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    Mai più egoismi, le pandemie si vincono tutti insieme. A Roma la dichiarazione del summit mondiale della salute

    Roma – Approccio globale e unico ma “ora il mondo è più sicuro grazie ai vostri preziosi contributi”. Mario Draghi saluta così tutti i partecipanti al Global Health Summit ospitato (in gran parte da remoto) a Roma a Villa Pamphilj. Accanto al premier italiano, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen che assicura: “E’ una giornata storica, quella firmata oggi è una dichiarazione rivoluzionaria, una celebrazione del multilateralismo, il no al nazionalismo sanitario”. Una dichiarazione composta da 16 principi, cinque pagine che potrebbero in futuro essere la base per un ‘Trattato mondiale sulla salute”.
    Nelle conclusioni Draghi ha voluto sottolineare il metodo unico nell’affrontare il futuro delle crisi sanitarie. “Questa è una base solida per l’emergenza ma nel perseguire una strategia comune per prevenire future pandemie, dobbiamo mantenere il nostro impegno a limitare i danni ambientali”. Ma per reagire con efficacia agli shock il premier italiano sottolinea anche l’importanza degli scambi multilaterali e in particolare il ruolo centrale dell’Organizzazione mondiale del commercio.
    “Impegni precisi e concreti che non ho dubbi che verranno mantenuti” assicura Draghi, nei principi adottati nella dichiarazione, nei finanziamenti per assicurare i vaccini nei paesi che finora sono rimasti ai margini e nelle donazioni promesse. “C’era il desiderio di rimediare alle ingiustizie, auna certa dose di egoismo quando una parte del mondo è stata ignorata” ha detto non risparmiando qualche critica: “Sui vaccini l’Europa sì è comportata meglio del resto del mondo sviluppato, noi abbiamo continuato a esportare anche se eravamo in difficoltà”. Anche su questo aspetto il summit ha dato i suoi risultati, “sono certo che anche gli Stati Uniti elimineranno la barriera dell’export”, ha assicurato.
    La pesante iniquità nella gestione della pandemia era stata sottolineata durante il vertice anche dal direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità Tedros Ghebreyesus: “Il 90 per cento delle dosi è andata ai paesi ricchi. Al trionfo della scienza con la scoperta del vaccino è seguito un fallimento dell’umanità”. Parole pesanti che hanno sortito anche un colpo d’ala da parte dei paesi del G20 che per il 2021 hanno promesso donazioni per circa 100 milioni di vaccini nell’ambito del programma Covax e soprattutto delle aziende produttrici che oggi hanno annunciato uno sforzo produttivo che supera i 3 miliardi e mezzo di dosi fino al 2021. Produzioni destinate ai Paesi a medio e basso reddito a prezzi inferiori e senza profitto, per i quali Draghi ha chiesto l’impegno delle istituzioni finanziarie internazionali. “Il Fondo monetario internazionale deve fornire uno scudo efficace ai Paesi più poveri del mondo” ha detto il premier, “la politica sanitaria è una delle sfide che i Paesi ricchi ed emergenti devono affrontare”.
    La questione della proprietà intellettuale sui vaccini è stata ancora al centro del summit ma nella dichiarazione finale non è stata affrontata in modo netto nonostante i favorevoli erano la grande maggioranza del Global Heath summit, Italia compresa. “La sospensione dei brevetti temporanea e mirata è una soluzione immediata e diretta ma non è detto che garantisca la produzione che è complessa” ha detto il presidente del Consiglio che ha lasciato a Ursula von der Leyen spiegare come sarà affrontata la terza via della Commissione. Sarà pronta nei primi giorni di giugno e si articola su tre direttrici: le esportazioni libere, il trasferimento delle licenze insieme a quello delle tecnologie sanitarie, lo sviluppo delle capacità di produzione e distribuzione. “È questo il sistema migliore – dice von der Leyen – per aumentare la produzione, il G20 si impegna su accordi flessibili nella cessione delle licenze obbligatorie, un aspetto che è già previsto in caso di pandemie”.

