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    Le prime azioni strategiche dell’Ue per stringere i rapporti con il Kazakistan e scalzare la Russia in Asia Centrale

    Bruxelles – L’Unione Europea sta mettendo a terra la propria strategia per scalzare la Russia come partner economico privilegiato dei Paesi dell’Asia Centrale e lo fa partendo dalla pedina centrale di questo progetto: il Kazakistan. È con questo obiettivo che sono state annunciate questa mattina (18 maggio) le prime “azioni concrete” per attuare il Memorandum d’intesa sul partenariato strategico Ue-Kazakistan nel campo delle materie prime, delle batterie e dell’idrogeno rinnovabile.
    Il vicepresidente esecutivo della Commissione Ue per l’Economia, Valdis Dombrovskis, al Forum Economico Ue-Asia Centrale (Almaty, 19 maggio)
    A siglare l’intesa è stato il vicepresidente esecutivo della Commissione Ue per l’Economia, Valdis Dombrovskis, in visita nella città kazaka di Almaty per partecipare al Forum Economico Ue-Asia Centrale, dando un seguito pratico all’intesa raggiunta a inizio settimana tra la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, e il premier del Kazakistan, Alikhan Smailov. Le azioni pratiche si inseriscono nel quadro della tabella di marcia del Memorandum d’intesa definito tra le due parti nel corso della prima giornata del Summit dei leader della Cop27 di Sharm El-Sheikh il 7 novembre dello scorso anno, con l’obiettivo di sviluppare in approvvigionamento sicuro e sostenibile nei tre campi fondamentali per le transizioni gemelle verde e digitale. “L’Ue può sostenere il Kazakistan nella creazione di beni a più alto valore aggiunto che favoriscono lo sviluppo economico e aumentano la prosperità della popolazione, mentre l’Ue può ottenere un accesso affidabile a fattori produttivi chiave“, ha sottolineato lo stesso Dombrovskis, rendendo noti i prossimi passi della tabella di marcia del Memorandum.
    Tra il primo e il 2 giugno il vicepresidente della Commissione Ue per le Relazioni interistituzionali, Maroš Šefčovič, incontrerà il primo ministro e il ministro dell’Industria e dello sviluppo delle infrastrutture, Marat Karabayev, a margine del 13esimo Congresso internazionale delle miniere e della metallurgia di Astana, “per incontrare i leader economici di entrambe le parti”. Si tratta di una delle aree di intervento principali di lavoro nei prossimi mesi, con il coinvolgimento delle parti interessate dell’industria per individuare “progetti di investimento comuni”. Al centro della tabella di marcia c’è anche una “più stretta cooperazione” in materia di esplorazione geologica, ricerca e innovazione, formazione di competenze e sviluppo di capacità – in particolare attraverso il programma Horizon Europe e lo strumento di cooperazione dell’Ue – dove saranno essenziali i trasferimenti di tecnologia e l’aumento di fonti rinnovabili “essenziali per affrontare la crisi climatica”, è quanto mettono in chiaro le due parti.
    Da sinistra: il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il presidente del Kazakistan, Kassym-Jomart Tokayev, ad Astana (27 ottobre 2022)
    Gli sforzi di stringere un partenariato sempre più stretto con il Kazakistan risponde alla strategia di Bruxelles di avvicinare l’intera regione dell’Asia Centrale (Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan) alla sfera d’influenza dell’Unione Europea soprattutto in campo economico e climatico. “Il nostro Global Gateway per l’Asia Centrale può spingere iniziative per la gestione delle acque, l’energia e il cambiamento climatico“, ha confermato Dombrovskis nel suo intervento al Forum Economico Ue-Asia Centrale, anticipando la “prima azione dal valore di 20 milioni di euro entro quest’estate“. Il primo obiettivo dell’iniziativa Global Gateway nella regione è quello di “migliorare la gestione delle risorse e aumentare gli investimenti per facilitare la transizione” e per questo motivo il vicepresidente esecutivo della Commissione ha ricordato che “circa il 40 per cento degli iniziali 700 milioni di euro di fondi a supporto di questa iniziativa sono dedicati a investimenti in infrastrutture fisiche”. La credibilità di Bruxelles agli occhi dei Cinque dell’Asia Centrale deriva dall’espansione dei meccanismi di commercio e di investimento per lo sviluppo regionale proprio attraverso la nuova piattaforma del Forum economico.
    Il rapporto Ue-Kazakistan
    Se la strategia dell’Unione è quella di scalzare la Russia come primo partner economico e commerciale (e in futuro forse anche politico) dei cinque Paesi dell’Asia Centrale, la chiave di volta è il Kazakistan. Il presidente della Repubblica kazaka, Kassym-Jomart Tokayev, fino allo scoppio della guerra russa in Ucraina guardava a Mosca come sponda per reprimere le proteste interne attraverso l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (alleanza militare composta da Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan), ma dal 24 febbraio 2022 qualcosa sembra essersi incrinato nella fiducia verso Vladimir Putin. Di fronte al rischio che il Cremlino decida in futuro di scatenare altre guerre per ‘proteggere’ la componente etnica russa negli Stati confinanti, i Paesi della regione non sembrano più così restii a cercare altri alleati e canali di sviluppo in giro per il mondo. E qui è dove cercano di intercettarli i Ventisette.
    “Una cosa è assolutamente certa, il nostro rapporto è forte e sta diventando ancora più forte“, aveva commentato il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, al termine dell’incontro con il presidente kazako ad Astana il 27 ottobre dello scorso anno, in occasione della prima riunione regionale di alto livello dei Cinque dell’Asia Centrale. Il Kazakistan è considerato un “hub per la connettività dei trasporti tra Oriente e Occidente“, su cui Bruxelles è intenzionata a investire attraverso due iniziative Global Gateway: una su acqua, energia e cambiamenti climatici e una sulla connettività digitale. In quell’occasione Michel aveva anticipato la firma “a breve” del Memorandum d’intesa, messo poi a terra nemmeno due settimane dopo dalla presidente della Commissione Ue von der Leyen e dal premier kazako Smailov in Egitto durante la Cop27. Una partnership basata su tre aree di collaborazione: integrazione economica e industriale nelle catene del valore strategico delle materie prime, delle batterie e dell’idrogeno rinnovabile, implementazione della resilienza delle catene di approvvigionamento, e rafforzamento di capacità, competenze, ricerca e innovazione sulla decarbonizzazione della catena del valore delle materie prime critiche.

