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    “Il mostro creato da Putin gli si è rivoltato contro”. L’Ue studia le conseguenze della crisi tra il Cremlino e la Wagner

    Bruxelles – Nessuno si sbilancia, nonostante ormai siano passati due giorni dalla fine del possibile colpo di Stato in Russia. Perché per le istituzioni comunitarie l’azione dell’entità militare privata Wagner e del suo leader Yevgeny Prigozhin e la risposta del Cremlino rimangono sempre “un affare interno della Russia”, in cui nessuno vuole entrare. Lo hanno dichiarato tutti oggi (26 giugno) al Consiglio Affari Esteri a Lussemburgo, a partire dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “Stiamo seguendo da vicino quello che succede, il mostro creato da Vladimir Putin con la guerra in Ucraina sta agendo contro il suo creatore“.
    Da sinistra: l’autocrate russo, Vladimir Putin, e il leader del gruppo Wagner, Yevgeny Prigozhin (credits: Alexey Druxhinin / Sputnik / Afp)
    Questo è quanto dalle istituzioni comunitarie, per trovare altre reazioni di rilievo dalle capitali dell’Unione bisogna scavare nei dettagli delle dichiarazioni rilasciate a margine del Consiglio Affari Esteri. “Abbiamo notato un cambiamento e che sono apparse crepe nel sistema russo“, è stato il massimo dell’apertura da parte del ministro degli Affari esteri italiano, Antonio Tajani, che per il resto si è mantenuto cauto dietro a un ripetuto “non tocca a noi interferire nella situazione interna alla Russia“. Oppure il ministro degli Esteri svedese e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Tobias Billström, che – barricandosi dietro a uno sterile “dobbiamo guardare la vicenda come un affare interno russo” – si è lasciato sfuggire quanto i Paesi vicini alla Russia e all’Ucraina avvertono da venerdì sera (23 giugno): “Quello che succede a Mosca ha un impatto sull’ambiente di sicurezza circostante“. Lo stesso ministro ha messo in chiaro che “non siamo in posizione per fare profonde analisi, serve ancora più lavoro”, ma che in ogni caso “tutti dobbiamo preoccuparci quando si parla della Wagner” e che “evidentemente Putin sta perdendo la guerra, non sta andando nella direzione che vorrebbe”. Parole simili a quelle dell’omologo italiano: “Certamente l’assenza di Wagner non rafforza l’armata russa“, ha aggiunto Tajani.
    Il quartier generale del gruppo Wagner a San Pietroburgo, Russia (credits: Olga Maltseva / Afp)
    A parlare in maniera più esplicita è però l’alto rappresentante Ue Borrell, in particolare al termine del confronto con i 27 ministri. “Insurrezione armata abortita, questo è il modo migliore per riferirsi agli eventi di questo fine settimana caratterizzati dalle azioni del gruppo Wagner”, in una situazione che ora “rimane complessa e difficilmente prevedibile”. Ciò che è chiaro è che il tentativo di colpo di Stato tra venerdì e sabato scorso ha mostrato la “fragilità anche del potere militare russo, l’Ucraina lo sta spezzando” e che “la credibilità di Putin è indebolita”. Il vero problema è che se “prima la Russia era una minaccia perché era forte, ora lo è perché potrebbe essere entrata in un’era di instabilità politica“. Instabilità interna e fragilità che preoccupano non poco l’Unione, dal momento in cui la Russia rimane “una grande potenza nucleare”. In ogni caso non è ancora possibile fornire analisi e previsioni degli scenari in caso la situazione a Mosca dovesse sfuggire dal controllo di Putin e della sua cerchia di oligarchi: “Non abbiamo dato scuse all’opinione pubblica russa per dire che siamo coinvolti, a dire la verità siamo sorpresi e gli scenari non si tratteggiano in sole 24 ore”, ha aggiunto Borrell. Per quanto riguarda la presenza di Prigozhin in Bielorussia e l’eventualità che il gruppo armato Wagner si sposti a Minsk, l’Alto rappresentante ha spiegato che “non abbiamo ancora preso in considerazione questo aspetto”.
    Il gruppo Wagner in Russia
    La Wagner è un gruppo paramilitare strettamente legato all’establishment politico e militare russo, soprattutto a livello personale tra l’autocrate Putin e il fondatore della milizia privata Prigozhin. Il nucleo originario – le cui origini risalgono al 2011 – è di circa 10 mila mercenari (tra ex-militari e agenti di sicurezza russi e di altri Paesi come la Serbia), ma nel corso del 2022 il numero complessivo è aumentato a diverse decine di migliaia, dopo la vasta campagna di reclutamento consentita dal Cremlino anche nelle carceri russe. Teoricamente in Russia gli eserciti di mercenari sarebbero illegali, ma proprio lo scorso anno il gruppo Wagner si è registrato come società con sede a San Pietroburgo. Le prime azioni militari sono state registrate in Crimea nel 2014, quando la Wagner affiancò l’esercito russo per conquistare il controllo della penisola. I mercenari si spostarono poi a Luhansk insieme ai separatisti filo-russi, fino all’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio 2022: quest’anno si sono ritagliati un ruolo cruciale nella battaglia di Bakhmut (nell’Ucraina orientale), mantenendo quasi da soli la potenza di fuoco russa opposta a quella ucraina.
    Tuttavia proprio la battaglia di Bakhmut – con la strategia di logoramento messa in piedi appositamente da Kiev – ha fatto emergere Prigozhin come soggetto problematico per la presunta unità delle fila russe. Prima ha annunciato a maggio l’intenzione di voler ritirare le proprie truppe dalla città, poi ha accusato il governo russo (e in particolare il ministero della Difesa) di non fare abbastanza per sostenere le forze paramilitari. Dopo un’escalation di accuse, venerdì scorso ha attaccato senza mezzi termini tutta la macchina di propaganda della Russia e ha iniziato l’insurrezione nella notte tra venerdì e sabato. Dopo aver preso la città di Rostov e aver iniziato a marciare su Mosca, nel pomeriggio di sabato è arrivato l’annuncio dello stop alla “marcia della giustizia” per “non versare inutilmente sangue russo”. Lo stesso Prigozhin ha confermato di aver accettato il compromesso avanzato dall’autoproclamato presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenko, secondo cui tutti gli insorti riceveranno l’amnistia, i mercenari che non hanno partecipato alla sollevazione potranno integrarsi nell’esercito regolare e lo stesso leader del gruppo Wagner si sarebbe recato a Minsk.
    I mercenari della Wagner sono stati impegnati in Siria a partire dal 2017 nella guerra civile al fianco di Bashar al Assad, ed è nota la presenza in diversi Paesi africani (si sospetta anche nel Sudan recentemente travolto dalla guerra civile). Dall’ottobre 2020 Prigozhin è colpito dalle sanzioni dell’Unione Europea per l’avvelenamento di Alexei Navalny (uno dei principali oppositori di Putin), mentre le misure restrittive contro il gruppo Wagner sono state imposte pochi mesi prima dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Gli individui colpiti sono coinvolti in “gravi abusi dei diritti umani, tra cui tortura, esecuzioni e uccisioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie, o in attività destabilizzanti” fuori dalla Russia: “Wagner ha reclutato, addestrato e inviato operatori militari privati in zone di conflitto in tutto il mondo“, dalla Libia alla Siria, dall’Ucraina alla Repubblica Centrafricana, “per alimentare la violenza, saccheggiare risorse naturali e intimidire i civili in violazione del diritto internazionale”.

