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    Seminario dei repubblicani americani a Roma su crisi afghana, Europa e atlantismo

    Si è svolto a Roma, venerdì 10 settembre, alla vigilia del ventennale dell’attacco alle Torri Gemelle,  un importante seminario a porte chiuse per 15 giovani parlamentari europei, per parlare di nuovi equilibri geopolitici, di Europa e di patto atlantico, organizzato dalla fondazione Fare Futuro (presieduta dal senatore Adolfo Urso), dal più importante think thank dei repubblicani americani “International Repubblican Institute” e dal Comitato Atlantico. Da quanto si apprende da alcune fonti interne alla fondazione del senatore Urso, questo seminario dovrebbe dare l’avvio a un proficuo e continuo sodalizio fra le tre organizzazioni.
    L’evento di natura formativa – uno dei principali tra quelli promossi in Europa dall’International  Republican Institute – è parte di un più ampio programma avviato da tempo dall’Istituto statunitense con giovani parlamentari provenienti da vari Paesi europei appartenenti ai gruppi popolari, conservatori e liberali, che ricoprono per la prima volta incarichi a livello nazionale e sono destinati, secondo la valutazione dell’IRI, a futuri ruoli apicali.
    Il seminario è stata occasione per discutere del nuovo ruolo del patto Atlantico e dell’Europa nella gestione della difficile situazione venutasi a creare in Afghanistan. Il fatto che un importante think thank repubblicano come IRI abbia scelto l’Italia per organizzare un simile evento rappresenta un segnale importante di come la parte repubblicana degli Stati Uniti veda nel nostro Paese un interlocutore assai importante nei prossimi scenari geopolitici internazionali. La presenza di Draghi sicuramente rassicura, ma certo per il partito dei conservatori americani non può essere considerato un interlocutore della propria area politica.
    La fine dell’era Merkel in Europa apre sicuramente un vuoto di potere, che fino a ora nessuno sembra in grado di riempire. Questo perché, al di là di chi potrà essere il prossimo cancelliere tedesco, è chiaro che il lungo periodo di cancelleria tedesca che ha caratterizzato la politica europea negli ultimi 15 anni, non potrà essere replicato. Ecco allora che anche dall’estero si guarda a chi fra i nuovi leader potrebbe essere il punto di riferimento. E chissà che almeno per i conservatori americani questo non si trovi proprio in Italia.
    Gli indizi e le indiscrezioni suggeriscono che da tempo ci sia sempre un maggiore interesse da parte del Grand Old Party (GOP) americano verso la leadership italiana di Giorgia Meloni, che non a caso è stata l’unica leader europea a essere stata invitata per ben due volte alla più importante convention annuale repubblicana. Il fatto che la leader di FDI sia da qualche mese anche presidente del partito conservatore europeo non fa che aumentare la sua credibilità e autorevolezza internazionale, con buona pace di Matteo Salvini.
    Il seminario, tenutosi a porte chiuse, ha visto la partecipazione di 15 giovani parlamentari dell’Europa centro-orientale, che per ragioni geografiche, storiche e geografiche è saldissima nella sua fedeltà al Patto Atlantico.
    Molti gli esperti e autorevoli esponenti politici intervenuti al seminario, a cominciare dal ministro della difesa, Lorenzo Guerini, il presidente del Copasir, Adolfo Urso, presidente Centro Studi di geopolitica economica, generale Carlo Jean, l’eurodeputato di Fratelli d’Italia Carlo Fidanza, il presidente del Comitato Atlantico italiano, Fabrizio Luciolli, il presidente dell’Associazione parlamentare di amicizia Italia-lsraele, Lucio Malan, il presidente del CeSI, Andrea Margelletti, e il politologo Carlo Pelanda, esperto di studi strategici.
    La delegazione di parlamentari europei e responsabili delle fondazioni ha deposto una corona all’altare della Patria in memoria delle vittime dell’11 settembre e dei militari civili caduti in Afghanistan durante le missioni USA e NATO. Toccante anche la decisione da parte di ognuno degli eurodeputati di deporre una rosa bianca, come segno commemorativo del ventennale degli attacchi terroristici del 2001.
    Presente con decine di uffici nel mondo, e con una rete consolidata in Europa, da Vienna a Bratislava, da Bruxelles a Budapest, l’IRI è un vero punto di riferimento del mondo conservatore a stelle e strisce e nel suo board vanta pesi massimi dell’Elefantino come Lindsey Graham, Tom Cotton, Marco Rubio, Mitt Romney e, prima della scomparsa, John McCain.
    Fonti interne alla fondazione fanno sapere che il sodalizio con il think thank repubblicano sarebbe solo all’inizio, e per il prossimo anno sarebbe già prevista una nuova iniziativa comune, anche se è tutto ancora rigorosamente top secret.

