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    A Viterbo la civica Frontini vince la sfida al femminile

    Chiara Frontini è la nuova sindaca di Viterbo. La candidata della lista civica espugna il capoluogo laziale in una sfida tutta al femminile il cui risultato era tutt’altro che scontato. Frontini, con circa il 64% (51 sezioni su 66) delle preferenze, ha battuto la candidata dem Alessandra Troncarelli. Al terzo tentativo nella sua corsa a prima cittadina, la consigliera uscente ex di Alleanza Nazionale – sostenuta da sei liste tra cui IoApro assieme a ‘Rinascimento’ di Vittorio Sgarbi – ha raggiunto il suo obiettivo. “Ci meritiamo che i viterbesi ci mettano alla prova”, aveva detto Frontini prima della chiusura della campagna elettorale lanciando il suo ultimo appello ai viterbesi. Si è invece fermata al xxxx l’altra sfidante, Alessandra Troncarelli, assessora della giunta del presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, sostenuta da 8 liste tra cui il Pd, il Movimento 5 Stelle, candidati di Azione nella civica “Viterbo, sul serio” e i ‘fuoriusciti’ di Forza Italia con la lista ‘Viterbo Cresce’, capitanata dal sindaco uscente sfiduciato Giovanni Arena. Sull’esito delle elezioni ha pesato la scelta di FdI – che aveva sostenuto la vice sindaca uscente Laura Allegrini, arrivata terza al primo turno – di indicare chiaramente che non non avrebbe appoggiato Troncarelli. Il centrosinistra sperava forse anche in un appoggio dei moderati schierati inizialmente per l’altro candidato, Claudio Ubertini, anche lui fuori al primo turno. Il coordinatore regionale della Lega, Claudio Durigon, aveva però allontanato questa ipotesi

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    Alessandria torna al centrosinistra, sindaco Abonante

     Alessandria cambia colore e torna al centrosinistra dopo i 5 anni del mandato di Gianfranco Cuttica di Revigliasco, sindaco di centrodestra. Al ballottaggio ha prevalso Giorgio Abonante, esponente del Pd che al primo turno si è presentato con il sostegno anche del Movimento 5 stelle, raccogliendo il 42,04% delle preferenze. Nel voto decisivo ha allungato il suo vantaggio, andando oltre il 54%, conquistando probabilmente anche i consensi di una parte dell’elettorato del terzo incomodo, Giovani Barosini (Azione con Calenda), 14,6% di preferenze il 12 giugno, che, pur non facendo un apparentamento, ha stretto un accordo con Abonante. Un’alleanza che ha infuocato la campagna elettorale negli ultimi giorni, con la presenza ad Alessandria del segretario del Pd Enrico Letta e del leader della Lega Matteo Salvini Il neo sindaco e Cuttica di Revigliasco nel primo turno erano stati divisi dall’1,8% dei voti, a favore del primo. A sostenere Abonante,, già consigliere dem di opposizione, Pd, M5s, Europa Verde e tre liste civiche. Nel primo turno il Pd era stata la lista più votata, con il 20,29% dei consensi, poi la lista Abonante, con il 7,93%, i Moderati con il 4,53% e M5s, 3,95% Ad Alessandria l’affluenza è stata del 37.13%, pari a 27.348 elettori dei 73.657 aventi diritto, il 9.60% in meno rispetto al 46.73 del 12 giugno). Prima di Cuttica di Revigliasco, la città era stata guidata da Rita Rossa (Partito Democratico). “Sono veramente orgoglioso – sono le prime parole di Abonante – di come abbiamo condotto la campagna elettorale, è stata la chiave di volta, mentre nelle ultime settimane abbiamo subito attacchi indecenti. Ora sarà la nostra capacità di promuovere la partecipazione di tutti in città la cifra della nostra proposta”.

