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    Israele e Hamas di fronte al piano di pace Usa a Gaza. L’estrema destra sionista pronta a far crollare il governo Netanyahu

    Bruxelles – A 48 ore dall’inaspettato annuncio del piano di pace in tre fasi a Gaza, la proposta della Casa Bianca ha incassato il sostegno dei maggiori partner internazionali: l’Onu, l’Unione europea, il Regno Unito, i principali attori della regione mediorientale. Tutto dipende dalle due parti in conflitto: mentre l’Egitto ha dichiarato che Hamas “ha accolto positivamente la proposta”, il piano di pace di Biden ha messo a nudo la fragilità della coalizione di governo di Benjamin Netanyahu, ostaggio dell’estrema destra sionista.Il piano si architetta in tre fasi: sei settimane di cessate il fuoco completo, in cui Hamas rilascerebbe “un certo numero di ostaggi” in cambio del ritiro delle truppe israeliane dalle zone popolate della Striscia di Gaza. In questa prima fase è previsto un aumento sostanziale dell’ingresso di aiuti umanitari e la possibilità per la popolazione civile palestinese di tornare alle proprie case (secondo le stime delle Nazioni Unite, più del 60 per cento delle abitazioni dell’enclave sono però inagibili a causa dei bombardamenti israeliani).La seconda fase – sempre di sei settimane – prevede una cessazione permanente delle ostilità, il rilascio di tutti gli ostaggi israeliani ancora in vita in cambio della liberazione di centinaia di prigionieri politici palestinesi dalle carceri di Israele e il ritiro completo dell’esercito israeliano dalla Striscia di Gaza. Nella terza fase, si darebbe il via al piano per la ricostruzione di Gaza.Nel dare l’annuncio in diretta, Biden ha affermato che la proposta gli era stata presentata proprio da Israele. Ma i membri di estrema destra della coalizione di governo di Netanyahu – il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, e il ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir – hanno descritto immediatamente la proposta come una “resa totale” e hanno minacciato di far crollare l’esecutivo se Israele dovesse approvare il piano. Come riferiscono i media israeliani, il premier avrebbe già tenuto un incontro con Ben Gvir, allo scopo di illustrargli nei dettagli la proposta di tregua e convincerlo che non si tratterebbe di una sconfitta per Israele.I ministri di estrema destra Itamar Ben-Gvir (L) e Bezalel Smotrich (Photo by AMIR COHEN / POOL / AFP)Nel frattempo Benny Gantz, membro del gabinetto di guerra di Netanyahu e fortemente critico nei confronti del primo ministro per la gestione del conflitto, ha chiarito in una telefonata con il segretario di Stato americano, Antony Blinken, che la restituzione degli ostaggi israeliani è una “priorità nella timeline della guerra”. Soffocato tra la pressione dell’alleato americano da un lato e dal radicale rifiuto di qualsiasi accordo che non preveda “l’israelizzazione” di Gaza dei suoi ministri, Netanyahu potrebbe trovarsi di fronte alla scelta tra l’accettazione della tregua e la sopravvivenza del suo governo.Ue e Onu rilanciano il piano di pace per GazaNon solo gli Stati Uniti, il piano di pace è stato rilanciato anche dai leader dell’Unione europea – che di recente ha cominciato a mettere in discussione l’Accordo di associazione con Israele – e dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. Per la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, l’approccio in tre fasi proposto da Biden è “equilibrato e realistico”, mentre il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, si dice “grato per gli sforzi degli Stati Uniti, in collaborazione con partner chiave, in particolare Qatar ed Egitto”. Per l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, “la guerra deve finire adesso”.Il segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha “incoraggiato tutte le parti a cogliere questa opportunità per un cessate il fuoco, il rilascio di tutti gli ostaggi, la garanzia di un accesso umanitario senza ostacoli e, in definitiva, una pace duratura in Medio Oriente”.Nel bel mezzo di questo slancio diplomatico, Israele sta continuando le proprie operazioni militari nell’enclave palestinese: secondo i dati pubblicati dall’Ufficio Onu per gli Affari Umanitari (Ocha-Opt), tra il 29 e il 31 maggio sono stati uccisi 113 palestinesi e 637 sono stati feriti. L’esercito israeliano ha reso noto di aver colpito circa 50 obiettivi militari nelle ultime 24 ore, mentre Al Jazeera riporta nuove 22 vittime dei raid israeliani su abitazioni e campi profughi. Dal 7 ottobre, a Gaza sono morte almeno 36.284 persone e 82.057 sono rimaste ferite.

