More stories

  • in

    L’Ue saluta la caduta della dittatura in Siria: “Opportunità di libertà e pace”

    Bruxelles – L’Unione europea sorride alla fine del regime di Bashar al-Assad, rovesciato con un’improvvisa offensiva di dodici giorni da gruppi di ribelli guidati dalla milizia islamista, Hay’at Tahrir al-Sham (HTS). E con una buona dose di ottimismo, i leader delle istituzioni Ue parlano di “un’opportunità di libertà e pace” per la Siria. “Non priva di rischi”, avverte Ursula von der Leyen.La clamorosa caduta di Assad e la sua fuga a Mosca, che mette fine ad una dinastia sanguinaria di oltre mezzo secolo, è avvenuta per mano di HTS e da una serie di gruppi armati riuniti sotto il nome di Esercito Nazionale Siriano. Il leader di HTS, Abu Mohammed al-Jolani, ha incaricato l’ex primo ministro Mohammed Ghazi al-Jalali di supervisionare le istituzioni statali e garantire la continuità dei servizi sociali fino alla fine del periodo di transizione. Sulla rete televisiva nazionale, domenica pomeriggio (8 dicembre) un portavoce dei ribelli ha dichiarato: “A coloro che hanno scommesso su di noi e a coloro che non l’hanno fatto, a coloro che un giorno hanno pensato che fossimo distrutti, vi annunciamo la vittoria della grande rivoluzione siriana dopo 13 anni di pazienza e sacrificio”.Profughi siriani in un campo nel sud della TurchiaTredici anni di atroce guerra civile, durante i quali sono state uccise almeno 300 mila persone e 100 mila sono scomparse. Metà del Paese – circa 12 milioni di persone – è stata sfollata dalle proprie case e circa 5,4 milioni hanno cercato rifugio all’estero. La maggior parte nei Paesi vicini, Turchia, Libano e Giordania, ma secondo le stime dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), i Paesi europei ospitano oltre un milione di richiedenti asilo siriani.Anche per questo motivo sulle due sponde dell’Atlantico, le reazioni sono differenti. A Washington, dove il gruppo islamista una volta noto con il nome di Fronte al-Nusra è considerato un’organizzazione terroristica, il presidente uscente Joe Biden ha avvertito che gli Usa “non permetteranno all’Isis di ristabilire le proprie capacità in Siria“. Il suo omologo eletto, Donald Trump, si è sfilato senza tanti giri di parole: “Gli Stati Uniti non dovrebbero avere nulla a che fare con questo. Questa non è la nostra guerra, lasciate che si svolga“, ha dichiarato in un post sul suo account X il prossimo inquilino della Casa Bianca.A Bruxelles, la preoccupazione è palpabile e i commenti sono più cauti. I leader Ue provano a lanciare un segnale ad al-Jolani, gli tendono la mano. “L’Europa è pronta a sostenere la salvaguardia dell’unità nazionale e la ricostruzione di uno Stato siriano che protegga tutte le minoranze”, ha affermato Ursula von der Leyen. “L’Ue è pronta a collaborare con il popolo siriano per un futuro migliore”, le ha fatto eco il neo presidente del Consiglio europeo, António Costa. Per Kaja Kallas, subentrata a Josep Borrell nel ruolo di Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, “la fine della dittatura di Assad è uno sviluppo positivo e atteso da tempo”, che “mostra anche la debolezza dei sostenitori di Assad, Russia e Iran“. In una nota a nome dell’Ue, Kallas ha esortato “tutti gli attori a evitare ulteriori violenze, a garantire la protezione dei civili e a rispettare il diritto internazionale, compreso il diritto umanitario internazionale”.The cruel Assad dictatorship has collapsed.This historic change in the region offers opportunities but is not without risks.Europe is ready to support safeguarding national unity and rebuilding a Syrian state that protects all minorities.We are engaging with European and…— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) December 8, 2024In un Medio Oriente logorato da tensioni locali e regionali, sui quali il conflitto tra Israele e Hamas ha funzionato come benzina sul fuoco, il timore principale dei Paesi europei è il rischio della ‘cancrenizzazione’ di una catastrofe umanitaria iniziata con l’arrivo del terzo millennio e mai realmente interrotta. Di fronte all’escalation tra Israele ed Hezbollah in Libano e alle potenziali conseguenze sulla gestione dei profughi siriani nel sud del Paese, negli scorsi mesi Bruxelles si era messa al lavoro per ipotizzare una pragmatica revisione della Strategia Ue sulla Siria, con l’obiettivo di creare le condizioni per il “rimpatrio sicuro, volontario e dignitoso” dei rifugiati siriani. Ma senza “legittimare in alcun modo il regime” di Assad.Il leader di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), Abu Mohammed al-Jolani, tiene un discorso a Damasco, 8/12/2024 (Photo by Aref TAMMAWI / AFP)Il golpe dei ribelli islamisti a Damasco cambia tutto, e i leader europei osservano con attenzione se al-Jolani manterrà le sue promesse di una transizione pacifica. In passato la milizia HTS è stata affiliata ad al-Qaeda, per poi prenderne le distanze nel 2016. È attualmente la fazione ribelle più potente in Siria e – prima dell’offensiva che ha rovesciato Assad – controllava già un vasto territorio nella provincia di Idlib, al confine con la Turchia. Nell’area sono state denunciate gravi violazioni di diritti umani, tra cui le esecuzioni di persone accusate di affiliazione a gruppi rivali e per accuse di blasfemia e adulterio.In un comunicato pubblicato nella giornata di ieri, l’ong Human Rights Watch ha ricordato a tutti che “anche i gruppi armati non statali che operano in Siria, tra cui Hay’at Tahrir al Sham e le fazioni dell’Esercito nazionale siriano che hanno lanciato l’offensiva del 27 novembre, sono responsabili di violazioni dei diritti umani e crimini di guerra“. Insomma, non è detto che la Siria del dopo Assad sia il ‘Paese sicuro’ che le capitali europee vorrebbero, in modo da poter facilitare un rientro in patria dei milioni di profughi della guerra civile. Ne è consapevole il ministro degli Esteri francese, Jean-Noel Barrot, che in un intervento su France Info ha assicurato che il sostegno della Francia alla transizione politica in Siria “dipenderà dal rispetto dei diritti delle donne, delle minoranze e del diritto internazionale“.Sui possibili rientri di profughi siriani che la caduta di Assad potrebbe innescare, il portavoce del Servizio Ue per l’Azione esterna, Anouar El Anouni, ha dichiarato: “Spetterà a ogni individuo e a ogni famiglia decidere cosa desidera fare, tuttavia, per il momento, sosteniamo, in linea con l’Unhcr, che non ci sono le condizioni per rimpatri sicuri, volontari e dignitosi in Siria“.