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    Sorpasso a Lucca, Mario Pardini vede la vittoria

    E’ Mario Pardini, candidato unitario del centrodestra, il nuovo sindaco di Lucca dopo un lungo testa a testa contro il candidato del centrosinistra Francesco Raspini. Pardini, imprenditore, ex presidente di Lucca Crea (la società partecipata che organizza il Lucca Comics and games), si è imposto con il 50, % davanti al suo avversario, assessore comunale uscente che aveva chiuso in testa il primo turno con il 42,65%. Inizialmente Pardini era avanti anche al ballottaggio per poi subire il ‘sorpasso’ di Pardini. Per Raspini si erano spesi il segretario del Pd Enrico Letta e il leader di Azione Carlo Calenda che proprio a Lucca due giorni fa avevano tenuto il comizio di chiusura della campagna elettorale. A far discutere nelle ultime settimane era stato l’apparentamento tra Pardini e Fabio Barsanti, già eletto consigliere comunale nel 2017 con CasaPound e ora sostenuto dalle liste Difendere Lucca, Centrodestra per Barsanti e Prima Lucca-Italexit con Paragone. Accordo anche con il candidato civico Elvio Cecchini, che ha ottenuto il 2,96%. Pardini aveva incassato, tra gli altri, anche l’appoggio di Alberto Veronesi, candidato al primo turno del polo composta da Italia Viva, Più Europa e Azione, che però si sono smarcati da tale scelta, dando il proprio sostegno a Raspini. Al ballottaggio di cinque anni andò in scena un analogo confronto testa a testa con il sindaco Alessandro Tambellini per il centrosinistra che si affermò con il 50,52% sul rivale del centrodestra che arrivò al 49,48%. “Nella vita è bellissimo vincere – scrive Raspini su Facebook -, ma è importante anche saper perdere. Anche se fa male. E noi stasera abbiamo perso. Da stanotte Mario Pardini è il nuovo sindaco di Lucca: a lui vanno i nostri complimenti. L’ho già chiamato per farglieli di persona. Da domani saremo all’opposizione: saremo responsabili e presenti, in prima linea per la nostra città e non faremo sconti”.

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    Pd riprende Piacenza, Tarasconi sindaca

    Il centrosinistra riconquista Piacenza: Katia Tarasconi, consigliera regionale del Pd è la nuova sindaca della città. Al ballottaggio ha sconfitto con il 53% la uscente Patrizia Barbieri che ha governato, civica alla guida di una coalizione della quale hanno fatto parte tutti i partiti di centrodestra, Piacenza negli ultimi cinque anni. In una delle poche sfide tutte al femminile di questa tornata elettorale amministrativa. Tarasconi ha 48 anni, cresciuta fra Piacenza e gli Stati Uniti, è stata assessore comunale nella precedente giunta di centrosinistra poi, alle regionali del 2020 è entrata in consiglio regionale. Già al primo turno la sua coalizione aveva fatto segnare un inatteso vantaggio (40 a 38) nei confronti della sua sfidante. Il centrosinistra, a Piacenza, non era riuscito a presentarsi in maniera compatta: Stefano Cugini, candidato di Alternativa per Piacenza è sostenuto anche dal Movimento 5 Stelle, aveva infatti superato il 10%: un risultato che, se sommato con quello di Tarasconi, avrebbe voluto dire maggioranza assoluta. In vista del ballottaggio non ci sono stati apparentamenti, ma il consenso per Tarasconi è stato sufficiente per la riconquista della città. I partiti del centrodestra, che per cinque anni sono andati sostanzialmente d’accordo al sostegno di Barbieri, peraltro in anni particolarmente difficili con Piacenza fra le città più colpite dalla prima ondata della pandemia, si sono presentati compatti, tuttavia una crepa importante si è aperta con la candidatura dei Liberali Piacentini, guidati da uno storico protagonista della politica cittadina come Corrado Sforza Fogliani, che ha raccolto l’8%, criticando direttamente l’operato della sindaca. Anche a Piacenza l’affluenza alle urne è stata molto bassa: ha votato infatti il 42,2% degli aventi diritto, undici punti percentuali in meno rispetto al primo turno.

