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    Elezioni: ecco la carica dei 101 simboli in corsa alle Politiche del 25 settembre

    Sono in tutto 101 i contrassegni depositati al Viminale per concorrere alle elezioni politiche in programma il 25 settembre. Il tempo utile per presentare i silboli è terminato alle ore 16.
    I simboli sono stati presentati da 98 soggetti politici. Per la scorsa tornata elettorale del 2018 il ministero dell’Interno esaminò 103 contrassegni depositati e ne ammise 75.

    AL VIMINALE LA CARICA DEI 101 SIMBOLI, 26 COL NOME DEL LEADER

    Ora parte l’attività istruttoria del Viminale. Entro 48 ore, ovvero entro la mezzanotte del 16 agosto, verranno notificati gli ammessi e i ricusati, poi saranno concesse altre 48 ore per presentare le eventuali integrazioni, modifiche richieste, o ricorsi. La partita dei simboli al Viminale dunque si chiuderà definitivamente il 18 agosto. Poi la Cassazione avrà quindi altri due giorni per decidere sugli eventuali ricorsi: dunque il ministero dell’Interno entro il 20 agosto comunicherà alle Corti di Appello i nomi dei rappresentati per le liste. Dopodiché i partiti promossi dovranno presentare, il 21 e 22 agosto, la lista dei candidati nei tribunali e nelle Corti d’appello dei capoluoghi.
    Tra gli ultimi simboli depositati arriva anche Italiani con Draghi – Rinascimento, unico logo con il nome del presidente del consiglio: oltre alla scritta Italiani con Draghi il simbolo è corredato da una striscia tricolore.
    Il premier Mario Draghi non era al corrente del simbolo Italiani con Draghi, fa sapere Palazzo Chigi in riferimento ai requisiti di trasparenza del simbolo che, a questo punto, potrebbero non essere soddisfatti portando anche all’annullamento.
    L’ultimo contrassegno presentato è il simbolo di Italia dei Diritti, mentre stamani il primo simbolo affisso in bacheca è stato quello della lista ‘Peretti-Democrazia Cattolica liberale’, sempre con lo scudo crociato. Il secondo contrassegno depositato oggi è invece quello dell’ex sindaco di Napoli Luigi de Magistris, ‘Unione Popolare con de Magistris’. Affisso al Viminale anche un secondo simbolo di de Magistris, ‘Up con De Magistris’: dentro i loghi di Dema, Manifesta, Rifondazione Comunista e Potere al Popolo.
    Marco Rizzo, Antonio Ingroia ed Emanuele Dessì hanno depositato al Viminale il contrassegno elettorale della lista ‘Italia Sovrana e Popolare’. “Vogliamo un’Italia sovrana e popolare, come dice il nostro simbolo. Il capo politico è Giovanna Colone, una lavoratrice della scuola che è stata sospesa per la vicenda del vaccino. Abbiamo voluto impersonificare quello che noi vogliamo rappresentare: una del popolo che ha sofferto”, ha detto Rizzo. Toscano ha invece assicurato che completeranno “a breve la raccolta firme. C’è un entusiasmo incredibile. Possiamo contare sul sostegno di tantissima gente che in tutta Italia ha preso d’assalto i nostri banchetti”, annunciando che “tutti e quattro” i presenti al Viminale “saranno candidati”.  Dessì infatti si presenterà al Senato, mentre Rizzo, Ingroia e Toscano alla Camera. Perché votare Italia Sovrana e Popolare e non Italexit? “Paragone – dice Toscano – ha sempre espresso una posizione atlantista, non ho mai sentito da lui esprimere la necessità di aprire una stagione multipolare. Il nostro nemico comunque è Draghi – ha ribadito il presidente di Italia sovrana – e il sistema che ha chiuso gli italiani in casa”.
    Depositato oggi anche il simbolo di +Europa, che alle prossime elezioni si vedrà in coalizione con Pd, Alleanza Verdi Sinistra e Impegno civico. Nel contrassegno, come nel 2018, depositato dalla tesoriera Maria Saeli, si legge ‘+Europa con Emma Bonino’, indicata come capo politico del partito. Se fossero rimasti con Calenda “sarebbe stato simile”, con i nomi dei leader dei due partiti. Da quanto si è appreso, tra +Europa e il Pd è rimasto valido l’accordo siglato quando ancora si era in coalizione con Carlo Calenda. “Per quanto riguarda i collegi uninominali di fascia alta, quelli dove l’elezione è più probabile con il Pd resta l’accordo” già siglato, “ovvero il partito di Bonino esprimerà il 30% dei candidati”, ha ricordato la tesoriera del partito. Saeli inoltre ha ribadito che Bonino, Benedetto Della Vedova e Riccardo Magi saranno sicuramente candidati. “Abbiamo presentato anche il nostro programma – ha detto Saeli – frutto sia dei nostri tavoli tematici e del lavoro sul territorio, sia del ‘programma con l’Italia’ fatto da Carlo Cottarelli”, ha detto la tesoriera aggiungendo: “Cottarelli ha scritto gran parte del nostro programma si candidera’ sicuramente nell’uninominale e forse anche nel proporzionale”, ha detto Saeli, che alla domanda se sarà anche lei candidata nella lista, ha risposto: “Vediamo”
    Marco Cappato ha depositato e affisso al Viminale il simbolo per le elezioni politiche: Referendum democrazia con Cappato. Il tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, leader della lista ha ribadito che intende raccogliere le firme solo con modalità digitale. “Siamo partiti con una marcia dal Quirinale e ci appelliamo al presidente del Consiglio Mario Draghi perche’ le elezioni non siano antidemocratiche. Servono 60mila firme per poter partecipare alle elezioni e chiediamo di poter utilizzare quelle digitali per rivitalizzare la democrazia. Come già accade per i referendum, le firme digitali devono essere valide per partecipare alle elezioni politiche”, ha detto Cappato dopo il deposito sottolineando che raccoglierà le firme “solo in modalità digitale”, chiedendo a Draghi di “equiparare referendum ed elezioni politiche”. La raccolta firme digitali o con spid potrà essere effettuata sul sito listareferendumedemocrazia.it. “Per togliere ogni dubbio” e far ammettere le firme raccolte Cappato ha poi aggiunto:”Chiediamo al presidente Draghi una interpretazione della norma. Se dovesse accadere che le firme non vengano riconosciute abbiamo già pronti i ricorsi che presenteremo in tutte le sedi nazionali e internazionali”, ha annunciato Cappato. “Evidentemente il problema non è raccogliere le firme ma sono le condizioni e gli ostacoli che vanno rimossi all’esercizio della democrazia del nostro paese”, ha concluso.