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    L’Ue mette una pezza al blocco israeliano delle risorse dell’Autorità palestinese: 25 milioni per garantire stipendi e pensioni

    Bruxelles – La Commissione europea ha annunciato l’esborso di 25 milioni di euro di assistenza all’Autorità Nazionale Palestinese, la seconda tranche del pacchetto da 118,4 milioni adottato da Bruxelles a dicembre 2023. Allo stesso tempo, via libera anche a 16 milioni di euro per l’Agenzia Onu per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (Unrwa), completamente riabilitata dall’Ue dopo le accuse israeliane – finora mai dimostrate – di complicità con Hamas.Mentre la Striscia di Gaza è ormai ridotta completamente in macerie, il territorio governato dall’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) è una bomba a orologeria, stretto tra l’inasprimento degli attacchi dei coloni israeliani e dalla mancanza di fondi per mandare avanti una parvenza di macchina statale. Tel Aviv sta bloccando le entrate fiscali che raccoglie per l’Anp, senza le quali non è possibile pagare stipendi, pensioni, assegni sociali per le famiglie vulnerabili, prestazioni mediche. In questo senso, i 25 milioni mobilitati dall’Ue sono una manna dal cielo a sostegno della capacità amministrativa e tecnica delle istituzioni dell’Autorità palestinese. La prima tranche da altrettanti 25 milioni era stata versata a marzo.Per quanto riguarda l’Unrwa, la fiducia ristabilita tra Bruxelles e l’Agenzia per i rifugiati palestinesi segna un’ulteriore frattura con Israele, il cui Parlamento ha approvato pochi giorni fa in via preliminare un disegno di legge che designa l’Unrwa come organizzazione terroristica. “Alla luce dei progressi compiuti dall’Agenzia rispetto alle condizioni e alle misure concordate” con Bruxelles per garantirne l’imparzialità, la Commissione ha dato il via libera alla seconda tranche da 16 milioni, dopo un primo finanziamento di 50 milioni sbloccato già il primo marzo.L’Agenzia delle Nazioni Unite ha presentato un piano d’azione per attuare le raccomandazioni formulate a metà aprile dal gruppo di revisione indipendente guidato dall’ex ministra francese Catherine Colonna, che ha convinto tutti gli Stati membri a sbloccare anche i loro finanziamenti nazionali, fondamentali per mantenerla in vita e garantire assistenza agli oltre 6 milioni di rifugiati palestinesi a Gaza, nei territori occupati della Cisgiordania, in Libano, Giordania e Siria.La Commissione europea ha dichiarato in una nota che la terza e ultima tranche annuale da 16 milioni di euro “sarà subordinata all’attuazione dell’accordo con l’Unrwa e al rispetto da parte dell’Agenzia delle condizioni e delle misure concordate”.

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    L’Ue ripristina obbligo di visti per Vanuatu: troppe cittadinanze ‘facili’ con cui entrare in Europa