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    Nodo mandati, voci apertura Grillo ma M5s smentisce

    Ore decisive per il M5s che deve decidere se avviare o meno la votazione degli iscritti sul doppio mandato e, contestualmente, quella per la designazione dei referenti territoriali in seno al Consiglio nazionale per i quali si è appena chiusa la fase delle autocandidature. In serata il leader Giuseppe Conte ha convocato il consiglio nazionale per “comunicazioni del Presidente”; una riunione via zoom alla quale viene invitato a partecipare anche Beppe Grillo.    
    Circola l’indiscrezione che ci si sia un’apertura del garante pentastellato sulla questione delle deroghe ma il M5s nega.    
    Fonti dei vertici M5s smentiscono infatti che nel corso del Consiglio nazionale si sia parlato della questione del vincolo del secondo mandato e di eventuali deroghe. Grillo collegandosi alla riunione avrebbe solo fatto un saluto ed annunciato che verrà oggi. Il tema dei mandati, viene ancora precisato, non è stato toccato neppure nel prosieguo dei lavori e “non è tema in agenda”.    
    Ma nel Movimento di questo si parla anche perché lo stesso Conte una decina di giorni fa aveva anticipato che “entro fine giugno ci sarà il voto degli iscritti sul secondo mandato”.    
    Grillo intanto è atteso a Roma, dove incontrerà i parlamentari del Movimento, divisi per commissioni di appartenenza.    
    Rimessi i panni del “grande saggio” starà al fondatore del Movimento decidere se dire la sua sulla delicatissima questione del tetto ai mandati e, soprattutto, su quella delle eventuali deroghe per i “meritevoli”. Una partita cruciale per il M5s alle prese con la scissione dei “dimaiani” di Ipf e con alcuni eletti ancora in bilico. “Penso che alla fine il vincolo cadrà.    
    Riusciranno anche a convincere Beppe Grillo che l’ultimo principio portante del M5s dovrà venir meno, grazie alle deroghe per gli amici. Sarà la giravolta finale. Comunque sono fatti loro, che non ci riguardano e non interessano agli italiani che hanno altre priorità”, azzarda Primo Di Nicola, capogruppo designato al Senato di Insieme per il futuro. Se così non sarà, come assicura il Movimento, non ci sarà quindi deroga per Giancarlo Cancelleri, che intendeva partecipare alle primarie per la scelta del candidato del centrosinistra in Sicilia. Il 30 giugno scade il tempo per l’scrizione dei candidati alle primarie che si terranno il prossimo 23 luglio e il tempo per il voto della base sarebbe molto stretto. Proprio ieri Cancelleri aveva invitato Conte a “non perdere altro tempo” in vista di questa scadenza aggiungendo che “se non vinciamo queste primarie il M5s finisce, e non in Sicilia ma in Italia. E questo lo sanno bene a Roma”. Nel M5s si discute anche del ritorno in piazza.    
    Un’opzione da tempo sul tavolo (da ben prima della scissione) e che potrebbe essere rilanciata su diversi argomenti, a partire da quello del salario minimo, fino all’ambiente o al No alle armi. “Ce lo chiedono gli iscritti e i territori, c’è molta voglia di tornare ad incontrarci per rilanciare le nostre battaglie”, spiega una parlamentare. E questo anche alla luce dell’arrivo del quarto decreto armi per l’Ucraina, per il quale non servirà un voto del Parlamento ma su cui da tempo il M5s aveva lanciato l’altolà chiedendo uno stop agli invii dall’Italia. I consigli di Grillo potrebbero servire anche a decidere la linea su questo fronte.    
    Chiusa la partita delle Comunali si apre intanto giorni cruciali in Parlamento dove tornano in discussione provvedimenti altamente divisivi tra le forze politiche. Dai taxi all’inceneritore di Roma, passando per lo Ius Schoale e la cannabis, tra gli esami in Commissione e i voti in Aula, si prevede una settimana di scontri che dovrà tenere conto anche del riposizionamento dei voti tra la nuova forza di Di Maio e i 5 Stelle. I quali proprio domani dovrebbero far recapitare al presidente della Camera la loro richiesta di “riequilibrio” interno alle Commissioni, conseguente ai nuovi rapporti di forza che si sono creati con la nascita alla Camera di Ipf. Al Senato l’operazione per la nascita del nuovo gruppo è pronta e dovrebbe essere conclusa ad inizio settimana. 

