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    Il laburista Keir Starmer è il nuovo primo ministro del Regno Unito. Sunak dà l’addio a Downing Street

    Bruxelles – Una promessa di cambiamento “con stabilità e moderazione”, un ringraziamento al predecessore “per la dedizione e il duro lavoro”, la raccolta dell’invito di re Carlo III a formare il prossimo governo “di questa grande nazione”. È così che Keir Starmer ha annunciato oggi (5 luglio) davanti alla porta nera di Downing Street 10 la nascita del nuovo gabinetto del Regno Unito, dopo il risultato travolgente del suo Partito Laburista alle elezioni anticipate di ieri (4 luglio). “Il Paese ha votato in modo deciso per il cambiamento, per la rinascita nazionale e il ritorno della politica al servizio pubblico”, ha messo in chiaro il neo-premier britannico dopo aver ricevuto a Buckingham Palace l’incarico reale di formare un gabinetto che sarà supportato dai 412 deputati laburisti alla Camera dei Comuni.Da sinistra: il neo-primo ministro del Regno Unito, Keir Starmer, e re Carlo III a Buckingham Palace, 5 luglio 2024 (credits: Yui Mok / Pool / Afp)Secondo le parole del 58esimo primo ministro del Regno Unito, il suo compito e quello di tutto il Partito Laburista sarà quello di mettere fine alla mancanza di fiducia nella politica che si è aggravata sotto i precedenti governi conservatori dal 2010 a oggi, come dimostrato dalla bassissima affluenza al voto ieri (al 60 per cento, la seconda peggiore dal 1885): “Questa ferita, questa mancanza di fiducia può essere curata solo con le azioni, non con le parole, possiamo iniziare oggi con il semplice riconoscimento che il servizio pubblico è un privilegio e che il vostro governo dovrebbe trattare ogni singola persona con rispetto“. In un passaggio decisivo del primo discorso da leader del Paese, Starmer ha reso evidente che cercherà anche di rimarginare le aspre divisioni nell’elettorato, che hanno portato alla crescita esponenziale (4,1 milioni di voti, il 14,3 per cento) del partito sovranista e populista Reform Uk dell’architetto della Brexit, Nigel Farage: “Che abbiate votato laburista o meno, e soprattutto se non lo avete fatto, vi dico direttamente che il mio governo vi servirà”, perché  “la politica può essere una forza per il bene, lo dimostreremo”. In altre parole “il Paese per primo, il partito per secondo”.Con Starmer i laburisti tornano al governo 14 anni dopo l’ultimo governo di Tony Blair, che aveva guidato il Regno Unito dal 1997 al 2010 e aveva stabilito i due record di seggi per i Labour nella storia del partito (418 nel 1997 e 412 nel 2001). In un Paese non abituato a frequenti passaggi di testimone tra una forza politica e l’altra – solo 7 dal secondo dopoguerra – anche complice la bassa affluenza al voto nel 2024 si è però registrato uno dei più grossi cambiamenti nel numero di seggi (swing, in gergo), che ora il centro-sinistra dovrà cercare di capitalizzare sotto forma di governo. “Il nostro Paese ha bisogno di un grande reset, per riscoprire chi siamo, perché non importa quanto è dura la tempesta, uno dei grandi punti di forza di questa nazione è sempre stato quello di navigare verso acque più calme”, è l’esortazione di Starmer, che si è definito un politico “di stabilità e moderazione”.Il neo-primo ministro del Regno Unito, Keir Starmer, con la moglie Victoria Alexander davanti alla porta di Downing Street 10, il 5 luglio 2024 (credits: Henry Nicholls / Afp)Indirizzandosi alle “milioni di persone scivolate verso una maggiore insicurezza”, mentre i governi “hanno chiuso gli occhi per troppo tempo”, il neo-premier britannico ha rassicurato sul fatto che “questa volta noi non ci gireremo dall’altra parte, servirà del tempo, ma il lavoro inizia adesso“. Un riferimento al working background di Starmer, che “mattone dopo mattone” vuole “ricostruire questo Paese” dopo 14 anni all’opposizione, dalle scuole ai servizi pubblici, dalla sicurezza e il “controllo delle frontiere” ai prezzi dell’energia e delle case “accessibili”. E un appello all’unità nazionale, messo in discussione in questo ultimo decennio dall’indipendentismo scozzese e nordirlandese: “Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord, quattro nazioni impegnate per affrontare le sfide di un mondo insicuro con calma e moderazione”. A questo punto, con l’ingresso di Starmer e della moglie Victoria Alexander dalla porta di Downing Street 10, può iniziare la nuova esperienza di governo del leader laburista, con l’annuncio della squadra di ministri atteso già per questa sera.L’ex-primo ministro conservatore del Regno Unito, Rishi Sunak, 5 luglio 2024 (credits: Henry Nicholls / Afp)Solo un’ora e mezza prima il predecessore di Starmer, il conservatore Rishi Sunak, aveva annunciato le dimissioni davanti alla stessa porta, dopo l’incontro con re Carlo III a Buckingham Palace. “Ho dato il massimo per questo lavoro, ma avete mandato un chiaro segnale: il governo del Regno Unito deve cambiare, e il vostro è l’unico giudizio che conta”, sono state le parole di commiato del premier uscente a conclusione di quasi due anni di governo del Paese. Scusandosi per il tracollo dei conservatori alle urne – con soli 121 seggi conquistati, quello di ieri è stato il peggior risultato dalla fondazione del partito nel 1834 – Sunak ha spiegato di aver “sentito la vostra rabbia, la vostra delusione e mi assumo la responsabilità di questa perdita“. Lo stesso premier dimissionario si è poi congratulato con Starmer – definendolo “un uomo onesto e di grande spirito pubblico, che rispetto a prescindere dai nostri disaccordi in questa campagna” – e ha reso noto che “mi dimetterò da leader dei conservatori” non appena saranno definite le modalità di selezione della sua successione. Si apre così una dura lotta per la leadership del Tories tra le poche figure di spicco sopravvissute alle sfide del sistema elettorale first past the post (ovvero un maggioritario secco) nelle rispettive circoscrizioni.Già con l’annuncio dei risultati delle elezioni, sono arrivate da Bruxelles le congratulazioni a Starmer dai vertici delle istituzioni dell’Unione Europea, che hanno osservato le elezioni nel Regno Unito post-Brexit dall’esterno (per la prima volta dal 1973, quando Londra faceva ingresso nella Comunità Economica Europea): “Non vedo l’ora di lavorare in un partenariato costruttivo per affrontare le sfide comuni e rafforzare la sicurezza europea”, ha commentato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Le ha fatto eco il numero uno del Consiglio Europeo, Charles Michel, che parla di “nuovo ciclo” a Londra e dà appuntamento al prossimo inquilino di Downing Street 10 “alla riunione della Comunità Politica Europea il 18 luglio nel Regno Unito, dove discuteremo delle sfide comuni, tra cui stabilità, sicurezza, energia e migrazione”. Anche la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, si è congratulata con Starmer, ricordando che “le relazioni tra l’Unione Europea e il Regno Unito sono radicate nei nostri valori condivisi e nella nostra amicizia di lunga data” e “come alleati e partner, è nel nostro interesse comune continuare a lavorare a stretto contatto“.