    Le ha annunciate il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, per l’attuazione del Memorandum d’intesa su materie prime, batterie e idrogeno rinnovabile secondo la tabella di marcia del partenariato. “Entro l’estate” i primi 20 milioni di euro dal Global Gateway

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    Al via il G7 di Hiroshima, i leader uniti per sferrare un altro colpo all’economia russa

    Bruxelles – Le sette economie più avanzate del pianeta unite per sferrare il colpo decisivo a quella russa, motore dello sforzo bellico del Cremlino nella sua guerra d’aggressione all’Ucraina. Per i leader del G7 che si sono riuniti oggi (19 maggio) al vertice che si tiene a Hiroshima, in Giappone, l’elefante nella stanza non poteva che essere il supporto incondizionato alla resistenza di Kiev. Tant’è che è stato confermato l’arrivo del premier ucraino Volodymyr Zelensky per l’ultimo giorno del summit, domenica 21 maggio.
    I Paesi del G7 limiteranno ulteriormente l’accesso della Russia alle loro economie e amplieranno gli sforzi volti a “garantire che le esportazioni di tutti gli elementi critici per l’aggressione russa, compresi quelli utilizzati sul campo di battaglia, siano limitate”. È quanto hanno messo nero su bianco i capi di stato e di governo di Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Germania, Francia, Italia e Giappone – oltre all’Unione Europea rappresentata da Charles Michel e Ursula von der Leyen– nella dichiarazione congiunta redatta a margine della prima giornata di lavori.
    Il G7 contro la Russia: sanzioni economiche e isolamento energetico
    Al fine di “ridurre le entrate” con cui “la Russia finanzia la sua aggressione illegale”, il gruppo dei sette continuerà a muoversi su più fronti. C’è da sciogliere il nodo “evasione delle sanzioni“, dal momento che diversi Paesi partner dell’Ue, come Armenia, Kazakistan e Kirghizistan, ma anche i più decisivi Turchia e Cina, esportano tecnologie occidentali a Mosca, vanificando o ridimensionando l’effetto delle misure sanzionatorie. “Ci stiamo impegnando con i Paesi terzi attraverso i quali beni, servizi o tecnologie del G7 soggetti a restrizioni possono essere forniti alla Russia, per rafforzare la comprensione di tali misure da parte di tali Paesi. Prendiamo atto e incoraggiamo gli impegni assunti da questi Paesi per garantire che le nostre misure non vengano eluse e abbiano l’effetto desiderato”, hanno dichiarato i leader da Hiroshima.
    (Photo by Brendan Smialowski / POOL / AFP)
    Per logorare la macchina bellica di Putin è fondamentale porre fine alla dipendenza dall’energia e dalle materie prime russe: “Siamo determinati a continuare su questa strada in modo che la Russia non sia più in grado di utilizzare come arma l’energia contro di noi. Ridurremo ulteriormente la dipendenza dal nucleare civile e dai relativi beni dalla Russia, anche lavorando per assistere i Paesi che cercano di diversificare le loro forniture”, si legge nel documento. Confermati, in questa stessa direzione, i tetti al prezzo del petrolio russo e dei prodotti petroliferi, “evitando al contempo effetti di ricaduta e mantenendo l’approvvigionamento energetico globale”.
    Tornano nel dibattito, in vista dell’undicesimo pacchetto di sanzioni Ue al Cremlino, i diamanti russi, un commercio che nel 2021 ha portato nelle casse di Mosca circa 4,5 miliardi di euro: “Non sono per sempre”, ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, che in Giappone ha presentato un piano, avallato dal G7, per “limitare il commercio e l’utilizzo di diamanti estratti, lavorati o prodotti in Russia” attraverso “tecnologie di tracciamento”.
    Dalla Russia all’Ucraina: “Assicureremo a Kiev il sostegno economico di cui ha bisogno”
    Non solo inibire il più possibile l’aggressore, ma al contempo fornire tutto il supporto necessario alla vittima. Emerge soddisfazione per il via libera dell’Extended Fund Facility (Eff) del Fondo Monetario Internazionale, uno strumento che “contribuirà a stabilizzare la situazione macroeconomica e finanziaria dell’Ucraina, alla sostenibilità economica a lungo termine e a catalizzare ulteriore sostegno finanziario da altri paesi e istituzioni, nonché dal settore privato”. L’erogazione dei 15,6 miliardi approvati lo scorso 31 marzo – parte del pacchetto da 115 miliardi per l’Ucraina-, è condizionata da una rapida attuazione delle riforme sostenute dal programma: è probabile che sarà lo stesso Zelensky ad aggiornare i leader sullo stato dell’arte delle riforme.
    Nella dichiarazione congiunta i Paesi del G7 hanno ribadito con fermezza un altro principio: sarà la Russia a “pagare per la ricostruzione a lungo termine dell’Ucraina”. In particolare i leader hanno “accolto con favore l’istituzione, nel quadro del Consiglio d’Europa e per soddisfare la richiesta dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, di un Registro dei danni causati dall’aggressione della Federazione Russa contro l’Ucraina”. Mosca “deve essere ritenuta responsabile e il registro dei danni può e svolgerà un ruolo importante”, aveva dichiarato la presidente dell’esecutivo Ue, Ursula von der Leyen, al summit del Consiglio d’Europa a Reykjavik, dove è stata annunciata l’istituzione dello strumento per raccogliere prove e informazioni su danni, perdite o lesioni causati dall’aggressione russa contro l’Ucraina. Un passo fondamentale per la creazione di un tribunale ad hoc che, una volta finito questo brutale conflitto, possa giudicare i crimini di guerra compiuti dal Cremlino.

