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    Ballottaggi: a Como sfida inedita dopo il flop del centrodestra

    Il duello che si giocherà a Como per il ballottaggio è inedito e sorprendente: nella patria storica del centrodestra la coalizione Fratelli d’Italia-Lega e Forza Italia è rimasta esclusa per la prima volta dal ballottaggio per 103 voti, così che la poltrona di sindaco se la giocheranno Barbara Minghetti, centrosinistra (in testa con il 39,38%) e Alessandro Rapinese, titolare dell’omonima lista civica (27,33%).
    Il centrodestra ha annunciato ricorso al Tar per ottenere il riconteggio delle schede, ma di un eventuale intervento della magistratura si parlerà soltanto dopo il ballottaggio, che si terrà regolarmente. Compito principale dei due antagonisti, entrambi consiglieri comunali uscenti, sarà quello di recuperare fiducia nell’elettorato, che al primo turno ha toccato il minimo storico di affluenza: soltanto 31,951 votanti pari al 44,3%. Una scarsa partecipazione figlia probabilmente di cinque anni di una amministrazione di centrodestra che allontanato dalle urne molti elettori e contribuito al successo di Rapinese, al suo terzo tentativo come candidato sindaco.
    Anche il centrosinistra è partito diviso con un’altra candidata oltre a Barbara Minghetti, manager culturale di 57 anni, moderata che ha guidato la coalizione formata dalla sua lista civica e da Pd, Como Comune (con quattro sigle di sinistra), Europa Verde e Agenda Como 2030 (con renziani e calendiani). Consigliere comunale uscente, presenta un programma particolarmente attento alle periferie. Il suo compito principale sarà quello di riuscire a riportare a votare al ballottaggio coloro che l’hanno votata al primo turno.
    Alessandro Rapinese, 46 anni, agente immobiliare, consigliere comunale nel 2008 prima con il centrodestra poi con la lista civica personale, sempre molto critico con il sistema dei partiti, ha saputo incanalare il voto di protesta facendo quello che a livello nazionale è riuscito a fare il Movimento 5 Stelle che, infatti, a Como ha sempre preso pochissimi voti. In teoria al ballottaggio dovrebbe raccogliere consensi dal centrodestra, anche se la sua attività in consiglio comunale di pesante critica, specie contro l’ultima giunta, potrebbe costargli qualche consenso.

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    Ballottaggi: a Cuneo potrebbe arrivare la prima donna sindaca

    Ballottaggio con esito almeno apparentemente scontato quello di Cuneo, per individuare il successore di Federico Borgna, primo sindaco cieco in Italia di un capoluogo di provincia, che dopo dieci anni lascia la politica attiva.
    Si sfidano la vicesindaca uscente ed ex senatrice Pd, Patrizia Manassero (46,95%) e il candidato di centrodestra Franco Civallero, imprenditore alla prima esperienza in politica (19,84%). Ed erano vent’anni che il centrodestra non arrivava al secondo turno in città, dopo quattro mandati in cui le liste civiche – appoggiate o meno dal Partito democratico – avevano sempre espresso la maggioranza. In caso di vittoria, Manassero sarebbe la prima sindaca donna di Cuneo e la prima esponente del Pd alla guida della città.
    Guardando alle coalizioni, Cuneo è stato l’unico capoluogo del Piemonte al voto dove Movimento 5 Stelle e Pd hanno corso separati. Il Pd si è piazzato primo tra liste e partiti (17,99%, tre volte di più di Fratelli d’Italia e Lega) e il M5s con la candidata Silvia Cina si sono fermati all’1,7%: non entreranno in Consiglio dopo dieci anni di opposizione. La lista Forza Italia-Udc a sostegno di Civallero, che ha preso l’1,4% dei voti, esprimerà un solo consigliere e solo nel caso in cui vinca il centrodestra il 26 giugno. E non ci saranno apparentamenti, perché gli altri esclusi hanno lasciato libertà di scelta ai loro sostenitori, mentre il candidato Beppe Lauria (quarta corsa a sindaco, sostenuto civiche, Italexit, Rinascimento Sgarbi e Popolo della famiglia) ha invitato esplicitamente a boicottare il secondo turno. FdI ha superato il 6% per la prima volta, con 33 voti più della Lega: per il meccanismo elettorale il partito di Giorgia Meloni avrà due consiglieri in caso di sconfitta al ballottaggio (tra cui Massimo Garnero, imprenditore e fratello di Daniela Santanchè) contro uno solo della Lega.