    Organizzato dalla fondazione Fare Futuro e dal think tank International Repubblican Institute, ha ospitato 15 giovani parlamentari europei per un confronto sui nuovi equilibri geopolitici

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    Consiglio commercio e tecnologia UE-Stati Uniti: Vestager e Dombrovskis a Pittsburgh il 29 settembre per l’inaugurazione

    Bruxelles – È tutto pronto per l’inaugurazione del Consiglio per il commercio e la tecnologia UE-Stati Uniti (TCC), l’organismo progettato per coordinare e rafforzare la cooperazione tra le due sponde dell’Atlantico nell’ambito tecnologico e digitale. La prima riunione inaugurale si terrà il 29 settembre a Pittsburgh (Pennsylvania), ha reso noto la portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale statunitense, Emily Horne.
    Per l’Unione Europea, a presiedere il TCC saranno i vicepresidenti esecutivi della Commissione UE Margrethe Vestager (per il Digitale) e Valdis Dombrovskis (per l’Economia), mentre le controparti statunitensi saranno il segretario di Stato, Antony Blinken, la segretaria per il Commercio, Gina Raimondo, e la rappresentante per il Commercio, Katherine Tai. La scelta della città per l’inaugurazione non è casuale: “Pittsburgh si è reinventata come hub per la tecnologia e l’industria d’avanguardia, investendo nei lavoratori e costruendo legami con i partner europei”, spiega il comunicato.
    All’interno del Consiglio per il commercio e la tecnologia sono stati istituiti dieci gruppi di lavoro, che affronteranno una serie di sfide: dalla cooperazione sugli standard tecnologici alla sicurezza della catena di approvvigionamento, fino ai cambiamenti climatici e le tecnologie verdi. Al centro della collaborazione tra Stati Uniti e Unione Europea ci saranno la governance dei dati, la gestione delle piattaforme online, la digitalizzazione delle piccole e medie imprese e l’uso improprio della tecnologia contro la sicurezza e i diritti umani.
    “Questa riunione inaugurale segna il nostro impegno comune a espandere e approfondire il commercio e gli investimenti transatlantici e ad aggiornare le regole per l’economia del ventunesimo secolo“, si legge in una dichiarazione congiunta dei co-presidenti. “Entrambi i governi sono impegnati per garantire che i risultati di questa cooperazione sostengano una crescita su larga scala in entrambe le economie e siano coerenti con i nostri valori condivisi”.
    La nascita del Consiglio per il commercio e la tecnologia
    Il primo annuncio della volontà di mettere in campo un organismo che favorisca la collaborazione sulle tecnologie critiche e la convergenza su standard comuni tra le due sponde dell’Atlantico era arrivata durante la conferenza stampa post-summit UE-Stati Uniti dello scorso 15 giugno. Il confronto tra la rappresentante statunitense per il Commercio Tai e il vicepresidente della Commissione UE Dombrovskis – che aveva portato a un’intesa di cooperazione sulla disputa Boeing-Airbus – era stato proficuo per delineare la strategia di rafforzamento dei rapporti sul fronte della tecnologia e della digitalizzazione.
    Il via libera all’istituzione del Consiglio era arrivato ufficialmente due giorni più tardi, come uno dei risultati raggiunti dal confronto tra la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, del Consiglio Europeo, Charles Michel, e degli Stati Uniti, Joe Biden, a Bruxelles. Da von der Leyen era stato definito “un eccellente incontro tra amici e alleati” ed era stato salutato dal Parlamento Europeo come l’inizio di una nuova “rotta democratica per il futuro digitale del pianeta”. Secondo il presidente del comitato speciale sull’Intelligenza artificiale in un’era digitale (AIDA), Dragoș Tudorache, il TTC dovrà porre particolare attenzione sulle questioni relative all’intelligenza artificiale, all’Internet delle cose e alle tecnologie emergenti.

