Bruxelles – Ormai è diventato un mantra tra Podgorica e Bruxelles, ma sicuramente mostra con quale livello di dedizione il Montenegro si sia impegnato nel processo di adesione all’Unione Europea. “Se raggiungeremo tutti i parametri di riferimento, ci aspettiamo di diventare il 28esimo Paese membro entro il 2028“, ha esordito il primo ministro montenegrino, Milojko Spajić, prima dell’inizio della 16esima conferenza intergovernativa di questo pomeriggio (26 giugno) – la seconda organizzata dalla presidenza di turno belga del Consiglio dell’Ue – che ha segnato un passo decisivo per il percorso di adesione all’Unione.
Un conferenza “storica”, come è stata definita dal commissario europeo per l’Allargamento e la politica di vicinato, Olivér Várhelyi, che ha sottolineato il fatto che “finalmente abbiamo visto il Montenegro avanzare sulla strada di adesione”, considerato il fatto che Podgorica ha complessivamente rispettato i parametri intermedi stabiliti per i capitoli 23 (sistema giudiziario e i diritti fondamentali) e 24 (giustizia, libertà e sicurezza): “Adesso apriamo l’ultima fase dei negoziati di adesione, significa che l’adesione è imminente“, ha messo in chiaro il commissario Várhelyi, aggiungendo che “ora dobbiamo iniziare a chiudere questi capitoli, da parte nostra faremo tutto il possibile per farlo nei prossimi mesi”. La prima riunione della conferenza di adesione con il Montenegro a livello ministeriale risale al giugno 2012 e da allora sono stati aperti 33 capitoli negoziali (su un totale di 35), di cui 3 provvisoriamente chiusi. Nel maggio 2021 il Consiglio ha approvato l’applicazione della metodologia di allargamento riveduta ai negoziati di adesione con il Montenegro e la Serbia, con l’obiettivo di rinvigorire il processo di adesione.
Ribadendo le parole pronunciate in esclusiva a Eunews a febbraio, il premier Spajić ha messo in chiaro che “anche per l’Unione Europea è un grande giorno, perché siamo il primo Paese con la nuova metodologia di adesione Ue a essere testato, siamo una sorta di rompighiaccio per i Paesi dei Balcani Occidentali e gli altri candidati all’adesione“. C’è enorme entusiasmo a Podgorica, sia per il “momento storico” che rappresenta il risultato odierno, sia per il lavoro che ora si rafforzerà ancora di più nei prossimi mesi per chiudere altri capitoli negoziali. “Negli ultimi sette anni abbiamo accelerato il processo e abbiamo raggiunto risultati come nei sette anni precedenti, siamo davvero orgogliosi”, ha precisato il leader montenegrino a un evento privato a Bruxelles con il personale diplomatico montenegrino, a cui Eunews ha avuto accesso. E come confermato dalla ministra degli Esteri belga e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Hadja Lahbib, “il cammino di adesione Ue è lungo è arduo, ma questo è un messaggio di speranza che il Montenegro invia a tutta la regione balcanica e oltre”. Ora il testimone passa all’Ungheria a partire da lunedì prossimo (primo luglio), ma diverse fonti diplomatiche – montenegrine e non – assicurano che “non c’è alcuna preoccupazione” sul prosieguo dei negoziati nei prossimi sei mesi.
La nuova stabilità in Montenegro
È il 2023 l’anno in cui si è chiusa in Montenegro una crisi non solo istituzionale ma anche politica durata più di tre anni. Dal febbraio dello scorso anno è stato un succedersi di trionfi per il nuovo movimento europeista Europe Now, fondato e guidato da quelli che ora sono il primo ministro e il presidente del Montenegro – rispettivamente Spajić e Jakov Milatović (uscito però dal partito a febbraio 2024) – vincitori dalla doppia tornata elettorale in poco più di due mesi: il ballottaggio delle presidenziali del 2 aprile e le elezioni per il rinnovo del Parlamento dell’11 giugno.
Il premier Spajić – eletto nel giorno della visita a Podgorica della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen – e il presidente Milatović erano rispettivamente ministro delle Finanze e dell’Economia e dello Sviluppo economico nella grande coalizione anti-Đukanović (padre-padrone del Paese balcanico per 32 anni) guidata dal 4 dicembre 2020 al 28 aprile 2022 da Krivokapić. Durante l’anno e mezzo di governo i due hanno presentato un programma di riforme economiche intitolato proprio ‘Europe Now’, che comprendeva misure come il taglio dei contributi sanitari e l’aumento del salario minimo a 450 euro. I due tecnocrati hanno annunciato la volontà di fondare un nuovo partito di centro-destra liberale, anti-corruzione ed europeista dopo la caduta del governo Krivokapić nel febbraio 2022 – poi effettivamente fondato il 26 giugno – anticipando l’intenzione di collaborare con altre formazioni civiche e di centro in vista delle elezioni del 2023.
La nomina di Spajić e Milatović (i più giovani mai eletti alle due cariche istituzionali del Paese, entrambi all’età di 36 anni) ha messo fine a una fase di turbolenza per il Montenegro iniziata con le elezioni del 30 agosto 2020. In quell’occasione sono cambiati gli equilibri politici dopo 30 anni ininterrotti al potere per il Dps di Đukanović (sempre al governo o alla presidenza del Paese dal 1991). A guidare l’esecutivo per poco più di un anno è stata una coalizione formata dai filo-serbi di ‘Per il futuro del Montenegro’ (dell’allora premier Zdravko Krivokapić), dai moderati di ‘La pace è la nostra nazione’ (guidata da Montenegro Democratico) e dalla piattaforma civica ‘Nero su bianco’ dominata dal Movimento Civico Azione Riformista Unita (Ura) di Dritan Abazović. Il 4 febbraio 2022 era stata proprio ‘Nero su bianco’ a sfiduciare il governo Krivokapić, appoggiando una mozione dell’opposizione e dando il via all’esecutivo di minoranza di Abazović.
Lo stesso governo Abazović è però crollato il 19 agosto (il più breve della storia del Paese) con la mozione di sfiducia dei nuovi alleati del Dps di Đukanović, a causa del cosiddetto ‘accordo fondamentale’ con la Chiesa ortodossa serba. L’intesa per regolare i rapporti reciproci – con il riconoscimento della presenza e della continuità della Chiesa ortodossa serba in Montenegro dal 1219 – è stata appoggiata dai partiti filo-serbi, mentre tutti gli altri l’hanno rigettata, perché considerata un’ingerenza di Belgrado nel Paese e un ostacolo per la strada verso l’adesione all’Ue. Nel pieno della crisi istituzionale emersa dalla seconda metà dell’anno e dopo il rifiuto a nominare un nuovo primo ministro, lo scorso 16 marzo l’ex-presidente Đukanović ha sciolto il Parlamento e ha indetto nuove elezioni anticipate per l’11 giugno, non sapendo che di lì a poche settimane avrebbe perso le elezioni presidenziali prima, e le nazionali poi.
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