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    Ballottaggi: ad Alessandria un duello dal sapore tradizionale

    L’appello dei contendenti del ballottaggio a Palazzo Rosso, per Alessandria, è innanzitutto contro l’astensionismo (affluenza 46,73% al primo turno). Il sindaco uscente, il leghista Gianfranco Cuttica di Revigliasco (centrodestra più 3 Civiche), al 40,23%, gioca la partita definitiva contro Giorgio Abonante (42,04%), già consigliere dem di opposizione (Pd, M5s, Europa Verde, 3 Civiche).
    Un duello dal vecchio sapore di tradizionale bipolarismo, chiamato però al dialogo, se non al meno gradito apparentamento, con Giovanni Barosini (Azione con Calenda e 3 Civiche), terzo dopo lo spoglio del 13 giugno, con un 14,64% che fa gola.
    Presentatosi come l’unica alternativa superare oltre un ventennio di centrosinistra-centrodestra, è stato assessore della giunta Cuttica fino a febbraio scorso. In precedenza anche presidente del consiglio provinciale con Rita Rossa (2009-2014), poi sindaca nel quinquennio della dichiarazione del dissesto (2012-2017) con in giunta proprio Abonante al Bilancio, la più votata (del Pd e in città) al primo turno.
    “Il risultato delle elezioni è stato oltre ogni mia aspettativa” confida Barosini. Dunque si conoscono tutti, da tempo si frequentano e, al di là del potere in mano agli elettori, potrebbero avere un peso le trattative regionali e romane. E, ricorda Cuttica: “Giovanni ha fatto anche la scuola di recitazione”. Tra gli altri candidati sindaco, Vincenzo Costantino (Italexit con Paragone, 2,61%) lascia libera scelta ai ‘suoi’ elettori, incontrati sia Cuttica che Abonante. Angelo Mandelli (Il Popolo della Famiglia) resta poco spendibile (0,47%).
    I big intanto stanno tornando. Il leader della Lega, Matteo Salvini, dopo la chiusura della campagna elettorale il 10 giugno ad Alessandria, il 17 è intervenuto alla storica Festa di Fubine. E il 20 ad Alessandria si è messo in campo il segretario Pd, Enrico Letta, per Abonante.

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    Ballottaggi: a Catanzaro sfida tra docenti universitari