    Bruxelles – Flussi di immigrati irregolari provenienti dall’altro angolo del mondo grazie a politiche ‘generose’ in termini di concessione della cittadinanza, con documenti che agevolano l’ingresso nello spazio Schengen a russi, cinesi e iraniani. L’Unione europea vede in Vanuatu un Paese terzo che inizia a presentare “serie e carenze e falle di sicurezza” per gli interessi dell’Ue, secondo i servizi della Commissione europea, che decide di sospendere l’accordo bilaterale che abolisce l’obbligo di visto per i cittadini dell’arcipelago dell’Oceania per entrare su suolo comunitario.La decisione dell’esecutivo comunitario può sembrare ‘curiosa’. Si si dà un sguardo al mappamondo si vede che Vanuatu è assai distante dall’Europa. Situato a est dell’Australia, a sud delle isole Salomone, nel versante orientale del mar dei Coralli, Vanuatu è davvero una destinazione remota. Ma ciò non impedisce al Paese di rappresentare una minaccia in termini di immigrazione regolare e sicurezza.Quello che ravvisano a Bruxelles è una politica di concessione delle cittadinanza di Vanuatu a cittadini di altri Paesi terzi. L’acquisizione della cittadinanza implica la possibilità di poter entrare e soggiornare liberamente nell’Ue per effetto dell’accordo che non richiede il visto. Dal 2015, denuncia la Commissione, le autorità vanuatiane hanno avviato “programmi di cittadinanza per investitori che consentono ai cittadini di paesi terzi soggetti all’obbligo del visto di ottenere facilmente la cittadinanza e il passaporto di Vanuatu, consentendo loro così di ottenere l’accesso senza visto all’UE, aggirando la procedura del visto Schengen”.Una pratica che sembra studiata a tavolino, visto che questi speciali programmi non prevedono requisiti specifici minimi di residenza su almeno una delle 65 isole abitate dell’arcipelago della Melanesia. Addirittura emerge che il processo di richiesta di cittadinanza è gestito da agenzie specializzate situate fuori Vanuatu, con la Commissione che cita esplicitamente Dubai (Emirati arabi), Thailandia e Malesia. In questo gioco di ‘documenti facili’ si teme anche per le ricadute in termini di sicurezza. Nello specifico preoccupa “la legislazione permissiva sui cambi di nome, poiché il richiedente che ha ottenuto la cittadinanza per investimento può anche richiedere un cambio di identità”.A usufruire dei passaporti di Vanuatu soprattutto richiedenti cinesi, russi, iraniani, nigeriani, siriani, iracheni. L’Ue teme che il remoto Stato dell’Oceania possa operare come ‘cavallo di troia’ per potenziali spie e estremisti islamici. “Ci avvaliamo del meccanismo di sospensione dei visti per rispondere in modo efficace alle minacce alla sicurezza”, taglia corto Ylva Johannson, commissaria per gli Affari interni. Vanuatu figura già nella lista nera dell’Ue dei Paesi non collaborativi in materia di lotta all’evasione fiscale. Adesso si aggiunge il capitolo ‘passaporti facili’.

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    Dal primo luglio l’Ue imporrà pesanti dazi sull’import di cereali e derivati da Russia e Bielorussa