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    Orbán a Mosca, l’ira della Commissione europea: “In dubbio la visita Ue in Ungheria”

    Bruxelles – La “missione di pace” intrapresa da Viktor Orbán “mina l’unità” dell’Unione europea. Il premier ungherese si trova oggi (5 luglio) a Mosca per discutere della situazione in Ucraina con il presidente russo Vladimir Putin. Una visita che mette in imbarazzo Bruxelles, dal momento che arriva a soli cinque giorni dall’avvio della presidenza di turno ungherese del Consiglio dell’Ue. E che “mette seriamente in dubbio la tradizionale visita della Commissione europea” nel Paese che detiene la guida semestrale dei 27.Mentre Orbán viene ricevuto al Cremlino, dalla capitale Ue si levano le proteste dei leader. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, aveva repentinamente chiarito già ieri sera che Orbán non ha ricevuto alcun mandato dall’Ue. In mattinata i messaggi dell’Alto rappresentante per gli Affari esteri e della presidente della Commissione europea: Josep Borrell ha precisato che la posizione ufficiale dei 27 sul conflitto “esclude contatti ufficiali tra l’Ue e Putin”, secondo Ursula von der Leyen “l’appeasement non fermerà Putin”.Viktor Orban e Vladimir Putin a Pechino, ottobre 2023 (credits: Grigory Sysoyev / Pool / Afp)La linea della Commissione europea sulla missione di Budapest – solo tre giorni fa Orbán si è recato a Kiev per chiedere un cessate il fuoco a Zelensky – è stata chiarita dal portavoce capo, Eric Mamer, durante il briefing quotidiano con la stampa: “Si tratta di appeasement e non di pace, e noi crediamo che mini l’unità e la determinazione che dobbiamo mostrare per porre fine a questa guerra”, ha dichiarato, precisando inoltre che “non siamo stati informati della visita, non è stata coordinata con noi e né con nessun altro”. Come non era stata coordinata con gli omologhi europei la prima fuga in avanti di Orbán, quando ad ottobre 2023 incontrò e strinse la mano a Putin durante un viaggio a Pechino.L’irritazione è tale per cui la Commissione paventa già le prime conseguenze: “Questa visita a Mosca mette seriamente in dubbio la tradizionale visita della presidenza (della Commissione, ndr) in Ungheria, che avevamo in programma subito dopo la pausa estiva”, ha annunciato Mamer. È infatti una prassi consolidata che il presidente della Commissione europea, insieme al collegio dei commissari, si rechino in visita nel Paese che detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue.Il portavoce dell’esecutivo comunitario ha evidenziato che – nonostante lo stesso Orbán abbia constatato che la presidenza di turno non ha il mandato di negoziare per conto dell’Ue – “il simbolismo è molto chiaro”, perché “questo viaggio avviene cinque giorni dopo l’avvio della presidenza ungherese”. E il premier magiaro, in una foto pubblicata sul suo account X, accompagnata dalla didascalia “La missione di pace continua, seconda fermata: Mosca”, ha utilizzato il logo scelto da Budapest per il semestre di presidenza Ue. Orbán ha risposto alla tempesta di critiche ricevute tra ieri e oggi a suo modo, cioè rilanciando: “Non è possibile trovare pace stando comodamente seduti in poltrona a Bruxelles – ha attaccato -, non possiamo sederci e aspettare che la guerra finisca miracolosamente”.La “confusione” seminata a proposito da Orbán, come ha denunciato la premier estone – e candidata a sostituire Borrell a capo della diplomazia Ue – Kaja Kallas, è evidente anche nelle dichiarazioni di Putin all’arrivo dell’amico di lunga data. “Capisco che questa volta è arrivato non solo come nostro partner”, ha osservato Putin, che ha intenzione di mostrare a Orbán i dettagli delle proposta di Mosca per una soluzione pacifica del conflitto in Ucraina. Secondo l’ufficio stampa del Cremlino, il presidente russo avrebbe detto a Orbán di essere “pronto a discutere con voi le sfumature su questo tema, e mi aspetto che lei mi renda edotto della sua posizione e di quella dei partner europei“.The #peace mission continues. Second stop: #Moscow. pic.twitter.com/kPOkKBsJQm— Orbán Viktor (@PM_ViktorOrban) July 5, 2024A proposito delle “vergognose” immagini di Orban da Puti, l’eurodeputato Sandro Gozi, segretario generale del Partito democratico europeo e membro della presidenza di Renew Europe ricorda che “con una risoluzione lo scorso 24 aprile, il Parlamento europeo aveva messo in luce tutti i dubbi e le preoccupazioni sulla reale capacità di questa presidenza di turno del Consiglio di garantire la continuità dell’agenda dell’Ue e di rappresentare il Consiglio nelle sue relazioni con le istituzioni dell’Ue e gli altri Paesi”. Secondo Gozi “purtroppo, il Consiglio fece cadere nel vuoto il nostro appello a spostare la presidenza ungherese. Scandalizzarsi oggi, dunque, da parte dei leader del Consiglio, è quanto mai ipocrita: sarebbe bastato ascoltare il Parlamento per evitare un’immagine così vergognosa che getta discredito su tutte le istituzioni europee”.

