazioni che sono continuate a inizio gennaio 2023 con il conferimento all’autocrate russo dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) – come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti delle istanze di Banja Luka – in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento bosniaco. Come se bastasse, Dodik ha compiuto un secondo viaggio a Mosca il successivo 23 maggio, mentre a Bruxelles sono emerse perplessità sulla mancata reazione da parte dell’Unione con sanzioni. Fonti Ue hanno rivelato a Eunews che esiste già da tempo un quadro di misure restrittive pronto per essere applicato, ma l’Ungheria di Viktor Orbán non permette il via libera. Per qualsiasi azione del genere di politica estera serve l’unanimità in seno al Consiglio.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    La bandiera della Svezia sventola al quartier generale Nato a Bruxelles

    Bruxelles – E ora sono 32 bandiere che sventolano fuori dal quartier generale della Nato a Bruxelles. Con la cerimonia dell’alzabandiera svoltasi oggi (11 marzo) la Svezia ha fatto la sua prima apparizione ufficiale da nuovo membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, portando a compimento l’ultima fase dell’allargamento dell’Alleanza Atlantica nell’anno del 75esimo anniversario dalla firma del Trattato del Nord Atlantico a Washington nel 1949. “L’adesione alla Nato è positiva per la Svezia, per la stabilità del Nord e per la sicurezza dell’intera Alleanza“, ha messo in chiaro il segretario generale dell’organizzazione militare intergovernativa, Jens Stoltenberg, accogliendo al quartier generale di Bruxelles il primo ministro svedese, Ulf Kristersson, a tre giorni dalla conclusione del processo di adesione di Stoccolma.

    La cerimonia dell’alzabandiera a Bruxelles (11 marzo 2024)Nell’arco di meno di un anno Stoltenberg ha visto issare due nuove bandiere, quella svedese e quella finlandese (il 4 aprile 2023), appena prima della fine del suo mandato da segretario generale a ottobre di quest’anno: “L’adesione della Svezia dimostra ancora una volta che la porta della Nato rimane aperta, nessuno può chiuderla, ogni nazione ha il diritto di scegliere la propria strada“. Una risposta chiara alle accuse dell’autocrate russo, Vladimir Putin, e alle polemiche sulla questione dell’allargamento della stessa Alleanza Atlantica in riferimento alle aspirazioni dell’Ucraina di farne parte in futuro. “Quando Putin ha lanciato la sua invasione due anni fa voleva meno Nato e più controlli sui suoi vicini, voleva distruggere l’Ucraina come nazione indipendente, ma ha fallito“, ha sottolineato con forza Stoltenberg in conferenza stampa: “La Nato è più forte, l’Ucraina è più vicina all’adesione come mai prima, e continuiamo a essere al suo fianco”.

    Da sinistra: il primo ministro della Svezia, Ulf Kristersson, e il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg (11 marzo 2024)A proposito del sostegno dei 32 alleati a Kiev, Stoltenberg ha ribadito che “la resa non è pace” – mettendo un punto fermo alla posizione della Nato rispetto alle parole del fine settimana del capo della Chiesa cattolica, Papa Francesco – e “continueremo a rafforzare l’Ucraina per dimostrare a Putin che non otterrà ciò che vuole sul campo di battaglia”, perché “Putin ha iniziato questa guerra e potrebbe finirla oggi, ma l’Ucraina non ha questa opzione“. Sulla stessa lunghezza d’onda il premier svedese: “La situazione della sicurezza nella nostra regione non era così seria dai tempi della Seconda Guerra Mondiale e la Russia continuerà a costituire una minaccia per la sicurezza euroatlantica nel prossimo futuro“. È per questo motivo che la Svezia ha chiesto di aderire all’Alleanza “per ottenere sicurezza, ma anche per garantirla”, ha assicurato Kristersson, anche se ha escluso la necessità di ospitare sul territorio nazionale armi nucleari o basi permanenti: “Non ci sono piani di espandere il numero di Paesi alleati Nato con armi nucleari“.Il protocollo di adesione di Svezia era stato firmato (insieme alla Finlandia) il 5 luglio 2022 – dopo la svolta strategica storica la politica di sicurezza nazionale tradizionalmente legata al non-allineamento – e da allora per Stoccolma è stata una strada in salita. A oltre 19 mesi dal vertice di Madrid, l’Ungheria era rimasto all’inizio di quest’anno l’unico Paese membro a non aver approvato in modo formale l’ingresso di Stoccolma nell’Alleanza Atlantica, quando anche la Turchia aveva messo fine al suo durissimo blocco. Un mese e mezzo fa il premier ungherese, Viktor Orbán, aveva fatto cadere formalmente il suo breve ostruzionismo, ma lo stesso non aveva fatto il suo partito Fidesz, boicottando la sessione straordinaria di inizio mese. Trovatosi sotto pressione da parte degli altri membri – e messo con le spalle al muro dalla visita di Kristersson – il premier ungherese ha infine spinto i membri del suo partito a far crollare la resistenza. Il via libera da Budapest è arrivato infine lo scorso 26 febbraio, dopo l’incontro nella capitale ungherese tra i premier Orbán e Kristersson per discutere di cooperazione in materia di difesa e sicurezza.Svezia e Finlandia gli ultimi membri nella NatoPer diventare membro della Nato, un Paese deve inviare una richiesta formale, precedentemente approvata dal proprio Parlamento nazionale. A questo punto si aprono due fasi di discussioni con l’Alleanza, che non necessariamente aprono la strada all’adesione: la prima, l’Intensified Dialogue, approfondisce le motivazioni che hanno spinto il Paese a fare richiesta, la seconda, il Membership Action Plan, prepara il potenziale candidato a soddisfare i requisiti politici, economici, militari e legali necessari (sistema democratico, economia di mercato, rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, standard di intelligence e di contributo alle operazioni militari, attitudine alla risoluzione pacifica dei conflitti). Questa seconda fase di discussioni è stata introdotta nel 1999 dopo l’ingresso di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, per affrontare il processo con aspiranti membri con sistemi politici diversi da quelli dei Paesi fondatori dell’Alleanza, come quelli ex-sovietici.

    Il segretario generale della Nato, Jens StoltenbergLa procedura di adesione inizia formalmente con l’applicazione dell’articolo 10 del Trattato dell’Atlantico del Nord, che prevede che “le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. La risoluzione deve essere votata all’unanimità da tutti i Paesi membri. A questo punto si aprono nel quartier generale a Bruxelles gli accession talks, per confermare la volontà e la capacità del candidato di rispettare gli obblighi previsti dall’adesione: questioni politiche e militari prima, di sicurezza ed economiche poi. Dopo gli accession talks, che sono a tutti gli effetti una fase di negoziati, il ministro degli Esteri del Paese candidato invia una lettera d’intenti al segretario generale dell’Alleanza.Il processo di adesione si conclude con il Protocollo di adesione, che viene preparato con un emendamento del Trattato di Washington, il testo fondante dell’Alleanza. Questo Protocollo deve essere ratificato da tutti i membri, con procedure che variano a seconda del Paese: in Italia è richiesto il voto del Parlamento riunito in seduta comune, per autorizzare il presidente della Repubblica a ratificare il trattato internazionale. Una volta emendato il Protocollo di adesione, il segretario generale della Nato invita formalmente il Paese candidato a entrare nell’Alleanza e l’accordo viene depositato alla sede del dipartimento di Stato americano a Washington. Al termine di questo processo, il candidato è ufficialmente membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.