  • in

    Tra proteste e repressione continua la spirale di violenze in Georgia

    Bruxelles – Anziché diminuire, le tensioni in Georgia stanno salendo ogni giorno di più e non si intravede all’orizzonte uno spiraglio per ricomporle pacificamente. Mentre le proteste di piazza entrano nel loro ottavo giorno consecutivo, la violenza è in aumento sia dalla parte dei manifestanti sia, soprattutto, da parte degli apparati di sicurezza che stanno continuando a rispondere in maniera sproporzionata con la copertura del governo. L’episodio più eclatante è stato l’aggressione fisica nei confronti di uno dei leader dell’opposizione parlamentare, Nika Gvaramia, poi arrestato e portato via dalla polizia in stato di incoscienza. Il mediatore civico nazionale ha definito “sconcertanti” i comportamenti delle forze dell’ordine e ha accostato il trattamento dei detenuti ad atti di tortura.L’aggressione a Nika GvaramiaDurante le manifestazioni di ieri (4 dicembre) nella capitale Nika Gvaramia, uno dei leader di Coalizione per il cambiamento (Cfc), un’alleanza elettorale che riunisce diversi partiti di opposizione presentatisi uniti alle urne lo scorso 26 ottobre contro Sogno georgiano (il partito di governo al potere dal 2012), è stato aggredito fisicamente dalla polizia, che – almeno a quanto si vede nei filmati girati sul momento – lo ha gettato violentemente a terra per poi procedere con quello che ha tutta l’aria di un pestaggio.Nelle immagini concitate disponibili online si vede Gvaramia discutere animatamente con le forze dell’ordine, probabilmente lamentandosi dei raid nei locali dei partiti dell’opposizione, finché l’alterco verbale degenera in un attacco nei suoi confronti. Il leader 48enne di Ahali (“nuovo” in georgiano), un partito liberale confluito lo scorso luglio nella Cfc, viene strattonato dai poliziotti che, agguantatolo e scaraventatolo su un marciapiede, vengono poi immortalati mentre lo colpiscono ripetutamente con calci e pugni. Altri fotogrammi ritraggono le forze dell’ordine trasportare Gvaramia di peso, mentre questi appare privo di coscienza, verso un’automobile e allontanarsi con lui a bordo dopo averlo tratto in arresto.Footage – @NikaGvaramia212, one of our Coalition leaders, was dragged by the police and thrown into a detention car after getting physically assaulted and falling unconscious.He verbally insisted to be allowed into the search of our members parties’ office, as he’s a lawyer. pic.twitter.com/U5yTCGZqPo— Coalition 4 Change (@CoalitionGEO) December 4, 2024Non si tratta certo del primo arresto in quest’ultima, tesa fase delle proteste antigovernative che da oltre un mese stanno scuotendo la nazione caucasica – i fermi sono già arrivati a quota 300 – né di un’istanza isolata di violenza e di uso sproporzionato della forza da parte degli apparati di sicurezza georgiani. Tra gli arrestati delle ultime ore c’è anche un altro leader dell’opposizione, Aleko Elisashvili, insieme ad almeno altri sei politici appartenenti a partiti critici contro il governo, mentre sarebbe stato detenuto anche uno dei capi del movimento giovanile di protesta Dafioni.Maltrattamenti dei detenutiIl mediatore civico georgiano Levan Ioseliani ha dichiarato di aver visitato almeno 260 manifestanti, tra centri di detenzione e cliniche mediche, sottolineando che “188 di loro hanno denunciato maltrattamenti da parte della polizia” e che “i metodi usati dalle forze dell’ordine nell’arrestare i cittadini sono sconcertanti”.“Un numero allarmante di detenuti denuncia pestaggi e maltrattamenti”, ha spiegato, aggiungendo che “molti di loro hanno riportato ferite gravi al volto, agli occhi e alla testa, il che porta ad escludere l’eventualità che la polizia abbia utilizzato una forza proporzionata contro di loro ogni volta”. Le evidenze, ha concluso, portano a ritenere “che la polizia stia ricorrendo a metodi violenti contro i cittadini allo scopo di punirli”, e ha ricordato che “la violenza severa e intenzionale con intenti punitivi costituisce un atto di tortura”.Proteste ad alta tensioneDa giorni, le manifestazioni scatenate dalla decisione del governo di sospendere i negoziati di adesione all’Ue fino al 2028 stanno venendo represse dai reparti antisommossa della polizia con proiettili di gomma, granate stordenti e idranti. Dal ministero dell’Interno fanno sapere che almeno sette persone sono state arrestate con l’accusa di guidare violenze organizzate, un crimine per il quale sono previsti fino a nove anni di carcere, e che durante le perquisizioni in alcune abitazioni private sono stati rinvenuti fucili ad aria compressa, fuochi artificiali (che i manifestanti impiegano contro la polizia in risposta agli idranti e le granate nella guerriglia urbana) e delle bombe Molotov.Manifestanti con le bandiere della Georgia e dell’Ue fuori del Parlamento nazionale a Tbilisi, il 5 dicembre 2024 (foto: Karen Minasyan/Afp)Le autorità georgiane hanno accusato i manifestanti di complottare per il sovvertimento dell’ordine pubblico, con l’intenzione di mettere in scena un colpo di Stato sulla falsariga delle proteste ucraine dell’Euromaidan, che hanno insanguinato Kiev tra il novembre 2013 e il febbraio 2014 e hanno portato alla cacciata del presidente filorusso Viktor Janukovyc e, successivamente, all’annessione unilaterale della Crimea da parte di Mosca e all’inizio della guerra nel Donbass.Del resto, le azioni delle forze dell’ordine continuano a essere coperte dalla compiacenza del governo: “Non la chiamerei repressione, è più che altro prevenzione” ha dichiarato il premier Irakli Kobakhidze, che si è complimentato con la gestione delle proteste da parte della polizia. Il primo ministro ha suggerito, senza fornire prove, che siano i partiti dell’opposizione – i quali stanno boicottando il nuovo Parlamento, rifiutando di prendere parte ai lavori dell’Aula – a rifornire i manifestanti di “materiale pirotecnico e altri mezzi” con cui attaccare la polizia.