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    L’onda laburista travolge il Regno Unito. A picco conservatori e nazionalisti scozzesi, Farage eletto

    Bruxelles – Le prime elezioni nel Regno Unito post-Brexit sono state storiche sotto molti punti di vista. Per la valanga di seggi conquistati dal Partito Laburista, per il tracollo senza precedenti nella storia del Partito Conservatore e per il ritorno nell’ombra del Partito Nazionale Scozzese. Per la prova elettorale più convincente dei Liberal Democratici in poco più di 30 anni di esistenza politica e per la comparsa sulla scena dei sovranisti di Reform Uk di Nigel Farage (eletto all’ottavo tentativo). Ma anche per altri dati che offrono significativi spunti di riflessione: quella appena eletta sarà la Camera dei Comuni con la maggiore rappresentanza femminile di sempre – 242 deputate – ma a fronte a un’affluenza al voto tra le più basse dal 1885, ferma al 59,8 per cento.Il leader del Partito Laburista e prossimo primo ministro del Regno Unito, Keir Starmer (credits: Justin Tallis / Afp)“Ce l’abbiamo fatta! Il cambiamento inizia ora“, sono state le prime parole del leader laburista, Keir Starmer, dopo l’annuncio dei risultati parziali delle elezioni di ieri (4 luglio): “Serve un partito laburista cambiato, pronto a servire il nostro Paese, pronto a riportare la Gran Bretagna al servizio dei lavoratori”. Con 412 seggi conquistati alla Camera dei Comuni – la migliore performance elettorale dopo quelle di Tony Blair nel 1999 e nel 2001 – i Labour hanno ora un’ampissima maggioranza per governare (la soglia minima è di 326) e per questa mattina (5 luglio) sono attese a Buckingham Palace le dimissioni del premier conservatore uscente, Rishi Sunak, prima della nomina di Starmer da parte di re Carlo III. Dopodiché il leader laburista si recherà a Downing Street 10 verso ora di pranzo e terrà il primo discorso come nuovo capo del governo britannico.Immediate le congratulazioni a Starmer dai vertici delle istituzioni dell’Unione Europea, che hanno osservato le elezioni nel Regno Unito post-Brexit dall’esterno (per la prima volta dal 1973, quando Londra faceva ingresso nella Comunità Economica Europea): “Non vedo l’ora di lavorare in un partenariato costruttivo per affrontare le sfide comuni e rafforzare la sicurezza europea”, ha commentato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Le ha fatto eco il numero uno del Consiglio Europeo, Charles Michel, che parla di “nuovo ciclo” a Londra e dà appuntamento al prossimo inquilino di Downing Street 10 “alla riunione della Comunità Politica Europea il 18 luglio nel Regno Unito, dove discuteremo delle sfide comuni, tra cui stabilità, sicurezza, energia e migrazione”. Anche la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, si è congratulata con Starmer, ricordando che “le relazioni tra l’Unione Europea e il Regno Unito sono radicate nei nostri valori condivisi e nella nostra amicizia di lunga data” e “come alleati e partner, è nel nostro interesse comune continuare a lavorare a stretto contatto“.Il leader del Partito Conservatore e primo ministro uscente, Rishi Sunak (credits: Temilade Adelaja / Pool / Afp)Il contraltare della valanga di seggi laburisti è una cocente sconfitta per i Tories del premier uscente Sunak, crollati a 121 seggi alla Camera dei Comuni (-244). Si tratta del peggior risultato nella storia dei conservatori britannici dalla fondazione del partito nel 1834, che arriva dopo 14 anni di governo e 5 diversi gabinetti, da David Cameron tra il 2010 e il 2016 fino agli ultimi due anni di Sunak, passando da Theresa May e Boris Johnson a cavallo dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea e i fallimentari 45 giorni di Liz Truss (non rieletta ieri) nell’autunno 2022. Il risultato ai limiti del catastrofico dei conservatori (più di 7 milioni di voti persi dal trionfo del 2019) può essere considerato la parabola del suicidio politico di Sunak, che a fine maggio aveva indetto elezioni anticipate, anche se i Tories rimarranno ancora il principale partito di opposizione ai Labour. La vera incognita sarà ora la direzione che prenderanno i conservatori, in particolare di fronte alla cavalcata dei sovranisti e populisti di Reform Uk, che hanno conquistato solo 4 seggi – tra cui quello del loro leader e architetto della Brexit Farage – ma si sono piazzati al terzo posto in termini di preferenze: con 4,1 milioni di voti sono saliti al terzo posto tra i partiti nel Regno Unito.Il sistema elettorale in vigore nel Regno Unito viene definito first past the post, ovvero un maggioritario secco: in ciascuna delle 650 circoscrizioni in Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda del Nord il candidato che ottiene più voti degli altri viene eletto deputato. Nonostante tendenzialmente garantisca una maggiore governabilità, allo stesso tempo questo sistema può nascondere alcuni elementi critici del risultato delle urne. Per esempio alle elezioni del 4 luglio 2024 – con la seconda affluenza più bassa in 150 di storia democratica britannica (solo nel 2001 si è toccato il 59,4 per cento) – si rischia di non notare che i laburisti di Starmer hanno perso circa 600 mila preferenze rispetto a cinque anni fa, quando sotto Jeremy Corbyn crollavano al risultato peggiore dal 1935 in termini di seggi alla Camera dei Comuni (202): ma con l’affluenza al 67,3 per cento nel 2019, si attestavano al 40 per cento e 10,3 milioni di voti. O ancora, che i sovranisti di Farage sono staccati di soli 9 punti percentuali dai conservatori (14,3 contro 23,7) e 2,8 milioni di preferenze – nonostante i seggi dicano 120 a 4 – mentre i laburisti sono al 33,8 per cento con 9,6 milioni di voti. Tutto ciò considerato, i prossimi mesi e anni diranno se la nuova leadership dei Tories andrà verso un tentativo di riconquistare gli elettori persi a favore di Reform Uk – con un inasprimento delle posizioni nazionaliste, euroscettiche e anti-migrazione – o se tenteranno una virata al centro per riprendersi l’enorme quantità di circoscrizioni passate di mano ai Labour soprattutto in Inghilterra.ll leader di Reform Uk, Nigel Farage (credits: Henry Nicholls / Afp)Anche perché si deve tenere in considerazione la prova elettorale significativa dei Liberal Democratici, che sono riusciti a eleggere 71 deputati (a fronte di 3,5 milioni di preferenze, circa 600 mila in meno di Reform Uk). Si tratta della migliore performance del partito dalla sua fondazione nel 1988 e la nuova scalata al terzo posto alla Camera dei Comuni, considerato il parallelo tracollo del Partito Nazionale Scozzese a 9 seggi (-39 rispetto al 2019) e il ritorno nell’ombra dopo i nove anni di forte leadership di Nicola Sturgeon tra il 2014 e il 2023. Dopo lo scandalo sui finanziamenti del partito all’inizio del 2023, le dimissioni di Sturgeon non hanno cambiato la priorità su un nuovo referendum sull’indipendenza della Scozia dal Regno Unito nell’agenda dei successori Humza Yousaf e John Swinney, con la condanna della Brexit e delle sue conseguenze economiche come fattore trainante. Eppure le sconfitte nella stragrande maggioranza delle circoscrizioni alle elezioni 2024 a favore di laburisti e liberaldemocratici possono essere interpretate come la fine del sogno indipendentista e la consapevolezza degli elettori scozzesi che una migliore rappresentanza nel partito al governo può fornire una prospettiva migliore rispetto a quanto realizzato dal 2015 dalla formazione nazionalista.A completare il quadro della Camera dei Comuni sono i 7 deputati repubblicani nordirlandesi di Sinn Féin, i 5 protestanti nordirlandesi del Partito Unionista Democratico, i 4 gallesi di Plaid Cymru e i 4 del Partito Verde (con un exploit elettorale da 800 mila a 1,9 milioni di preferenze guadagnate dal 2019 a oggi), oltre ad altri 5 eletti di partiti minori e 6 indipendenti, tra cui l’ex-leader laburista Corbyn. Un ultimo dato da considerare è il calo della quota complessiva di deputati laburisti e conservatori complessivi (533) – la più bassa dal 1931 (522) – che per la prima volta nella storia moderna del Regno Unito potrebbe portare a delle riflessioni profonde sullo stesso sistema maggioritario secco in vigore e a richieste più pressanti per un sistema elettorale più proporzionale da parte dei partiti che hanno fatto un balzo in avanti, Reform Uk e il suo leader eletto in Parlamento sopra tutti.