    Nella dichiarazione congiunta la volontà di “ridurre le entrate” con cui “la Russia finanzia la sua aggressione illegale”. Sul tavolo il nodo dell’elusione alle sanzioni e il commercio di diamanti russi. Previsto per domenica l’arrivo di Zelensky: “Assicureremo a Kiev il sostegno economico di cui ha bisogno”

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    I diamanti tornano al centro del dibattito Ue sulle sanzioni contro la Russia. Si ragiona su un sistema di tracciabilità

    Bruxelles – È passato quasi un anno dalla prima volta che la questione dei diamanti russi si è affacciata nel dibattito pubblico europeo a proposito delle sanzioni internazionali contro la Russia, ma da allora questo commercio globale che solo nel 2021 ha portato nelle casse di Mosca circa 4,5 miliardi di euro non è mai entrato in nessuno dei dieci pacchetti di misure restrittive già messi a terra dall’Unione. Si tratta di uno dei punti più critici dei rapporti tra l’Ue e la Russia, in particolare per uno Stato membro (e una sua città) che della lavorazione dei diamanti ha fatto il punto di forza della propria economia. Il Belgio e il porto di Anversa.
    Nonostante tutte le resistenze e le attività di lobby che hanno permesso all’industria belga della lavorazione dei diamanti di non essere coinvolte nei tagli alla macchina di finanziamento indiretto della guerra russa in Ucraina, nel pieno delle discussioni tra i 27 ambasciatori Ue sull’undicesimo pacchetto di sanzioni contro il Cremlino la questione è riemersa con più vigore. Tanto che diverse fonti riferiscono a Eunews una spinta convergente da Bruxelles e Hiroshima (dove è in corso il vertice dei leader del G7) sulla limitazione a questo commercio. Come si legge nella dichiarazione del Gruppo dei Sette sull’Ucraina – in linea con le anticipazioni della vigilia da funzionari europei – “al fine di ridurre le entrate che la Russia ricava dall’esportazione di diamanti, continueremo a collaborare strettamente per limitare il commercio e l’uso di diamanti estratti, lavorati o prodotti in Russia“. La precisazione è un impegno “con i principali partner al fine di garantire l’effettiva attuazione di future misure restrittive coordinate, anche attraverso tecnologie di tracciamento“.
    È proprio sulla questione del tracciamento che l’attenzione ritorna a Bruxelles. Fonti diplomatiche precisano che non ci sarà l’embargo in questa tornata di misure restrittive, ma che Belgio e Commissione Europea stanno mettendo a punto un sistema di tracciabilità, che dovrebbe rendere la misura più efficace rispetto a un semplice divieto di esportazione “difficile da attuare”. In ogni caso questo lavoro richiederà altro tempo per la definizione dei dettagli e della messa a terra e perciò non è atteso all’interno dell’undicesimo pacchetto. Altre fonti però invitano a prestare attenzione alle discussioni tra i leader del G7 e in particolare a quanto messo in chiaro dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. Nel corso di un punto con la stampa a poche ore dall’inizio della riunione, il numero uno del Consiglio ha sottolineato che “ne limiteremo il commercio, i diamanti russi non sono per sempre e spiegheremo apertamente perché queste sanzioni sono necessarie e giustificate”. Ricordando che “non posso parlare a nome del governo belga”, proprio Michel (ex-premier del Paese) ha fatto notare che “sui diamanti c’è una discussione qui al G7 e una in parallelo sulle sanzioni a Bruxelles, faremo in modo che ci sia coerenza tra la dichiarazione e quello che stiamo facendo a livello europeo“.
    Un anno di dibattito su diamanti e sanzioni
    La questione dei diamanti era entrata per la prima volta nelle discussioni tra gli ambasciatori al Coreper (Comitato dei rappresentanti permanenti) nel luglio dello scorso anno, in occasione del settimo pacchetto di sanzioni definito di maintenance and alignement (aggiornamento e allineamento). Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’Ue del 21 luglio era stato deciso di includere anche i gioielli nel divieto di acquistare, importare o trasferire l’oro russo (anche se esportato in un Paese terzo), ma era rimasto fuori il commercio di diamanti, dal momento in cui nella richiesta di allineamento dei leader del G7 in Germania questa azione non era prevista.
    (credits: Alexander Nemenov / Afp)
    Di fronte alla pressione crescente nei mesi successivi a causa dell’escalation della guerra in Ucraina, nelle trattative per l’ottavo pacchetto di sanzioni la proposta della Commissione Ue di un embargo totale ai diamanti grezzi dalla Russia è arrivata a un passo dal via libera da tutti i Paesi membri Ue, prima di essere bloccata da un colpo di coda in extremis. A spingere per l’esclusione del gigante russo dell’estrazione Alrosa dalla lista delle entità colpite era stata l’associazione di categoria Antwerp World Diamond Centre, che aveva denunciato il rischio di disoccupazione per oltre 10 mila lavoratori nella città fiamminga, centro dell’industria mondiale della lavorazione di diamanti. Si è trattata di una vera e propria concessione alle lobby della lavorazione dei diamanti belghe, che nella città portuale di Anversa hanno sede e da dove hanno influenzato la posizione del governo belga per prendere a picconate la proposta del gabinetto von der Leyen.
    Nel corso delle trattative tra gli ambasciatori anche per l’approvazione dei due pacchetti successivi di misure restrittive è passata la linea morbida del Belgio per non sganciarsi dal gigante russo dell’estrazione di diamanti, facendo leva sul timore che una misura restrittiva contro Alrosa possa colpire più l’economia e l’occupazione europea rispetto a quelle di Mosca. La marcia indietro dell’ottobre 2022 aveva segnato una sconfitta per Baltici e Polonia, che hanno sempre appoggiato un embargo totale sui diamanti (non-industriali). Ma, come avevano riferito al tempo fonti diplomatiche a Eunews, gli altri Paesi membri non avevano levato voci contrarie alla posizione del Belgio. Il commercio globale di diamanti grezzi della Russia è stimato dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti come una delle prime dieci esportazioni non energetiche di Mosca, pari al 30 per cento in tutto il mondo.

    Da Hiroshima, dove il vertice G7 ha avallato il dossier, il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, ha messo in chiaro che “ne limiteremo il commercio, i diamanti russi non sono per sempre”. Fonti precisano a Eunews che non ci sarà l’embargo nell’undicesimo pacchetto

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    A l’Aia il primo ‘Registro dei danni’ causati dalla guerra di Russia in Ucraina (finanziato anche dall’Ue)