    Un accordo per rimediare alle ingiustizie. “Impegni concreti che saranno rispettati” assicura Draghi che ha chiuso il Global Health Summit con Ursula von der Leyen. I grandi promettono donazioni e 3,5 miliardi di vaccini per i paesi poveri

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    L’Ungheria blocca l’accordo post-Cotonou: “No a nuove ondate migratorie”

    Bruxelles – L’Ungheria ha minacciato di non ratificare l’accordo siglato a dicembre 2020 tra l’Unione Europea e l’Organizzazione degli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP). Lo ha annunciato in conferenza stampa il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó: “Specialmente in questo momento (di crisi pandemica, ndr), non abbiamo bisogno di nuove ondate migratorie”.
    Secondo quanto dichiarato dal ministro, il governo magiaro sta rispondendo in questo modo alla scarsa considerazione rivolta alle sue proposte durante i negoziati. “I nostri suggerimenti sono stati tutti ignorati, per questo non metteremo la nostra firma sull’accordo“, ha detto Szijjártó lamentandosi della parte dell’accordo in cui si parla di vie legali per l’immigrazione dai 79 Paesi dell’Organizzazione e di ricongiungimenti familiari per gli immigrati residenti nell’UE.
    L’entrata in vigore del testo è necessaria per sostituire la Convenzione di Cotonou nel 2000, scaduta a febbraio 2020 ma prorogata in via transitoria fino al 30 novembre 2021. Oltre alla voce della mobilità e dell’immigrazione (dove sono previste nuove norme sui rimpatri), l’accordo post-Cotonou dà priorità anche alla sfera dei diritti umani, della democrazia e della governance, al capitolo pace e sicurezza, allo sviluppo umano e sociale, al campo della sostenibilità ambientale e del cambiamento climatico e allo sviluppo e alla crescita economica inclusiva e sostenibile.

    Il testo prevede alcune novità in tema di vie di immigrazione legali e di ricongiungimenti familiari, ma non trascura l’argomento rimpatri e immigrazione irregolare. Ma per Budapest non è il momento di discuterne

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    La Commissione dissente dal voto dell’Europarlamento sull’accordo per gli investimenti in Cina: “Va considerato in un contesto più ampio”

    Bruxelles – Secondo quanto dichiarato da una portavoce per la Commissione europea la ratifica dell’accordo di principio sugli investimenti UE-Cina firmato negli ultimi giorni del 2020 “va considerata guardando al più ampio contesto politico” delle relazioni tra le due parti. Bruxelles disapprova così la risoluzione adottata dal Parlamento giovedì 20 maggio che blocca l’entrata in vigore dei termini dell’intesa fino a quando Pechino non ritirerà le misure restrittive imposte a dieci cittadini europei (tra cui cinque eurodeputati) e a quattro enti che hanno la loro sede nell’UE.
    “Le ultime iniziative del governo cinese non creano un clima favorevole“, ha affermato la portavoce riferendosi alla reazione con cui Pechino ha risposto alla precedente scelta di Bruxelles di sanzionare quattro funzionari e un ente colpevoli di essersi macchiati di crimini contro la minoranza musulmana degli Uiguri nel territorio dello Xinjiang. L’esecutivo europeo, pur schierandosi a favore dei diritti umani e dei valori europei, ammette che l’accordo globale sugli investimenti (in inglese Comprehensive Agreement on Investment, CAI) “apporterà benefici per l’accesso al mercato cinese da parte delle imprese europee, migliorerà le parità di condizioni fra i due mercati e favorirà lo sviluppo sostenibile”.
    La decisione dell’Eurocamera quindi non è gradita a Bruxelles, ma neanche a Pechino. Fortemente voluto dalla presidenza di turno tedesca del Consiglio UE, il CAI è considerato uno strumento fondamentale per lo sviluppo delle relazioni economiche tra Cina e Unione Europea. L’UE è il primo partner commerciale di Pechino, che a sua volta è secondo solo agli USA in termini di flussi commerciali e finanziari con il vecchio continente.
    Dopo l’annuncio dei voti il Ministero degli Esteri cinesi ha parlato per tramite del suo portavoce Zhao Lijian. Il governo cinese sostiene che le sanzioni da lui applicate sono giustificate e chiede alle istituzioni dell’UE di “smetterla di interferire con le vicende interne e di porre fine all’atteggiamento conflittuale”. Per il regime di Pechino le misure restrittive adottate sono una risposta legittima all’offesa lanciata dalla parte europea.
    “L’accordo è vantaggioso per tutti, non è un favore concesso da una parte all’altra”, ha precisato Zhao Lijian. “La Cina ha sempre favorito la cooperazione nei rapporti con l’UE e noi speriamo che la controparte europea si comporterà allo stesso modo con noi, mettendo da parte gli sfoghi emotivi e preferendo la razionalità per prendere le decisioni giuste nel suo interesse.