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    La ‘pace di Orbán’. Dopo la visita a Kiev, previsto l’incontro con Putin. Ma Bruxelles mette in chiaro: “Nessun mandato dall’Ue”

    Bruxelles – Viktor Orbán domani al Cremlino per incontrare Vladimir Putin. A soli due giorni di distanza dalla visita a Kiev in cui Orbán aveva definito l’impegno sull’Ucraina “la questione principale dei prossimi sei mesi di presidenza ungherese dell’Ue”. Ma da Bruxelles, dopo l’endorsement al benaugurante incontro con Zelensky, arriva la rettifica immediata: “La presidenza di turno dell’Ue non ha il mandato di impegnarsi con la Russia per conto dell’Ue”.A mettere in chiaro che si tratta di un’iniziativa esclusivamente figlia dell’equilibrismo di Budapest tra l’Ue e l’amicizia con il dittatore russo, il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Per l’Ue “nessuna discussione sull’Ucraina può aver luogo senza l’Ucraina”, ha dichiarato in un post su X pochi minuti dopo la notizia del viaggio a Mosca del premier magiaro, riportata dall’emittente ungherese Radio Liberty citando una fonte del governo di Budapest. Secondo Radio Liberty, Orbán sarà accompagnato dal ministro degli Esteri, Peter Szijjarto, un habitué della tratta Budapest-Mosca: dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, Szijjarto è stato nella capitale russa almeno cinque volte.Viktor Orban e Volodymyr Zelensky a Kiev, 02/07/24 (Photo by Genya SAVILOV / AFP)A soli quattro giorni dal via del temuto semestre ungherese di presidenza del Consiglio dell’Ue, il leader più filorusso d’Europa rischia già di mettere in imbarazzo l’Unione e di creare tensione con i colleghi capi di stato e di governo. Il 2 luglio, nel suo primo viaggio in Ucraina da quando è scoppiato il conflitto, Orbán aveva invitato Zelensky a ragionare sulla possibilità di “proclamare un cessate il fuoco e avviare negoziati con la Russia”. Sentendosi rispondere dal premier ucraino che “serve una pace giusta”. Una pace che parta da un presupposto ribadito ancora da Charles Michel: “La Russia è l’aggressore, l’Ucraina è la vittima”.The EU rotating presidency has no mandate to engage with Russia on behalf of the EU.The European Council is clear: Russia is the aggressor, Ukraine is the victim. No discussions about Ukraine can take place without Ukraine.— Charles Michel (@CharlesMichel) July 4, 2024

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    Israele accelera l’occupazione illegale della Cisgiordania. L’Ue condanna “fermamente le politiche” di Netanyahu

    Bruxelles – Una settimana fa, la decisione di legalizzare cinque colonie in Cisgiordania. Con annessa provocazione all’Occidente: una “per ogni Paese che ha riconosciuto unilateralmente la Palestina”, ha dichiarato il ministro delle Finanze israeliano, Bezalel Smotrich, esponente dell’estrema destra sionista. Ieri (3 luglio), l’annuncio della più grande designazione di terreni statali nei territori palestinesi occupati dagli accordi di Oslo del 1993, oltre 1.200 ettari. Oggi, l’approvazione di 6 mila unità abitative per gli insediamenti dei coloni.Il governo israeliano conferma – se ancora ce ne fosse bisogno – il suo rifiuto al dialogo verso la soluzione dei due Stati, a cui la comunità internazionale sta cercando di restituire vigore, e che prevede il ripristino dei confini del 1967 tra Israele e Palestina. Prima della guerra dei sei giorni, la Cisgiordania, la Striscia di Gaza e Gerusalemme Est, facevano integralmente parte dei territori palestinesi. Oggi invece, nella West Bank vivono circa 475 mila coloni israeliani, in insediamenti autorizzati da Tel Aviv.Secondo i dati dell’ong Peace Now, che si batte contro l’occupazione in Cisgiordania, solo in questa prima metà del 2024 Israele si è già appropriato di 2.368 ettari. Una quantità record: finora, il totale più alto era stato registrato nel 2014, quando Israele aveva designato 478 ettari di terra demaniale. La designazione di ieri, lungo la Valle del Giordano, fa seguito ad altre appropriazioni di terreni di grandi dimensioni: 800 ettari sempre lungo il Giordano a marzo, 263 ettari a est di Gerusalemme a febbraio e 17 ettari a Etzion, a sud di Betlemme – dove vivono già circa 70 mila coloni -, ad aprile.Benjamin Netanyahu e Bezalel Smotrich (Photo by RONEN ZVULUN / POOL / AFP)“Grazie a Dio, stiamo costruendo e sviluppando gli insediamenti e ostacolando il pericolo di uno Stato palestinese“, ha dichiarato ancora Smotrich, rivendicando i propri meriti nel cambio di marcia del processo di occupazione dei territori palestinesi. Durante il suo mandato, iniziato nel 2022, sono state approvate circa 24 mila unità abitative per i coloni israeliani. Tutto questo mentre il gabinetto di Benjamin Netanyahu ha reso noto che “Israele sta valutando” le ultime osservazioni di Hamas riguardo all’accordo sul cessate il fuoco a Gaza e la liberazione degli ostaggi.In una nota a nome dei 27 Paesi dell’Ue, l’Alto rappresentante per gli Affari Esteri, Josep Borrell, ha condannato “fermamente le continue politiche di esproprio attuate dall’attuale governo israeliano nella Cisgiordania occupata”. L’Ue, dopo mesi di tentennamenti, a metà aprile ha imposto per la prima volta delle sanzioni contro quattro persone e due entità ritenute colpevoli di “gravi violazioni dei diritti umani” contro le comunità palestinesi nei territori occupati, ma nei confronti del governo si è sempre limitata alle critiche diplomatiche.I 27 hanno chiesto a Israele di “revocare le proprie decisioni”, che non solo costituiscono “una grave violazione del diritto internazionale”, ma “esacerbano le tensioni e minano gli sforzi per raggiungere una soluzione a due Stati“. Come espresso nelle conclusioni del vertice Ue dei capi di Stato e di governo della scorsa settimana, Bruxelles “non riconoscerà modifiche ai confini del 1967 se non concordate dalle parti”.

