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    Ucraina al centro del vertice Biden-Putin. L’Europa convitato di pietra

    Roma – Il fronte caldo dell’Europa orientale preoccupa gli Stati e l’ultima emergenza migratoria al confine con la Bielorussia ne è solo un aspetto. Rilevante ma che comprende una questione più ampia che coinvolge l’Ucraina e i Paesi dell’ex influenza sovietica ora nell’UE.
    Nodi che saranno al centro del summit virtuale tra Joe Biden e Vladimir Putin fissato per oggi. Un vertice che riguarda soprattutto l’Europa e a dimostrazione di ciò ieri sera il presidente americano ha chiamato al telefono per un confronto allargato Mario Draghi, Emmanuel Macron, Angela Merkel e Boris Johnson.
    “I leader hanno condiviso la preoccupazione per l’incremento del dispositivo militare russo ai confini con l’Ucraina, concordando sull’esigenza che quest’ultima si adoperi per una distensione – riferisce Palazzo Chigi –  ribadendo che la diplomazia resta l’unica via per risolvere il conflitto nel Donbass dando attuazione agli Accordi di Minsk”.
    Scongiurare dunque l’attacco a Kiev, su cui il dipartimento di Stato americano insieme alla CIA da giorni lancia l’allarme per il concentrarsi di truppe al confine. Da parte di Mosca si rispedisce la palla nel campo opposto, addebitando l’escalation delle tensioni a Washington e ribadendo la richiesta di tenere lontana l’Ucraina dall’influenza NATO. “La Russia non attaccherà nessuno ma abbiamo le nostre preoccupazioni e le nostre linee rosse” ha detto il portavoce Dmitri Peskov ed è questo il primo punto che Putin sottoporrà a Biden nel vertice a distanza, in cui Bruxelles è per forza di cose il convitato di pietra.
    Europa che su questo delicato crinale non ha una posizione granitica e finora non è andata oltre la condanna dell’ingerenza del Cremlino con la conferma delle sanzioni. Queste, secondo l’amministrazione americana, potrebbero diventare ancora più pesanti, al livello più elevato come l’isolamento del sistema bancario russo o le misure di restrizione contro gli oligarchi. La Nato finora è stata allertata e gli Usa hanno già assicurato agli alleati un supporto ulteriore, qualora le truppe della federazione Russa varcassero i confini ucraini.
    La voce grossa avrebbe tuttavia come paradosso l’intenzione di stemperare la tensione in Europa e Biden avrebbe chiesto agli alleati proprio un’azione distensiva, specialmente nei confronti dei Paesi baltici da parte dei quali gli americani temono reazioni azzardate. La difesa dello status quo e il contenimento dell’escalation militare, avrebbe l’obiettivo di evitare le ritorsioni russe in campo energetico che come effetto immediato farebbe emergere una spaccatura tra i Paesi europei. L’altro strumento di pressione è stato già messo in campo da Mosca con il via libera indiretto dei migranti al confine tra Polonia e Bielorussia, e che ha riproposto ai piani alti di Bruxelles il tema irrisolto dei suoi confini, dei rifugiati e dell’applicazione dei principi di solidarietà e integrazione.
    Un vertice “schermato”, non solamente dal punto di vista tecnologico, quello tra Biden e Putin, che avrà come tema centrale l’Ucraina ma si porta dietro molti altri nodi che investono direttamente l’Europa, il suo ruolo internazionale, il progetto di difesa compatibile con la NATO, le sue relazioni economiche. Nodi che forse dovrebbero far scattare qualche urgenza nel dare concretezza a una politica estera comune.

    Il summit a distanza in formato virtuale affronta la crisi alle porte dell’UE e l’escalation militare verso Kiev da parte delle truppe russe. E per concordare un’azione distensiva ieri il presidente americano ha parlato al telefono con i leader europei Draghi, Macron, Merkel e Johnson

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    Patrick Zaky sarà rilasciato in attesa del processo a febbraio. Sassoli: “Ti aspettiamo”