  • in

    Amnesty International: Israele sta commettendo un genocidio a Gaza

    Bruxelles – Dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023, Israele “ha scatenato l’inferno e la distruzione sui palestinesi di Gaza in modo sfacciato, continuo e nella più totale impunità”. Amnesty International ha pubblicato oggi (5 dicembre) un rapporto in cui sostiene che Israele ha commesso e continua a commettere un genocidio nella Striscia di Gaza. Confermando le accuse già formulate mesi fa dalla relatrice speciale dell’Onu per i diritti umani nei territori palestinesi occupati, Francesca Albanese.Un tassello in più che si aggiunge all’orrore ampiamente documentato della controffensiva israeliana nell’enclave palestinese. Non solo crimini di guerra e contro l’umanità, di cui sono stati accusati dalla Corte Penale Internazionale il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex ministro per la Difesa Yoav Gallant. Dopo aver esaminato nel dettaglio le violazioni compiute da Israele nell’enclave palestinese tra l’ottobre 2023 e il luglio 2024, intervistato 212 persone a Gaza, analizzato prove visive e digitali e le dichiarazione di alti funzionari governativi e militari israeliani, Amnesty International “ha trovato basi sufficienti” per concludere che quello in corso a Gaza è un vero e proprio genocidio.Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant, soggetti ad un mandato di arresto internazionale emesso dalla Cpi (Photo by Abir SULTAN / POOL / AFP)“Mese dopo mese, Israele ha trattato i palestinesi di Gaza come un gruppo subumano indegno di diritti umani e dignità, dimostrando il suo intento di distruggerli fisicamente”, ha commentato Agnès Callamard, segretario generale di Amnesty International, secondo cui i risultati “sconvolgenti” contenuti nel rapporto “devono servire da campanello d’allarme” per una comunità internazionale impotente di fronte alla tragedia di Gaza. Callamard ha sottolineato – in linea con le osservazioni della Corte Internazionale di Giustizia relative all’accusa di genocidio formulata dal Sudafrica ad Israele – che “gli Stati che continuano a trasferire armi a Israele stanno violando il loro obbligo di prevenire il genocidio e rischiano di diventarne complici”.I dati citati nel rapporto sono quelli che le Agenzie delle Nazioni Unite presenti sul territorio riportano ogni settimana nei loro bollettini. Secondo l’Ufficio dell’Onu per il Coordinamento degli Affari Umanitari (Ocha-Opt), si parla di almeno 44.502 palestinesi uccisi e 105.454 feriti dal 7 ottobre 2023. Nell’ultima settimana – dal 26 novembre al 3 dicembre – i bombardamenti israeliani avrebbero causato altre 253 vittime e 708 feriti. Va sottolineato che il rapporto di Amnesty International è stato redatto prendendo in considerazione gli eventi fino a luglio 2024, ed esclude quindi la terribile offensiva che l’esercito israeliano ha lanciato ad ottobre sul Nord di Gaza, sotto assedio permanente e dove l’assistenza umanitaria “è stata in gran parte negata per circa 60 giorni, lasciando tra le 65 mila e le 75 mila persone senza accesso a cibo, acqua, elettricità o assistenza sanitaria affidabile”.La distruzione deliberata e indiscriminata di intere città, infrastrutture critiche, terreni agricoli, siti culturali e religiosi, ha “reso inabitabili ampie zone di Gaza”. Ed è stata spesso preceduta da “funzionari che ne hanno sollecitato l’attuazione”. Amnesty ha esaminato 102 dichiarazioni rilasciate da funzionari governativi e militari israeliani che “disumanizzavano i palestinesi, invocavano o giustificavano atti di genocidio o altri crimini contro di loro”. Un linguaggio condiviso e rilanciato anche dai soldati israeliani sul campo, come dimostrano diversi contenuti audiovisivi che mostrano militari che celebrano la distruzione di case, moschee, scuole e università palestinesi.Una donna palestinese, sfollata da Beit Lahia, arriva a Jabalia nel nord della Striscia di Gaza, 4/12/24 (Photo by Omar AL-QATTAA / AFP)Amnesty International si è concentrata su 15 attacchi aerei israeliani, che hanno ucciso almeno 334 civili, tra cui 141 minori, e ferito centinaia di altri. E per nessuno di questi raid ha trovato prove che fossero diretti ad obiettivi militari. Il rapporto ha identificato uno schema ricorrente nell’azione genocidaria di Israele: il danneggiamento e la distruzione di infrastrutture vitali, l’uso ripetuto di ordini di “evacuazione” di massa, arbitrari e confusi, per sfollare con la forza quasi tutta la popolazione di Gaza, la negazione e l’ostruzione della fornitura di servizi essenziali, di assistenza umanitaria e di altri rifornimenti salvavita a Gaza e al suo interno. Israele ha sfollato quasi 1,9 milioni di palestinesi – il 90 per cento della popolazione di Gaza – in sacche di terra sempre più piccole e insicure, in condizioni disumane.“Chiediamo all’Ufficio del Procuratore della Corte penale internazionale (Cpi) di prendere urgentemente in considerazione l’aggiunta del genocidio all’elenco dei crimini su cui sta indagando e a tutti gli Stati di utilizzare ogni via legale per assicurare i responsabili alla giustizia”, conclude il rapporto di Amnesty International. Un appello rivolto anche a Bruxelles, dove regna il silenzio dopo l’avvicendamento tra Josep Borrell e Kaja Kallas a capo della politica estera dell’Ue, e alle capitali dei 27, troppo prudenti finora nel confermare la propria lealtà al Tribunale de l’Aia e al mandato d’arresto per il primo ministro di Israele.