    Sarà tra Valerio Donato e Nicola Fiorita la sfida al ballottaggio del 26 giugno per l’elezione del sindaco di Catanzaro. Donato e Fiorita, al primo turno, hanno ottenuto, rispettivamente, il 44,01 ed il 31,71 per cento.
    Valerio Donato, 63 anni, ordinario di Diritto privato all’università Magna Graecia di Catanzaro ed avvocato patrocinante in Cassazione, è un ex esponente del Pd, partito dal quale si è allontanato nei mesi precedenti alle amministrative. E’ sostenuto da un’aggregazione politica e civica che vede insieme rappresentanti del centrodestra e del centrosinistra. In particolare, il docente è appoggiato da Forza Italia e Lega, che però non si sono presentati alle elezioni con i simboli di partito. Scelta fatta anche da altri due partiti che lo sostengono, Italia Viva ed Udc. Donato rifiuta, comunque, l’etichetta di essere il candidato sindaco del centrodestra, insistendo sul carattere civico della sua proposta politico-amministrativa. Nei giorni scorsi Fratelli d’Italia, con una presa di posizione espressa dalla coordinatrice regionale del partito, la deputata Wanda Ferro, ha ufficializzato il suo sostegno a Donato. Al primo turno, invece, il partito di Giorgia Meloni aveva presentato a sindaco la stessa Ferro, ottenendo il 9,16%. Le dieci liste che sostengono Donato hanno riportato una percentuale del 53,81%, ottenendo 18 dei 32 consiglieri di cui é composto il Consiglio, compreso lo stesso candidato a primo cittadino.
    Nicola Fiorita, 53 anni, è anch’egli docente universitario. Insegna, infatti, Diritto canonico ed ecclesiastico all’Università della Calabria. E’ sostenuto, in primo luogo, dal Partito Democratico e dal Movimento 5 Stelle, oltre che da alcuni movimenti civici. Le cinque liste che lo appoggiano, al primo turno, hanno ottenuto il 25,85%. A Fiorita ha espresso il suo sostegno nei giorni scorsi Antonello Talerico, presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Catanzaro, che è stato candidato a sindaco con l’appoggio di cinque liste del centrodestra, tra cui “Noi con l’Italia”. Talerico ha messo a disposizione di Fiorita il 14,30% che ha ottenuto al primo turno. Risultato per il quale, però, è stato importante l’apporto di Domenico Tallini, ex dirigente di Forza Italia ed ex Presidente del Consiglio regionale della Calabria. Tallini non ha dato indicazioni per il ballottaggio ai suoi sostenitori, dissociandosi dalla scelta fatta da Talerico e rompendo così l’alleanza con il già candidato a sindaco.

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    Ballottaggi : A Parma la sfida tra Guerra e Vignali

    Michele Guerra con il centrosinistra cerca a Parma l’ultimo scatto necessario per proseguire l’esperienza iniziata dieci anni fa con Pizzarotti. Il centrodestra, guidato dall’ex sindaco Pietro Vignali va alla ricerca di una rimonta che, numeri alla mano, sarebbe clamorosa.
    Il divario dei voti raccolti al primo turno è infatti amplissimo: Guerra, assessore alla cultura della giunta uscente, alla guida di una coalizione che ha riportato la pace fra Pizzarotti e il Pd (che per dieci anni è stato all’opposizione) non è riuscito infatti a vincere al primo turno, ma ci si è avvicinato, con il 44%.
    Il suo sfidante, Pietro Vignali, sindaco dal 2007 al 2011 poi dimessosi dopo un’inchiesta giudiziaria che coinvolse la sua giunta, sostenuto da Lega e Forza Italia, si è fermato al 21%. La ricomposizione del centrodestra si è compiuta a metà: Fratelli d’Italia, che al primo turno aveva candidato Priamo Bocchi che ha preso il 7,5%, ha annunciato il sostegno a Vignali, ma non è stato siglato un apparentamento ufficiale.
    Nessuna modifica nemmeno nella coalizione che sostiene Guerra che però, almeno in linea teorica, ha la possibilità di rivolgersi a un bacino di voti molto più corposo. Innanzitutto al 13,5% di Dario Costi, sostenuto dalla storica lista civica ‘Civiltà parmigiana’ e da Azione, la cui posizione “mai con Vignali”, suona come un’indicazione di voto. Inoltre, a Parma sono andati bene (superando lo sbarramento del 3% necessario per essere rappresentati in consiglio comunale) i candidati di Europa Verde e Potere al Popolo/Rifondazione che insieme valgono l’8%.
    Nonostante le critiche rivolte a Guerra e alla sua coalizione, se al ballottaggio andranno a votare, è difficile immaginare che la loro scelta ricada su Vignali. Il Movimento 5 Stelle, che nel 2012 fece di Parma la prima città conquistata, non si è presentato alle elezioni.