    Bruxelles – Nel 2023, l’Ue ha rimpinguato le casse del Cremlino con 1,3 miliardi di euro acquistando dalla Russia la cifra record di 4,2 milioni di tonnellate di cereali, semi oleosi e derivati. Dal primo luglio, la speranza di Bruxelles è dare però un taglio netto all’import da Mosca: oggi (30 maggio) il Consiglio dell’Ue ha dato il via libera all’imposizione di pesanti dazi commerciali sui prodotti agricoli che arrivano da Russia e Bielorussia.Il grano di Mosca e Minsk potrebbe arrivare a costare circa il 40 per cento in più, attraverso una tariffa fissata a 95 euro per tonnellata. I cereali – anche se il prezzo varia a seconda della qualità – costano oggi in Ue più o meno tra i 200 e i 220 euro per tonnellata. Raddoppierà invece il prezzo di semi oleosi e derivati, pellet di polpa di barbabietola (utilizzati come mangimi) e piselli secchi, su cui i 27 hanno deciso di imporre una maggiorazione del 50 per cento.La mossa del blocco – proposta dalla Commissione europea lo scorso 22 marzo – è stata concepita per prevenire eventuali attacchi ibridi da Mosca, che potrebbe utilizzare i prodotti agricoli per “invadere” e destabilizzare il mercato dell’Ue, ma anche per contrastare le esportazioni di cereali “rubati” ai territori occupati in Ucraina e rietichettati come russi. E in generale, per tagliare un’importante fonte di reddito per Mosca nel tentativo di limitare la sua capacità di finanziare la guerra contro Kiev.“Il nostro impegno per la sicurezza alimentare globale rimane fermo, garantendo che i Paesi in via di sviluppo non siano colpiti negativamente da queste misure”, assicura il vicepresidente della Commissione europea e commissario per il Commercio, Valdis Dombrovskis. Le maggiorazioni non saranno applicate infatti ai prodotti in transito verso Paesi extra-Ue, ma colpiranno solo quelli destinati al consumo nei 27 Paesi membri.Dai dazi su cereali e semi oleosi russi beneficeranno in modo indiretto gli agricoltori europei, che l’anno scorso hanno visto diminuire i prezzi a causa dell’aumento vertiginoso dell’import da Mosca. Per la Coldiretti, il via libera alle maggiorazioni “è importante per salvare le aziende agricole italiane”, dopo che nel 2023 sono entrate in Italia “quasi mezzo milione di tonnellate” di grano russo, “abbattendo fino al 60 per cento il prezzo del grano italiano”. Viceversa, Bruxelles garantisce che non esiste il rischio di un forte impatto sui prezzi per i consumatori perché, anche sommando le 4,2 milioni di tonnellate importate dalla Russia e le 610 mila tonnellate dalla Bielorussia, si parla comunque di circa l’1 per cento del totale dei cereali prodotti o importati dall’Ue.La presidenza di turno belga del Consiglio dell’Ue ha dichiarato – a margine dell’incontro tra i ministri dei 27 – che la Svezia ha suggerito di estendere i dazi ad altri prodotti made in Russia e Bielorussia. “La Commissione europea valuterà l’ipotesi – ha aperto alla possibilità Dombrovskis -, e fornirà diverse opzioni ai Paesi membri”.

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    Stoltenberg esorta i membri Nato a riconsiderare le restrizioni a Kiev sull’uso delle armi contro la Russia