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    Berlusconi: “Il Colle è fuori dalla mia testa”

    “Se voglio andare al Quirinale? Assolutamente è fuori dalla mia testa. Ho risposto ad un’intervista per Libero, credo di avere detto che non posso pretendere altro dalla vita, che sono soddisfatto”. Lo ha detto Silvio Berlusconi rispondendo ad alcune domande alla fine della partita del Monza. Ad un giornalista che gli chiede se sia ancora convinto che, se passasse il presidenzialismo, Sergio Mattarella si dovrebbe dimettere, risponde: “Ma io non ho detto questo, ho detto che c’è un cambio costituzionale… ci saranno delle norme transitorie”. Quindi aggiunge: “Io ho sempre avuto un ottimo rapporto con Mattarella, hanno tutti frainteso queste parole e questo mi ha indignato abbastanza”.
    “Con la flat tax porteremo le tasse a un livello corretto. Se lo Stato ti chiede il 25% di quel che guadagni va bene, se ti chiede il 50% mi sembra un furto, se il 60% o più, una rapina. Una flat tax al 23% dovrebbe avere come effetto non solo di rilanciare lo sviluppo ma fare emergere tutto il Pil sommerso. Il 23% lo pagano sicuro. Se poi aumentano i giorni di carcere per chi evade, evasione ed elusione spariscono. Quale risultato? Un ingresso maggiore del 30% nelle casse dello Stato”. ha dichiarato Berlusconi. “Salvini ha detto il 15%, speriamo di poterci arrivare nel tempo, partendo dal 23% e avendo degli effetti molto positivi. E’ una speranza che io coltivo”, aggiunge.
    “Non è possibile da parte della sinistra fare una campagna di soli scontri, attaccando e mentendo. Non è una bella cosa. In una vera democrazia si tirano fuori i contenuti. Ho letto il programma del Pd e non mi ha impressionato, ci sono pochissime cose buone. Vediamo gli italiani come lo giudicheranno e vediamo come giudicheranno il mio”, ha affermato Berlusconi.