    Bruxelles – Raccogliere prove e informazioni su danni, perdite o lesioni causati dall’aggressione russa contro l’Ucraina in un unico ‘Registro dei danni’. Leader compatti contro l’impunità di Mosca alla seconda giornata di Vertice del Consiglio d’Europa in corso a Reykjavik, in Islanda, dove 43 Paesi e l’intera Unione europea hanno annunciato l’istituzione del Registro dei danni causati dalla guerra di Russia in Ucraina. Un primo ma significativo passo per iniziare a tenerne traccia e a far mettere radice all’idea di dar vita a un Tribunale speciale ad hoc per i crimini di guerra del Cremlino una volta che la guerra sarà finita.
    La due giorni di Vertice si chiuderà questa sera con la firma di una Dichiarazione Politica incentrata sul sostegno a un’azione collettiva e internazionale che assicuri responsabilità per i crimini della Russia. Per il Consiglio d’Europa – principale organismo che lavora come osservatorio dei diritti umani del continente (ma che non fa parte delle istituzioni comunitarie) – è il quarto Vertice in tutto da quando è stato istituito 74 anni, nel 1949. E questo dà la misura di quanto la guerra di aggressione della Russia iniziata ormai più di un anno fa abbia scosso il mondo, non solo il continente europeo.
    Una guerra che da tutto il consesso internazionale riunito viene definita “un esempio estremo di arretramento democratico”, tanto da portarli a sostenere l’istituzione del Registro dei danni causati dall’aggressione dell’esercito russo attraverso un accordo parziale allargato. L’Unione europea e tutti gli Stati membri (la Bulgaria ha espresso l’intenzione di aderire) hanno aderito all’accordo, insieme a Canada, Giappone e Stati Uniti. Mosca “deve essere ritenuta responsabile e il registro dei danni può e svolgerà un ruolo importante”, ha sottolineato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel suo intervento al Vertice dei leader che si è tenuto oggi. 
    L’Unione Europea, rappresentata da von der Leyen e dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha fornito un contributo “sostanziale” ai costi iniziali del progetto, come spiega in una nota l’organizzazione. Il Registro avrà sede all’Aia (Paesi Bassi), con un ufficio satellite in Ucraina e il premier Mark Rutte ha sottolineato che “la Russia deve essere ritenuta responsabile, anche per i danni subiti dall’Ucraina e dal suo popolo. Siamo quindi orgogliosi che la sede del Registro dei Danni sarà all’Aia, capitale legale del mondo”. Il registro è istituito per un periodo iniziale di tre anni e funzionerà come un vero e proprio registro delle prove e informazioni sui reclami su danni, perdite o lesioni causati dall’aggressione russa contro l’Ucraina. “Il Registro è una pietra miliare importante sulla strada della giustizia e dei risarcimenti per l’Ucraina e per gli ucraini che hanno tanto sofferto per questa guerra”, ha commentato il ministro ucraino per la giustizia, Denys Shmyhal, incalzando i partecipanti a “garantire che il Registro diventi presto operativo, in modo che le vittime dell’aggressione russa possano presentare le loro richieste”.

    We want to strengthen our Union’s democratic foundations like never before.
    And for this we need a stronger partnership with @coe.
    Today I want to confirm the EU’s intention to join the European Convention on Human Rights as soon as possible. https://t.co/YbCHV5k5UL
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) May 17, 2023

    La seconda giornata del Vertice di Reykjavik del Consiglio d’Europa si chiude con l’accordo da 43 Paesi e l’Unione europea per dar vita a un elenco per raccogliere prove e informazioni su danni, perdite o lesioni dovuti all’invasione del Cremlino. Avrà una durata iniziale di tre anni

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    L’Ue ha siglato un nuovo accordo con il Montenegro per dispiegare Frontex lungo tutte le frontiere del Paese