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    L’Ue osserva le prime elezioni nel Regno Unito post-Brexit. I Labour verso il trionfo, occhi puntati ancora su Farage

    Bruxelles – Sono passati cinque anni da quella “nuova alba per il Regno Unito” invocata dall’allora leader dei conservatori, Boris Johnson, dopo la schiacciante vittoria alle elezioni del 12 dicembre 2019, le ultime prima dell’uscita del Paese dall’Unione Europea. Da allora sono cambiate molte cose: tre governi a Londra, una Brexit concretizzatasi dal primo gennaio 2021 e tre anni di relazioni ben più che difficoltose con Bruxelles. Ma soprattutto un ribaltamento completo dei rapporti di forza tra conservatori e laburisti, che oggi guidano ampiamente i sondaggi dopo il tracollo inesorabile dei Tories. Una costante tra il pre- e il post-Brexit nel Regno Unito però rimane: Nigel Farage, il politico sovranista, populista e nazionalista che più ha demonizzato l’Unione Europea e che ha portato a termine con successo la sua missione di sancire con un referendum l’addio di Londra. Alle elezioni del 4 luglio 2024 è ancora lui – e il suo Reform Party – la variabile su cui fare attenzione per il futuro del Regno Unito.Il leader del Partito Laburista, Keir Starmer (credits: Andy Buchanan / Afp)Il sistema elettorale in vigore nel Regno Unito viene definito first past the post, ovvero un maggioritario secco: in ciascuna delle 650 circoscrizioni in Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda del Nord il candidato che ottiene più voti degli altri viene eletto deputato. Il partito che conquista la maggioranza dei seggi alla Camera dei Comuni (la soglia minima è 326) vince le elezioni e può formare il governo, il cui primo ministro tecnicamente è nominato dal monarca secondo l’esito del voto. Le urne per le elezioni del 4 luglio sono aperte dalle ore 7.00 alle 22.00 locali (dalle 8 alle 23 secondo l’ora di Bruxelles), ma gli elettori britannici hanno la possibilità di votare anche per posta o per delega. Alla chiusura delle urne sarà annunciato l’exit poll, vale a dire il sondaggio condotto tra gli elettori di circa 150 circoscrizioni elettorali, scelte per essere demograficamente rappresentative del Paese. Dopodiché inizierà lo spoglio delle schede, che si protrarrà per tutta la notte: domani mattina presto (5 luglio) sarà chiaro quale partito ha la maggioranza e approssimativamente con quanti seggi, mentre i risultati finali sono attesi per la tarda mattinata.(fonte: YouGov)Secondo quanto emerge dagli ultimi sondaggi – che confermano l’esito delle amministrative di maggio – i laburisti di Keir Starmer sono proiettati a una comoda vittoria con il 39 per cento delle preferenze, staccando di quasi 20 punti percentuali i conservatori del premier uscente, Rishi Sunak (21 per cento). Tradotto in un sistema first past the post, questo dovrebbe significare 431 per i Labour (+229 dal 2019) e un crollo a 102 per i Tories (-269), il peggior risultato di sempre da quando la sfida è conservatori-laburisti (cioè dal 1922). L’attenzione però dovrà essere rivolta anche agli altri partiti in corsa, che non spezzeranno nemmeno stavolta il tradizionale bipartitismo britannico, ma lo potrebbero mettere in seria crisi. Perché oltre ai soliti Liberal Democratici (dati in crescita all’11 per cento, con 72 seggi potenziali) e il Partito Nazionale Scozzese (in forte calo anche in Scozia, con una perdita di seggi stimata a 30, per assestarsi a 18), c’è anche il partito sovranista e populista Reform Uk di Farage all’orizzonte. Nato dai fuoriusciti del Partito per l’Indipendenza del Regno Unito (Ukip) e già Brexit Party tra il 2018 e il 2021, il partito di Farage nel sistema uninominale non dovrebbe portare a casa più di 3 seggi, ma sono le percentuali a far tremare i conservatori: con il 17 per cento delle preferenze totali, Reform Party arriverebbe a soli 4 punti percentuali dai Tories e da lì potrebbe iniziare un imprevedibile processo di convergenza – se non addirittura di fusione – tra l’ala più a destra del partito del premier Sunak (che rischia di non essere eletto nella sua circoscrizione di Richmond) e i populisti di destra euroscettica e anti-migrazione.(fonte: BBC)A tre anni e mezzo dall’inizio delle relazioni post-Brexit tra Bruxelles e Londra, una vittoria schiacciante dei Labour – che sono pronti a tornare a Downing Street 10 dopo 14 anni di assenza – non significherà l’inizio di un processo di reintegrazione del Regno Unito nell’Unione Europea. “Sono stato molto chiaro sul fatto che non intendo rientrare nell’Ue, nel Mercato unico o nell’Unione doganale, né consentire il ritorno alla libertà di circolazione“, sono state le secche parole di Starmer alla stampa ieri (3 luglio). Anche considerata la quasi totale assenza nella campagna elettorale dei temi relativi alla Brexit e alle relazioni con l’Ue, risulta piuttosto chiaro che i laburisti abbiano cercato di evitare l’errore di cinque anni fa, quando l’allora leader, Jeremy Corbyn, si era allineato il consenso di una larga fetta dell’elettorato britannico promettendo un secondo referendum sulla Brexit.Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro del Regno Unito, Rishi Sunak (27 febbraio 2023)Il leader laburista in carica non ha però escluso che il – probabile – prossimo governo da lui presieduto spingerà per un dialogo con Bruxelles più costruttivo rispetto ai tre precedenti esecutivi guidati dai conservatori (tra Johnson e Sunak ci sono stati i fallimentari 45 giorni di Liz Truss): “Penso che potremmo ottenere un accordo migliore di quello pasticciato sotto Johnson sul fronte del commercio, della ricerca e dello sviluppo e della sicurezza”, ha messo in chiaro Starmer. A Londra è in corso da un anno un ripensamento della strategia nei confronti di Bruxelles, con il governo Sunak che prima ha raggiunto con la Commissione Europea un’intesa politica sulla partecipazione ai programmi Horizon Europe e Copernicus (a partire dal primo gennaio 2024) e poi sulla cooperazione tra Frontex e le autorità nazionali.Il difficile post-Brexit tra Ue e Regno UnitoDal momento in cui la Brexit è diventata a tutti gli effetti una realtà, l’entrata in vigore dell’Accordo di commercio e cooperazione ha reso particolarmente tesi i rapporti tra Bruxelles e Londra. La contesa è iniziata nel marzo del 2021 attorno alla questione del periodo di grazia per il commercio nel Mare d’Irlanda, ovvero la durata della concessione temporanea ai controlli Ue sui certificati sanitari per il commercio dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord. Nel contesto post-Brexit questi controlli sono ritenuti necessari per mantenere integro il Mercato Unico sull’isola d’Irlanda. Il problema maggiore ha riguardato le carni refrigerate e per questa ragione si è spesso parlato di ‘guerra delle salsicce’ con Bruxelles.La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e l’ex-primo ministro del Regno Unito, Boris JohnsonIl tentativo di prorogare unilateralmente il periodo di grazia da parte dell’allora governo Johnson ha scatenato uno scontro diplomatico tra le due sponde della Manica, apparentemente risolto tra il luglio e l’ottobre 2021. L’esecutivo Ue ha così sospeso la procedura d’infrazione contro Londra, per cercare delle soluzioni di compromesso su tutti i settori più delicati. Ma nel giugno 2022 la Commissione Ue ha scongelato la stessa procedura d’infrazione, attivandone altre due, per la decisione di Londra di tentare la strada della modifica unilaterale del Protocollo sull’Irlanda del Nord. Il crollo del governo Johnson prima e di quello disastroso di Truss poi – con la contemporanea crisi economica che da allora ha travolto il Paese – ha agevolato le aperture da entrambe le parti verso una soluzione sostenibile per un accordo di compromesso. Accordo trovato con il Framework di Windsor il 27 febbraio 2023, firmato dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e dal premier uscente Sunak.