  • in

    Meno parole, più armi. La Nato promette nuovi aiuti a Kiev per rinforzarla in vista dei negoziati

    Bruxelles – Meno discussioni sul processo di pace e più aiuti militari. È questo il messaggio che il nuovo segretario generale della Nato, l’ex premier olandese Mark Rutte, ha portato al quartier generale dell’Alleanza nordatlantica a Bruxelles circa la guerra in Ucraina. Esprimendo una posizione condivisa da diversi Stati membri – e da Kiev – il leader dell’organizzazione ha spiegato per l’ennesima volta come rinforzare le forze armate ucraine sia l’unico modo per consentire al Paese aggredito di negoziare una “pace giusta”. Ma sui contorni che tale pace potrebbe avere, inclusa la spinosa questione dell’adesione di Kiev alla Nato, nessuno ancora si sbilancia.Corsa contro il tempoSi è aperta oggi (3 dicembre) la due giorni in cui, al quartier generale della Nato a Bruxelles, si riuniscono i ministri degli Esteri dei 32 Stati membri per discutere di Ucraina e Medio Oriente. Parteciperà al meeting anche l’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas, che nel suo primo giorno in carica (il primo dicembre scorso) si è recata a Kiev per dimostrare tangibilmente il proprio sostegno al Paese aggredito dalla Russia di Vladimir Putin.Si tratterà invece dell’ultima riunione cui partecipa Antony Blinken in quota Usa, dato l’imminente insediamento di Donald Trump il prossimo 20 gennaio. E del resto quella di oggi e domani ha tutto il sapore di una corsa contro il tempo per garantire che Kiev “abbia ciò di cui ha bisogno” (Blinken dixit) per resistere all’aggressione dell’esercito di Mosca prima che alla Casa Bianca torni il tycoon newyorkese, il quale ha millantato di poter porre fine al conflitto nel giro di 24 ore.Il segretario di Stato statunitense Antony Blinken e il ministro degli Esteri ucraino Andriy Sybiha firmano un memorandum d’intesa al quartier generale della Nato a Bruxelles, il 3 dicembre 2024 (foto: Yves Herman/Afp)“Più armi, meno discussioni”Nessuno conosce ancora il piano di Trump, ma i critici del presidente-eletto temono che forzare l’Ucraina al tavolo negoziale ora che la situazione sul campo volge a favore della Russia significhi costringere l’ex repubblica sovietica ad una pace ingiusta, le cui condizioni verrebbero dettate dal Cremlino. A Bruxelles si vuole scongiurare un esito di questo genere.“Credo che l’Ucraina non abbia bisogno di ulteriori idee su come potrebbe essere un processo di pace”, ha spiegato Rutte ai giornalisti, ma di “più aiuti militari”. “Potremmo sederci a bere una tazza di caffè e discutere dei molti modi” in cui si potrebbero interrompere le ostilità, ha continuato, ma sarebbe piuttosto il caso di “assicurarci che l’Ucraina abbia tutto quello che le serve per essere in una posizione di forza quando partiranno i colloqui di pace, quando il governo ucraino avrà deciso di essere pronto ad agire in questo senso”.Il segretario Nato ha accolto con favore la notizia che Estonia, Germania, Lituania, Norvegia, Stati Uniti e Svezia hanno aumentato gli aiuti militari a Kiev, ma ha sottolineato che “tutti dobbiamo fare di più”. Il titolare della Farnesina Antonio Tajani ha confermato che l’Italia continua “a sostenere l’Ucraina da tutti i punti di vista: politico, finanziario, economico, militare” e che per quanto riguarda la difesa aerea “abbiamo fatto tutto ciò che potevamo” per aiutare il Paese aggredito a difendersi.Le difficoltà al fronteSul terreno, intanto, l’inerzia sta favorendo le truppe di Mosca. Oggi il fronte “si muove lentamente verso ovest, non verso est”, ha riconosciuto il leader dell’Alleanza, pur “con molte perdite sul lato russo”, qualcosa come 700mila vittime tra morti e feriti gravi. Il tutto mentre nell’oblast’ di Kursk sono ormai ampiamente operativi i soldati d’elite nordcoreani, che rappresentano secondo Rutte una “enorme escalation” del conflitto.Il presidente russo Vladimir Putin (foto: Gavriil Grigorov/Afp via Sputnik)“Sappiamo che la situazione sul campo di battaglia è difficile e dobbiamo fare tutto il possibile per far arrivare più munizioni ed equipaggiamento” all’Ucraina, ha continuato, “soprattutto ora che sta arrivando l’inverno” e gli attacchi russi si intensificano ai danni delle infrastrutture energetiche. Lo stesso ministro degli Esteri di Kiev, Andriy Sybiha, ha chiesto ai membri Nato l’invio di almeno una ventina di nuovi sistemi di difesa antiaerea per contrastare gli attacchi missilistici del nemico.Kiev nella Nato?Se l’invio di armi occidentali può tenere in vita la resistenza ucraina sul breve periodo, almeno fino all’avvio dei negoziati di pace, la stabilizzazione a lungo termine di quel pezzo d’Europa orientale avrà però bisogno di credibili garanzie di sicurezza. “L’unica vera garanzia di sicurezza per l’Ucraina, così come un deterrente contro ulteriori aggressioni russe contro l’Ucraina ed altri Stati, è la piena adesione dell’Ucraina alla Nato”, ha ribadito il ministero degli Esteri di Kiev in una nota, in cui si legge che “con l’amara esperienza del memorandum di Budapest alle nostre spalle, non accetteremo alcuna alternativa, surrogato o sostituto” di un ingresso a pieno titolo nell’Alleanza nordatlantica. Il riferimento è al patto, siglato il 5 dicembre 1994 tra Mosca e Kiev, tramite il quale l’Ucraina cedette alla Russia le sue testate nucleari in cambio di garanzie di sicurezza da parte del Cremlino.Il comunicato riprende le osservazioni fatte lo scorso weekend dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky, in cui per la prima volta ha ammesso che le forze armate di Kiev “non hanno la forza” per riconquistare militarmente le regioni occupate dai russi e che andranno trovate “soluzioni diplomatiche”. A oltre due anni e mezzo dall’inizio dell’invasione su larga scala, Zelensky ha fatto una parziale marcia indietro sulla posizione tenuta fin qui, aprendo all’eventualità di negoziare la restituzione di una parte dei territori sotto occupazione anziché insistere sulla loro liberazione con le armi.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (foto: Sergei Supinsky/Afp)Ma, questo il ragionamento, per poter negoziare tale restituzione occorre avere forza al tavolo delle trattative, e per avere forza serve rispondere colpo sul colpo sul campo di battaglia. Dunque servono gli aiuti occidentali e serve anche, al più presto, che la Nato si assuma la responsabilità di garantire la sicurezza di Kiev non appena cesseranno i combattimenti.Non così in frettaUn’eventualità definita “inaccettabile” e addirittura un “evento minaccioso” dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, per il quale “la sicurezza di un Paese non può essere garantita a spese della sicurezza di un altro Paese” – un principio che la stessa Russia ha violato nel febbraio 2022 invadendo l’Ucraina. L’ingresso dell’ex repubblica sovietica nella Nato, ha incalzato, “sarebbe un evento che ci minaccerebbe” e soprattutto “non eliminerebbe le cause profonde di quello che sta succedendo” da oltre due anni e mezzo.Lo stesso Rutte non vuole lasciare spazio alle speculazioni. L’Ucraina, sembra voler rassicurare Mosca, non aderirà in tempi brevi all’Alleanza. I membri di quest’ultima, ha confermato, “concordano sul fatto che il futuro dell’Ucraina è nella Nato”, sul “percorso irreversibile” di Kiev verso l’ingresso nell’organizzazione. “Ma penso che dobbiamo concentrarci molto”, anziché su quello che verrà in un futuro indefinito, “su quello che è necessario ora”, cioè appunto gli aiuti miliari alla resistenza.D’accordo anche Tajani: “Siamo tutti favorevoli a che l’Ucraina entri nella Nato“, ha detto ai cronisti, “così come siamo favorevoli a che l’Ucraina entri all’interno dell’Unione europea”. “Certamente c’è un percorso da compiere“, ha concesso il vicepremier forzista, riconoscendo tuttavia che gli ucraini “stanno facendo grandi passi in avanti”. Il destino di Kiev, in ogni caso, “è quello di entrare a far parte in futuro della Nato“, anche se questo futuro appare tutt’altro che prossimo.Alla corte di TrumpIl numero uno dell’Alleanza è tornato anche sui colloqui avuti con Trump il mese scorso. Sul tema del conflitto in Ucraina i due hanno concordato che “qualsiasi accordo” di pace dovrà essere “un buon accordo”, cioè dovrà tenere in considerazione le richieste del Paese aggredito. E dovrà anche segnalare agli alleati di Mosca – a partire da Pechino, Pyongyang e Teheran – che non si può invadere un Paese e pensare di passarla liscia.Il presidente-eletto degli Stati Uniti Donald Trump (foto: Jim Watson/Afp)“Questo è cruciale per la nostra difesa non solo in Europa ma anche negli Usa e nell’Indopacifico”, ha spiegato Rutte, secondo cui Washington si troverebbe ad affrontare “una grave minaccia” da parte di questi attori se l’Ucraina fosse costretta a firmare un accordo di pace troppo favorevole alla Russia. Cosa tratterrebbe Xi Jinping dall’attaccare Taiwan, o Kim Jong-un dal lanciare missili balistici su Seul o Tokyo, se Putin riuscisse a ottenere una pace vantaggiosa in Ucraina?Anche Zelensky, da parte sua, ha auspicato una più stretta cooperazione tra la propria squadra da un lato e, dall’altro, quella del presidente-eletto e il team che sta gestendo la transizione a Washington. “Dobbiamo prepararci con attenzione per il prossimo anno”, ha dichiarato il leader ucraino, il quale ha ribadito che è importante che “la politica degli Stati Uniti non cambi, in modo che gli Stati Uniti non cerchino un compromesso tra l’assassino e la vittima”.Sulla stessa linea anche il commento di Tajani: “L’obiettivo è quello di arrivare alla pace anche con la nuova amministrazione americana“, ha ribadito, sottolineando che una “pace giusta” significa “l’indipendenza dell’Ucraina. Sulle tempistiche per giungere a tale risultato, ha evidenziato che “tutti quanti sono convinti che nel 2025 si arriverà a un cessate il fuoco“, e che tanto Mosca quanto Kiev stanno cercando di ottenere successi militari ora per sedersi al tavolo da una posizione di forza.