    Bruxelles – Il secondo Paese dei Balcani Occidentali, il terzo partner dell’Ue candidato all’adesione che a partire dal primo luglio garantirà il dispiegamento provvisorio degli agenti Frontex anche lungo le frontiere non comuni con l’Unione. Il Montenegro ha siglato oggi (16 maggio) un accordo con la Commissione Europea sul nuovo mandato dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, che consentirà di organizzare operazioni congiunte e di dispiegare squadre di gestione delle frontiere nel Paese balcanico candidato all’adesione.
    La commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, e il ministro degli interni del Montenegro, Filip Adžić
    L’accordo tra Bruxelles e Podgorica è stato firmato al Palazzo del Berlaymont (sede dell’esecutivo comunitario) tra la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, il ministro degli interni montenegrino, Filip Adžić, e il ministro svedese per la Giustizia e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Gunnar Strömmer, a uno solo giorno dal via libera dei 27 titolari Ue per la Giustizia e gli Affari interni. “L’intero processo è stato estremamente efficiente e ha definito uno standard su cui future negoziati saranno misurate, sono passati solo sei mesi dall’inizio dei negoziati e dalla presentazione del Piano sulla rotta balcanica”, ha commentato la commissaria Johansson nel corso della cerimonia di firma dell’intesa. Dal primo luglio l’intesa sarà applicata in maniera provvisoria, in attesa del via libera definitivo dal Parlamento Ue. “La migrazione è una sfida che possiamo affrontare solo se siamo uniti”, ha aggiunto Johansson, sottolineando che “dobbiamo implementare un modello di gestione delle frontiere sicuro, dignitoso e che assicuri che chi ha diritto alla protezione possa averne accesso”.
    L’accordo con Podgorica si inserisce nell’ambito del nuovo regolamento di Frontex del 2019, che prevede l’assistenza dell’Agenzia Ue ai Paesi partner in tutto il territorio nazionale e non solo nelle regioni confinanti con l’Unione: il Montenegro è il caso più esemplificativo, dal momento in cui è l’unico Paese balcanico a non avere alcun tratto di confine in comune con l’Ue (si potrebbe dire lo stesso del Kosovo, ma rimane ancora un buco nero per l’assenza di unanimità tra i Ventisette sul riconoscimento della sua sovranità e di conseguenza di un accordo in vigore con Frontex). L’accordo così negoziato consentirà all’Agenzia di assistere le autorità di Podgorica nella gestione delle persone migranti in arrivo, nel contrastare l’immigrazione irregolare e nell’affrontare la criminalità trans-frontaliera e – a differenza del precedente mandato – con poteri esecutivi, come i controlli di frontiera e la registrazione delle persone. In altre parole, i corpi permanenti dell’Agenzia Ue saranno dispiegati con pieni poteri esecutivi lungo i confini del Paese balcanico con Albania, Serbia, Bosnia ed Erzegovina e Kosovo.
    Gli accordi Frontex con i Balcani Occidentali
    Il dispiegamento degli agenti Frontex su tutte le frontiere del Montenegro si basa sulla decisione dello scorso 18 novembre da parte del Consiglio dell’Ue di autorizzare la Commissione ad avviare negoziati con tutti i Paesi dei Balcani Occidentali e con la Repubblica di Moldova per ampliare gli accordi sulla cooperazione dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, su raccomandazione dello stesso esecutivo comunitario il 26 ottobre.