    Al Consiglio Affari Esteri a Lussemburgo l’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha aggiornato i 27 ministri sul tentato colpo di Stato da parte della milizia privata di Yevgeny Prigozhin e il ruolo della Bielorussia: “Mosca potrebbe essere entrata in un’era di instabilità politica”

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    Iran, un pacchetto di sanzioni europee al mese. Siamo al nono, ma nel Paese aumentano le esecuzioni capitali

    Bruxelles – Arriva puntuale, anche questo mese, il pacchetto di sanzioni Ue contro i responsabili di gravi violazioni dei diritti umani in Iran. È il nono, uno al mese dallo scorso ottobre, e colpisce 7 persone che vanno ad aggiungersi alla lunga lista nera, che ora conta 223 individui e 37 entità.
    I 27 ministri degli Esteri Ue hanno deciso di applicare misure restrittive nei confronti del procuratore generale e del vice giudice del tribunale penale della provincia di Isfahan, responsabili dei processi che hanno portato all’esecuzione capitale di tre manifestanti nel mese di maggio. Preso di mira anche il comandante del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (Irgc) della stessa provincia. Le misure restrittive, che consistono nel congelamento dei beni , nel divieto di viaggio verso l’Unione Europea e nel divieto di ricevere fondi o risorse economiche dal territorio comunitario, colpiscono anche il governatore e il comandante della polizia di Rezvanshahr, città nella provincia di Gilan, responsabili di aver ordinato agli agenti di aprire il fuoco sui manifestanti in diverse proteste, causando morti e feriti.
    Infine, entrano ufficialmente nei cattivi il governatore della città di Amol, responsabile dell’uccisione di almeno due giovani manifestanti iraniani, e il comandante del Corpo delle Guardie Imam Hossein di Karaj per la detenzione e lo stupro di Armita Abbasi da parte delle forze di sicurezza di Karaj. Abbassi, ventunenne, era stata indicata come una dei leader delle proteste e per questo incarcerata per oltre tre mesi.
    Alle sanzioni si accompagnano i soliti appelli alla Repubblica Islamica affinché “ponga fine alla violenta repressione delle proteste pacifiche e al ricorso a detenzioni arbitrarie”. I 27 invitano inoltre Teheran a “cessare la pratica di imporre ed eseguire condanne a morte contro i manifestanti, revocare le condanne a morte pronunciate e garantire un giusto processo a tutti i detenuti“.
    Le esecuzioni capitali nel Paese, secondo l’ong Iran Human Rights (Ihrngo), sono aumentate in maniera drammatica: solo a maggio sarebbero state giustiziate almeno 142 persone, dato più alto dal 2015. In questa prima metà di 2023 sarebbero almeno 307, con un aumento del 76 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Emblematiche le parole del direttore di Ihrngo, Mahmood Amiry-Moghaddam, che in un comunicato stampa ha dichiarato: “Se la comunità internazionale non mostra una reazione più forte all’attuale ondata di esecuzioni, nei prossimi mesi altre centinaia cadranno vittime della loro (delle autorità iraniane, ndr) macchina per uccidere”. Dopo nove pacchetti di sanzioni, forse è arrivato il momento di cambiare strategia.

    I ministri degli Esteri Ue a Lussemburgo emanano il nono pacchetto di misure restrittive per i responsabili di violazioni dei diritti umani. Colpiti governatori, comandanti di polizia e delle Irgc. Ma l’ong Iran Human Rights lancia l’allarme: 142 persone giustiziate nel mese di maggio

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    L’Occidente e la Russia, Balfour (Carnegie): Essere uniti sta dando i suoi frutti

    Bruxelles – Gli occidentali hanno mostrato unità anche di fronte alla crisi che si è scatenata sabato in Russia con la “marcia su Mosca” dei 25mila mercenari guidati da Yevgeny Prigozhin. Poche dichiarazioni, osservazione degli eventi, solo qualche giudizio sul caos che a quanto sembra si è creato nel gruppo dirigente russo.
    “L’esperienza di essere uniti sta dando i suoi frutti”, ha dichiarato Rosa Balfour, direttrice del think tank Carnegie Europe al Wall Street Journal. Secondo l’analista fino all’inizio dell’invasione russa in Ucraina i governi occidentali avevano opinioni diverse sulla Russia e sui suoi approcci, alcuni favorevoli all’impegno e altri più conflittuali. Adesso la strategia, anche attraverso il ruolo della Nato, sembra sostanzialmente condivisa.
    Se la rivolta fosse avvenuta un anno fa, “sarebbe stata estremamente problematica per l’Occidente”, ha detto Balfour, secondo la quale “alcuni leader avrebbero rifiutato la leadership di Putin, mentre altri lo avrebbero difeso come una forza di stabilità che doveva rimanere”. Oggi, ha detto Balfour al WSJ, “non mi sembra che questo accada”.
    Secondo l’analista “i commenti del presidente francese Emmanuel Macron il mese scorso a Bratislava hanno segnato un punto di svolta”. In quella occasione, Macron affermò che i Paesi dell’Europa occidentale non avevano ascoltato gli avvertimenti dei loro vicini orientali sull’aggressione della Russia e chiese maggiori sforzi per la sicurezza dell’Ucraina.
    “Gli europei hanno raggiunto un nuovo livello di comprensione e di valutazione strategica” sulla Russia, conclude Balfour.

    La direttrice del centro europeo della Fondazione statunitense al Wall Street Journal

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    Dumoulin (Ecfr): Le concessioni di Putin a Prigozhin aprono a sfide ancor più radicali