  • in

    Lange (Spd/S&D): “Chiudere l’accordo commerciale con il Messico”

    Bruxelles – Commercio, commercio, commercio. A partire dal Messico. La priorità dell’Ue è tutta qui, in una necessità tutta nuova dettata da un quadro geopolitico che impone ripensamenti obbligati. Uno di questi riguarda proprio la partita geo-strategica. Su questo Bernd Lange (Spd/S&D), presidente della commissione Commercio internazionale del Parlamento europeo, non ha dubbi. “Dovremmo guardare all’accordo commerciale con il Messico”, sottolinea. Nel Paese “c’è un nuovo presidente (Claudia Sheinbaum Pardo, dall’1 ottobre 2024, ndr)”, e si aggiunge “l’attitudine di Donald Trump nei confronti del Messico” non c’è dubbio che bisogna spingere per chiudere un accordo.“In questa situazione globale è importante avere una rete commerciale di partner affidabili”, continua Lange nel corso di un incontro ristretto con i giornalisti, tra cui Eunews. Il ritorno di Trump alla testa degli Stati Uniti stravolgerà senza dubbio l’agenda a dodici stelle. “Ci attendiamo che qualche dazio arrivi presto”, visto che “Trump usa dazi anche come strumento di pressione”. E poi l’accordo con i Paesi del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay più il Venezuela sospeso) non sembra promettere nulla di buono.“Il testo è vecchio, è fermo al 2019“, sottolinea Lange. L’accordo Ue-Mercosur non è aggiornato, insomma. “E’ stato aggiunto un protocollo e dobbiamo vedere se i protocollo aggiuntivi sono sufficienti” a convincere Parlamento europeo, Consiglio Ue e poi i parlamenti nazionali per l’eventuale ratifica. Inoltre il negoziato sembra essersi riaperto. “Non si parla di questioni ambientali, ma di riforma dell’agricoltura”, sulla spinta di Parigi. “La Francia è un problema”, ammette il presidente della commissione parlamentare. Questioni di politica interna inducono il governo francese a frenare. “Il Mercosur aiuta Le Pen?”, commenta a voce alta. E’ questo uno degli ostacoli. E poi, aggiunge ancora Lange, anche ammettendo che la Commissione Ue chiuda l’accordo, “non ho idea se possa esserci una maggioranza e quale” in Parlamento.