    Bruxelles – La decisione è nazionale, ma il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, cerca quantomeno un coordinamento che dopo due anni di invasione russa dell’Ucraina rimane pur sempre “vitale” per Kiev. Al centro del vertice informale dei ministri degli Affari esteri in programma tra oggi e domani (30-31 maggio) a Praga c’è inevitabilmente il tema delle condizionalità sull’invio di armi all’Ucraina in merito alla possibilità di colpire obiettivi militari su territorio russo. “Credo che sia giunto il momento di considerare alcune di queste restrizioni per consentire agli ucraini di difendersi davvero”, è l’esortazione del segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg (30 maggio 2024)Dopo aver già anticipato martedì (28 maggio) a margine della riunione dei ministri Ue della Difesa l’intenzione di spingere i 32 membri dell’Alleanza a “sostenere l’Ucraina nel suo diritto internazionale di difendersi“, il segretario generale Stoltenberg ha chiarito oggi durante la conferenza sui 75 anni della Nato i motivi che dovrebbero convincere gli alleati a coordinarsi meglio su questo tema: “Le restrizioni sulle armi consegnate all’Ucraina sono decisioni nazionali, ma alla luce di come la guerra è evoluta negli ultimi mesi, penso che possiamo riconsiderare le restrizioni“, incluse quelle legate al “colpire obiettivi militari appena oltre il confine”.Da sinistra: il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, e il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, al vertice Nato di Vilnius (12 luglio 2023)Rispetto all’inizio della guerra, “quando quasi tutti i combattimenti avevano luogo in profondità sul territorio ucraino”, la situazione nelle ultime settimane è cambiata con l’intensificarsi dei combattimenti soprattutto nella regione di Kharkiv, al confine tra Russia e Ucraina: “Vediamo che i russi possono stare sul loro lato del confine con una visione che è più o meno la stessa della linea del fronte“, ha spiegato Stoltenberg, citando “artiglieria, lanciamissili e aerei per munizioni e carburante” che sul territorio russo sono “più sicuri” di quanto sarebbero al fronte in Ucraina, in quel caso attaccabili senza alcuna restrizione “con le armi più avanzate che l’Ucraina ha ricevuto” dagli alleati. In altre parole, la Russia ora può permettersi di bombardare l’Ucraina oltre confine con lo stesso grado di precisione, ma Kiev non può quasi più rispondere agli attacchi in quanto rischierebbe di vedere tagliati i rifornimenti dalla Nato.È per questa ragione che al vertice ministeriale informale Nato il segretario generale Stoltenberg spingerà per convincere tutti gli alleati che “il diritto all’autodifesa comprende anche la possibilità di colpire obiettivi militari legittimi al di fuori dell’Ucraina, appena oltre il confine con il territorio russo”. Anche perché Kiev “può ancora vincere, ma serve un sostegno solido e continuo da parte della Nato”, ha continuato il suo appello ai 32 alleati. L’obiettivo è arrivare al vertice Nato in programma a Washington tra il 9 e l’11 luglio con una proposta per un sostegno “su basi più solide, anche con un maggiore ruolo nel coordinamento dell’assistenza alla sicurezza e dell’addestramento” e con un impegno finanziario “per più tipologie di aiuti”.Da sinistra: il presidente francese, Emmanuel Macron, e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, il 28 maggio a Dresda (credits: Ludovic Marin / Pool / Afp)Intanto l’esortazione di Stoltenberg può contare su due membri di peso all’interno dell’Alleanza, la Francia di Emmanuel Macron e la Germania di Olaf Scholz, che hanno resa nota martedì la posizione favorevole a “consentire all’Ucraina di neutralizzare le basi da cui partono i razzi”. Rimane invece fortemente contraria l’Italia, il cui vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha messo in chiaro a margine del Consiglio Affari Esteri di lunedì (27 maggio) che “tutto il materiale militare che inviamo in Ucraina deve essere utilizzato per proteggersi all’interno del territorio ucraino”. Tajani ha ricordato che “noi non siamo in guerra con la Russia” e non ha risparmiato una critica alle parole di Stoltenberg, sostenendo che “a volte serve un po’ più di prudenza”. Tra oggi e domani i due avranno l’occasione di confrontarsi direttamente, per tentare di risolvere una delle questioni più urgenti al momento per la difesa ucraina dall’avanzata russa.

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    Ue, la condanna di 14 attivisti pro-democrazia a Hong Kong “un ulteriore deterioramento delle libertà fondamentali”