    Bruxelles – Cosa è successo nel fine settimana in Russia? Al di là della cronaca, oramai nota (almeno per grandi linee) cosa ha significato la “ribellione” (se questa è stata) di Yevgeny Prigozhin? Ne parla Marie Dumoulin, direttrice del programma per l’Europa allargata dell’European Council on Foreign Relations (Ecfr).
    “L’ammutinamento del fine settimana segna la fine del fenomeno Prigozhin così come lo conoscevamo. Aveva fatto molto affidamento sulle risorse governative, che probabilmente non saranno più a sua disposizione. Prima del febbraio 2022, l’attività principale di Wagner – ricorda Dumoulin – era quella di offrire protezione ai governi stranieri, come nella Repubblica Centrafricana o in Mali, contro i gruppi armati rivali che minacciavano il loro potere. Dopo la marcia su Mosca, Wagner probabilmente non rimarrà un fornitore di sicurezza credibile per i leader stranieri. Il modello subirà quindi cambiamenti fondamentali”.
    Secondo l’analista “la capacità di Prigozhin di mantenere le attività di Wagner all’estero sarà cruciale per comprendere il suo rapporto con la leadership russa. Le compagnie militari private non dovrebbero esistere in Russia, poiché non esiste uno status giuridico applicabile. Si presume generalmente che la Wagner sia stata fondata in stretta collaborazione con l’agenzia militare estera russa (Gru), fornendo un accordo utile per condurre azioni al di fuori dei confini russi con un certo grado di negabilità (da parte delle autorità russe, ndr) plausibile”.
    Dumoulin ritiene che con l’azione di sabato “formalmente, il potere di Vladimir Putin non è stato minacciato, ma la sua autorità è stata esplicitamente e radicalmente messa in discussione. Non è la prima volta: Anche il ritorno di Navalny in Russia all’inizio del 2021, dopo il tentativo di avvelenamento, ha rappresentato una sfida all’autorità di Putin, poiché Navalny ha affermato la sua capacità di stabilire l’agenda. Ma questa era una sfida politica. La marcia di Prigozhin su Mosca è stata molto più radicale e violenta. Il fatto che Putin sia disposto a fare concessioni di fronte alla violenza potrebbe preannunciare ulteriori sfide di natura ancora più radicale“.
    “La sfida – sottolinea la studiosa – è arrivata da una persona percepita come vicina a Putin, anche se Prigozhin non è mai stato un vero insider. Per questo motivo il suo tentativo di marciare su Mosca è stato definito da Putin ‘tradimento’. Tuttavia, è probabile che abbia chiarito a molti all’interno del sistema russo che il ‘divide et impera’ di Putin stava diventando pericoloso per il sistema stesso”.
    Gli eventi di questo fine settimana “hanno anche messo in discussione uno degli elementi centrali della narrativa di Putin da quando è al potere: ha costruito il suo governo sull’idea di portare stabilità e ordine nel Paese dopo il caos degli anni Novanta. Finché la guerra è rimasta lontana per la maggior parte dei russi, questa narrazione ha potuto reggere. Tuttavia ritiene Dumoulin -, una ribellione da parte di un gruppo paramilitare non si allinea bene con questa narrazione”.
    “Non mi aspetto che questi eventi abbiano un impatto diretto sulle operazioni in Ucraina – conclude l’analista di Ecfr -, ma probabilmente influenzeranno il morale dell’esercito russo e potrebbero persino portare a mettere in discussione la loro fedeltà alla leadership politica. Prigozhin ha espresso preoccupazioni riguardo agli obiettivi della ‘operazione militare speciale’ e alla condotta delle operazioni. Queste preoccupazioni sono probabilmente condivise da una parte dell’esercito russo“.

    Secondo la direttrice del programma per l’Europa allargata dell’European Council on Foreign Relations il capo della Wagner “ha espresso preoccupazioni riguardo agli obiettivi e alla gestione della ‘operazione militare speciale’. Queste preoccupazioni sono probabilmente condivise da una parte dell’esercito russo”

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    L’Ue aumenta di 3,5 miliardi lo European Peace Facility. Per Borrell “è il momento di sostenere l’Ucraina più che mai”