    L’organismo è stato progettato per coordinare la cooperazione transatlantica e sarà co-presieduto anche dai due vicepresidenti della Commissione UE. Istituiti 10 gruppi di lavoro per affrontare le sfide nell’ambito tecnologico e digitale

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    Germania, accuse alla Russia per un’ondata di attacchi informatici contro i candidati alle elezioni federali

    Bruxelles – Le elezioni federali del 26 settembre non sono più solo una questione di affari interni della Germania. La Russia di Vladimir Putin è stata accusata da Berlino di essere mandante di una serie di attacchi informatici contro i candidati tedeschi, sia a livello nazionale sia a livello regionale. Le interferenze di Mosca si sarebbero concretizzate nell’invio di e-mail phishing, una truffa finalizzata a ottenere informazioni personali, dati finanziari o codici di accesso facendo credere alla vittima di essere un ente digitale affidabile.
    “Sono azioni inaccettabili che rappresentano un rischio per la sicurezza della Germania e per i suoi processi decisionali democratici”, ha fatto sapere Andrea Sasse, portavoce del ministero degli Esteri. “Hanno posto un pesante onere sulle nostre relazioni bilaterali”. Il segretario di Stato, Miguel Berger, ha trasmesso la protesta del governo tedesco direttamente al vice-ministro degli Esteri russo, Vladimir Titov, ma già a luglio il capo dell’agenzia di intelligence interna, Thomas Haldenwang, aveva avvertito il pericolo di interferenze estere – e in particolare russe – sulle elezioni del Bundestag, viste come un “obiettivo significativo”.
    Il rischio è reale ed è potenziato dal fatto che, dopo 16 anni di stabilità di governo data dalla figura di Angela Merkel, la Germania dovrà affrontare non solo un cambio storico alla cancelleria, ma anche un imprevedibile mutamento delle alleanze tra partiti. Fatta eccezione per il secondo governo Merkel (2009-2013), il Paese è stato guidato dal 2005 a oggi dalla Große Koalition, l’alleanza del blocco conservatore CDU-CSU (l’Unione Cristiano-Democratica e il partito gemello bavarese, l’Unione Cristiano-Sociale) con i socialdemocratici dell’SPD.
    Quando mancano meno di 20 giorni dalle elezioni più aperte nella storia recente del Paese, le uniche indicazioni certe che arrivano dai sondaggi è che sarà quasi impossibile creare un’alleanza bipartitica (ribaltoni elettorali permettendo) e che solo il risultato delle urne indicherà sia la coalizione che andrà formandosi, sia i rapporti di forza interni tra i tre o più partiti che la comporranno. Ecco perché, in questa situazione di incertezza, le interferenze di Mosca rappresentano una minaccia per la democrazia in Germania. Favorire o danneggiare l’uno o l’altro partito potrebbe avere grosse ripercussioni nello scenario post-26 settembre e per tutta la durata della legislatura. Anche se per il momento non è chiaro quale sia la forza che Mosca vorrebbe veder vincere le elezioni.
    Sia il candidato socialdemocratico, Olaf Scholz, sia quello cristiano-democratico, Armin Laschet, hanno sì tenuto bassi i toni contro la Russia, ma hanno anche riaffermato la necessità di un rinnovato impegno nella NATO e di una politica estera europea più attiva. Quel che è certo è che il governo Putin non vede di buon occhio i Verdi di Annalena Baerbock, particolarmente critici nei confronti del Cremlino e duri contro il controverso Nord Stream 2, gasdotto da 11 miliardi di dollari che attraverso il Mar Baltico porta il gas russo in Europa.
    I precedenti
    È da anni che Berlino accusa Mosca di tentativi di interferenza e di accesso alle reti digitali delle istituzioni politiche tedesche. La stessa cancelliera Merkel ha riferito di essere in possesso di “prove concrete” che le autorità russe erano responsabili dell’enorme attacco informatico al Parlamento federale nel 2015, che ha preso di mira anche l’indirizzo mail della cancelleria. La Corte federale tedesca l’anno scorso ha emesso un mandato di arresto per Dmitry Badin, hacker russo che molto probabilmente lavora a servizio dell’intelligence militare del Cremlino e che è ritenuto la mente dell’attacco del 2015.
    Il ministero degli Esteri ha avvertito che negli ultimi mesi si è moltiplicato l’invio di e-mail phishing per cercare di accedere ai dati personali dei deputati al Bundestag e delle Assemblee regionali da parte del gruppo informatico Ghostwriter. Quello ai danni dei candidati alle prossime elezioni è solo l’ultimo caso, ma il più preoccupante: “Questi attacchi potrebbero servire come preparazione per campagne di disinformazione”, ha spiegato la portavoce Sasse. “Abbiamo informazioni affidabili” che queste attività “possono essere attribuite a un attore informatico dello Stato russo, e in particolare l’intelligence militare”.