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    Elezioni: i collegi definiti con un decreto del 2020

    Sono stati definiti con un decreto del 2020 i collegi elettorali in cui è divisa l’Italia e che daranno forma al nuovo Parlamento. Il decreto legislativo numero 177 del 23 dicembre del 2020 – “Determinazione dei collegi elettorali uninominali e plurinominali per l’elezione della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica” – si è reso necessario per ridisegnare i collegi dopo le modifiche introdotte con la legge costituzionale del 19 ottobre 2020 che ha ridotto il numero dei parlamentari da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori elettivi.
    Con la nuova norma i collegi uninominali, quelli che vengono assegnati con il sistema maggioritario, sono 221 (147 alla Camera e 74 al Senato) mentre quelli plurinominali sono complessivamente 367 di cui 245 alla Camera e 122 al Senato. A questi si aggiungono i 12 collegi riservati ai deputati e ai senatori eletti all’estero (8 alla camera e 4 al senato). 600 parlamentari in tutto. Se si fosse votato nel 2023, a scadenza naturale della legislatura, il decreto avrebbe dovuto essere modificato: entro la fine dell’anno sarà infatti ‘bollinato’ l’ultimo censimento del 2021 e questo avrebbe comportato piccoli interventi sui collegi per aggiornarli ai nuovi dati della popolazione. Andando a votare nel 2022, però, il problema non si pone e il decreto verrà rivisto in occasione delle elezioni successive.
    Anche alle prossime elezioni politiche saranno i sorteggi a decidere, come previsto dalla legge, la numerazione progressiva dei simboli delle liste dei candidati sulla scheda elettorale.
    Il sorteggio è unico per ogni circoscrizione della Camera e per ogni regione del Senato. Gli uffici del Viminale, alla presenza dei delegati di lista appositamente convocati, effettuano un primo sorteggio tra le coalizioni e le liste non collegate. Con il sorteggio viene quindi definito l’ordine con cui verranno riportati sulla scheda e sui manifesti i candidati uninominali e le coalizioni oltre alle liste singole ad essi collegate (con a fianco i relativi candidati di lista in tutti i collegi uninominali della regione).
    Per stabilire, poi, il numero d’ordine delle liste all’interno delle coalizioni, si procede al sorteggio di tutte le liste in coalizione: queste verranno inserite per la stampa sui manifesti e sulle schede di votazione nei vari collegi uninominali all’interno della propria coalizione in base al numero d’ordine riportato dal sorteggio: si parte da quella che ha riportato il numero d’ordine più basso per finire con quella con il numero più alto. E così per ogni coalizione ed in tutti i collegi uninominali della medesima coscrizione per la Camera e regione per il Senato.  

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    Entro il 22 le liste, il 15 ottobre le nuove Camere

    Parte la road map degli adempimenti da svolgere in vista della tornata elettorale del 25 settembre sia per le istituzioni che per i partiti. Chiusa la partita dei simboli, presentati entro il 14 agosto, si apre quella della preparazione delle liste che dovranno essere presentate dai partiti tra il 21 e il 22 gosto: il 35esimo e il 34esimo antecedente il voto.
    Le liste dei candidati vengono presentate negli uffici centrali elettorali costituiti presso le Corti d’Appello. E sulla questione della raccolta delle firme sembra essere scoppiata la prima grana, registrata da Unione Popolare di de Magistris: “Riscontriamo che in molti comuni il servizio non sia operativo in questi giorni creando enormi problemi alle liste che devono raccogliere e presentare decine di migliaia di firme. La nostra senatrice Paola Nugnes – spiegano in una nota – ha presentato un’interrogazione urgente alla ministra Lamorgese. Ricordiamo che per legge i comuni dovrebbero consegnare certificati entro 24 ore. Siamo di fronte a un’altra pesante discriminazione antidemocratica”.
    – Il 27 agosto è la data d’inizio ufficiale della ‘propaganda elettorale’, il mese di campagna elettorale prima del voto, con l’affissione dei manifesti elettorali.
    – 25 SETTEMBRE: è il giorno delle elezioni.
    – 15 OTTOBRE: è la data entro la quale deve tenersi la prima seduta del nuovo Parlamento. A stabilirlo è l’articolo 61 della Costituzione, in base al quale “la prima riunione” delle Camere “ha luogo non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni”. Finché non sono riunite le nuove camere, “sono prorogati i poteri delle precedenti”. Gli attuali collegi elettorali sono stati definiti con un decreto legislativo varato il 23 dicembre del 2020, il numero 177. Un provvedimento che si è reso necessario per ridisegnare la mappa dopo le modifiche introdotte con la legge costituzionale del 19 ottobre 2020 che ha ridotto il numero dei parlamentari da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori elettivi. Con la nuova norma i collegi uninominali, quelli che vengono assegnati con il sistema maggioritario, sono 221 (147 alla Camera e 74 al Senato) mentre quelli plurinominali sono complessivamente 367 di cui 245 alla Camera e 122 al Senato. A questi si aggiungono i 12 collegi riservati ai deputati e ai senatori eletti all’estero (8 alla camera e 4 al senato), 600 parlamentari in tutto.    