    Bruxelles – I ministri degli Esteri dei 27 Paesi Ue lanciano un chiaro segnale politico del costante impegno a fornire sostegno militare all’Ucraina e ad altri partner nel mondo. Dopo un fine settimana ad alta tensione, in cui il quasi golpe militare condotto da Evgenij Prigožin e dalla milizia di mercenari del gruppo Wagner ha fatto vacillare per qualche ora Vladimir Putin e la sua leadership, l’Europa è pronta a approfittare dell’indebolimento fisiologico dell’azione russa aumentando ulteriormente l’appoggio militare a Kiev.
    Sulla base di un accordo preso già lo scorso 20 marzo, il Consiglio Affari Esteri ha dato il via libera oggi (26 giugno) all’incremento di 3,5 miliardi di Euro del massimale finanziario dello European Peace Facility (Epf), lo strumento europeo per la pace che permette di finanziarie tutte le azioni Ue relative a questioni militari e di difesa. “Il mostro creato da Vladimir Putin con la guerra in Ucraina sta agendo contro il suo creatore”: così ha commentato l’ammutinamento del gruppo militare ‘parastatale’ russo l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, arrivando al Consiglio a Lussemburgo. “Questo è il momento di sostenere Kiev più di ogni altro momento ed è un bene che l’Epf sia rimpinguato con altri 3,5 miliardi”.
    Dalle casse dell’Epf Bruxelles ha finora potuto finanziare le forze armate ucraine attraverso sette successivi pacchetti di sostegno, nonché molti altri paesi quali Mozambico, Georgia, Moldavia, Bosnia-Erzegovina, Somalia, Niger, Mauritania, Libano e Giordania. Nove missioni militari e dodici missioni civili, perché oltre alla fornitura di equipaggiamento militare l’Epf consente il finanziamento di azioni operative  nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune (Pesc): il protagonismo Ue ha fatto sì che il 92 per cento del massimale finanziario complessivo dell’Epf per il periodo 2021-27 fosse già stato impegnato. Così, dopo un primo aumento di 2,3 miliardi a marzo, è stato necessario portare il plafond complessivo dai 5,6 miliardi di euro iniziali a 12 miliardi di euro.
    A due anni dalla sua creazione, nel marzo 2021, “lo strumento ha dimostrato il suo valore”, cambiando “completamente il modo in cui supportiamo i nostri partner nella difesa”, ha dichiarato Borrell. Lo strappo tra il Cremlino e il temuto gruppo Wagner potrebbe innescare mutamenti di scenario non solo in Ucraina, ma anche in diversi Stati africani in cui la milizia è da anni molto attiva per conto di Mosca, per esempio in Repubblica Centro Africana, Libia, Mali, Sudan. Tutti Paesi in cui Bruxelles fa già sentire direttamente o indirettamente il proprio supporto militare. E che ora, approfittando della confusione nello Stato maggiore russo, potrebbe aumentare.

    Già speso più del 90 per cento del massimale finanziario per il periodo 2021-27, il Consiglio Affari Esteri dà il via libera al secondo incremento che porta il budget complessivo Ue per questioni militari e di difesa a 12 miliardi

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    L’Ue ha adottato l’undicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia. C’è lo strumento anti-elusione e nuovi divieti