    Inviate e-mail phishing sia a livello nazionale sia regionale per ottenere informazioni personali e interferire sul voto del 26 settembre: “Azioni inaccettabili che rappresentano un rischio per la sicurezza nazionale”

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    Nord Stream 2, la costruzione del gasdotto è finita. Per Mosca sarà in funzione “nei prossimi giorni”

    Bruxelles – Sono giunti al termine ieri (6 settembre) i lavori di costruzione del controverso gasdotto da 11 miliardi di dollari Nord Stream 2, che raddoppierà la capacità di gas naturale (metano) in arrivo dalla Russia alla Germania attraverso il Mar Baltico. Ad annunciarlo è la compagnia energetica russa Gazprom, che ne controlla le attività, a cui si aggiungono le parole del ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov secondo cui il gasdotto Nord Stream 2 entrerà in funzione nei prossimi giorni, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Interfax.
    Il gasdotto Nord Stream 2 collegherà la Germania alla Russia
    L’ultima sezione del gasdotto è stata saldata e ora dovrà essere calato nel collegamento sottomarino sotto al Mar Baltico. Secondo Reuters, il gasdotto deve ancora ricevere la certificazione che potrebbe richiedere fino a quattro mesi di tempo. Entro fine anno dovrebbe essere pienamente operativo.
    Il percorso di Nord Stream 2 andrà a replicare quello del gemello Nord Stream che è già in attività. Si parla di circa 55 miliardi di metri cubi all’anno di gas verso la Germania a capacità massima, da raddoppiare fino a 110 miliardi di metri cubi di gas che consentono a Mosca di trasportare il gas in Europa senza passare per via terrestre attraverso l’Ucraina, come faceva prima, indebolendone la posizione strategica.
    La costruzione del gasdotto è stata fin dall’inizio osteggiata da molti Paesi, primi tra tutti gli Stati Uniti, per i timori di una maggiore influenza di Mosca sul vecchio Continente che ne dipende energeticamente. Solo a fine luglio, Berlino e Washington hanno raggiunto un accordo di massima per ultimare i lavori del progetto, promettendo sanzioni alla Russia in caso di pressioni sull’Ucraina, come l’annessione illegale della penisola di Crimea nel 2014.
    Un’opposizione che il progetto ha trovato anche in Europa, guidata in particolare dai Paesi dell’Europa orientale. Solo la cancelliera Angela Merkel ha sposato la causa, impegnandosi a portarla a termine. Da quando a fine agosto di un anno fa l’oppositore russo Alexei Navalny è stato avvelenato su iniziativa del presidente russo Vladimir Putin sono però aumentate di molto le pressioni su Merkel per abbandonare il progetto. Pressioni che sono aumentate ancora con l’ulteriore incrinarsi dei rapporti di Bruxelles con Mosca, con i Paesi dell’Europa centrale e orientale che temono l’ulteriore dipendenza energetica dei Ventisette dal gas russo.