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    Ballottaggi: A Verona la sfida tra Tommasi e Sboarina

    La sfida di Verona ha catalizzato l’attenzione della politica nazionale in questa tornata amministrativa. Il centrodestra- spaccato nella città di Giulietta – non è infatti riuscito a ricucire le due anime della coalizione (Fdi e Lega da una parte , Forza Italia dall’altra).
    Così, senza la formalizzazione di apparentamenti sia in un campo che nell’altro, il centrosinistra di Damiano Tommasi, ex calciatore della Roma e della Nazionale, può tentare l’impresa: strappare la poltrona di Palazzo Barbieri in un capoluogo dove il centrodestra non gli fa toccare palla da 15 anni.
    Due consiliature guidate da Flavio Tosi, dal 2007 al 2017, ed una da Sboarina, che ha concluso il mandato quest’anno.
    La situazione, dopo il voto del 12 giugno, è questa: Tommasi – Pd e altre 5 liste – è in vantaggio con il 39,8% dei voti; Federico Sboarina – sindaco uscente – Fdi, Lega e altre 4 liste – ha il 32,7%. Un apparentamento con il terzo arrivato, Flavio Tosi (23,9%) – Fi e altre 8 liste d’appoggio – avrebbe dato a Sboarina un (teorico) vantaggio sull’avversario Tommasi.
    Ma l’apparentamento formale, dopo una settimana di telefonate, appelli, tentativi di convincimento – con in campo gli stessi Salvini e Meloni – non ha vinto le resistenze di Sboarina, diviso da pessimi rapporti personali con l’ex leghista veronese. Da considerare che, in ragione delle regole sull’ apparentamenti formale, Tosi e le sue liste avrebbe ottenuto in caso di successo ben 9 dei 22 consiglieri spettanti alla coalizione vincitrice.
    In sostanza, avrebbe avuto una sorta di ‘golden share’ su ogni atto politico di uno Sboarina-bis. Il ballottaggio di Verona resta così molto aperto. Anche perchè i voti in uscita dei ‘tosiani’ non è sicuro vadano tutti verso il candidato del centrodestra.

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    Draghi spinge sul price cap, “un vertice Ue a luglio”