    Bruxelles – E sono undici. Dal Consiglio dell’Ue è arrivato questa mattina (23 giugno) il via libera all’adozione del nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia, il secondo introdotto dall’inizio dell’anno, l’undicesimo dall’inizio della guerra d’invasione russa in Ucraina il 24 febbraio 2022. Una media di una tornata di misure restrittive ogni 44 giorni, che nel suo ultimo aggiornamento si è concentrata sulla prevenzione e il contrasto dell’elusione delle misure restrittive già introdotte nei precedenti dieci pacchetti. “Massimizzeremo la pressione sulla Russia privandola ulteriormente delle risorse di cui ha disperatamente bisogno per proseguire la sua guerra illegale contro l’Ucraina”, ha promesso l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (9 maggio 2023)
    Considerato il fatto che “le nostre sanzioni stanno già avendo un forte impatto sull’economia russa e sulla capacità del Cremlino di finanziare le sue aggressioni”, l’undicesimo pacchetto “aumenta la nostra pressione sulla Russia e sulla macchina da guerra di Putin“, grazie a una serie di misure restrittive proposte dalla Commissione Ue lo scorso 5 maggio e dopo poco più di un mese approvate dagli ambasciatori dei 27 Paesi membri riuniti al Coreper (Comitato dei rappresentanti permanenti). L’elemento di vera novità è il contrasto all’elusione di quanto già previsto finora, attraverso un nuovo strumento anti-elusione che sarà attivato solo in caso di fallimento del rafforzamento della cooperazione con i Paesi terzi. In questo scenario – non auspicato da Bruxelles – si metterà in moto un processo in due fasi, ovvero una “azione rapida, proporzionata e mirata“, finalizzata “esclusivamente a privare la Russia delle risorse” bandite da Bruxelles. Prima l’Unione si impegnerà in un ulteriore “dialogo costruttivo con il Paese terzo in questione” e nel caso in cui l’elusione rimanga comunque “sostanziale e sistemica”, l’Ue avrà la possibilità di adottare “misure eccezionali di ultima istanza“. In altre parole, il Consiglio potrà decidere all’unanimità di limitare la vendita, la fornitura, il trasferimento o l’esportazione di beni e tecnologie la cui esportazione verso la Russia è già vietata – “in particolare prodotti e tecnologie per il campo di battaglia” – a Paesi terzi la cui giurisdizione è dimostrata essere “a rischio continuo e particolarmente elevato“.
    Nell’undicesimo pacchetto rientra comunque anche il lavoro per aumentare la pressione sull’economia russa. In particolare viene aggiornato l’elenco delle entità soggette a restrizioni più severe sulle esportazioni di beni e tecnologie a duplice uso. Tra le 87 nuove entità, ce ne sono anche quattro iraniane che producono droni e li vendono al Cremlino, ma anche altre coinvolte nell’elusione delle restrizioni commerciali e registrate in Cina, Uzbekistan, Emirati Arabi Uniti, Iran, Siria e Armenia. Anche un altro elenco Ue è stato aggiornato nella nuova tornata di sanzioni, ovvero quello dei prodotti che potrebbero contribuire al potenziamento tecnologico del settore della difesa e della sicurezza della Russia: ora ne fanno parte 15 di nuovi, tra cui componenti elettronici, materiali per semiconduttori, attrezzature per la produzione e il collaudo di circuiti elettronici integrati e schede a circuito stampato, precursori di materiali energetici e di armi chimiche, componenti ottici, strumenti di navigazione, metalli utilizzati nel settore della difesa e attrezzature marine. Anche attraverso il dialogo sempre più stretto con la Svizzera come Paese partner, Bruxelles ha deciso di inasprire le restrizioni sulle importazioni di prodotti siderurgici e di vietare l’esportazione di auto elettriche e ibride di lusso (cilindrata maggiore di 1.900 cm³).
    Di grande importanza per l’Unione anche la lista delle persone ed entità soggette al congelamento dei beni e al divieto di viaggio sul territorio dell’Unione, che ora conta più di 1.500 nomi. Con il nuovo pacchetto sono stati aggiunti 100 nuovi soggetti, tra cui alti ufficiali militari, responsabili della deportazione illegale di bambini e del saccheggio del patrimonio culturale ucraino, uomini d’affari, giudici e banche che operano nei territori occupati, aziende informatiche che forniscono tecnologia, software critici all’intelligence e propagandisti. A questo proposito, “per far fronte alla sistematica campagna internazionale di manipolazione dei media e di distorsione dei fatti”, è stato estesa la sospensione delle licenze di trasmissione ad altri cinque media (oltre a quelli già inseriti, Sputnik, Russia Today, Rossiya RTR / RTR Planeta, Rossiya 24 / Russia 24, TV Centre International, NTV / NTV Mir, Rossiya 1, REN TV e Pervyi Kanal). Si tratta di RT Balkan, Oriental Review, Tsargrad, New Eastern Outlook e Katehon, tutte emittenti “sotto il controllo permanente, diretto o indiretto, della leadership della Federazione Russa” e che preoccupano anche in vista delle elezioni europee del 2024: “La propaganda ha ripetutamente e costantemente preso di mira i partiti politici europei, soprattutto durante i periodi elettorali”.
    C’è infine la questione dei trasporti e dell’energia. In primis è stato esteso il divieto di trasportare merci nell’Ue su strada ai rimorchi e ai semirimorchi immatricolati in Russia, anche se trasportati da autocarri immatricolati fuori dalla Russia. Inoltre – considerato il “forte aumento di pratiche ingannevoli da parte di navi che trasportano greggio e prodotti petroliferi” – il Consiglio ha deciso anche di vietare l’accesso ai porti e alle chiuse dell’Ue a “tutte le navi che effettuano trasferimenti da nave a nave”, se le autorità competenti hanno “ragionevoli motivi” per sospettare che la nave stia violando il divieto di importare greggio e prodotti petroliferi russi o stia trasportando prodotti russi acquistati al di sopra del massimale di prezzo concordato dalla Price Cap Coalition. Sull’energia spicca lo stop definitivo alla deroga temporanea concessa a Germania e Polonia per la fornitura di petrolio greggio dalla Russia attraverso la sezione settentrionale dell’oleodotto Druzhba, mentre quello proveniente “dal Kazakistan o da un altro Paese terzo” potrà continuare a transitare per la Russia. Sarà estesa invece fino al 31 marzo 2024 l’estensione dell’eccezione al tetto del prezzo del petrolio di Sakhalin per il Giappone.