    Saldata l’ultima sezione del gasdotto da 11 miliardi di dollari che raddoppierà la capacità di gas naturale in arrivo dalla Russia alla Germania attraverso il Mar Baltico. Per il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov sarà in funzione nei prossimi giorni

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    Brexit, pressing britannico vuol rinegoziare il periodo di grazia nel Mare d’Irlanda. Ma per l’UE “il Protocollo non si tocca”

    Bruxelles – La guerra delle salsicce ricomincia. Il 30 settembre scade la proroga dell’Unione Europea al periodo di grazia per il commercio nel Mare d’Irlanda e Londra è già in pressing. Il governo guidato da Boris Johnson è intenzionato a rinegoziare la durata della concessione temporanea ai controlli dei certificati sanitari per il commercio di generi alimentari refrigerati dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord da parte delle autorità UE (che nel contesto post-Brexit sono necessari per mantenere integro il Mercato Unico sull’isola d’Irlanda).
    Il consigliere britannico per la Sicurezza nazionale, David Frost, ha annunciato ieri (6 settembre) di voler continuare a commerciare “sulla base delle pratiche attuali”, senza fissare una data di scadenza per la concessione temporanea. In realtà questo periodo di grazia sta assumendo i contorni di un tentativo di rinegoziare l’intero Protocollo sull’Irlanda del Nord dell’accordo di recesso tra UE e Regno Unito, siglato per garantire l’unità sull’isola. Lo stallo “fornirà spazio per ulteriori discussioni con Bruxelles”, ha spiegato Frost, in particolare sulle “profonde differenze” delle parti in merito all’accordo di divorzio.
    La richiesta di una “revisione totale” dell’accordo è stata già respinta a fine luglio dalla Commissione Europea. Anche questa volta la porta è rimasta chiusa: “Prendiamo atto della dichiarazione, ma non accetteremo una rinegoziazione del Protocollo“, si legge nella nota dell’esecutivo UE. “Continuiamo a sottolineare che l’accordo di recesso è un accordo internazionale e il Protocollo ne è parte integrante”. Gli sforzi di Bruxelles vanno nella direzione di identificare “soluzioni a lungo termine, flessibili e pratiche”, con l’obiettivo di “affrontare le questioni relative all’attuazione pratica del Protocollo” che stanno vivendo cittadini e imprese dell’Irlanda del Nord. Tuttavia, Unione Europa e Regno Unito sono “legalmente vincolati ad adempiere ai loro obblighi ai sensi dell’accordo“.
    Il periodo di grazia era entrato in vigore provvisoriamente all’inizio di quest’anno, con la firma dell’accordo di commercio e di cooperazione (TCA), e sarebbe dovuto scadere il primo aprile. Solo la proroga concessa dalle autorità europee il 30 giugno aveva momentaneamente risolto il conflitto diplomatico nato dalla decisione unilaterale di Downing Street di estendere il periodo di grazia fino a fine di ottobre.
    La porta sulla rinegoziazione dell’accordo rimane sigillata, ma l’Unione sembra voler evitare lo scontro frontale con Downing Street. Lo dimostra il fatto che la procedura d’infrazione avviata lo scorso 15 marzo per le presunte violazioni del Protocollo sull’Irlanda del Nord da parte di Londra è rimasta congelata (è stata momentaneamente sospesa lo scorso 28 luglio). “La Commissione si riserva i suoi diritti per quanto riguarda le procedure d’infrazione”, specifica la nota del gabinetto guidato da Ursula von der Leyen. Tuttavia, “per ora non stiamo passando alla fase successiva” all’invio della lettera di costituzione in mora.

    🇪🇺🇬🇧 Statement by @EU_Commission following today’s announcement by the UK government regarding the operation of the Protocol on Ireland / Northern Ireland 👇https://t.co/VMO4cDKzHM pic.twitter.com/JcIlGCZFLn
    — Daniel Ferrie 🇪🇺 (@DanielFerrie) September 6, 2021

    Il consigliere per la Sicurezza nazionale Frost ha annunciato che il commercio tra Gran Bretagna e Irlanda del Nord deve continuare “sulla base delle pratiche attuali”. Bruxelles si oppone al disimpegno sull’accordo di recesso

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    Bielorussia, condannati gli oppositori Kolesnikova e Znak. L’UE: “Minsk disprezza i diritti umani. Siano rilasciati subito”

