dall’inviato a Tirana – Nelle ultime ore prima del vertice Ue-Balcani Occidentali in Albania va in scena l’ultima mossa di una partita a scacchi che dura da più di dieci anni. Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, ha annunciato che farà un passo indietro rispetto alla sua decisione di boicottare il summit come ritorsione per gli ultimi avvenimenti in Kosovo. Domani (martedì 6 dicembre) parteciperà ai lavori con gli altri cinque leader balcanici, i capi di Stato e di governo dei Paesi membri Ue e i presidenti del Consiglio, Charles Michel, e della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.
Scongiurato a meno di ventiquattr’ore dall’inizio del summit la possibilità di un vertice Ue-Balcani Occidentali ‘meno uno’, che avrebbe potuto rappresentare non solo uno sgarbo istituzionale nei confronti del premier albanese, Edi Rama (promotore della prima riunione di questo genere nella regione ancora extra-Ue), ma soprattutto avrebbe reso quasi vane le conclusioni sui rapporti tra Serbia e Kosovo del vertice stesso. “Rientra nel suo gioco di fare la vittima eterna, è un paradigma che ha funzionato nel nazionalismo serbo degli ultimi 30 anni”, spiega a Eunews Giorgio Fruscione, politologo dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) ed esperto delle questioni balcaniche, Serbia in primis. “Non avevo alcun dubbio sul fatto che Vučić avrebbe confermato la sua presenza”, ribadisce Fruscione, sottolineando che il presidente serbo “non può permettersi di fare la voce grossa con Bruxelles in un momento così delicato per il dossier kosovaro“.
A scatenare le ire di Vučić venerdì scorso (2 dicembre) era stata la nomina di Nenad Rašić come ministro per le Comunità e il ritorno dei profughi all’interno del governo kosovaro guidato da Albin Kurti. Rašić è il leader del Partito Democratico Progressista, formazione serba ostile a Belgrado e concorrente di Lista Srpska. Proprio il leader del partito serbo-kosovaro più vicino a Vučić, Goran Rakić, si era dimesso dal ministero riservato alla minoranza serba nel Paese durante l’ondata di ritiri di sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali a inizio novembre, in segno di protesta contro l’obbligo di sostituire le targhe serbe con quelle rilasciate dalle autorità di Pristina.
Nonostante l’accordo del 24 novembre scorso, che ha risolto la grave tensione tra Serbia e Kosovo sulla questione delle targhe dei veicoli alla frontiera, la maggior parte dei serbi-kosovari dimessisi non è ancora rientrata in servizio e il premier Kurti ha dovuto colmare il vuoto nel suo governo, “continuando a giocare a scacchi con Belgrado”, è l’analisi di Fruscione. Proprio da questa partita a scacchi sulla questione kosovara dipende in parte la rabbia di Vučić: “La mossa di Kurti di posizionare un serbo del Kosovo non fedele a Belgrado sembra uno scacco matto“. Ma c’è di più.
Una seconda motivazione che ha spinto il leader serbo a rilasciare delle dichiarazioni “al limite del surreale” alla rete filo-governativa Rtv Pink – in cui ha definito Rašić “la peggiore feccia serba” – è legata a questioni di politica interna: “Per anni Vučić ha creato una sovrapposizione tra partito e interesse nazionale”, spiega ancora Fruscione. Di qui il tentativo di far sembrare il Partito Progressista Serbo “l’unico o il migliore rappresentante della bandiera serba” dentro e fuori i confini nazionali (anche se il Kosovo è tutt’ora considerato da Belgrado parte del Paese), mentre “tutti gli esponenti che non ricadono sotto il suo controllo non sono ‘abbastanza’ serbi“.
Il passo indietro di Vučić
Il ripensamento del leader serbo – arrivato senza nessuno stupore degli analisti – è stato annunciato al termine del confronto con il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, volato questa mattina nella capitale serba proprio per cercare di risolvere con la diplomazia uno strappo che si sarebbe fatto sentire al vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana. Nella dura accusa di Vučić di venerdì le istituzioni di Bruxelles erano state definite colpevoli di “mancata condanna” della presunta incostituzionalità della decisione del governo Kurti: anche per questa ragione il boicottaggio dell’imminente summit di Tirana con i Ventisette aveva assunto un significato quantomeno simbolico.
“La sua partecipazione non dovrebbe cambiare gli equilibri del vertice, ma è servita per scopi interni”, mette in chiaro Fruscione. Anche se “Lajčák non è andato a supplicare Vučić di essere presente a Tirana, c’è sicuramente del lavoro intenso dietro le quinte”, dal momento in cui la partita a scacchi Serbia-Kosovo potrebbe essere arrivata alle battute finali. “Credo che siano giorni e settimane, probabilmente gli ultimi mesi decisivi per chiudere la questione del Kosovo“, in cui la mediazione di Bruxelles – accompagnata da una proposta franco-tedesca in 9 punti – è “l’elemento-chiave per far ragionare le due parti, che approfittano di pretesti come questo per rivendicare interessi nazionali”. Ribaltando l’interpretazione che il presidente Vučić sta cerando di far passare in patria (che l’Ue privilegia il Kosovo e punisce la Serbia), Fruscione puntualizza la “preponderanza almeno nella forma verso Belgrado” da parte delle istituzioni comunitarie. Ma per Bruxelles la missione quasi impossibile ora è chiudere la partita senza far avvertire a nessuna della due parti il peso della sconfitta.
In Belgrade today, I discussed the way forward on normalisation of relations as a follow-up to the last Dialogue meetings with @predsednikrs @avucic. We also spoke about current issues, including return of Kosovo Serbs to Kosovo institutions, Energy Roadmap and missing persons. pic.twitter.com/NlhE9bfOxm
— Miroslav Lajčák (@MiroslavLajcak) December 5, 2022