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LA STORIA – Da Hong Kong al fronte ucraino, 'Putin come Xi'

C’è un filo di seta lungo decine di migliaia di chilometri che in queste settimane collega le coste del Mar Nero a quelle dell’Oceano Pacifico e unisce le trincee del Donbass alla protesta degli ombrelli di Hong Kong.

“La Russia è come la Cina e la libertà va difesa ovunque”: John usa i toni dell’ovvietà, è quasi stupito quando gli si chiede perché ha deciso di arruolarsi nella legione straniera e dentro ha la rabbia per quello che ancora succede nel suo Paese. Come lui a combattere al fronte ci sarebbero altri cittadini di Hong Kong. In jeans, cappello di lana, maglietta verde militare e zaino tattico, ha raggiunto il confine polacco a Medyka per arrivare alla frontiera ed entrare in Ucraina. A differenza della sua stazza, sono solo gli occhi a mandorla a tradire la sua provenienza orientale. John ha 45 anni e lavora come fotografo.

“Stavolta ho dovuto lasciare macchine e obiettivi a casa, dentro ho solo il necessario: qualche vestito e un po’ di razioni k”, spiega. E’ qui per combattere, convinto che altri suoi concittadini abbiano già imbracciato i kalashnikov contro le colonne russe. “E altri dovranno farlo, perché in qualche modo è anche la nostra causa, si tratta dello stesso asse di oppressori”. E mentre incrocia le mani poggiate su una borsa, ricorda che “la libertà è calpestata dall’altro gigante gemello che è la Cina, che appoggia Putin. A Hong Kong, che un giorno era un luogo di democrazia, non c’è più il diritto di manifestare la propria opinione: il problema è che si tratta di un posto infinitamente più piccolo dell’Ucraina, per questo ci si dimentica di noi”. E ricorda gli arresti, le repressioni alle manifestazioni, le censure su internet, i social messi fuori uso e la messa al bando di opere cinematografiche. Solo pochi mesi fa le forze di sicurezza cinesi hanno costretto a chiudere il giornale indipendente ‘Stand News’, dopo una retata nelle redazioni della testata, con oltre 200 agenti, fatta dietro l’accusa di “pubblicazione sediziosa”.

“Forse Putin è anche meno pericoloso del governo di Pechino: a Mosca è ancora possibile scrivere e i social sono ancora attivi”, dice. Ad aspettarlo dall’altra parte c’è un militare che fuma allungato sulla sedia, stanco, riparato dalla pioggia sotto una tenda sporca di fango contrassegnata dalla scritta nera ‘legion’, fatta con uno spray che sta per sbiadire. Il nuovo soldato invece si avvicina svelto, pronto ad aggiungersi alla una nuova ‘palyanitsa’ ucraina. Sta per mostrare il suo personale curriculum della resistenza, dove finora c’è soltanto la lotta passiva di ombrelli contro spray al peperoncino e gas lacrimogeni.
   


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