    Bruxelles – È arrivato il verdetto. Maria Kolesnikova e Maksim Znak, membri del Presidium del Consiglio di coordinamento dell’opposizione bielorussa, sono stati condannati dal tribunale regionale di Minsk rispettivamente a 11 e 10 anni di carcere. Entrambi sono stati ritenuti colpevoli di aver incitato la popolazione a “commettere azioni contro la sicurezza nazionale, di cospirazione per impadronirsi del potere con mezzi incostituzionali e di creazione e direzione di una formazione estremista”. In altre parole, di aver organizzato le proteste popolari e la piattaforma di opposizione al presidente Alexander Lukashenko, dopo le elezioni-farsa del 9 agosto dello scorso anno.
    Il processo a carico dei due imputati era iniziato un mese fa, dopo quasi un anno di detenzione. A settembre dello scorso anno aveva fatto scalpore la vicenda dell’arresto di Kolesnikova. L’attivista – che aveva diretto il quartier generale del candidato presidenziale Viktor Babariko e successivamente aveva offerto sostegno alla campagna elettorale di Sviatlana Tsikhanouskaya – era stata rapita dai servizi segreti bielorussi a Minsk in pieno giorno. Portata alla frontiera con l’Ucraina, le autorità avevano tentato di espellerla dal Paese, ma Kolesnikova si era opposta e aveva distrutto il suo passaporto. A quel punto era stata arrestata e portata in isolamento nel carcere della capitale.
    “L’Unione Europea deplora la continua palese mancanza di rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali del popolo bielorusso da parte del regime di Minsk “, è stata la condanna di Bruxelles, attraverso una nota del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE). “Ribadiamo la richiesta di rilascio immediato e incondizionato di tutti i prigionieri politici in Bielorussia“, che al momento “sono più di 650”. Tra questi, oltre Kolesnikova e Znak, anche “giornalisti e tutte le persone che sono dietro le sbarre per aver esercitato i loro diritti”.
    L’UE ha avvertito il regime di Lukashenko che “deve rispettare i suoi impegni e obblighi internazionali” e che le istituzioni europee continueranno i loro “sforzi per promuovere la responsabilità della brutale repressione da parte delle autorità bielorusse”. Dopo le sanzioni economiche contro Minsk e i quattro pacchetti di misure restrittive nei confronti di persone e aziende vicine al regime, è attesa a stretto giro a Bruxelles l’adozione di un quinto pacchetto di sanzioni mirate.
    Per quanto riguarda il processo che ha portato alle condanne per i due membri del Presidium dell’opposizione democratica, l’UE ha bollato come “infondate” le accuse del tribunale di Minsk. Anche la leader dell’opposizione e presidente legittima riconosciuta dall’UE, Sviatlana Tsikhanouskaya, ha puntato il dito contro gli uomini di Lukashenko: “Si tratta di terrore contro i cittadini bielorussi che osano opporsi al regime“, ha commentato su Twitter. “Chiediamo l’immediato rilascio di Maria e Maksim, che non sono colpevoli di nulla”.

    The regime sentenced Maria Kalesnikava & Maksim Znak to 11 & 10 years in prison. We demand the immediate release of Maria & Maksim, who aren’t guilty of anything. It’s terror against Belarusians who dare to stand up to the regime. We won’t stop until everybody is free in Belarus. pic.twitter.com/RbnefQzX0q
    — Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) September 6, 2021

    I due membri del Presidium del Consiglio di coordinamento dell’opposizione bielorussa sono stati riconosciuti colpevoli di cospirazione e direzione di una formazione estremista. Accuse definite “infondate” da Bruxelles, che invoca il rispetto degli obblighi internazionali

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    L’Europa deve avere una politica estera comune