    Bruxelles – “Finalmente Patrick Zaky sarà scarcerato”: David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, è il primo a reagire all’inattesa notizia arrivata questa mattina dall’Egitto. Lo studente dell’Università di Bologna, per il quale gran parte degli italiani sì è mobilitata negli ultimi questi due anni contro un’ingiustificata detenzione, finalmente potrà lasciare il carcere di Mansoura in attesa dell’assurdo processo (il prossimo febbraio) al quale è comunque destinato.
    La notizia inattesa è arrivata dell’ennesima udienza svoltasi a Mansoura due mesi e mezzo dopo l’ultima, nella quale fu confermata la necessità di una carcerazione preventiva. Zaky era in aula, e c’erano anche gli amici dell’ONG Egyptian Initiative for Personal Rights, arrivati dal Cairo. C’erano anche la sorella Marise, il padre e la mamma.
    Hoda Nasrallah, la sua avvocatessa, ha richiesto l’accesso al alcuni documenti dell’accusa, che il giudice ha accettato, prima di decidere la scarcerazione.

    Finalmente Patrick Zaki sarà scarcerato. Finalmente, dopo 22 mesi di sofferenze, un primo passo avanti nella direzione giusta.
    Continueremo a chiedere la sua completa assoluzione e a batterci perché possa tornare al più presto ai suoi studi in Italia.
    Ti aspettiamo, Patrick!
    — David Sassoli (@EP_President) December 7, 2021

    Zaky è accusato di aver diffuso via internet notizie dannose per lo Stato egiziano, di essere membro di un gruppo terroristico, e per aver scritto articoli sulla situazione dei copti in Egitto che conterrebbero notizie false.
    A raffica arrivano reazioni da esponenti politici a Bruxelles.

    La splendida notizia della scarcerazione di Patrick #Zaki è di quelle che attendiamo da tempo! Ora dobbiamo continuare a lottare e far sentire la nostra voce affinché venga assolto e cadano tutti i capi d’accusa contro di lui! pic.twitter.com/7uWgnSr0Nx
    — Eleonora Evi (@EleonoraEvi) December 7, 2021

    Dopo quasi due anni, #PatrickZaki sarà fuori dal carcere in cui è stato picchiato, torturato, minacciato. Questa è l’occasione per l’Italia, il Governo ci ascolti: Patrick, nostro studente a Bologna, diventi cittadino italiano subito!
    — Brando Benifei (@brandobenifei) December 7, 2021

    Proprio nelle ore precedenti l’udienza di oggi in Egitto, ha superato le 300mila firme la petizione lanciata a inizio anno dalla Community di Bologna Station to Station sulla piattaforma Change.org per conferire a Zaki la cittadinanza italiana (Change.org/PatrickZakiCittadinoItaliano). “Questa della scarcerazione senza assoluzione, non è gioia piena ma è comunque gioia“, commentano in una nota i promotori della petizione, i quali lo scorso luglio hanno consegnato le firme, provenienti da tutta UE, nelle mani del presidente del Parlamento Europeo Sassoli. “Attendiamo di sapere le esatte modalità del rilascio e non nascondiamo un certo timore. Sapere che Patrick potrà tornare a casa e conoscere l’interesse che tutta l’Italia e l’Europa ha riposto nel suo caso, crediamo gli sarà utile per ricostruire la sua vita”, aggiungono gli attivisti. “Non vediamo l’ora di poterlo abbracciare e auspichiamo ora un atto preciso dal Governo Italiano: cittadinanza Italiana subito!“, ribadiscono i membri della community.

    Lo studente dell’Università di Bologna potrà lasciare il carcere dopo 22 mesi di detenzione preventiva. Benifei: “Diventi cittadino italiano subito!”

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    La Nuova Caledonia verso il terzo voto sull’indipendenza dalla Francia, tra boicottaggi e autodeterminazione