    Il Consiglio dell’Ue ha approvato l’adozione della nuova tornata di misure restrittive contro Mosca, il cui punto saliente è l’introduzione di “misure eccezionali di ultima istanza” nel caso in cui le merci il cui export è vietato passano da Paesi terzi e poi finiscono sul territorio russo

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    Brexit: oltre il 58 per cento dei britannici vorrebbe tornare nell’Unione europea

    Bruxelles – Sette anni dopo il referendum sulla Brexit, la percentuale di britannici che vogliono rientrare nell’Ue è salita ai livelli più alti dal 2016, secondo un nuovo sondaggio di YouGov riportato dal quotidiano Guardian: escludendo coloro che hanno dichiarato che non voterebbero o di non sapere cosa votare, il 58,2 per cento degli elettori sceglierebbe il rientro nell’Unione.
    La percentuale è solo in minima parte diminuita rispetto al 60 per cento registrato nel febbraio di quest’anno – la cifra più alta da quando sono iniziate queste rilevazioni, nel febbraio 2012 – ed è aumentata in modo più o meno costante dal minimo post-referendum del 47 per cento all’inizio del 2021.
    Il sondaggio ha chiesto ai cittadini di altri Paesi membri se dovendo scegliere voterebbero per restare o per lasciare l’Ue.  Il 63 per cento degli italiani vorrebbe restare nell’Unione, come il 62 per cento dei francesi. Il mese scorso l’87 per cento degli intervistati in Spagna ha dichiarato che avrebbe scelto di rimanere, come hanno indicato il 79 per cento dei danesi, il 70 per cento degli svedesi e il 69 per cento dei tedeschi.
    Secondo i dati di YouGov l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, che ha scatenato una forte ondata di sentimenti pro-europei.

    Indagine YouGov conferma il trend in salita. In Italia se si votasse sulla separazione, il 63 per cento sceglierebbe di restare. L’invasione russa dell’Ucraina ha riacceso il sentimento europeista

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    Nuove elezioni locali, rafforzamento Eulex e rilascio dei poliziotti. Le soluzioni Ue contro la tensione Serbia-Kosovo