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    Stefano: “Lascio il Pd, ha fatto troppi errori”

    “Ho deciso di non candidarmi con questo Partito Democratico alle prossime elezioni parlamentari e di consegnare al segretario Letta la tessera”. Lo dichiara il senatore Pd Dario Stefano, presidente della Commissione Politiche Ue.
    “La mia è una decisione sofferta, determinata da una serie di errori di valutazione che il Pd sta continuando a inanellare”, aggiunge Stefano. “Questi errori, ormai sedimentati, stanno generando un distacco fatale da quell’anima riformista, progressista e plurale di cui il Pd e l’Italia, tutta, hanno impellente necessità”. “Peraltro, è lo stesso partito che nel giro di poche ore ha sacrificato l’agenda Draghi per un indistinto programma generalista”.

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    Elezioni: oltre 75 i simboli presentati al Viminale

    Fdi ancora con la fiamma, il ‘rosso cuore’ per il M5s e il Pd che sulla bacheca finisce, ironia della sorte, accanto agli ex alleati pentastellati. Nel secondo giorno di presentazione al Viminale sono oltre 75 i simboli. I tempi per la presentazione scadono il 14 agosto alle ore 16:00.
    Conte: “Simbolo rosso cuore, abbiamo coraggio”. Depositato al Viminale il simbolo del Movimento 5 Stelle. Il simbolo è quello noto, la scritta ‘Movimento’ con le cinque stelle disegnate. A presentarlo è stato il leader del partito Giuseppe Conte. “Avete visto che bel rosso cuore – ha detto Conte affiggendo lui stesso il simbolo in bacheca – Invece il coraggio ce lo mettiamo noi”. Alla domanda sul dove l’ex premier si candiderà, se alla Camera o al Senato, Conte ha risposto: “Vi faremo sapere a breve”. Il simbolo ricopre la postazione 74 in bacheca.
    Meloni: “Fieri del nostro simbolo”. “Eccolo qui, il nostro bel simbolo depositato per le prossime elezioni. Un simbolo del quale andiamo fieri. Il 25 settembre scegli Fratelli d’Italia”. Così scrive la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni postando su Facebook il logo del suo partito che è stato depositato al Viminale e che mantiene la tradizionale fiamma tricolore e, in alto, il nome della presidente..

    Depositato il simbolo della coalizione di centrodestra per le circoscrizioni estere. Il contrassegno unitario, presentato oggi al Viminale da un dirigente FdI, in vista della tornata elettorale del 25 settembre, è lo stesso del 2018 con in fila i nomi dei tre leader – Salvini sulla striscia verde, Berlusconi in blu su sfondo bianco, Meloni su quella rossa – e in basso i simboli dei partiti.
    La corsa al deposito dei simboli, che porterà alle urne l’Italia il 25 settembre è cominciata ieri. I contrassegni depositati nel primo dei tre giorni dedicati al deposito al Viminale sono oltre 50: a vincere il rush è stato il Partito liberale Italiano, ma si scoprirà poi che non è l’originale perchè è stata un ex iscritto a presentarlo, seguito dal Maie (Movimento associativo italiani all’estero) e il Sacro Romano Impero cattolico. A decidere però il posto ‘in prima fila’ sulla scheda elettorale sarà, dopo la dichiarazione di ammissibilità, un sorteggio.