  • in

    Georgia a rischio paralisi: si acuisce la crisi politica, tra tensioni istituzionali e violenze di piazza

    Bruxelles – La Georgia sembra sempre di più una polveriera pronta ad esplodere. Le proteste, violente, contro il governo filorusso durano da quattro giorni, con decine di feriti ricoverati in ospedale sia tra i manifestanti sia tra la polizia (che sta reprimendo con la forza il dissenso) e con i disordini estesi ormai a diverse città oltre la capitale Tbilisi. All’acuirsi dello scontro in piazza si sta sommando anche un duro scontro a livello politico e istituzionale, che rischia di paralizzare (o destabilizzare ulteriormente) il piccolo Paese caucasico, sempre più in bilico tra l’Europa e la Russia.Non si placano le protesteA cominciare dalla notte di giovedì (28 novembre), per quattro giorni migliaia di cittadini hanno occupato viale Rustaveli, l’arteria di Tbilisi dove ha sede il Parlamento nazionale. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’annuncio da parte del governo, guidato dal premier Irakli Kobakhidze e dal suo partito Sogno georgiano, di sospendere fino al 2028 i negoziati per l’adesione all’Ue (un obiettivo sancito dalla Costituzione).L’esecutivo ha addotto come giustificazione il “ricatto” da parte di Bruxelles – che ha congelato quest’estate il percorso di Tbilisi verso il club a dodici stelle in seguito all’approvazione di una serie di provvedimenti che considera liberticidi e antitetici ai valori europei – nei confronti della Georgia, la quale secondo Kobakhidze continuerà sul percorso di avvicinamento all’Unione “con dignità”, senza compromettere la propria sovranità. I georgiani hanno contestato questa decisione come l’ennesima dimostrazione che il partito di governo sta cercando di avvicinare Tbilisi alla Russia di Vladimir Putin e di allontanarlo dall’Europa.I manifestanti sparano fuochi artificiali contro la polizia in tenuta antisommossa per le strade di Tbilisi, nella notte tra il 30 novembre e il primo dicembre 2024 (foto: Giorgi Arjevanidze/Afp)Così, sono scesi in piazza con le bandiere nazionali e quelle dell’Ue: per quattro giorni, hanno eretto barricate e avviato una vera e propria guerriglia urbana, sparando fuochi artificiali contro le forze di sicurezza che, in tenuta antisommossa, hanno risposto caricando violentemente i manifestanti e impiegando proiettili di gomma ad altezza uomo, granate stordenti, spray urticanti e cannoni ad acqua per disperderli. Alcune immagini immortalano dei manifestanti dare fuoco a delle effigi di Bidzina Ivanishvili, l’oligarca filorusso fondatore di Sogno georgiano ed eminenza grigia della nazione caucasica.Durante il weekend le proteste, anziché placarsi, si sono intensificate e si sono estese anche a diverse altre città in tutto il Paese. Secondo le cifre circolate nelle prime ore di oggi (2 dicembre), almeno 44 persone sarebbero finite in ospedale, tra cui 27 manifestanti, 16 poliziotti e un giornalista, mentre gli arresti sarebbero già oltre il centinaio.Si aggrava lo scontro istituzionaleL’ondata di proteste sta scuotendo il Paese almeno dal 27 ottobre scorso, all’indomani di controverse elezioni che hanno visto trionfare per la quarta volta di fila Sogno georgiano e che le opposizioni parlamentari (e gli osservatori elettorali) hanno denunciato come irregolari, chiedendone la ripetizione sotto monitoraggio internazionale.Ma il caos in Georgia non è solo nelle strade. Anche ai più alti vertici dello Stato si sta andando verso un muro contro muro dagli esiti imprevedibili e potenzialmente rischiosi. Dopo aver partecipato di persona alle proteste di piazza, sabato scorso (30 novembre) la presidente europeista Salomé Zourabichvili ha dichiarato che “non c’è alcun Parlamento legittimo e, quindi, un Parlamento illegittimo non può eleggere un nuovo presidente”, aggiungendo che “nessuna inaugurazione può aver luogo e il mio mandato continuerà fino a quando un Parlamento legittimamente eletto sarà formato”.La presidente della Repubblica georgiana Salomé Zourabichvili durante un comizio anti-governativo di fronte al Parlamento, il 28 novembre 2024 (foto: Giorgi Arjevanidze/Afp)Zourabichvili, il cui mandato scade il prossimo 14 dicembre, ha più volte rifiutato di riconoscere i poteri del nuovo emiciclo definendolo “incostituzionale”, mentre i parlamentari delle opposizioni lo stanno boicottando evitando di occupare i propri seggi in Aula. Ma le forze governative dispongono ugualmente dei numeri per insediare la nuova legislatura e hanno avviato i lavori della nuova assemblea, nominando peraltro il proprio candidato alla successione di Zourabichvili nella figura dell’ex calciatore Mikheil Kavelashvili.Se le parti non scenderanno a compromessi – ed è difficile al momento vedere come possano farlo – il rischio è che lo scontro istituzionale frontale possa degenerare in un più concreto conflitto per catturare, o mantenere, il potere politico in un Paese le cui strutture democratiche stanno scricchiolando sempre di più e il tessuto sociale sembra prossimo al punto di rottura. A gettare ulteriore benzina sul fuoco, Kobakhidze ha riportato che l’intelligence e i servizi di sicurezza georgiani avrebbero riferito di tentativi di “rovesciare il governo con la forza” da parte di “specifici partiti politici”, senza scendere nei dettagli di queste gravi accuse.Nel frattempo, nelle ultime ore si sono susseguite una serie di dimissioni negli apparati statali georgiani tra ambasciatori, funzionari pubblici (inclusi quelli di vari ministeri e della banca centrale) e insegnati in polemica con la decisione di interrompere il dialogo con Bruxelles.Le reazioni dall’esteroGli sviluppi in Georgia continuano a rimanere sotto l’attenzione dei principali attori internazionali. A nome dell’Ue, l’Alta rappresentante Kaja Kallas e la commissaria all’Allargamento Marta Kos (entrambe entrate in carica il primo dicembre) hanno dichiarato in una nota congiunta che la sospensione dei negoziati di adesione “segna uno scarto rispetto alle politiche di tutti i precedenti governi georgiani e alle aspirazioni della vasta maggioranza del popolo georgiano”. Quanto all’eccessiva violenza contro i manifestanti, Bruxelles ammonisce Tbilisi che “queste azioni da parte del governo georgiano avranno dirette conseguenze” sulle relazioni bilaterali con l’Ue, che rimane in attesa del rapporto finale dell’Osce sulla condotta delle elezioni del 26 ottobre (elezioni che l’Eurocamera di Strasburgo ha chiesto di ripetere).L’Alta rappresentante Ue per la politica estera Kaja Kallas e la commissaria all’Allargamento Marta Kos rendono omaggio alle vittime dell’aggressione russa a Kiev, il primo dicembre 2024 (foto: Sergei Chuzavkov/EU)Dall’altro lato dell’Atlantico, gli Stati Uniti hanno annunciato la sospensione della Strategic partnership avviata con il Paese caucasico nel 2009, un meccanismo di cooperazione bilaterale nelle aree relative a democrazia, difesa e sicurezza, economia, commercio ed energia e scambi culturali. Le motivazioni di Washington sono da rintracciarsi nel “regresso democratico” dell’ex repubblica sovietica sotto la guida di Sogno georgiano, che “ha rifiutato l’opportunità per legami più stretti con l’Europa e reso la Georgia più vulnerabile al Cremlino”. Kobakhidze ha detto di non essere preoccupato dalla decisione del presidente uscente Joe Biden e di aspettare l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca per lavorare proficuamente con la nuova amministrazione.I commenti che giungono da Mosca sono invece di tenore opposto, con il dito puntato dal numero due del Consiglio di sicurezza Dmitry Medvedev contro presunte interferenze straniere nelle vicende domestiche georgiane, volte secondo lui ad aizzare una rivoluzione colorata anti-russa. Secondo l’ex presidente della Federazione, Tbilisi si starebbe “muovendo rapidamente lungo il sentiero ucraino, verso l’oscuro abisso”, in un riferimento neanche troppo velato alla crisi iniziata a Kiev con le proteste dell’Euromaidan e precipitata con l’invasione russa del febbraio 2022. “Di solito, questo genere di cose finisce molto male”, ha aggiunto minaccioso.