    Bruxelles – A 16.400 chilometri dalla capitale dell’Unione Europea, al largo della costa nord-orientale dell’Australia, si sta tenendo uno dei più accesi dibattiti sull’autodeterminazione dei popoli sul territorio dei Paesi europei. Nonostante l’attenzione mediatica europea sia spesso focalizzata solo sulle vicende dell’indipendentismo catalano e scozzese, a una settimana dell’indipendenza di Barbados dalla Gran Bretagna, con il referendum sull’indipendenza della Nuova Caledonia dalla Francia di domenica prossima (12 dicembre) si giocherà non solo il destino di una delle enclave più lontane dell’Unione, ma anche il ruolo geopolitico del Paese membro che assumerà la prossima guida semestrale del Consiglio dell’UE.
    Fra pochi giorni gli elettori neocaledoni si recheranno alle urne per la terza volta in quattro anni (come previsto da un dettagliato accordo con Parigi) per decidere in merito alla separazione del territorio francese d’oltremare dall’attuale, lontana, Capitale. Il primo voto del 4 novembre 2018 – che aveva riaperto la strada tracciata nel 1987 – era stata una vittoria di misura degli anti-indipendentisti con il 56,6 per cento dei voti, sceso al 53,2 solo due anni più tardi (4 ottobre 2020). Che il vento pro-indipendenza stia soffiando in Nuova Caledonia l’ha dimostrato l’elezione di Louis Mapou, attivista indipendentista di origine kanaki (il popolo indigeno nativo dell’arcipelago), a capo del governo locale lo scorso 8 luglio.
    A pesare sul voto di domenica ci sarà però anche il fattore COVID-19. A causa dell’ondata di pandemia (la prima da marzo 2020) che si è abbattuta sull’arcipelago dallo scorso settembre e che ha portato alla morte di 279 abitanti, il Fronte di Liberazione Nazionale Kanak e Socialista (FLKNS) ha chiesto al governo francese di rinviare il referendum sull’indipendenza per concentrarsi prima sulla lotta al COVID-19 in Nuova Caledonia. Sul fronte opposto, i lealisti hanno accusato gli indipendentisti di usare la pandemia per giustificare il rinvio di un referendum che temevano di perdere, sottolineando il ruolo decisivo di Parigi nell’invio di medici e vaccini nelle isole per sostenere il sistema sanitario locale. A seguito della conferma dell’apertura delle urne il 12 dicembre, il FLKNS ha annunciato che boicotterà il referendum e che non ne riconoscerà il risultato.
    Le conseguenze per Francia e Unione Europea
    Il dibattito sul rinvio del referendum d’indipendenza è determinato dalle condizioni dell’Accordo di Nouméa del 1998 tra Francia e Nuova Caledonia, che ha posto le basi per la decolonizzazione dell’arcipelago e il diritto all’autodeterminazione. Nel testo viene specificato che Parigi dovrà assicurare tre referendum per stabilire se e come effettuare il trasferimento di poteri a Nouméa, la capitale delle isole. Nel caso in cui anche questa volta la maggioranza dovesse appoggiare i lealisti, si dovrebbe rinegoziare un nuovo accordo: è per questo motivo che, con la variabile COVID-19 sul tavolo, gli indipendentisti stanno spingendo per il boicottaggio e i lealisti per andare lo stesso alle urne.
    L’arcipelago di isole è stato acquisito da Parigi come possedimento nel 1853 ed è rimasto nell’orbita francese fino a oggi come territorio d’oltremare. Nonostante abbia un certo grado di indipendenza e un proprio Congresso, lo statuto della Nuova Caledonia continua a essere considerato come un riflesso del passato coloniale, in particolare dai Kanak. La stragrande maggioranza del popolo indigeno – che costituisce il 40 per cento della popolazione totale – è a favore del porre fine alla propria dipendenza dalla Francia, ma sarà decisivo il voto del restante 60 per cento, composto dai discendenti dei coloni e dei lavoratori immigrati europei e asiatici.
    Tutt’ora, l’arcipelago della Nuova Caledonia continua a rivestire un ruolo importante per la Francia, costituendo uno degli avamposti più strategici per far pesare la propria presenza nel Pacifico: lo status di Parigi come attore globale nella regione si basa prevalentemente sul rapporto con gli Stati Uniti e l’Australia – messo in crisi recentemente dalla disputa sui sottomarini – in ottica di contenimento della potenza cinese. Inoltre, i cittadini della Nuova Caledonia votano per le elezioni presidenziali francesi e l’esito del referendum sull’indipendenza determinerà anche se gli elettori del territorio d’oltremare potranno partecipare alla scelta del nuovo Presidente della Repubblica il prossimo 10 aprile.
    Proprio per questo legame politico-istituzionale tra la Nuova Caledonia e la Francia che potrebbe cambiare a partire da lunedì prossimo, anche le istituzioni europee sono pronte a un eventuale nuovo rapporto con l’arcipelago del Pacifico. Se Nouméa dovesse staccarsi ufficialmente da Parigi, gli elettori neocaledoni non potranno più partecipare alle elezioni del Parlamento Europeo, già a partire dal 2024. Una novità che non permetterebbe più di vedere a Bruxelles eurodeputati come Maurice Ponga, politico della Nuova Caledonia eletto nel 2009 (fino alle elezioni del 2019, quando tutte le circoscrizioni francesi sono state accorpate) come rappresentante dei territori d’oltremare.