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    Tra gli europei resta forte il sostegno all’Ucraina, anche inviando armi. Ma dicono “no” a un intervento delle truppe

    Bruxelles – Un nuovo report basato su sondaggi, pubblicato oggi dallo European Council on Foreign Relations (Ecfr), rileva che, nonostante eventi come il ritardo degli aiuti all’Ucraina da parte degli Stati Uniti, lo spostamento verso i partiti populisti di estrema destra in Europa e la recente intensificazione degli attacchi militari russi in Ucraina, non vi sia alcun crollo visibile del morale in Ucraina né un cambiamento nel sostegno allo sforzo bellico ucraino tra gli alleati europei. Lo studio dell’Ecfr, “The meaning of sovereignty: Ukrainian and European views of Russia’s war on Ukraine”, si basa su sondaggi condotti da Datapraxis con YouGov, Norstat, Alpha Research e Rating Group in 15 Paesi (Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Italia, Polonia, Portogallo, Paesi Bassi, Spagna, Svezia, Svizzera e Ucraina). Rivela che, mentre gli ucraini credono di poter vincere contro la Russia, gli europei sono più inclini a sostenere che il risultato finale della guerra sarà un negoziato, come ad esempio il 43% degli intervistati in Italia. Questa opinione è maggiormente diffusa tra gli Stati membri dell’Ue come Gran Bretagna, Polonia e Svezia, i più convinti sostenitori dell’Ucraina. I risultati del sondaggio mostrano anche come nell’Ue vi sia un consenso schiacciante contro l’invio di truppe europee a supporto dell’Ucraina. Gli autori del report, Ivan Krastev e Mark Leonard, ritengono che queste divergenze tra l’Ucraina e gli alleati europei potrebbero rappresentare sfide significative per i leader mondiali, in vista degli incontri del 75° vertice annuale della Nato che si terrà la prossima settimana a Washington D.C. Sostengono inoltre che la riluttanza di Kiev a scendere a compromessi, già dati per scontati dagli europei, invece, potrebbe rendere difficoltosa l’adesione dell’Ucraina all’Ue e alla Nato.I risultati più importanti dell’ultimo sondaggio dell’EcfrIn Europa c’è un forte sostegno all’incremento della fornitura di armi e munizioni all’Ucraina da parte degli alleati. Il sostegno è più pronunciato tra gli intervistati in Estonia (dove il 74% considera l’incremento di munizioni e armi una “buona idea”), Svezia (66%), Polonia (66%), Gran Bretagna (59%), Paesi Bassi (58%) e Portogallo (57%). Il sostegno è forte anche in Spagna (45%), Germania (44%), Francia (43%) e Repubblica Ceca (43%). Dei quindici Paesi intervistati, Bulgaria, Grecia e Italia sono gli unici con maggioranze (rispettivamente del 63%, 54% e 53%) che vanno in senso opposto, cioè che ritengono che aumentare la fornitura di munizioni e armi all’Ucraina da parte degli alleati sia una “cattiva idea”. La maggior parte degli europei non è preparata ad un aumento dei costi per la difesa, nonostante la guerra in Ucraina. Solo in Polonia (53%), Estonia (45%), Svezia (41%) e Germania (40%) una buona percentuale dell’opinione pubblica è favorevole all’aumento della spesa per la difesa nazionale, “anche se ciò significa [dover] tagliare i fondi in altri settori come la sanità, l’istruzione e la prevenzione della criminalità”. Ma nella maggior parte degli altri Paesi, l’opinione prevalente (e, in Italia, Grecia, Spagna e Svizzera quella della maggioranza) è contro un aumento dei costi per la difesa, nonostante la guerra.  Gli europei sono contrari all’invio di truppe in Ucraina. Quest’opinione è molto diffusa anche nei Paesi più “bellicosi”. In ogni Paese intervistato, la maggioranza della popolazione (dal 54% in Svezia al 90% in Bulgaria) si oppone all’impegno delle truppe in questo modo. In Italia, un’ampia maggioranza dell’80% è contraria all’invio di truppe in Ucraina. Tuttavia, gli europei sono comunque propensi ad approvare il coinvolgimento delle truppe nazionali nella guerra in modi diversi, ad esempio fornendo assistenza tecnica all’esercito ucraino o pattugliando il confine tra Ucraina e Bielorussia. Gli atteggiamenti nei confronti della guerra in Europa si possono suddividere in tre gruppi distinti: quelli che vogliono che l’Ucraina sconfigga la Russia (il “campo della giustizia”); quelli che vogliono che la guerra finisca il prima possibile (il “campo della pace”) e quelli che sono bloccati nel mezzo (gli “Stati indecisi”). Gli intervistati in Estonia (68%), Svezia (54%), Polonia (50%), Gran Bretagna (46%) e Portogallo (42%) sostengono che “l’Europa dovrebbe appoggiare l’Ucraina nel combattere i territori occupati dalla Russia”. Gli intervistati che ritengono che “l’Europa dovrebbe spingere l’Ucraina a negoziare un accordo di pace con la Russia” sono più numerosi in Bulgaria (61%), Grecia (59%) e Italia (57%). Gli “Stati indecisi” dell’Europa sono Francia (il 30% a favore della guerra, il 36% a favore di un accordo di pace), Spagna (32% contro il 31%), Paesi Bassi (36% contro il 31%), Germania (31% contro il 41%), Svizzera (29% contro il 42%) e Repubblica Ceca (34% contro il 46%). Gli europei sono scettici sulla capacità di Kiev di sconfiggere la Russia. Un gran numero di intervistati ritiene che la guerra tra Russia e Ucraina si concluderà con un negoziato, soprattutto in Grecia (49%), Italia (48%), Bulgaria (46%) e Spagna (45%). Solo in Estonia una percentuale elevata di intervistati (38%) ritiene che l’Ucraina vincerà la guerra. Le aspettative europee di una vittoria ucraina aumentano tuttavia di 12 punti percentuali, in media, nell’eventualità in cui il Paese dovesse ricevere un maggiore rifornimento di armi e munizioni dagli alleati. Tuttavia, in 