    Dopo il voto del Parlamento europeo era arrivata la reazione del Ministero degli Esteri cinese: “L’UE metta da parte gli sfoghi emotivi e preferisca la razionalità”

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    La guerra mondiale al Covid 19. Dal Global Health Summit di Roma la strategia per prepararsi alle future pandemie

    Roma – “Gli obiettivi che abbiamo in questo vertice sono tre: mettere sotto controllo la pandemia, assicurare che i vaccini arrivino a tutti ovunque e prepararci e prevenire le future crisi sanitarie”. Ursula von der Leyen apre così il Global Health Summit di Roma insieme a Mario Draghi, accogliendo seppur a distanza, una ventina di capi di stato e di governo, le principali organizzazioni internazionali e sanitarie mondiali per l’evento organizzato a Villa Pamphilj nell’ambito della presidenza italiana del G20. “Dobbiamo vaccinare il mondo e farlo velocemente” dice il premier italiano, “la cooperazione internazionale sarà importante anche nel futuro. Dobbiamo capire cosa è andato storto e prepararci alle crisi future”.
    Villa Pamphilj, sede del Global Health Summit – Roma
    Prima del tavolo tra i capi di stato e di governo, il summit è stato aperto dai contributi di scienziati, medici, filantropi ed economisti. Le conclusioni saranno firmate nel pomeriggio con la dichiarazione di Roma ma la presidente della Commissione ha anticipato che il Team Europe punta a donare 100 milioni di dosi di vaccino contro il Covid-19 ai Paesi a medio e basso reddito entro la fine del 2021”.
    Dalla pandemia abbiamo imparato la lezione che “abbiamo bisogno gli uni degli altri” ha detto von der Leyen, e “se oggi abbiamo una speranza lo dobbiamo alla comunità scientifica, a uomini e donne che hanno dedicato la loro vita alla scienza”. E a questo proposito il panel di scienziati ha già inviato il suo messaggio “per un accesso universale alle risorse, perché nessun Paese sarà al sicuro fino a quando tutti i Paesi non lo saranno”. Si tratta di un decalogo con l’indicazione delle azioni necessarie per metter fine alla pandemia e assicurare una migliore preparazione in vista delle future minacce.
    Sul fronte dei vaccini le aziende produttrici intervenute al summit hanno assicurato un ulteriore sforzo di produzione che arriva fino a 2,6 miliardi di dosi tra questo e il prossimo 2022, destinati ai Paesi più poveri e al programma Covax. Un impegno confermato dalla presidente von der Leyen che ha spiegato come “le licenze volontarie sono il miglior modo per assicurare il necessario trasferimento di tecnologie e know-how, insieme ai diritti di proprietà intellettuale”.
    Riguardo ai brevetti il premier Draghi ha confermato che l’Italia è favorevole alla proposta della sospensione “purché sia temporanea, mirata e non mini gli sforzi innovativi delle compagnie farmaceutiche”. Tuttavia ha proseguito che “questo non risolve perché non garantisce che i Paesi a basso reddito siano effettivamente in grado di produrre i propri vaccini. Dobbiamo sostenerli finanziariamente e con competenze specializzate”. Poi ha insistito sulle esportazioni libere mandando un messaggio ai partecipanti al summit: “L’UE  ha esportato circa 200 milioni di dosi di vaccini Covid-19 in 90  paesi, circa la metà della sua produzione totale. Tutti gli Stati devono fare lo stesso”.