    Bruxelles – L’Ue “profondamente preoccupata” per il verdetto emesso questa mattina (30 maggio) nell’ambito del maxi-processo rinominato “Hong Kong 47”, in cui la giuria selezionata dal governo della Regione speciale ha condannato 14 delle 16 persone che si erano dichiarate non colpevoli nel gruppo di 47 attivisti democratici accusati di aver organizzato le elezioni primarie non ufficiali nel luglio 2020. Le altre due sono state assolte.I 14 sono stati ritenuti colpevoli di “cospirazione per sovvertire il potere statale”, ai sensi della legge sulla sicurezza nazionale (NSL) imposta dal governo di Pechino. Il processo, durato 10 mesi, si è concluso a dicembre, più di mille giorni dopo i primi arresti. Gli altri 31 – che si sono dichiarati colpevoli – stanno ancora aspettando l’esito dei loro casi. Le primarie pre-elettorali incriminate, che si sono tenute l’11 e il 12 luglio 2020, non sono state le prime primarie della storia di Hong Kong, ma sono avvenute a meno di due settimane dall’introduzione della legge voluta da Pechino per aiutare le autorità di Hong Kong a reprimere quel che restava del movimento pro-democrazia dopo le proteste di massa del 2019. E che, secondo il rapporto annuale della Commissione europea sullo status dell’ex colonia britannica relativo al 2021, ha impresso una decisa svolta autoritaria e avvicinato Hong Kong alle politiche della Cina.I giudici hanno deliberato che il piano dell’opposizione democratica di Hong Kong per ottenere la maggioranza nel Consiglio legislativo – al fine di bloccare i disegni di legge di bilancio e costringere alle dimissioni il capo dell’esecutivo se non avesse accettato le richieste del movimento pro-democrazia – costituiscono una violazione della Legge fondamentale di Hong Kong. Per la Corte qualsiasi atto che possa “interferire seriamente, interrompere o minare i compiti e le funzioni del governo è chiaramente un atto che mette in pericolo la sicurezza nazionale di Hong Kong”.In un comunicato, la portavoce del Servizio Europeo di Azione Esterna (Seae), Nabila Massrali, ha dichiarato che la sentenza “segna un ulteriore deterioramento delle libertà fondamentali e della partecipazione democratica a Hong Kong”. Secondo l’Ue, gli imputati sono stati condannati “per un’attività politica pacifica che dovrebbe essere legittima in qualsiasi sistema politico che rispetti i principi democratici fondamentali”. E in effetti il tribunale di West Kowloon ha stabilito un precedente significativo, ritenendo che un atto non violento – come le elezioni primarie – costituisca una sovversione secondo la legge sulla sicurezza nazionale.Il caso “mette anche in discussione l’impegno di Hong Kong per l’apertura e il pluralismo, che sono state le pietre miliari dell’attrattiva della città come centro commerciale e finanziario internazionale”, prosegue il comunicato del Seae. Bruxelles promette infine che “continuerà a monitorare da vicino la situazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali a Hong Kong”.

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    Slitta l’ok all’apertura dei negoziati di adesione all’Ue per l’Ucraina. L’Ungheria si mette ancora di traverso

    Bruxelles – Fumata nera al Comitato dei rappresentanti permanenti dei Paesi Ue sul via libera all’apertura dei negoziati di adesione per Ucraina e Moldova. Come confermano diverse fonti Ue, a bloccare il testo su Kiev è stata l’Ungheria di Viktor Orbán, chiedendo “ancora modifiche e aggiunte significative” per poter dare il via libera. L’obiettivo di Bruxelles resta tenere le prime conferenze intergovernative con i candidati all’ingresso nell’Unione entro fine giugno. E il punto tornerà “molto probabilmente” al Coreper già la prossima settimana.Dopo diverse ore di “ampio dibattito in merito ai quadri negoziali di Moldova e Ucraina”, fonti dell’Ue parlano di un “grande sostegno” per i quadri negoziali proposti dalla Commissione europea. Un sostegno maturato durante i colloqui tra gli ambasciatori: prima dell’incontro, “alcuni Stati membri avevano ancora una serie di riserve, che sono state quasi tutte sciolte per poter procedere rapidamente”. D’accordo per procedere sia per Kiev che per Chisinau, diversi governi hanno comunque sottolineato “l’importanza di procedere con i Paesi meritevoli dei Balcani occidentali” (Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia hanno già iniziato i negoziati di adesione). A quanto si apprende, è questa la posizione sostenuta oggi dall’Italia, “a favore dell’avanzamento del percorso europeo dell’Ucraina e della Moldova anche come finestra di opportunità per far procedere anche i Paesi dei Balcani occidentali”, che hanno “legittime aspettative da lungo tempo” verso l’adesione.Volodymir Zelensky e Viktor Orban a BruxellesCome conferma la fonte, sul quadro negoziale per la Moldova sarebbe filato tutto liscio, ma Budapest ha confermato un’altra volta il suo ostruzionismo verso l’adesione di Kiev al blocco, una saga che va avanti da quando – nel giugno 2022 – l’Ue aveva concesso lo status di Paese candidato all’Ucraina. L’Ungheria chiede risposte alle proprie preoccupazioni per quanto riguarda “i diritti delle minoranze nazionali” in Ucraina e vuole maggiori rassicurazioni sul “commercio, la lotta alla corruzione, l’agricoltura, il funzionamento del mercato unico, le relazioni di buon vicinato” con Kiev. Senza tutta questa serie di garanzie – alcune “già accolte” dalla Presidenza belga del Consiglio dell’Ue – Budapest non potrà dare il proprio sostegno al testo. Che è fondamentale per raggiungere l’unanimità necessaria a procedere.Il dossier tornerà ora in cantiere a livello tecnico, con la speranza di poterlo ripresentare sul tavolo degli ambasciatori Ue già la prossima settimana e ottenere il semaforo verde. La data segnata sul calendario di Bruxelles per l’approvazione definitiva dei quadri negoziali si avvicina: il 25 giugno, quando si riunirà il prossimo Consigli Affari Generali, responsabile per la decisione (all’unanimità) sul via libera alle conferenze intergovernative con i candidati all’ingresso nell’Ue.Come ammesso già al termine del vertice dei leader del 21 marzo dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, la speranza di Bruxelles è riuscire a chiudere la questione sotto la presidenza belga. Perché, dal primo luglio, alla guida semestrale del Consiglio dell’Ue siederà proprio Budapest, che avrà la facoltà di definire calendari e temi in agenda delle riunioni dei ministri nelle diverse composizioni del Consiglio. E dunque, avrebbe gioco facile a rimandare il più possibile l’adozione dei quadri negoziali per l’adesione di Kiev. Ma c’è anche un’altra ragione per procedere con urgenza: per l’Ue è più che mai importante inviare un chiaro messaggio di incoraggiamento ai due candidati nel più ampio contesto dell’aggressione russa all’Ucraina.