11 dei 15 Paesi la maggioranza ritiene che il risultato più probabile sarà un negoziato. In Italia, il 18% degli intervistati ritiene che la guerra in Ucraina finirà “entro il prossimo anno”. Il 22% degli italiani crede che “la Russia vincerà la guerra”, mentre il 3% ritiene che l’Ucraina abbia speranze di vincere sul campo di battaglia. Gli ucraini ritengono di poter sconfiggere la Russia e di poter continuare a contare sul supporto degli alleati internazionali. Solo l’1% degli ucraini ritiene che la Russia vincerà la guerra, mentre la maggioranza (58%) ritiene che sarà l’Ucraina a vincere. Meno di un terzo (30%) crede che il risultato più probabile sarà un negoziato. Nell’eventualità di un incremento della fornitura di armi e munizioni da parte degli alleati, la percentuale di chi crede nella vittoria dell’Ucraina aumenta al 69%. Resilienza e sicurezza sono evidenti anche nella fiducia che gli ucraini hanno nei propri alleati, con il 72% che valuta l’UE un alleato affidabile. Questa fiducia raggiunge il picco dell’84% nei confronti del Regno Unito ed appare molto forte anche nei confronti degli Stati Uniti (78%) e della Lituania (77%). Infine, il 76% e il 73% degli ucraini considerano rispettivamente Germania e Francia alleati affidabili, nonostante il sostegno di queste due nazioni fosse molto incerto nei primi mesi della guerra. Tuttavia, l’Ucraina appare molto divisa in relazione ai possibili compromessi che potrebbero porre fine al conflitto. Quando è stato presentato un ipotetico compromesso tra l’adesione alla NATO e l’integrità territoriale, più di sette ucraini su dieci (il 71%) hanno dichiarato di essere contrari all’ingresso nella NATO in cambio di cedere il territorio occupato dalla Russia. In un secondo scenario presentato agli intervistati, il 45% ha affermato che preferirebbe perdere parti del territorio attualmente occupato ma rimanere sovrano, “con il proprio esercito e la libertà di scegliere le proprie alleanze, come l’UE e la NATO”. Solo il 26% ha affermato che preferirebbe riconquistare il territorio attualmente occupato, ma, in cambio, accettare la smilitarizzazione e diventare un Paese neutrale che non potrebbe unirsi ad alleanze come l’UE e la NATO. Il restante 29% non ha saputo dare una risposta. La fiducia nelle Forze armate dell’Ucraina e nel Presidente del Paese, Volodymyr Zelenskyy, è forte. Il 79% degli intervistati ucraini ha affermato di avere “molta fiducia” nelle Forze armate dell’Ucraina, con un ulteriore 17% che ha affermato di avere “moltissima fiducia”. Quasi due terzi (il 65%) hanno dichiarato di avere “molta fiducia” o “moltissima fiducia” nel Presidente del Paese, Volodymyr Zelenskyy, nonostante le lotte sul campo di battaglia e le incombenze dettate dal proprio ruolo. La forza militare della Russia è vista come il principale ostacolo al successo ucraino, sia dagli ucraini che dalla maggior parte degli europei. L’opinione che la forza militare della Russia costituisca un ostacolo “grande” o “moderato” alla rivendicazione del territorio da parte dell’Ucraina è più diffusa in Ucraina (81%), Grecia ed Estonia (79%), Bulgaria (76%), Repubblica Ceca (74%), Polonia (73%), Gran Bretagna (72%) e Spagna (71%). La Svezia rappresenta un’eccezione, infatti solo il 56% ritiene che la forza militare russa costituisca un ostacolo importante alla rivendicazione del territorio da parte dell’Ucraina. In Italia, il 64% ritiene che la forza militare della Russia rappresenti un ostacolo “moderato” o “grande”. Gli italiani sono anche pessimisti sulla probabilità che si verifichi un “importante cambiamento politico” in Russia entro i prossimi due anni: il 25% lo ritiene “probabile”, mentre il 53% “improbabile”. Gli europei sono divisi sui vantaggi dell’ammissione dell’Ucraina all’Ue. Il sondaggio dell’Ecfr rileva un forte sostegno all’adesione ucraina all’UE in Portogallo (il 59% crede che l’adesione sia una “buona idea”, mentre il 20% una “cattiva idea”), Estonia (58% contro il 27%), Svezia (53% contro il 28%), Spagna (51% contro il 24%) e Polonia (48% contro il 31%). Lo scetticismo è maggiormente diffuso in Germania (54% afferma che sia una “cattiva idea”, mentre il 31% una “buona idea”), Bulgaria (50% contro 26%), Repubblica Ceca (48% contro 36%) e Francia (40% contro 36%). Tra gli stessi ucraini, quasi due terzi (64%) ritengono che l’adesione all’Ue sia cruciale per il futuro del proprio Paese quanto l’adesione alla Nato.Ivan Krastev, coautore e Presidente del Centre for Liberal Strategies di Sofia, commentando i dati del sondaggio, ha affermato che “la cosa sorprendente dell’opinione pubblica nei confronti dell’Ucraina, è la sua stabilità: mentre il conflitto non si è congelato, per molti aspetti gli atteggiamenti dei cittadini sì”.Mark Leonard, coautore e Direttore fondatore dell’ECFR, ha aggiunto: “Il nostro nuovo sondaggio suggerisce che una delle sfide chiave per i leader occidentali sarà quella di conciliare le posizioni contrastanti tra europei e ucraini sulla fine della guerra. Mentre entrambi riconoscono la necessità di una continua fornitura militare occidentale per continuare a respingere l’aggressione russa, c’è un profondo divario su quale sia concretamente una vittoria e quale sia in realtà lo scopo del sostegno dell’Europa”.Secondo Leonard, “mentre gli europei ritengono che l’esito più probabile della guerra sarà un negoziato, gli ucraini non sono ancora pronti a considerare compromessi territoriali per l’adesione alla Nato, né ad impegnarsi con l’idea di ‘finlandizzazione’, con cui manterrebbero il territorio ma rinuncerebbero alle loro ambizioni Ue e Nato.”