    Se c’è un piccolo aspetto  positivo che si può ricavare dalla drammatica crisi afghana è quello che è stato resa ancora più chiara a tutti la non più prorogabile esigenza di creare una politica estera comune europea. Persino il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha parlato apertamente di questa necessità per la politica europea che sempre più mostra tutte le sue incongruenze e debolezze. Il periodo della condivisione da parte dell Europa a quella che era la politica estera del guardiano del mondo statunitense, che spesso senza nemmeno consultare i propri alleati del vecchio continente  prendeva decisioni, a cui poi gli europei dovevano, anche loro malgrado adeguarsi ( proprio l invasione dell Afghanistan aveva incontrato molte resistenze fra i paesi europei) sembra ormai definitivamente alle spalle.
    Gli Stati Uniti hanno ormai mostrato in più occasioni di non voler più assumere quel ruolo di guardiano del mondo che dalla caduta del muro ha dovuto assumere per garantire l’ordine mondiale. Il chiaro intento della politica estera americana è quello di non impegnarsi più in dispute che non riguardino direttamente i propri interessi nazionali. Questo atteggiamento non è cominciato, come si potrebbe pensare, con l’amministrazione Trump, ma è iniziato ben prima. Già nell’ultimo periodo del secondo mandato di George W. Bush, la politica estera americana aveva cominciato una nuova fase maggiormente “attendista”, che è poi proseguita con maggiore vigore sotto le due amministrazioni Obama, soprattutto durante il secondo mandato.
    Fu proprio Obama, infatti, il primo presidente a parlare di un disimpegno dall’Afghanistan e per un graduale ridimensionamento del ruolo americano sullo  scenario mediorientale e africano. Ed è proprio da qui che forse è cominciato non a caso a crescere il peso internazionale della Cina in primis, verso cui Obama ha sempre adottato una politica distensiva e anche di Turchia e Russia, che proprio grazie alla “morbida” politica estera Usa sotto Obama hanno potuto allargare la loro influenza strategica sullo scacchiere geopolitico internazionale.
    Trump ha solo reso esplicito quello che Obama invece ha cercato di fare in maniera un po più surrettizia. Gli Stati Uniti hanno capito di non poter più sostenere il peso sia economico che politico di controllori degli equilibri geopolitici. Il cittadino medio americano non sopporta più che vengano privilegiate questioni di politica estera ben lontane dagli interessi legati alla economia al welfare alla sicurezza nazionale. La lotta la terrorismo non basta più per giustificare un simile gravoso impegno.
    L’Afghanistan è nata proprio a questo fine sulla scorta della grande spinta emotiva determinata dai drammatici  attacchi terroristici del 11 Settembre, ma aveva come fine principale quello di dare la caccia a chi questo attentato aveva preparato e finanziato Osama Bin Laden. L ‘Europa non ha potuto fare altro che allinearsi al volere del potente alleato atlantico, anche se vi erano stati alcuni distinguo all’epoca, anche da parte italiana. La gestione di questi venti anni di occupazione dell Afghanistan ha mostrato la sostanziale debolezza dei paesi europei sul piano organizzativo decisionale e politico. Basti pensare al fatto che i paesi europei impegnati militarmente in Afghanistan non siano stati in grado di evacuare i propri cittadini da Kabul, da soli o in uno sforzo coordinato dell’UE, senza l’assistenza degli Stati Uniti. Questo fatto da solo dimostra ulteriormente quale sia lo stato effettivo  delle capacità militari collettive dell’Europa
    Questo anche perché l’Europa nel conflitto ha sempre avuto un ruolo tutto sommato marginale e di appoggio a decisioni e strategie pensate a Washington. Malgrado ciò non si può non elogiare il lavoro svolto dai militari impegnati sul campo, a cominciare proprio da quello fatto dal contingente  italiano ad Herat.
    La terribile e disastrosa fine del conflitto con il ritiro unilaterale degli Usa, dopo i discutibili accordi di Doha, a cui gli europei nemmeno hanno partecipato, ha mostrato come sia necessaria che l Europa abbia finalmente una politica estera comune, che possa incidere sui principali teatri geopolitici in cui invece essa è sempre più marginale.
    Questo poi può rappresentare  il viatico per la costituzione di una sorta di esercito comune, che sia in grado di intervenire nei casi di crisi come quelli recentemente accaduti in Tunisia e Libia. In assenza di ciò potenze come Turchia e Russia potranno avere buon gioco nell’allargare la loro sfera di influenza anche in zone storicamente e geograficamente di primario interesse per l Europa. Il tempo delle scelte solitarie e non condivise è ormai antistorico e improduttivo, serve una chiara e definita azione comune che dia un senso ad una Europa sempre più ai margini del nuovo ordine mondiale.

    Questo contributo è stato pubblicato nell’ambito di “Parliamo di Europa”, un progetto lanciato da
    Eunews per dare spazio, senza pregiudizi, a tutti i suoi lettori e non necessariamente riflette la
    linea editoriale della testata.