    Bruxelles – Il dialogo Pristina-Belgrado è tornato nella “modalità di gestione della crisi”, nonostante i passi in avanti compiuti a febbraio-marzo. Se in modo permanente o temporaneo lo diranno solo gli eventi delle prossime settimane nel nord del Kosovo, ma per il momento a Bruxelles c’è particolare apprensione per il passo indietro fatto nell’ultimo mese dai due Paesi balcanici, il Kosovo del premier Albin Kurti e la Serbia del presidente Aleksandar Vučić. “È inaccettabile e insostenibile, non può continuare”, è la dura accusa dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, al termine della lunga giornata di discussioni ieri (22 giugno) “separatamente” con il premier kosovaro e il presidente serbo (da sottolineare che “non erano incontri congiunti” perché Vučić si è rifiutato di dialogare con Kurti), parlando con i giornalisti a Bruxelles del “deterioramento inutile della situazione nel nord del Kosovo“.
    Da sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, e il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, a Bruxelles (22 giugno 2023)
    Un appuntamento in dubbio fino all’ultimo, ma che è servito all’alto rappresentante Borrell e al rappresentante speciale per il dialogo Pristina-Belgrado, Miroslav Lajčák, per illustrare le “chiare aspettative” dell’Unione dopo “settimane in cui abbiamo chiesto al Kosovo e alla Serbia di smorzare le tensioni e di tornare al processo di normalizzazione delle relazioni, ma finora abbiamo assistito solo al contrario”. A Pristina viene chiesto di sospendere “immediatamente” le operazioni di polizia nelle vicinanze dei municipi nel nord del Kosovo (Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica) e che i quattro sindaci svolgano “temporaneamente” le loro funzioni in locali esterni agli edifici municipali. La Serbia viene invece esortata a “garantire” che i manifestanti serbo-kosovari si ritirino dalle proteste “contemporaneamente” alla polizia del Kosovo (lasciando implicito il fatto che Belgrado abbia una responsabilità quantomeno indiretta nelle azioni del partito Lista Srpska nel Paese vicino). Allo stesso tempo “entrambi devono annunciare” elezioni locali anticipate “il prima possibile”, “in tutti e quattro i comuni” interessati e “con la partecipazione incondizionata dei serbi del Kosovo”.
    È proprio questo “il nocciolo del problema” e che inevitabilmente sarà “il nocciolo della soluzione”. Nuove elezioni amministrative, dopo il continuo boicottaggio dei serbo-kosovari e i risultati non accettabili di aprile (a causa della scarsissima partecipazione) per la comunità internazionale. Secondo l’alto rappresentante Borrell questo dovrebbe mettere fine alle tensioni sul campo, permettendo un ritorno al tavolo dei negoziati per l’implementazione degli accordi sulla normalizzazione delle relazioni: l’accordo di Bruxelles del 27 febbraio che ha definito gli impegni specifici per Serbia e Kosovo e l’intesa sull’allegato di implementazione raggiunta a Ohrid (Macedonia del Nord) il 18 marzo. In questo contesto vanno avviati “senza ulteriori ritardi o precondizioni” i negoziati per la stesura dello statuto dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, ovvero “accordi e garanzie specifici che assicurino un livello adeguato di autogestione” per la comunità serba nel Paese (secondo quanto specificato dall’accordo di Ohrid).
    Da sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, a Bruxelles (22 giugno 2023)