    Un vertice straordinario sull’energia. Un vertice che abbia la proposta della Commissione sul price cap al gas finalmente sul tavolo. Mario Draghi arriva al Consiglio europeo con una richiesta destinata a cambiare l’agenda europea delle prossime settimane. Il tempo stringe, l’ombra del Cremlino sui flussi di gas verso l’Europa si fa sempre più nera e l’ascesa dei prezzi non vede una fine all’orizzonte. L’Italia decide quindi di giocarsi il tutto per tutto. Ottenendo delle prime, ufficiose aperture. La presidenza ceca, che entrerà in carica a luglio, non è contraria al summit a luglio ma a patto che si parli anche di inflazione.
    Per l’Italia si tratterebbe comunque di una sottigliezza visto lo stretto legame tra i temi. La missione del presidente del Consiglio è portare a Bruxelles, nelle pieghe di un vertice dedicato in prima battuta all’allargamento dell’Unione, il senso di urgenza che serpeggia a Roma e in altre cancellerie europee sul dossier energia. Sulla proposta del price cap si sta creando un fronte mediterraneo. Lo spagnolo Pedro Sanchez è arrivato annunciando di portare sul tavolo del summit la “riforma del mercato elettrico” e di “un tetto ai prezzi del gas”. Il capo del governo greco, Kyriakos Mitsotakis, è andato oltre.
    “Ribadirò, insieme al presidente del Consiglio italiano, l’ormai urgente richiesta di iniziative coraggiose a livello europeo, come l’imposizione di un tetto al prezzo all’ingrosso del gas”, ha spiegato Mitsotakis. Piccolo particolare: poche ore prima del vertice europeo, nella serata di mercoledì, il premier ellenico era a Palazzo Chigi proprio con Draghi.
    La richiesta italiana incassa anche la forte sponda della Francia. In un bilaterale organizzato negli uffici della delegazione italiana, prima del Consiglio europeo, Draghi e Emmanuel Macron hanno parlato, secondo fonti ufficiali, dei temi in agenda al Consiglio. Di fatto il premier italiano e l’inquilino dell’Eliseo hanno rinsaldato l’asse sulla richiesta di un intervento europeo sull’energia.
    Il richiamo al price cap, dopo un’ultima trattativa notturna, è stato inserito nelle conclusioni del Consiglio che, si legge, “nel contrasto all’uso come arma del gas da parte della Russia e richiamando le conclusioni del 31 maggio, invita la Commissione a proseguire nei suoi sforzi nell’assicurare le forniture energetiche a prezzi accessibili”. Ma all’Italia non basta.
    Perché al vertice di fine maggio l’esecutivo Ue era stato invitato a esplorare le opzioni per calmierare i prezzi dell’energia, incluso un price cap temporaneo. E, in un mese, nessuna proposta è uscita da Palazzo Berlaymont. Anche per questo Roma e altri Paesi potrebbe chiedere un’ulteriore limatura alle conclusioni. Disegnando un timing meno indeterminato per la Commissione.
    Nella strategia di Palazzo Chigi il tetto al prezzo del gas si configurerebbe come una sanzione con cui rispondere a Mosca che, ormai da settimane, sta usando l’energia come un’arma. In tal modo la messa in campo della misura sarebbe anche proceduralmente più rapida, non essendo necessario modificare direttive sul mercato dell’energia attualmente in vigore. E nel fronte dei contrari qualche piccola crepa comincia ad aprirsi.
    “Non ci opponiamo per principio” e la “valutiamo la proposta” ma potrebbe non funzionare, ha spiegato l’olandese Mark Rutte. Dalla Germania, per ora, filtra un freddo silenzio. Il timore, a Berlino e nelle capitali più dipendenti dal gas di Mosca, è che come ritorsione Vladimir Putin chiuda i rubinetti definitivamente. Ma quei rubinetti, è il ragionamento che fa il governo italiano, si stanno chiudendo comunque. E nella sua crociata sull’energia il governo ha il pieno sostegno dei principali partiti. Enrico Letta, a Bruxelles per il summit di S&D, ha posto il tema al cancelliere Olaf Scholz: “Il price cap deve essere un obiettivo”, ha sottolineato il segretario del Pd. Ma Scholz non governa da solo. E i suoi alleati liberali saranno un osso duro da convincere.

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    Berlusconi, torno in campo, tra 8 mesi Fi sopra il 20%

    “Forza Italia fra otto mesi alle nuove elezioni politiche sarà sopra il 20%”. Lo ha detto il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, nel corso di un comizio a Monza in sostegno del sindaco uscente e ricandidato, Dario Allevi. “Mi hanno escluso dalla vita politica con quella condanna assurda che presto sarà abrogata dal tribunale dei diritti dell’uomo di Strasburgo – ha aggiunto -. Mi hanno lasciato fuori dalla politica per sei anni quindi adesso tornerò in campo. Andrò in televisione e organizzerò un grande convegno al mese”.
    “Dario Allevi è un sindaco straordinario che ha fatto tante cose per la città, che ha risolto tante situazioni difficili. Dobbiamo ridargli la città in mano per altri cinque anni”, ha detto il leader di Forza Italia. “Dovete andare tutti a votare domenica, per avere una città che funziona come ha funzionato negli ultimi cinque anni”, ha aggiunto.
    Dopo il comizio in piazza San Paolo a Monza, in sostegno del sindaco uscente e ricandidato per il centrodestra, Dario Allevi, l’ex premier Silvio Berlusconi ha fatto una passeggiata nel centro della cittadina insieme alla compagna Marta Fascina. Insieme a lui una folla di sostenitori, con cui ha scattato anche qualche selfie, e gli ultras del Monza calcio che mi hanno accolto con cori e applausi anche al suo arrivo.