  • in

    A Ginevra si cerca di salvare l’accordo sul nucleare iraniano (prima che torni Trump)

    Bruxelles – A Ginevra si corre contro il tempo per non far naufragare definitivamente l’accordo sul nucleare iraniano prima che Donald Trump entri in carica il prossimo gennaio. I rappresentanti di Francia, Germania, Regno Unito ed Unione europea si sono incontrati nella città elvetica con gli inviati della Repubblica islamica per cercare di sbloccare i complessi negoziati sul programma nucleare civile di Teheran. Alla fine si è scelto di mantenere aperto il dialogo, ma non ci sono state grandi svolte.Il clima, già all’avvio dei colloqui, non era dei più distesi. Il viceministro degli Esteri iraniano Kazem Gharibabadi si è lamentato dell’atteggiamento europeo, sostenendo che Bruxelles “dovrebbe abbandonare il suo comportamento egocentrico e irresponsabile” per quanto riguarda una serie di questioni internazionali, come appunto il programma nucleare del suo Paese ma anche la guerra in Ucraina.Tutto si tiene negli incontri tra i diplomatici in Svizzera. Da tempo, l’Ue sta facendo pressione sull’Iran affinché smetta di sostenere lo sforzo bellico del Cremlino, rifornendo la Federazione con missili balistici e droni. Ma Teheran ha fatto finora orecchi da mercante, ricevendo in cambio nuove sanzioni da parte dei Ventisette.Quanto al nucleare degli ayatollah, il Vecchio continente lamenta la mancanza di cooperazione con l’agenzia Onu dell’energia atomica (Aiea), ed alcuni Paesi europei temono che l’Iran sia intenzionato a costruire la bomba atomica – un timore giustificato, dicono, dalle crescenti scorte di uranio altamente arricchito che Teheran starebbe accumulando. I capi delle intelligence britannica e francese hanno dichiarato oggi (29 novembre) che il rischio di una proliferazione nucleare iraniana potrebbe rappresentare la “minaccia più critica” nei prossimi mesi, e che le ambizioni di Teheran “continuano a minacciare tutti noi”.La sfiducia si era già percepita lo scorso 21 novembre, quando Berlino, Londra e Parigi hanno chiesto all’ispettorato dell’Aiea di stilare un rapporto completo sulle attività nucleari dell’Iran, che è un passo preliminare per l’imposizione di nuove sanzioni sul Paese mediorientale. L’agenzia Onu ha dichiarato che Teheran ha intenzione di installare 6mila nuove centrifughe per portare il programma di arricchimento dell’uranio al 5 per cento, mentre il limite fissato dagli accordi internazionali è del 3,67 per cento.Il capo dell’Aiea Rafael Grossi (foto: Atta Kenare/Afp)D’altro canto, la Repubblica islamica sostiene che gli europei abbiano ignorato alcuni segnali di apertura come la disponibilità di limitare l’arricchimento al 60 per cento e di consentire il ritorno degli ispettori dell’Aiea in Iran. Quanto alla guerra in Ucraina, la linea ufficiale è che nemmeno un missile balistico sia stato fornito alla Russia. Il ministro degli Esteri Seyed Abbas Araghchi ha dichiarato nei giorni scorsi che un eventuale ritorno al regime sanzionatorio dell’Onu potrebbe mettere in discussione l’opposizione (fissata tramite fatwa) di Teheran allo sviluppo di armi atomiche.Alla fine, si è deciso di continuare il dialogo, ma non è stata raggiunta alcuna svolta negoziale cruciale. A Ginevra, i rappresentanti europei dovevano valutare la solidità dell’offerta iraniana, cercando nel contempo di convincere Teheran a ridurre il suo sostegno a Mosca nel conflitto ucraino, magari revocando alcune sanzioni economiche.Ma i rapporti tra le parti continuano a non essere particolarmente distesi. In un incontro preliminare tra Gharibabadi e il capo negoziatore dell’Ue, Enrique Mora, non si è riuscito a trovare molto terreno comune. “L’Europa non dovrebbe proiettare i propri problemi ed errori sugli altri”, ha scritto l’inviato iraniano su X. Rispetto alla guerra in Ucraina, secondo Gharibabadi Bruxelles “non ha alcun terreno morale per predicare agli altri sui diritti umani” dato il “comportamento complice nei confronti del genocidio in corso a Gaza”, mentre sul nucleare “l’Europa non è riuscita ad essere un attore serio per mancanza di fiducia in se stessa e di responsabilità”, ha aggiunto.Soprattutto, a pendere sui colloqui come una spada di Damocle c’era l’inaugurazione della seconda presidenza Trump dall’altra parte dell’Atlantico, in calendario per il prossimo 20 gennaio. Durante il suo primo mandato, il tycoon newyorkese aveva assunto una posizione da “falco” nei confronti del regime degli ayatollah, facendo uscire gli Stati Uniti dal Jcpoa (l’accordo risalente al 2015 e negoziato, oltre che da Washington e Teheran, dal gruppo cosiddetto E3 che comprende Francia, Germania e Regno Unito) e imponendo sull’Iran la “massima pressione” tramite la reintroduzione delle sanzioni economiche.