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    McGuinness: “La Russia usa navi ombra per aggirare le sanzioni sul petrolio”

    Bruxelles – Il petrolio russo venduto a dispetto della sanzioni dell’Ue, grazie a navi ombra, o fantasma, non ufficialmente russe ma riconducibili alla Federazione russa, per conto di cui fanno affari. L’Unione europea deve fare i conti con una flotta di petroliere difficile da identificare, eppure reale. A riconoscere il fenomeno è Mairead McGuinness, commissaria per i Servizi finanziari, nella risposta all’interrogazione parlamentare in materia. Sì, ammette McGuinness, “la Russia sta utilizzando una flotta ombra di vecchie petroliere per trasportare il suo petrolio nel tentativo di eludere le sanzioni dell’Ue e il tetto massimo del prezzo del petrolio del Gruppo dei Sette (G7)”.Si tratta di imbarcazioni che non risultano di proprietà russa, spesso intestate a società di comodo con sede in qualche Paese terzo, e usate da operatori che lavorano per conto del Cremlino. Cambiano spesso bandiera, nome e proprietario, navigano senza assicurazione e nascondono regolarmente la loro posizione spegnendo il transponder risultando così invisibili ai radar. Questo è il fenomeno contro cui l’Ue deve fare i conti. Con un diritto internazionale che offre porti sicuri alle attività russe in chiave anti-sanzioni.La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare garantisce alle navi il diritto di passaggio inoffensivo, ovvero il diritto di navigare liberamente attraverso i mari territoriali. Non si può fare porto, ma si può transitare. Ciò significa che “impedire alle navi della flotta ombra di entrare nelle acque territoriali o nella zona economica esclusiva pone sfide significative”, riconosce ancora McGuinness. Fermo restando che l’esecutivo comunitario non può fare niente, visto che “dell’attuazione e applicazione delle sanzioni dell’Ue sono responsabilità degli Stati membri”. Il problema delle navi ombra si aggiunge alle pratiche illecite in acque internazionali, dove petrolio russo viene trasferito da una petroliera all’altra per aggirare sanzioni. Una delle prime trovate del presidente russo Vladimir Putin per farsi beffe delle restrizioni a dodici stelle. L’Ue continua a dare una mano agli Stati membri, “anche con l’assistenza dell’Agenzia europea per la sicurezza marittima (Emsa), nel monitorare eventuali navi sospette”, assicura McGuinness. Ma le maglie europee sono tutt’altro che strette, e il Cremlino continua a fare cassa con il suo greggio.