    A Roma il vertice mondiale della salute per combattere la pandemia. Focus sui vaccini: pormessi 2,6 miliardi di dosi per i Paesi poveri. Draghi: “favorevoli alla sospensione dei brevetti ma bisogna produrre di più e trasferire tecnologie”

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    Parlamento UE sospende la ratifica dell’accordo sugli investimenti con la Cina finché Pechino non ritirerà le sanzioni

    Bruxelles – Il Parlamento europeo non ratificherà l’accordo politico di principio sugli investimenti firmato con la Cina a fine 2020 finché quest’ultima non ritirerà le sanzioni imposte a dieci individui tra europarlamentari, deputati nazionali e accademici e a quattro enti europei. La posizione dell’Eurocamera viene definita in una risoluzione che durante l’ultima seduta plenaria ha raccolto 599 voti a favore, 30 contrari e 58 astenuti.
    L’Europarlamento condanna la scelta di Pechino e le sanzioni con cui ha risposto alle misure restrittive imposte ancor prima dall’Unione Europea per le detenzioni arbitrarie applicate alla minoranza musulmana degli Uiguri nel territorio dello Xinjiang. Ma chiede alle altre istituzioni dell’UE un’azione forte che contrasti la diplomazia assertiva portata avanti dalla Cina nel corso della pandemia di COVID-19 nel resto del mondo e una maggiore insistenza nel progetto di autonomia strategica. Per gli europarlamentari l’Unione Europea “dovrebbe cercare una più profonda collaborazione con Paesi affini e con le altre democrazie nel mondo, tra cui gli USA, il Canada, e con i partner asiatici del Pacifico” e dovrebbe architettare una strategia per la regione indo-pacifica. Soprattutto, la sospensione dell’accordo sugli investimenti non dovrebbe tenere in ostaggio le iniziative di cooperazione commerciale e finanziaria negoziate con altri Paesi (nel testo si fa riferimento a Taiwan, storico rivale di Pechino)
    In ogni caso l’invito a non ratificare l’accordo sottoscritto con la Cina fino a che le sanzioni imposte da quest’ultima saranno vigenti è esteso anche ai co-legislatori del Consiglio UE, cioè ai 27 Stati membri. A loro e alla Commissione europea l’Eurocamera chiede anche di utilizzare tutti gli strumenti a disposizione, specialmente quelli economici, “per forzare il governo cinese a chiudere i campi di detenzione e a cessare le violazioni dei diritti umani”. E all’esecutivo europeo si chiede uno strumento preciso che impedisca l’importazione in Europa di beni prodotti in Cina grazie al lavoro forzato e che preveda degli obblighi per le aziende che operano sul suolo europeo e che hanno rapporti con Pechino.
    Il Parlamento chiede anche alle capitali europee un riesame e l’eventuale abolizione degli accordi di estradizione conclusi con il regime di Pechino alla luce delle violazioni contro i cittadini cinesi residenti all’estero e l’istituzione di un meccanismo di controllo sulle esportazioni di tecnologie per evitare che “vengano usate per la violazione di diritti fondamentali e per agevolare la repressione interna”.