    Deposito dei simboli di partito

    Al Viminale per l’atto di inizio della kermesse elettorale anche esponenti di partito. Per la Lega il senatore Roberto Calderoli che si auspica questo sia “il primo passo per andare a vincere”. Poi Clemente Mastella, col contrassegno ‘Noi di Centro’, che rivendica di essere Dc doc, “l’ultimo erede, ancora presente nelle istituzioni democratiche, dei valori della Democrazia Cristiana” non come “Calenda o Renzi, che sono addirittura Macroniani”. Ma nella giornata si contano almeno altri due simboli della vecchia Dc, a dimostrazione che il centro è un campo con quotazioni in ascesa. Evocato da Mastella arriva poi anche il simbolo del terzo polo, con Azione e Italia Viva, stato presentato dal vicesegretario del partito di Carlo Calenda. Affisso nella prima giornata in bacheca il simbolo della lista di Forza Italia-Berlusconi presidente, depositato dal questore della Camera di FI, Gregorio Fontana che ha poi confermato che la coalizione di centrodestra sarà composta da 4 forze: FI, FdI, Lega e lo schieramento di centro arrivato poi a presentare il simbolo di ‘Noi Moderati’ con lo scudo crociato della Dc, anche qui, e la scritta Libertas. Il capo politico della formazione che fonde in se’ ‘Noi con l’Italia di Maurizio Lupi’, Italia al centro di Toti e Coraggio Italia di Brugnaro, sarà Maurizio Lupi.

    Elezioni, Fiore presenta simbolo Forza Nuova: ‘Orgoglioso di esser stato in carcere’

    Presente anche l’ex M5s Dino Giarrusso con il suo simbolo ‘Sud chiama nord’ simile a quello di ‘De Luca sindaco d’Italia – Sud chiama nord’, la formazione dell’ex sindaco di Messina Cateno De Luca, candidato alla presidenza della Regione Siciliana. Mario Adinolfi e Simone Di Stefano, ex leader di CasaPound, sono arrivati a metà pomeriggio con La lista che si chiamerà ‘Alternativa per l’Italia – No Green Pass’. Una lista anche per Forza Nuova, col simbolo di Alliance fo peace e Freedom, è stata presentata da Roberto Fiore. A solcare le porte del Viminale, quasi allo scadere della giornata, Bruno Tabacci assieme al ministro degli Esteri Luigi Di Maio con il simbolo di Impegno Civico. Come sempre non sono mancate le stravaganze: dal Partito della Follia, nuova creatura di Dr Seduction, già presente in alcune tornate elettorali amministrative con il Partito delle Buone Maniere, a Free, un gruppo di comitati civici, che si fa raffigurare da un uomo che dà un calcio a Pinocchio. Il programma? “Difendere la Costituzione dalle bugie”. Immancabili il generale Antonio Pappalardo, leader dei Gilet Arancioni, in veste pacifista, e il Movimento dei Forconi. C’è la ‘ghigliottina’ del simbolo di Rivoluzione Sanitaria di Panzironi, quello della dieta curativa, il gatto stilizzato della lista ‘Naturalismo’ e la donna-albero nel contrassegno di Vita della deputata Sara Cunial, la pasionaria no vax. Alla fine si contano oltre 50 simboli. Ed è solo la prima giornata.

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    L'Afghanistan 20 anni dopo è di nuovo il resort del terrorismo

    L’Isis e al Qaida sembravano destinate all’oblio, poi, il 15 agosto del 2021, sono tornati i talebani a Kabul e l’Afghanistan, 20 anni dopo, è ridiventato il resort del terrorismo.
    Gli eredi dell’Isis di Abu Bakr al Baghdadi ne hanno approfittato subito, con un colpo clamoroso e tragico alle forze statunitensi: a pochi giorni dalla caduta di Kabul, il 26 agosto del 2021, un kamikaze si fa esplodere all’aeroporto della capitale mentre in migliaia premono per trovare un posto a bordo di un’aereo e fuggire via. Il bilancio è di 13 morti tra i soldati americani, il più sanguinoso in un ventennio, e 170 civili afghani uccisi.
    Finisce sotto i riflettori l’Isis-K Khorasan, il ramo regionale del gruppo terroristico, l’ex Stato islamico abbondantemente sconfitto in Iraq e Siria, dove è ridotto al lumicino. Il quartier generale afghano sarebbe situato nella provincia di Nangarhar, quel territorio impervio sinistramente celebre nella narrazione jihadista per essere stato il teatro di battaglia di Osama bin Laden, nelle cave di Tora Bora. Ma nell’ultimo anno, l’Isis-K ha esteso la sua presenza in almeno altre sei province, consolidando ulteriormente la sua rete di cellule dormienti nella stessa Kabul, grazie alla quale continua a insanguinare le moschee sciite. Un rapporto del Consiglio di sicurezza Onu avverte che se i jihadisti – sostenuti anche da combattenti dell’Asia centrale – dovessero riconquistare territori a est potrebbe essere difficile per i talebani ripristinare l’ordine.
    Peggio, il gruppo guidato dall’iracheno Shahab al-Muhajir potrebbe arrivare a consolidarsi fino al punto di rappresentare una minaccia globale. Al momento, la priorità dell’Isis-K sembra ancora essere quella di minare la credibilità talebana, la capacità di Kabul di controllare il territorio, per attirare nuove reclute e magari talebani oltranzisti che guardano con disprezzo agli accordi di Doha con gli Usa.
    Anche al Qaida si è precipitata velocemente alla corte dei conquistatori di Kabul, antichi alleati nel conflitto del 2001: il suo defunto leader, l’erede di Osama bin Laden, Ayman al Zawahri è stato ucciso lo scorso 31 luglio nella capitale afghana in un raid di precisione a colpi di missili ‘ninja’. Era arrivato qualche mese dopo la riconquista di Kabul e si era nascosto nella casa di un consigliere di Sirajuddin Haqqani, il potente ministro dell’Interno talebano. Per gli 007, dal suo arrivo in Afghanistan, Zawahri avrebbe avuto addirittura un ruolo di consulenza con i talebani.
    L’armata qaidista è presente in mezzo Paese e gira indisturbata. Dall’Afghanistan operano i miliziani dell’Aqis, 400 combattenti del Bangladesh, Pakistan, Birmania e India. In questa fase non lancia attacchi nei Paesi confinanti per non mettere in difficoltà i talebani. E si gode il resort.   