    Nella ricerca di “passi molto concreti sul come e sul quando disinnescare la situazione sul campo”, l’alto rappresentante Borrell ha riferito alla stampa di aver “messo sul tavolo proposte concrete, basate sulle condizioni dell’Unione Europea“. In primis proprio il fatto di aver “concordato sulla necessità di nuove elezioni“, che – nonostante “non ci siamo ancora sulle modalità” – partono dalla base di una condivisione di intenti sulle “diverse alternative e procedure” per arrivarci. C’è poi la questione degli arresti “arbitrari o ingiusti” e delle accuse di “maltrattamenti inaccettabili” ai danni dei prigionieri (Borrell ha chiesto a Kurti “un’indagine approfondita e misure appropriate”), per cui l’intenzione è quella di rafforzare la missione civile Eulex con un “monitoraggio più incisivo”. E infine l’ultimo tema che ha infiammato i rapporti tra Pristina e Belgrado: l’arresto/rapimento e detenzione di tre poliziotti kosovari in Serbia, che “devono essere rilasciati immediatamente e senza condizioni”, è l’esortazione senza giri di parole a Vučić.
    Da parte dell’Unione nei prossimi giorni continuerà la “stretto contatto” con le parti dell’alto rappresentante Borrell, che lunedì (26 giugno) riferirà ai 27 ministri degli Esteri a Lussemburgo. Da ricordare che nell’ultima bozza delle conclusioni del Consiglio Europeo del prossimo 29-30 giugno compare un punto dedicato proprio ai rapporti tra Pristina e Belgrado: nella condanna ai recenti episodi di violenza nel nord del Kosovo, i Ventisette chiederanno “un’immediata attenuazione della situazione” e, “come passo successivo, sono necessari la ripresa del dialogo facilitato dall’Ue e la rapida attuazione dell’accordo sul percorso di normalizzazione e del relativo allegato di attuazione”. La minaccia non troppo velata da parte dei 27 capi di Stato e di governo riguarda il fatto che “la mancata attenuazione delle tensioni avrà conseguenze negative“.
    Un mese ad alta tensione tra Serbia e Kosovo
    Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)
    Lo scorso 26 maggio sono scoppiate violentissime proteste da parte della minoranza serba a causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica. Proteste che si sono trasformate il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato (30 sono rimasti feriti, di cui 11 italiani). Una situazione deflagrata dalla decisione del governo Kurti di forzare la mano e far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti lo scorso 23 aprile in una tornata particolarmente controversa: l’affluenza al voto è stata tendente all’irrisorio – attorno al 3 per cento – a causa del boicottaggio di Lista Srpska, il partito serbo-kosovaro vicino al presidente serbo Vučić e responsabile anche dell’ostruzionismo per impedire ai sindaci di etnia albanese (a parte quello di Mitrovica, della minoranza bosniaca) di assumere l’incarico. Dopo il dispiegamento nel Paese balcanico di 700 membri aggiuntivi del contingente di riserva Kfor e una settimana di apparente stallo, nuove proteste sono scoppiate a inizio giugno per l’arresto di due manifestanti accusati di essere tra i responsabili delle violenze di fine maggio e per cui la polizia kosovara viene accusata di maltrattamenti in carcere.
    A gravare su una situazione già tesa c’è stato un ulteriore episodio che ha infiammato i rapporti tra Pristina e Belgrado: l’arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi lo scorso 14 giugno. Un evento per cui i due governi si accusano a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine, in una zona di confine tra il nord del Kosovo e il sud della Serbia scarsamente controllata dalla polizia kosovara e solitamente usato da contrabbandieri che cercano di evitare i controlli di frontiera. Dopo settimane di continui appelli alla calma e alla de-escalation non ascoltati né a Pristina né a Belgrado, per Bruxelles si è resa necessaria una nuova soluzione ‘tampone’, ovvero convocare una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per cercare delle vie percorribili per ritornare fuori dalla “modalità gestione della crisi” e rimettersi sul percorso della normalizzazione dei rapporti intrapreso tra Bruxelles e Ohrid.

    Nella riunione d’emergenza convocata a Bruxelles dall’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, sono state presentate le proposte al premier kosovaro, Albin Kurti, e al presidente serbo, Aleksandar Vučić, per mettere fine all’escalation “inaccettabile e insostenibile” iniziata lo scorso 26 maggio