    Sollecitata la Commissione sul divieto di importare in Europa i beni prodotti grazie al lavoro forzato

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    Visita in Tunisia di Johansson e Lamorgese: sui migranti approccio globale e ricollocamento obbligatorio

    Roma – L’Italia non resterà sola e nel nuovo patto il ricollocamento sarà obbligatorio. Ylva Johansson è in visita a Tunisi per i colloqui con il governo locale insieme alla ministra italiana Luciana Lamorgese e conferma l’impegno dell’UE per un approccio globale sui flussi migratori, per andare oltre le soluzioni di sicurezza che hanno dimostrato i loro limiti. La Commissaria europea agli affari interni spiega che è necessario un lavoro intenso tra i partner dell’UE e i paesi terzi “per evitare che i migranti partano, creando condizioni migliori per i giovani” e anche costruendo percorsi legali d’ingresso.
    Nel nuovo patto sulla migrazione e asilo ci saranno anche soluzioni specifiche per l’Italia e i Paesi che hanno coste molto estese. Aspettando un’intesa che è ancora prematura e non sarà pronta prima della fine dell’anno, Johansson comunque assicura che la proposta della Commissione è per “un meccanismo di ricollocamento assolutamente obbligatorio con i Paesi dell’Ue che secondo la loro forza economica e della loro dimensione, della loro popolazione, si vedranno attribuiti un certo numero di migranti”.
    Resta l’emergenza degli sbarchi estivi con l’Unione europea che dovrà rinnovare la sua moral suasion verso gli Stati membri per una redistribuzione su base volontaria per non lasciare sola l’Italia, unico Paese a ospitare i salvataggi in mare.  “Non basta la sicurezza, bisogna contrastare la povertà e sostenere lo sviluppo dei Paesi d’origine” ha detto durante gli incontri il presidente tunisino Kais Saied.
    l’incontro con il presidente della Repubblica tunisina Kais Saied
    Nella nota diffusa dal governo di Tunisi, la ministra Lamorgese ha sottolineato “l’impegno dell’Italia a continuare a sostenere il Paese nordafricano accelerando il ritmo degli investimenti, contribuendo allo sviluppo delle regioni interne e creando posti di lavoro per i giovani, al fine di ridurre il fenomeno migratorio”.
    L’UE continuerà a sostenere il processo democratico in Tunisia, ha assicurato Johansson, elogiando l’integrazione della comunità locale nella società e nel tessuto economico dei Paesi europei. età europee e il loro ruolo
    attivo nel tessuto economico dei paesi dell’Unione”. Durante l’incontro, conclude la nota “le due parti hanno espresso la loro determinazione a combattere le reti criminali della tratta di esseri umani che sfruttano le difficili condizioni economiche di alcuni gruppi per trarne profitto”.

    L’incontro con le istituzioni tunisine per rafforzare la collaborazione con l’UE del Paese nordafricano. Le parti d’accordo per affrontare il fenomeno non solo con il registro della sicurezza che ha mostrato limiti

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    Turchia: per il Parlamento europeo i rapporti con l’UE sono “al minimo storico”