    Domenica 12 dicembre gli elettori del territorio d’oltremare si esprimeranno (di nuovo) sul referendum per staccarsi da Parigi. Gli indipendentisti non riconosceranno il risultato, dopo aver chiesto il rinvio del voto per la crisi COVID-19

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    L’UE approva quinto pacchetto di sanzioni contro Bielorussia in concerto con Stati Uniti: colpita anche la compagnia aerea Belavia

    Bruxelles – È arrivato il via libera del Consiglio dell’UE al quinto pacchetto di sanzioni contro la Bielorussia e da oggi (giovedì 2 dicembre) altre 17 persone e 11 entità vicine al regime di Alexander Lukashenko saranno colpite dalle misure restrittive dell’Unione Europea. La decisione è stata presa in concerto con i partner degli Stati Uniti, come annunciato dalla portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki.
    Membri della Corte Suprema della Bielorussia, canali di propaganda del regime, funzionari politici, compagnie aeree, tour operator e hotel sono stati inseriti nel nuovo pacchetto di sanzioni, che ha messo al centro la strumentalizzazione delle persone migranti alla frontiera con l’UE. L’intesa politica a Bruxelles era stata raggiunta lo scorso 15 novembre e dopo due settimane e mezzo di lavori sono stati individuati i soggetti da sottoporre al regime restrittivo. Tra questi anche la compagnia aerea di bandiera Belavia, finita nella lista nera dell’UE per essersi resa complice della tratta di esseri umani dai Paesi di origine delle persone migranti verso Minsk (poi trasportate dalle autorità bielorusse ai confini con Polonia e Lituania).
    La decisione di oggi porta a 183 gli individui e 26 le entità colpite dalle sanzione UE, tutti ritenuti responsabili della repressione della società civile, dell’opposizione democratica, dei media indipendenti e dei giornalisti e del contributo all’organizzazione di attraversamenti illegali delle frontiere UE. Le persone fisiche sono soggette a congelamento dei beni e divieto di viaggio, mentre a cittadini e imprese dell’Unione è vietato mettere fondi a loro disposizione.
    “Questa cinica strategia di sfruttamento delle persone vulnerabili è un tentativo ripugnante di sviare l’attenzione dal continuo disprezzo del regime per il diritto internazionale, le libertà fondamentali e i diritti umani in Bielorussia“, ha dichiarato l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. “L’UE è unita nell’affrontare questa sfida e sta usando tutti gli strumenti a sua disposizione”, ha aggiunto Borrell, sottolineando che “questo quinto round di sanzioni è un altro esempio della nostra determinazione ad agire quando i diritti umani vengono violati”.
    Da Washington, la portavoce della Casa Bianca ha ribadito che le sanzioni statunitensi sono “anche in risposta allo spietato sfruttamento da parte del regime di Lukashenko dei migranti vulnerabili” da Paesi terzi. L’obiettivo sarebbe quello di “orchestrare il loro traffico lungo i confini con gli Stati europei”, ha aggiunto Psaki.

    Nel nuovo aggiornamento delle misure restrittive approvato dal Consiglio dell’UE contro il regime di Lukashenko compare anche la compagnia di bandiera per “strumentalizzazione delle persone migranti”

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    Il Global Gateway da 300 miliardi di euro è la risposta UE alla Belt and Road Initiative della Cina e alle sfide globali