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    I leader uniti contro Putin, 600 miliardi per le infrastrutture

    “Continueremo a fornire sostegno finanziario, umanitario, militare e diplomatico e a stare al fianco dell’Ucraina fino a quando sarà necessario”. E’ quanto si legge nella bozza del comunicato del G7 riportata da Bloomberg. Nel documento i leader del G7 stanno valutando la possibilità di utilizzare i proventi dei dazi sulle importazioni dalla Russia per sostenere l’Ucraina.  
    Forte messaggio di unità dai leader del G7. “Putin spera che qualcuno nel G7 e nella Nato si divida, ma non è affatto accaduto e non accadrà”, assicura Biden, che annuncia lo stanziamento di 600 miliardi di dollari da qui al 2027 per investimenti nelle infrastrutture nel mondo. Sul price cap per il petrolio proposto dagli Usa, Parigi apre ma il presidente del consiglio Ue Michel spiega che si deve “colpire la Russia e non le nostre economie”. Mettere un tetto al prezzo dei combustibili fossili importati dalla Russia – ha detto Draghi – ha un obiettivo geopolitico oltre che economico e sociale, perché anche quando i prezzi dell’energia scenderanno, non è pensabile tornare ad avere la stessa dipendenza dalla Russia. E dobbiamo eliminare una delle principali cause dell’inflazione.

    DRAGHI: ‘ELIMINARE PER SEMPRE DIPENDENZA DA ENERGIA RUSSA’ Eliminare per sempre la dipendenza eneregetica dalla Russia. Prima con una spinta alle infrastrutture del gas, poi con la riconversione all’idrogeno. E’ la ricetta del premier Mario Draghi, che dal vertice del G7 mette in guardia: “La crisi energia non produca il ritorno dei populismi.”Anche quando i prezzi dell’energia scenderanno, non è pensabile tornare ad avere la stessa dipendenza della Russia che avevamo. Dobbiamo eliminare per sempre la nostra dipendenza della Russia”, ha affermato Draghi, seecondo quanto si apprende. “Nella situazione attuale ci sono delle esigenze a breve termine che richiederanno investimenti ampi nelle infrastrutture per il gas per i Paesi in via di sviluppo e non solo. Dovremo assicurarci che possano essere poi convertite all’uso dell’idrogeno, un modo per conciliare le esigenze a breve con quelle a lungo termine”, ha detto Draghi in un punto stampa a Elmau.  durante una pausa dei lavori del G7. “Dobbiamo evitare gli errori commessi dopo la crisi del 2008: la crisi energetica non deve produrre un ritorno del populismo” ha evidenziato, secondo quanto si apprende, Draghi. “Abbiamo gli strumenti per farlo: dobbiamo mitigare l’impatto dell’aumento dei prezzi dell’energia, compensare le famiglie e le imprese in difficoltà, tassare le aziende che fanno profitti straordinari”. Draghi è poi tornato a sollecitare sullo sblocco del grano ucraino. “Dobbiamo accelerare i nostri sforzi sul fronte della sicurezza alimentare. È essenziale sbloccare il grano in Ucraina molto prima di metà settembre, quando arriverà il nuovo raccolto. Dobbiamo dare tutto il nostro sostegno alle Nazioni Unite, perché possa procedere più velocemente nel suo lavoro di mediazione”, ha detto, sempre secondo quanto si apprende, il presidente del Consiglio.