    Bruxelles – Sullo stato di diritto, sui diritti fondamentali e in politica estera il governo turco “mostra chiare divergenze con le politiche e gli interessi dell’Unione Europea”. In una risoluzione adottata a fronte 480 voti a favore, 64 contrari e 150 astensioni il Parlamento europeo traccia un bilancio il più possibile oggettivo d quanto accaduto alle relazioni tra Ankara e Bruxelles negli ultimi due anni.
    Nel constatare le scelte del partner turco la relazione presentata dall’eurodeputato socialista Nacho Sánchez Amor (S&D) passa in rassegna progressi e passi indietro rispetto allo stato dei rapporti tra il Paese e l’UE. Secondo il documento il dialogo con Ankara ha raggiunto “il suo minimo storico” in virtù delle tendenze autoritarie che si registrano soprattutto sul fronte interno. Ciò che spaventa maggiormente è l’accentramento del potere nelle mani del governo di Recep Tayyip Erdogan, accusato di aver abusato dei poteri a lui affidati dalla legge in quanto presidente del Paese per restringere l’indipendenza della magistratura e reprimere l’attività di avvocati, difensori dei diritti umani, giornalisti e accademici.
    Una situazione ritenuta intollerabile dall’Eurocamera, che invita il Consiglio UE e la Commissione europea a fare leva sullo strumento della sospensione formale dei negoziati di adesione del Paese all’Unione Europea in corso dal 2005 per costringere il governo di Erdogan a rimettersi in carreggiata sul rispetto dei principi democratici. “La porta resta aperta, ma socchiusa”, ha dichiarato il relatore della relazione Sánchez Amor, che ha messo in guardia anche sul possibile progetto di potenziamento dei rapporti commerciali con Ankara. “Un aggiornamento dell’unione doganale con la Turchia è auspicabile, ma non lo appoggeremo se non ci sarà una condizionalità democratica”, ha continuato il socialista spagnolo.
    L’Europarlamento non dimentica le ultime scelte fatte da Ankara in politica estera. Partendo dalle tensioni dell’estate 2020 nel Mediterraneo orientale e ricordando le ingerenze nel conflitto del Nagorno-Karabakh, gli eurodeputati hanno definito le iniziative del governo inaccettabili per i valori dell’Unione Europea. E pur identificando nella Turchia come “un partner strategico per la stabilità nella regione”, soprattutto per gli sforzi legati all’accoglienza di 3,6 milioni di rifugiati siriani sul proprio territorio nazionale, il documento ribadisce che proprio “l’uso di migranti e rifugiati come strumento di ricatto non può essere accettato”.
    Ma la mano è tesa alla società civile. “Non dobbiamo commettere l’errore di confondere la Turchia ed il suo popolo, crogiolo di tradizioni e culture, con il governo sempre più autoritario di Erdogan che sta trascinando il Paese in un vortice pericoloso di nazionalismo e revanscismo”, ha affermato nel suo intervento durante il dibattito parlamentare l’eurodeputato 5 stelle Fabio Massimo Castaldo. “Dobbiamo rimanere al fianco della società civile turca dimostrando una buona volta determinazione, coesione e visione politica, perché sono gli unici aspetti che questa Turchia potrà comprendere”, ha continuato il vicepresidente del Parlamento europeo.
    La posizione del Parlamento è stata supportata quasi all’unanimità da popolari, socialisti, verdi e liberali, ma non dalle forze politiche poste agli estremi dell’emiciclo, più favorevoli alla continuazione del dialogo. Il Parlamento europeo si aspetta che possa influenzare la discussione della riunione del Consiglio europeo di giugno, che avrà la Turchia tra i suoi punti all’ordine del giorno. Il commissario europeo per la politica di vicinato Olivér Várhelyi ha già presentato i temi che saranno toccati relativi alle relazioni con Ankara: : commercio, immigrazione, dialoghi di alto livello sulla salute e sui cambiamenti climatici e mobilità delle persone. “Se la Turchia dovesse girarci le spalle, la Commissione utilizzerà tutti gli strumenti a sua disposizione per tutelare i suoi interessi”, ha detto Várhelyi.

    Nella plenaria gli eurodeputati approvano a larga maggioranza una relazione critica su quanto osservato da Ankara negli ultimi anni. L’Eurocamera spinge Consiglio e Commissione a usare l’arma della sospensione formale dei negoziati di adesione all’Unione Europea in corso dal 2005 per ottenere da Erdogan maggiori garanzie sui diritti

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    Bielorussia, bloccato il sito indipendente Tut.by e arrestati giornalisti. L’UE: “Si fermino le vessazioni contro stampa”