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    Il 15 agosto 2021 la bandiera talebana sventola a Kabul

    Sono bastati tre mesi e mezzo ai talebani per riconquistare l’Afghanistan e tornare a far sventolare a Kabul la bandiera dell’Emirato islamico, il 15 agosto dello scorso anno. 
    Dopo vent’anni di guerra, gli Stati Uniti di Donald Trump e i talebani avevano firmato nel febbraio del 2020 a Doha un accordo di pace che prevedeva il ritiro di tutte le forze Nato entro il primo maggio del 2021. Un anno dopo l’intesa, i militari americani in Afghanistan si riducono a 2.500. Ma a poche settimane dalla scadenza del termine ultimo per il ritiro, il nuovo inquilino della Casa Bianca, Joe Biden, che affronta la prima crisi internazionale dall’insediamento, decide lo slittamento a settembre, citando preoccupazioni per la sicurezza e lamentando ritardi logistici. Accanto al ritiro delle forze e degli asset militari infatti, ci sono da evacuare migliaia e migliaia di afghane e afghani che hanno collaborato a vario titolo con le “forze di occupazione”, come le bollano i talebani.
    Biden indica come nuovo termine ultimo la data dell’11 settembre, drammaticamente centrale per la storia americana e quella del conflitto in Afghanistan, iniziato in conseguenza degli attacchi in America targati Osama bin Laden, all’epoca nascosto proprio tra le montagne del Paese asiatico.
    I talebani reagiscono in armi all’annuncio di Biden e allo scadere del primo maggio lanciano una massiccia offensiva nella provincia più ostile alle forze straniere, quell’Helmand dove si concentra il più alto numero di vittime tra i soldati americani e britannici in 20 anni di guerra. I soldati afghani oppongono resistenza, in campo scendono anche i potenti signori della guerra e le milizie armate di civili.
    Ma non c’è più il sostegno aereo alleato, micidiale risorsa nel corso del conflitto. In poche settimane le linee difensive dei governativi arretrano in tutto il Paese fino a concentrarsi solo nelle grandi città. I talebani sferrano l’attacco ai capoluoghi il 6 agosto: solo quattro giorni dopo fonti europee stimano che abbiano preso il controllo del 65% del territorio. Il 12 agosto cade Kandahar, la comunità internazionale accoglie la notizia con scetticismo, ci vorranno ore per crederci. Due giorni dopo i talebani sono alle porte di Kabul, il 15 il presidente Ashraf Ghani fugge all’estero, mentre la bandiera talebana sventola già sul suo ex palazzo.
    Nelle settimane successive emerge che l’avanzata talebana, per quanto poderosa e programmata, non aveva incontrato alcuna resistenza di rilievo. I comandanti avevano patteggiato la consegna delle città in cambio della vita. L’esercito di Kabul, nonostante i fiumi di miliardi di dollari per la formazione e l’addestramento, si rivela essere quello che molti temevano fosse: un vaso di coccio. Il ritiro delle forze Nato diventa precipitoso e alla fine si conclude nel caos il 30 agosto con l’ultimo aereo militare americano che lascia Kabul. Le immagini della chiusura dell’ambasciata e le evacuazioni in elicottero vengono bollate come una nuova Saigon per l’amministrazione Usa.