    Una passeggiata prima dell’inizio dei lavori pomeridiani, mentre le first ladies praticano nordic walking (ANSA)

    BIDEN: DAL G7 600 MILIARDI PER LE INFRASTRUTTURE NEL MONDO 

    Gli Usa, assieme con gli altri Paesi del G7, stanzieranno 600 miliardi di dollari da qui al 2027 per investimenti nelle infrastrutture nel mondo. Lo ha detto il presidente americano Joe Biden lanciando la partnership a margine del vertice in Germania. Alla cifra totale gli Usa contribuiranno con 200 miliardi di dollari nei prossimi 5 anni. La ‘Partnership for Global Infrastructure and Investment’ “fornirà progetti rivoluzionari per colmare il divario infrastrutturale nei paesi in via di sviluppo, rafforzare l’economia globale e le catene di approvvigionamento e far progredire la sicurezza nazionale degli Stati Uniti”. L’iniziativa era stata lanciata da Biden e gli altri leader del G7 al vertice in Cornovaglia per offrire un’alternativa alla Via della Seta della Cina. “Quando le democrazie si uniscono, non c’è nulla che non possano realizzare”, ha sottolineato Biden. “Questo piano non è carità, è un investimento che avrà un ritorno per gli americani e per tutti i cittadini del mondo”.

    G7, il bilaterale fra Emmanuel Macron e Boris Johnson

    DAL G7 IL MESSAGGIO DI UNITA’ CONTRO MOSCADal castello di Elmau, in Germania, i leader del G7 mandano un messaggio di unità all’indirizzo del Cremlino, affermando una compattezza granitica sul fronte della guerra, anche se sul petrolio e sul gas le divergenze non sono ancora appianate. Il premier britannico Boris Johnson e il presidente francese Emmanuel Macron vedono una possibilità di “invertire il corso” della guerra in Ucraina, riferisce Downing Street dopo l’incontro bilaterale tra i due al G7 di Elmau.
    Ucraina, Michel al G7: ‘Dall’Ue più aiuti militari e finanziari’

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    Comunali: affluenza alle 19 al 29,44%, in calo

    E’ stata la sfida di Verona tra Damiano Tommasi (centrosinistra) e il sindaco uscente Federico Sboarina (sostenuto da Lega e FdI) l’unica a “tenere” in parte il calo delle affluenze ai ballottaggi nei 59 comuni delle regioni a statuto ordinario (altri 6 sono di quelle speciali).
    In tutto oltre 2 milioni gli italiani che potevano esprimere la preferenza per il loro nuovo sindaco, ma in molti, oltre due su tre, si sono tenuti lontani dalle urne: il dato definitivo del Viminale dell’affluenza alle ore 19 è stato del 29,44%, in calo rispetto al primo turno, quando negli stessi comuni, alla medesima ora, aveva votato il 38,46% (le urne chiudono alle 23, con il concomitante inizio dello spoglio elettorale così da avere nella notte i nuovi sindaci). La sfida clou di Verona ha tenuto, con uno dei risultati migliori in tutta Italia (quanto a capoluoghi) con il 32,03 per cento dei votanti (il 12 giugno alla stessa ora erano stati il 37,49 per cento). Per fare un confronto, l’altro ballottaggio di primo piano, quello di Parma (dove l’ex assessore di Pizzarotti, Michele Guerra, sostenuto dal centrosinistra ma non dal M5s, se la vede con Pietro Vignali sostenuto al secondo turno praticamente da tutto il centrodestra) ha avuto soltanto il 26,85% di votanti (36,99%).
    Affluenza simile a quella di Catanzaro, unico capoluogo di Regione, con il 26,78%, ma con un forte calo rispetto al 46,93% del primo turno. Frosinone si conferma come una delle città dove le comunali sono particolarmente sentite, con il risultato migliore a livello nazionale: il 36,23 per cento. Ma anche in questo caso il calo è stato forte, circa undici punti percentuali rispetto al 47,21% di due settimane fa. Bene anche Viterbo che supera la soglia del 30% con un 32,77 per cento, e anche Piacenza con il 30,11%.
    Al contrario, i capoluoghi con con l’affluenza più bassa sono state le due cittadine piemontesi di Alessandria e Cuneo con, rispettivamente, il 25,77% e il 26,48%. I comuni al voto nelle regioni a statuto ordinario con il maggior numero di elettori sono Verona (202.638), Parma (146.939), Monza (98.073), Barletta (80.159), Lucca (79.634), Alessandria (73.657), Catanzaro (73.294) e Como (72.132). Nelle regioni a statuto speciale, invece, Gorizia è il comune al ballottaggio con il maggior numero di elettori (30.295).