    Gli accordi sullo status di Frontex nell’ambito del precedente mandato dell’Agenzia europea erano stati conclusi con l’Albania nell’ottobre 2018, con il Montenegro nell’ottobre 2019 e con la Serbia un mese più tardi, mentre dal 2017 è in stallo quello con la Bosnia ed Erzegovina, mai firmato dal momento dell’entrata in vigore del regolamento rivisto.
    Al momento sono tre i Paesi con cui è entrato in vigore il nuovo mandato Frontex: Moldova, Macedonia del Nord e Montenegro (rimangono ancora Albania, Bosnia ed Erzegovina e Serbia). L’accordo con Chișinău è arrivato nel marzo dello scorso anno, seguito a sette mesi di distanza da quello con Skopje, nel corso della tappa nella capitale macedone della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen (nel contesto del suo viaggio nei Balcani Occidentali). Il 26 ottobre la numero uno dell’esecutivo comunitario ha dato il benestare al dispiegamento dei corpi Frontex sia alle frontiere con l’Unione (Grecia e Bulgaria) sia con gli altri Paesi balcanici extra-Ue (Serbia, Kosovo e Albania). Si è trattato del primo documento ufficiale firmato dal momento dell’avvio dei negoziati di adesione all’Ue della Macedonia del Nord, in cui ha rivestito un ruolo significativo la traduzione anche in lingua macedone.

    Con l’intesa firmata dalla commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, i corpi permanenti dell’Agenzia potranno operare anche alle frontiere interne del partner balcanico. Lo stesso è stato fatto con Macedonia del Nord e Moldova (in attesa di Albania, Bosnia ed Erzegovina e Serbia)

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    Von der Leyen e Michel in trasferta in Islanda al Consiglio d’Europa. L’Ue sostiene il ‘Registro danni’ per la guerra a Kiev

    Bruxelles – Portare in giudizio la Russia e renderla ‘responsabile’ legalmente dei crimini di guerra in Ucraina, iniziando a raccogliere prove in un registro dei danni. Sono mesi ormai che l’Unione europea porta avanti il lavoro per istituire un tribunale speciale ad hoc per far pagare alla Russia i crimini di aggressione e di guerra contro l’Ucraina, una volta che l’invasione sarà finita. E questa volta è tempo di portare il tema in un consesso internazionale.
    “Sosterrò con forza la creazione di un tribunale dedicato per portare in giudizio il crimine di aggressione della Russia. Decideremo anche di istituire un registro dei danni all’Aia. Sarà un primo passo, ma un ottimo passo, verso la compensazione russa”, ha dichiarato Ursula von der Leyen, in una conferenza stampa che questa mattina ha visto la presidente della Commissione europea al fianco del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, per presentare le priorità dell’Unione europea alla vigilia di tre importanti appuntamenti di diplomazia internazionale. Domani e mercoledì si terrà nella capitale islandese Reykjavik il vertice del Consiglio d’Europa, principale organismo che lavora come osservatorio dei diritti umani del continente (che non fa parte delle istituzioni comunitarie), che sarà seguito da un incontro dei leader del G7  dei Paesi più industrializzati (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito, Stati Uniti)del mondo a Hiroshima, in Giappone, da venerdì 19 a domenica 21 maggio. All’inizio della prossima settimana i leader dell’Ue saranno poi a Seul per il Vertice Corea-Ue.