    Bruxelles – Si chiama Global Gateway e mobiliterà fino a 300 miliardi di euro in investimenti tra il 2021 e il 2027: è questa la risposta dell’UE alla Belt and Road Initiative della Cina (quella che in Italia è conosciuta anche con il nome di Nuova via della seta), la nuova strategia europea per “promuovere collegamenti intelligenti, puliti e sicuri nei settori del digitale, dell’energia e dei trasporti e rafforzare i sistemi di salute, istruzione e ricerca in tutto il mondo“.
    La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, insieme con la commissaria per i Partenariati internazionali, Jutta Urpilainen, e il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi
    Presentato oggi (mercoledì primo dicembre) dalla presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, insieme con la commissaria per i Partenariati internazionali, Jutta Urpilainen, e il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, il Global Gateway sarà lo strumento che dovrebbe permettere all’Unione di affrontare le sfide globali più urgenti, dal cambiamento climatico, al miglioramento della sicurezza sanitaria, fino al rafforzamento della competitività e delle catene di approvvigionamento globale, come quella dei semiconduttori. “La strategia Global Gateway è un modello di come l’Europa può costruire connessioni più resistenti con il mondo“, ha presentato così il progetto la presidente von der Leyen.
    Che questa iniziativa sia una risposta allo potere crescente della Cina in contenenti come l’Africa e il Sud America (ma anche in Medio Oriente e nell’Europa orientale e balcanica) lo si deduce dal fatto che l’esecutivo UE abbia voluto specificare che “il Global Gateway veicolerà un aumento degli investimenti per promuovere valori democratici, buona governance, trasparenza e partenariati equi“. Con questo spirito Bruxelles metterà in contatto le istituzioni finanziarie e di sviluppo degli Stati membri, la Banca europea per gli investimenti (BEI) e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS), mobilitando le delegazioni UE in tutto il mondo per identificare e coordinare i progetti in loco.
    La commissaria per i Partenariati internazionali, Jutta Urpilainen
    Contrapponendosi alla cosiddetta trappola del debito cinese, attraverso il Global Gateway l’UE vuole rafforzare la solidità delle condizioni finanziarie dei Paesi partner e migliorare la sostenibilità del debito, attraverso sovvenzioni, prestiti favorevoli e garanzie di bilancio. Al centro c’è anche la promozione di alti standard ambientali, sociali e di gestione strategica, che saranno monitorati dall’assistenza tecnica di Bruxelles. Per garantire una maggiore parità di condizioni per le imprese dell’UE nei mercati dei Paesi terzi, dove si trovano a competere con i concorrenti sostenuti dai propri governi, l’UE sta valutando la possibilità di istituire uno strumento europeo di credito all’esportazione. “Vogliamo creare legami forti e sostenibili, non dipendenze, tra l’Europa e il mondo e costruire un nuovo futuro per i giovani”, ha sottolineato la commissaria Urpilainen.
    A livello di partenariati, Bruxelles guarda oltreoceano per promuovere investimenti sostenibili nella connettività. In particolare, “il Global Gateway e l’iniziativa statunitense Build Back Better World si rafforzeranno a vicenda“, è stata la rassicurazione dell’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. Un impegno che si estende anche in Asia, con i partenariati di connettività con Giappone e India, e nei Balcani Occidentali, con il Piano economico e di investimenti presentato nel 2020: “Questi piani inizieranno a realizzare la strategia Global Gateway nelle regioni che rientrano ancora nel mandato di questa Commissione”, ha confermato il commissario Várhelyi.

    La Commissione UE ha presentato la nuova strategia europea per mobilitare investimenti che diano vita a progetti con Paesi partner in tutto il mondo entro il 2027 su cambiamento climatico, catene di approvvigionamento e sicurezza sanitaria

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    HGE8: L’Europa geopolitica arranca, va rivista la politica estera comune