    Bruxelles – Non si fermano più gli attacchi alla libertà di stampa in Bielorussia e probabilmente in questi giorni stiamo assistendo all’apice della repressione delle voci indipendenti e critiche verso il regime del presidente Alexander Lukashenko. Tut.by, uno dei più importanti siti di informazione bielorussi è stato messo off-line dalle autorità del Paese, dopo che martedì (18 maggio) hanno fatto irruzione nella redazione e hanno iniziato a perquisire le abitazioni private della direttrice, Marina Zolotova, e di altri dipendenti.
    Gli agenti che hanno effettuato le perquisizioni appartengono al dipartimento per le Indagini finanziarie del Comitato di controllo statale della Bielorussia. Come ha confermato il ministero dell’Informazione bielorusso, la causa del provvedimento sarebbe stata la pubblicazione sul sito di “materiale di un fondo di solidarietà non registrato”: secondo le autorità, Tut.by avrebbe violato la legge sui media, dando spazio online a BYSOL, una fondazione che sostiene le vittime della repressione politica nel Paese.
    In aggiunta, lo stesso dipartimento ha avviato un procedimento penale per “evasione di imposte e tasse su larga scala” nei confronti di alcuni dirigenti del sito di informazione. Dopo le perquisizioni nelle abitazioni private e il sequestro di computer e cellulari, 15 redattori sono stati arrestati, mentre la direttrice Zolotova è stata portata al dipartimento per le Indagini finanziarie per essere interrogata.
    Stando ai dati forniti dall’Associazione bielorussa dei giornalisti, sono 16 i giornalisti al momento dietro le sbarre per (presunti) reati commessi nel riportare cosa sta accadendo nel Paese, dal 9 agosto dello scorso anno in protesta pacifica contro i risultati della rielezione-farsa del presidente Lukashenko. A febbraio erano state condannate a due anni di carcere due giornaliste ventenni, Katsiaryna Andreyeva e Darya Chultsova, con l’accusa di “fomentare le proteste contro il presidente” (stavano trasmettendo in live streaming una manifestazione in memoria dell’attivista Raman Bandarenka). Una delle reporter di Tut.by, Katsiaryna Barysevich, era invece finita a processo per aver rivelato informazioni scomode contro il regime proprio sulle dinamiche della morte di Bandarenka.
    Svetlana Tikhanovskaya, leader dell’opposizione bielorussa e presidente legittima riconosciuta dall’UE, su Twitter ha invocato “un’azione immediata” da parte della comunità internazionale: “Le repressioni contro il principale portale di notizie Tut.by sono un chiaro tentativo di distruggere i resti dei media indipendenti in Bielorussia“, quelli che ancora “coprono coraggiosamente la brutale realtà e la situazione sul campo”.

    Action needed now! The repressions against leading news portal @tutby are a clear attempt to destroy the remains of independent media in Belarus, which bravely covers the brutal reality and the situation on the ground. @osce @AnnLinde @riber @OSCE_RFoM @IreneKhan @RSF_inter pic.twitter.com/ZP9QN0qblW
    — Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) May 18, 2021

    Nella giornata di ieri è arrivata la risposta da parte dell’Unione Europea, tra gli attori internazionali più attivi a sostegno dell’opposizione al presidente Lukashenko. “Le recenti azioni delle autorità bielorusse contro i media e i giornalisti indipendenti mostrano il totale disprezzo per la libertà di espressione e contraddicono i principali impegni internazionali assunti dalla Bielorussia”, ha reso noto in un comunicato Peter Stano, portavoce dell’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell.
    Nella nota si fa riferimento anche alle detenzioni di Alexander Burakov, freelance di Deutsche Welle, Vladimir Laptsevich, reporter del portale di notizie online Mogilev Region, Tatyana Kapitonova, fotoreporter freelance, e Lyubov Kasperovich, giornalista di Tut.by. “Le vessazioni nei confronti dei giornalisti devono cessare e tutti i detenuti devono essere immediatamente rilasciati, insieme a tutti i prigionieri politici”.

    Bloccato l’accesso al dominio della redazione bielorussa, perquisite le case della direttrice e di 15 redattori. Il portavoce dell’alto rappresentante Borrell punta il dito contro il regime Lukashenko per il “totale disprezzo della libertà di espressione”