    An important sequence of summits starts tomorrow – @coe in Reykjavik, @G7 in Hiroshima and 🇪🇺🇰🇷 in Seoul.
    Many themes will connect them.
    And first, our united response to the Russian invasion of Ukraine and our support to this brave nation ↓https://t.co/brwgW9c5Xg
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) May 15, 2023

    Tre le priorità più urgenti su cui l’Unione europea porrà l’accento durante i tre appuntamenti internazionali, sintetizzati da von der Leyen in conferenza stampa: Ucraina (con particolare riferimento all’ultimo pacchetto di sanzioni), i rapporti internazionali con la Cina e la corsa alle tecnologie pulite. “Continueremo a sostenere l’Ucraina per tutto il tempo necessario”, ha ribadito von der Leyen, spiegando che le dichiarazioni “devono tradursi in un sostegno finanziario stabile anche oltre il 2023 e in un sostegno militare accelerato”. La presidente ha aggiunto di aspettarsi che i leader siano uniti di fronte a due questioni fondamentali: il “primo principio è che continueremo a sostenere l’Ucraina per tutto il tempo necessario” e poi che “niente sull’Ucraina senza l’Ucraina”. A significare che il processo di pace dovrà garantire che Kiev abbia un ruolo di primo piano da protagonista.
    Nella conferenza stampa von der Leyen ha anche sostenuto la creazione di un tribunale speciale per tenere conto dei crimini di guerra della Russia e ha affermato di voler sostenere la creazione di un “Registro dei danni” all’Aia per iniziare a tenerne traccia a livello internazionale per quando sarà il momento di usarli. “Sarà un primo passo, ma un ottimo passo, verso la compensazione russa”, ha assicurato. Dei tre appuntamenti internazionali sarà il Vertice di domani e mercoledì nella capitale islandese quello più importante per iniziare a discuterne. “I responsabili devono essere chiamati a rispondere della violazione del diritto internazionale e dell’ordine multilaterale basato sulle regole. Per questo sosteniamo con forza l’istituzione del Registro dei danni, che è il primo passo verso un meccanismo internazionale per la riparazione di danni, perdite o lesioni in Ucraina”, le ha fatto eco anche il presidente del Consiglio europeo Michel. Alla due giorni di Vertice parteciperanno i Capi di Stato e di governo dei 46 Stati membri (tutti i Ventisette) che fanno parte del Consiglio d’Europa, l’organizzazione che promuove democrazia, i diritti umani, l’identità culturale europea e la ricerca di soluzioni ai problemi sociali in Europa. Alla cerimonia di apertura interverrà anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.

    Il primo dei tre appuntamenti internazionali che questa settimana vedrà la presidente della Commissione europea e il presidente del Consiglio europeo impegnati in un tour di diplomazia internazionale. I leader sosterranno la creazione di un registro dei danni come prima tappa per istituire un tribunale speciale ad hoc. Da venerdì a domenica leader impegnati al G7 di Hiroshima

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    È record di ingressi irregolari dal Mediterraneo centrale, già oltre 42 mila in quattro mesi. Calano le altre rotte

    Bruxelles – In appena 4 mesi, 42.200 attraversamenti irregolari delle frontiere europee attraverso il Mediterraneo centrale. È record, per lo meno da quando l’Agenzia Europea della Guardia di frontiera e Costiera (Frontex) ha iniziato a raccogliere i dati, nel 2009.
    Da gennaio ad aprile 2023, più della metà delle persone migranti che hanno messo piede irregolarmente in Ue hanno compiuto quel tragitto, che dalle coste tunisine e libiche porta alle spiagge siciliane. Secondo Frontex “i gruppi di contrabbandieri utilizzano sempre più imbarcazioni di metallo improvvisate, assemblate frettolosamente entro poche ore dalla partenza”. Imbarcazioni che spesso non riescono a portare a termine il viaggio, causando tragici naufragi e centinaia di vittime: il Missing Migrants Project dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) ha registrato 441 decessi in quel pezzo di mare nei primi tre mesi del 2023.
    Il dato relativo agli attraversamenti dal Mediterraneo centrale è quadruplicato rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Un dato che fa ancora più impressione se si tiene conto che tutte le altre rotte hanno registrato, nello stesso intervallo di tempo, cali compresi tra il 7 e il 47 per cento. Anche la rotta dei Balcani occidentali, la seconda più attiva, con oltre 22.500 rilevamenti, ha fatto segnare un calo del 21 per cento rispetto all’anno precedente.
    Tuttavia, trainati dai numeri del Mediterraneo centrale, nei primi quattro mesi dell’anno i rilevamenti a tutte le frontiere esterne dell’Unione hanno raggiunto quota 80.700, quasi il 30 per cento in più rispetto a un anno fa e il totale più alto dal 2016. “I gruppi della criminalità organizzata stanno approfittando della volatilità politica in alcuni Paesi di partenza per aumentare il numero di migranti che contrabbandano attraverso i confini dell’Ue”, è la spiegazione fornita dagli oltre 2.400 ufficiali del corpo permanente di Frontex dispiegati alle frontiere esterne.