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    I partiti difendono la legge 194. Meloni: 'No ai paragoni con gli Usa'

    In Italia, indietro non si torna. All’indomani della sentenza choc della Corte Suprema americana contro l’aborto, tutti i partiti sono compatti nel difendere la legge 194 che dal 22 maggio 1978 regolamenta l’interruzione volontaria della gravidanza.
    Anche Emma Bonino, protagonista in prima linea della battaglia abortista e considerata tra i leader politici più vicini a Washington è molto critica. Almeno nel campo dei diritti, afferma in diverse interviste, “per me è una grande delusione questa America, che spesso sono stata abituata a considerare all’avanguardia su certe battaglie”. E per la scrittrice Dacia Maraini si tratta senza dubbio di “una decisione che fa passi indietro rispetto ai diritti umani”.
    Il ministro della Salute, Roberto Speranza, è convinto che quanto accaduto obblighi tutti a capire che non si deve “considerare un progresso come acquisito per sempre. Dobbiamo continuare a batterci ogni giorno perché non si torni mai più indietro”. Sulla stessa linea il leader dem Enrico Letta, certo che sia pericoloso pensare che “i diritti siano un qualcosa di scontato”; e il leader dei Cinque Stelle Giuseppe Conte: “il diritto all’interruzione di gravidanza è da annoverare tra le conquiste sociali su cui non è possibile fare passi indietro”, ammonisce. Così come è netta anche Forza Italia. Anna Maria Bernini definisce la sentenza “un salto indietro che non avrà però conseguenze in Italia: i diritti civili non si toccano e l’ultima parola spetta sempre alle donne, sottratte con la 194 alla tragedia degli aborti clandestini”.
    Matteo Salvini, da parte sua, ribadisce di essere “personalmente per la difesa della vita dall’inizio alla fine ma quando si parla di aborto – sottolinea – l’ultima parola spetta alla donna, non ad altri”. Giorgia Meloni, ieri silente, interpellata dall’ANSA esplicita la sua posizione allontanando ogni polemica. Malgrado in un recente comizio in Spagna avesse esclamato con vigore “sì alla cultura della vita, no all’abisso della morte”, stamane chiarisce che “vaneggia” chi, pur di attaccarla, pensa che il suo partito lavori all’abolizione della legge. Fratelli d’Italia, osserva, “continuerà semplicemente a chiedere, e a operare, perché venga applicata la prima parte della 194, relativa alla prevenzione, e per dare alle donne che lo volessero una possibilità di scelta diversa da quella, troppo spesso obbligata, dell’aborto”. Ma, avverte, sarebbe profondamente sbagliato fare paralleli o paragoni tra la vicenda americana e la situazione nel nostro Paese: “Chi lo fa, probabilmente, è in malafede o ha obiettivi ideologici”.
    Ad ogni modo, dalle sue parole, non emerge indignazione nei confronti di una sentenza che sta provocando, non solo in America, violentissime proteste. “La decisione della Corte – osserva Meloni – dice che la Costituzione Usa non riconosce un diritto all’aborto e per questo rimette ai singoli Stati e ai loro parlamenti il compito di regolamentare l’aborto. Saranno i rappresentanti eletti dal popolo a decidere. È un quadro lontano anni luce da quello italiano, nel quale l’interruzione di gravidanza è consentita non in forza di una sentenza ma di una legge votata dal Parlamento, a determinate condizioni ed entro un numero di settimane. Scenario molto diverso da quello Usa, nel quale si discute addirittura di aborto al nono mese o a nascita parziale”.