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    Orbán a sorpresa in Ucraina. A Kiev per “discutere di pace” con Zelensky

    Bruxelles – Sono bastate 24 ore alla guida della presidenza di turno dell’Ue perché Viktor Orbán si imbarcasse alla volta di Kiev, per la prima volta dall’inizio dell’aggressione russa nel febbraio 2022. Il primo ministro ungherese, l’anello debole nel supporto incondizionato di Bruxelles all’Ucraina, ha incontrato Volodymyr Zelensky per “discutere di pace in Europa”, ha fatto sapere su X il suo portavoce, Zoltán Kovács.Una visita “nel solco delle decisioni dell’Ue”, ha commentato il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani. Un “progresso” nelle relazioni tra Kiev e Budapest, l’ha definita l’ambasciatore americano in Ungheria, David Pressman. Di certo, una visita inaspettata da parte del leader più filorusso dei 27, che sta bloccando ostinatamente circa 6,5 miliardi di euro in aiuti militari all’Ucraina attraverso lo European Peace Facility, dopo aver tenuto in ostaggio per mesi i 50 miliardi dello Strumento Ue per l’assistenza macrofinanziaria a Kiev.Viktor Orban e Volodymyr Zelensky in conferenza stampa a Kiev, 2/7/24 (Photo by Genya SAVILOV / AFP)“I colloqui si concentreranno sulle possibilità di raggiungere la pace e sulle questioni attuali delle relazioni bilaterali tra Ungheria e Ucraina”, ha precisato ancora Kovács. Secondo quanto riportato dal The Guardian, la visita di Orbán a Zelensky è stata pianificata dopo che i due Paesi hanno trovato un accordo sulla questione dei diritti delle comunità magiare in Ucraina, che vivono al di là del confine con l’Ungheria. La questione della minoranza ungherese è stata anche la principale motivazione con cui Budapest ha giustificato la sua strenua opposizione all’inizio dei negoziati di adesione all’Ue con l’Ucraina.Nel bilaterale, i due leader hanno “accettato di lasciarsi alle spalle le controversie del passato e di lavorare per migliorare le relazioni bilaterali, puntando a un accordo di cooperazione globale per l’Ucraina“, ha fatto sapere Kovács. Il portavoce ha inoltre sottolineato che ha sottolineato che Orbán riferirà gli omologhi del Consiglio europeo sulle discussioni avute con Zelensky.La scelta di recarsi a Kiev a un giorno dall’insediamento alla guida semestrale del Consiglio dell’Ue è un segnale importante da parte di Orbán. L’impegno sull’Ucraina è uno dei timori maggiori che i leader europei hanno segnalato riguardo la presidenza ungherese dell’Unione. Budapest “mira ad affrontare le sfide più urgenti che l’Unione si trova ad affrontare”, ha rivendicato il portavoce Balázs Orbán. Anche se sul percorso per riportare la pace in Ucraina, il punto di vista ungherese diverge profondamente da quello del blocco Ue, che parte dall’assunto dell’integrità territoriale del Paese aggredito: nella conferenza stampa congiunta con Zelensky, Orbán ha dichiarato che “l’Ucraina dovrebbe proclamare il cessate il fuoco e avviare negoziati con la Russia“.Con l’impegno sull’Ucraina, che Orbán ha definito “la questione principale dei prossimi 6 mesi di presidenza ungherese dell’Ue”, il premier sovranista manda un messaggio anche alle destra europea, nel bel mezzo di un processo di riconfigurazione politica. La più solida alleata di Orbán in Europa, Giorgia Meloni, presidente dei Conservatori e Riformisti Europei, è allineata alla posizione del blocco di supporto incondizionato a Kiev. Tant’è che, dopo mesi di corteggiamenti, il gruppo di Ecr ha chiuso la porta al partito di Orbán, Fidesz, che all’Eurocamera risulta ancora tra i non iscritti.Ora il primo ministro ungherese ha annunciato la nascita di una nuova alleanza, i ‘Patrioti per l’Europa’, con i populisti cechi di Ano (ex membri dei liberali) e i nazionalisti austriaci dell’Fpo (fuoriusciti dal gruppo sovranista Id, quello di Marine Le Pen e della Lega). All’alleanza hanno già aderito i portoghesi di Chega, mentre il Carroccio ammicca. Per creare un gruppo all’Eurocamera però, Orbán ha bisogno dell’adesione di partiti da 7 Paesi membri. Un atteggiamento meno oltranzista sull’Ucraina potrebbe attrarre altri ‘patrioti’, come i polacchi filoucraini di Diritto e Giustizia, ai ferri corti con Fratelli d’Italia in Ecr.