    Quadruplicati gli attraversamenti rispetto allo stesso periodo del 2022, il dato più alto mai registrato da Frontex. Il Mediterraneo Centrale è anche la rotta più letale, a causa di “imbarcazioni di metallo improvvisate e assemblate frettolosamente” dai contrabbandieri. Calo del 21 per cento dai Balcani Occidentali

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    Il dossier sull’avvio dei negoziati di adesione Ue dell’Ucraina arriverà sul tavolo dei Ventisette “entro fine 2023”

    Bruxelles – A chiederlo con insistenza è da settimane la presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola. Ora la conferma arriva anche dai leader delle due istituzioni comunitarie competenti in materia: il Consiglio Europeo affronterà “entro la fine dell’anno” la questione dell’avvio dei negoziati di adesione Ue dell’Ucraina, sulla relazione che sarà preparata dalla Commissione “alla fine dell’estate”. Le parole sono quelle dei presidenti Charles Michel e Ursula von der Leyen, che in conferenza stampa congiunta hanno messo in chiaro alla stampa di Bruxelles le tappe del processo di valutazione dell’iter di avvicinamento di Kiev all’adesione Ue da oggi alla fine del 2023.
    Da sinistra: il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (Kiev, 3 febbraio 2023)
    “Abbiamo una tabella di marcia molto chiara”, ha spiegato oggi (15 maggio) la numero uno dell’esecutivo comunitario: “A giugno ci sarà una presentazione orale” – una sorta di tappa intermedia – “ma il rapporto più importante è quello scritto, che sarà presentato a ottobre“. A quel punto “il Consiglio solitamente si occupa di questi rapporti a dicembre, non solo per l’Ucraina, ma anche per gli altri candidati”. Previsioni confermate anche dal leader del Consiglio, che ha definito il rapporto della Commissione “un documento e un’informazione importante”, a cui seguirà l’azione stessa di Michel: “Metterò il tema in agenda entro la fine dell’anno e gli Stati membri dovranno decidere, tenendo in considerazione i progressi compiuti e il le indicazioni del rapporto”.
    Come sottolineato dalla presidente von der Leyen, “questa è la maniera molto formale e rigida di procedere, ma ci muoviamo attraverso questi tre step grazie ai progressi compiuti dal Paese candidato“. A proposito dell’Ucraina, la questione dell’adesione Ue “è stata una delle ragioni per cui la settimana scorsa ero a Kiev”, ha ricordato il suo viaggio del 9 maggio in occasione della Giornata dell’Europa: insieme al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, “abbiamo discusso approfonditamente dei sette passi che accompagnano lo status di Paese candidato all’adesione Ue”. Da parte di Bruxelles “sono stati registrati molti progressi, ma altro lavoro dovrà essere fatto“, considerato il fatto che “alcuni passi sono già stati conclusi, altri sono ancora work in progress e dipendono da quanto velocemente e con quale qualità procede il Paese”. Anche il presidente Michel ha ribadito che “siamo tutti impressionati dai progressi fatti dall’Ucraina” e ora si attendono solo le “opzioni che saranno presentate agli Stati membri”. Al momento traspare cautela dalle parole di von der Leyen e Michel: complimenti per i progressi del Paese sulle riforme nonostante la guerra in corso, ma nessuno strappo in avanti su promesse che potrebbero non essere mantenute.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky (Kiev, 8 aprile 2022)
    Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato più di un anno fa, quattro giorni dopo l’aggressione armata russa. Il 28 febbraio, nel pieno della guerra, il presidente Zelensky ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, seguito a stretto giro (il 3 marzo) anche da Georgia e Moldova. In soli quattro giorni (7 marzo) gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) hanno concordato di invitare la Commissione a presentare un parere su ciascuna delle domande di adesione, da trasmettere poi al Consiglio. Prima di dare il via libera formale, l’8 aprile a Kiev la presidente von der Leyen ha consegnato a Zelensky il questionario necessario per il processo di elaborazione del parere della Commissione. Il 17 giugno il gabinetto von der Leyen ha dato la luce verde a tutti e tre i Paesi, specificando che Ucraina e Moldova meritavano subito lo status di Paesi candidati, mentre la Georgia avrebbe dovuto lavorare su una serie di priorità. La decisione ufficiale è arrivata al Consiglio Europeo del 23 giugno, che ha approvato la linea tracciata dalla Commissione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea.

    Come funziona l’iter di adesione Ue
    L’iter inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).
    Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.

    A confermarlo è il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, riferendo alla stampa che “metterò il tema in agenda dopo la presentazione del rapporto della Commissione”. La valutazione del gabinetto von der Leyen è attesa a ottobre, che gli Stati membri nel vertice di dicembre