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    Migranti, Polonia dichiara stato di emergenza sul confine bielorusso. Vietato l’accesso ad attivisti e giornalisti

    Bruxelles – Con lo stato di emergenza dichiarato di ieri (2 settembre) dal presidente polacco, Andrzej Duda, si apre un nuovo capitolo della controversa vicenda della rotta bielorussa. Per i prossimi 30 giorni sarà vietato l’accesso ai non autorizzati a una striscia di terra larga tre chilometri lungo il confine orientale con la Bielorussia. Il decreto è già in vigore e, nonostante possa ancora essere impugnato dal Parlamento di Varsavia, non dovrebbe incontrare grossi ostacoli nella votazione di lunedì prossimo (6 settembre) per il via libera del Sejm, la Camera bassa.
    La decisione è senza precedenti nella storia post-comunista della Polonia ed è stata presa “in relazione a una particolare minaccia alla sicurezza dei cittadini e all’ordine pubblico, legata all’attuale situazione al confine di Stato della Polonia con la Bielorussia”, si legge nella dichiarazione ufficiale dell’ufficio del presidente della Repubblica. Si tratta del flusso migratorio irregolare di migliaia di persone verso l’Unione Europea, agevolato dal presidente bielorusso, Alexander Lukashenko, come ritorsione alle sanzioni economiche imposte da Bruxelles.
    Secondo le guardie di frontiera polacche, dall’inizio dell’anno sono stati registrati 3 mila tentativi di attraversare il confine in modo irregolare, in particolare dopo l’inizio della costruzione del muro tra Lituania e Bielorussia e i primi respingimenti operati dalle autorità di frontiera lituane. In tutto il 2020 le persone migranti fermate al confine polacco sono state 122. Per rispondere a questa crisi migratoria, Varsavia ha emulato il vicino baltico e ha iniziato la costruzione di una barriera lungo i 399 chilometri di confine.
    Operazioni di allestimento della recinzione di filo spinato sul confine tra Polonia e Bielorussia
    Con lo stato di emergenza lo scenario però cambia e mette in allarme i difensori dei diritti umani. Non è previsto solo il divieto di “soggiornare in luoghi, strutture e aree designati in orari specifici”, ma anche di “registrare con mezzi tecnici l’aspetto o altre caratteristiche di determinati luoghi, oggetti o aree”. Se non bastasse, sarà imposta la “limitazione dell’accesso alle informazioni pubbliche sulle attività svolte nell’area coperta dallo stato di emergenza”, ovvero una fascia larga tre chilometri dal confine. In questo modo, gli attivisti saranno impossibilitati a portare cibo e primo soccorso alle persone migranti, mentre ai giornalisti sarà negato il diritto di cronaca e di indagine sulla situazione alla frontiera. C’è allarme tra gli addetti ai lavori sugli episodi di pushback, i respingimenti illegali di persone con diritto alla protezione internazionale ai confini dell’Unione Europea.
    Il portavoce presidenziale, Błażej Spychalski, ha riferito che la situazione al confine è “difficile e pericolosa” e Varsavia, “essendo responsabile non solo dei confini nazionali, ma anche di quelli dell’Unione Europea”, deve prendere misure “per garantire la sicurezza della Polonia e dell’intera Unione“. Tuttavia, attivisti e parlamentari polacchi dell’opposizione al governo di Mateusz Morawiecki hanno riportato casi di respingimenti illegali alla frontiera per tutto il mese di agosto: ultimi in ordine cronologico i 30 migranti dall’Afghanistan bloccati nei pressi del villaggio di Usnarz Gorny.
    Lo stato di emergenza è stato già disposto anche nelle zone di confine con la Bielorussia in Lituania (il 7 luglio) e in Lettonia (dall’11 agosto al 10 novembre). Il governo lettone ha vietato di presentare domande per lo status di rifugiato nelle regioni dove è in vigore il decreto e tutti i migranti sono stati respinti in Bielorussia prima di poter fare richiesta per la protezione internazionale. Vilnius ha invece rigettato tutte le richieste di asilo ricevute dal primo agosto e ha adottato una strategia di respingimento sistematico: larga parte dell’opinione pubblica lituana sta avallando queste misure contrarie al diritto internazionale.

    Con l’entrata in vigore del decreto (che dovrà essere approvato dal Parlamento) per i prossimi 30 giorni è disposto il divieto di riprese e la limitazione alle informazioni in una striscia di terra larga tre chilometri lungo la frontiera. Preoccupano i respingimenti illegali operati dalla guardia di frontiera