  • in

    In Georgia esplodono le proteste dopo che il governo ha interrotto il percorso di adesione all’Ue

    Bruxelles – Torna la violenza nelle strade di Tbilisi. Dopo che il partito di governo, Sogno georgiano, ha annunciato ufficialmente lo stop al processo di adesione all’Unione europea, migliaia di cittadini si sono riversati nella capitale per protestare contro quello che vedono come uno scivolamento del Paese verso l’orbita russa. Mentre sale di nuovo la tensione, che si era solo apparentemente abbassata nelle scorse settimane, anche l’Eurocamera di Strasburgo riconosce come illegittime le elezioni di un mese fa e chiede alle autorità georgiane di ripetere il voto.La decisione del governoNella serata di giovedì (28 novembre) il primo ministro georgiano Irakli Kobakhidze ha annunciato la decisione di non voler inserire nell’agenda governativa la questione dei negoziati per entrare in Ue “prima della fine del 2028”. In quella data scadrà la legislatura avviata lo scorso 25 novembre tra le proteste dei cittadini e il boicottaggio delle opposizioni parlamentari, i cui deputati rifiutano di occupare i propri seggi in un’Aula che la presidente uscente, l’europeista Salomé Zourabichvili, ha definito “incostituzionale”.Da quando, il 26 ottobre, il partito di governo Sogno georgiano (al potere dal 2012) ha vinto per l’ennesima volta le elezioni – denunciate dagli osservatori locali e internazionali come irregolari e dal capo dello Stato come illegittime – il piccolo Paese caucasico è sprofondato in una spirale di caos che rischia di sfociare in nuove tensioni politiche e sociali dall’esito imprevedibile.Il primo ministro georgiano Irakli Kobakhidze (foto: Irakli Genedidze/Afp)Ieri sera, il premier ha dichiarato anche che il governo rifiuterà qualunque finanziamento proveniente da Bruxelles, accusando l’Unione di strumentalizzare il processo dei negoziati di adesione per “ricattare” Tbilisi e “organizzare una rivoluzione” in Georgia. Nonostante questo, Kobakhidze ha confermato l’obiettivo di far entrare Tbilisi nel club a dodici stelle entro il 2030, ma ha ribadito (come già in campagna elettorale) la volontà di entrare in Ue “con dignità”, cioè senza “svendere” la sovranità nazionale.Le proteste di piazzaIn realtà, le tensioni sono già sfociate in violenza. Nella notte tra giovedì e venerdì, migliaia di manifestanti si sono riversati nelle strade della capitale per protestare contro la decisione del governo, sventolando insieme le bandiere georgiane e quelle dell’Ue e cantando cori anti-russi. La risposta delle forze di sicurezza è stata particolarmente dura, con la polizia in assetto antisommossa che ha caricato ripetutamente i cortei di civili impiegando anche granate lacrimogene, cannoni ad acqua e spray urticanti ed aggredendo, secondo alcune testimonianze, anche i giornalisti che documentavano le proteste.In prima fila con i manifestanti c’era anche Zourabichvili, che si sarebbe avvicinata ai poliziotti chiedendo provocatoriamente se servissero gli interessi della Georgia o della Russia e ha accusato il governo di aver “dichiarato guerra contro il suo stesso popolo”. Parlando alla stampa insieme ai leader dell’opposizione, ha etichettato i fatti svoltisi nel Paese nelle ultime settimane come “un colpo di Stato costituzionale” e si è dichiarata “l’unica rappresentante legittima” della nazione, bollando come “inesistente e illegittimo” l’esecutivo di Kobakhidze.La presidente della Georgia Salomé Zourabichvili si unisce ai manifestanti a Tbilisi, il 28 novembre 2024 (foto: Giorgi Arjevanidze/Afp)La risposta dell’UeSempre ieri, l’Europarlamento riunito in plenaria a Strasburgo ha adottato a larga maggioranza (444 voti favorevoli, 72 contrari e 82 astensioni) una risoluzione che condanna fermamente le irregolarità nel voto di ottobre, considerate “l’ennesima manifestazione del regresso democratico del Paese per il quale il partito di governo Sogno georgiano è pienamente responsabile”. L’Aula ha messo nero su bianco il supporto per le richieste, avanzate dalle opposizioni dell’ex repubblica sovietica, di indire nuove elezioni sotto il monitoraggio internazionale.Gli eurodeputati hanno inoltre chiesto alla Commissione e agli Stati membri di ribadire il congelamento dell’adesione della Georgia al club dei Ventisette (annunciata dal Consiglio europeo lo scorso giugno, mentre a luglio sono stati tagliati i finanziamenti comunitari al governo) e di imporre sanzioni personali su diverse figure di spicco della leadership georgiana – inclusi il premier Kobakhidze e l’oligarca filorusso Bidzina Ivanishvili, fondatore di Sogno georgiano (che di fatto opera come un partito-macchina ai suoi ordini) – e la sospensione dei contatti formali tra l’Ue e Tbilisi.