    Roma – Il mondo cambia, nuovi poteri emergono, e l’Unione europa fa fatica a tenere il passo. C’è oggi maggiore bisogno di presenza, come mediatori, e come potenza militare. Serve, quindi, “il grande passo”, quello di una integrazione vera in quei settori sempre strategici mai mai veramente trattati come tali a livello comune: sicurezza e politica estera comune. Questa la risposta fornita nel corso dell’ottava edizione di How Can We Govern Europe (HGE8), il più importante evento sull’attualità europea organizzato da Eunews.
    C’è un deficit di fondo, sottolinea Rosa Balfour, direttrice di Carnegie Europe. “Con la pandemia l’Unione europea ha saputo affrontare le sfide del XXI secolo: sanità e clima. Ma sul fronte internazionale resta molto debole“. Lo dimostrano gli eventi di attualità. “Stiamo vivendo momenti pericolosi, in queste ora la Russia sta ammassando militari al confine con l’Ucraina e non si capisce come e con quale cappello l’Europa risponderà: come UE, come Nato, come singoli Paesi?”. Secondo la responsabile del think tank, molto si gioca sulla capacità di tramutare in potenza gli impegni assunti a livello domestico. Perché l’arrivo del Coronavirus ha mostrato tutti i limiti della dimensione internazionale dell’UE. “Se guardiamo alla capacità di esportare vaccino l’Europa non è messa molto bene, e la variante Omicron dimostra questa cosa. Ci siamo impegnati sul fronte interno, ma non altrettanto su quello esterno”. Per un cambio di rotta “bisogna vedere come riesce a tradurre in azione esterna la transizione verde e digitale”.
    Piero Fassino, presidente della commissione Esteri della Camera, una soluzione ce l’ha: è un nuovo percorso di costruzione europea. “Serve una terza fase di integrazione“. La prima fase, ricorda, è stata quella dei padri fondatori; la seconda è stata quella dell’adozione dell’euro e del grande allargamento. “Adesso serve una terza fase di integrazione”, ribadisce. Si tratta di dare forma ad un politica estera comune. “E’ molto importante che l’UE è giunta alla conclusione di avere una politica di difesa comune, però deve essere chiaro che una politica di sicurezza presuppone una politica estera”. Allo stato attuale, lamenta, la politica estera come “è accennata” e basta. “Abbiamo un servizio diplomatico, ma in ogni pilastro c’è bisogno di fare il salto in avanti”. Tradotto: occorre “procedere a maggioranza” e lasciar perdere le decisioni all’unanimità, e “bisogna riconosce all’Alto rappresentante qualche titolarità in più”, per evitare di dover parlare ogni volta con 27 ministri degli Esteri.
    Se Fassino propone una riforma dell’Unione europea, Sibylle Bauer, direttrice studi, armamenti e disarmo dello Stockholm International Peace Research Institute – SIPRI, chiede innanzitutto di correggere storture e contraddizioni interne. “Se guardiamo l’esportazione di armamenti, l’UE è uno dei maggiori esportatori di armi”, rileva. Questo rischia di ritorcesi contro l’Unione europea, i suoi interessi, e la capacità di gestire gli scenari di guerra e tensione. In prospettiva “l’UE ha un grande ruolo da giocare” sullo scacchiere internazionale. “A volte il soft power è più efficace dell’hard power“, e allora invece di esportare armi varrebbe la pena di cambiare linea. “La Germania, insieme ai Paesi Bassi, stanno ripensando la strategie per il controllo delle armi. E’ una sfida nuova, ognuno sta cercando di trovare delle soluzioni”. La chiave possibile? “Una delle soluzione per il traffico delle armi è la costruzione di fiducia, agevolando il dialogo. Dobbiamo investire nel controllo delle armi di nuova generazione. Il messaggio chiave è: impegnarsi, impegnarsi, impegnarsi”.
    In questo percorso che appare inevitabile, c’è bisogno anche di un’azione esterna che guardi di più ai valori fondamentali. “Su questo non riusciamo a dare una risposta coordinata, come dimostra la questione dei migranti al confine con la Bielorussia”, critica Marta Grande, presidente della Delegazione parlamentare presso l’Assemblea del Consiglio d’Europa. “La nostra Unione si basa su questo, è parte del nostro DNA, è parte della nostra cultura. Manca però concretezza in politica estera“. Ricorda che molte volte in passato si è parlato di esercito comune europeo senza veri progressi. “Adesso, che l’Europa è sempre più sotto attacco di Paesi terzi, è arrivato il momento di fare un passo avanti”.

    L’UE è indietro e a livello geopolitico non riesce a incidire come potrebbe e dovrebbe. Tempo di rilanciare anche l’esercito europeo

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    Riprendono a Vienna i negoziati sul nucleare iraniano. Ma Teheran non vuole trattare direttamente con gli USA

    Roma – Dopo cinque mesi di interruzione sono ripresi a Vienna i negoziati per riattivare l’accordo internazionale sul programma nucleare dell’Iran. Lo ha annunciato oggi il portavoce della delegazione dell’Unione europea Alain Georges Matton. La ripresa dei lavori della commissione è stata confermata anche dall’agenzia di stampa di Stato iraniana Irna.

    In Vienna, #JCPOA Joint Commission, chaired on behalf of EU High Representatives @JosepBorrellF by @eu_eeas Deputy Secretary General @enriquemora_ , just started. pic.twitter.com/kXtCbQtnEn
    — Alain Georges MATTON 🇪🇺 (@AlainMatton) November 29, 2021

    Un portavoce del governo di Teheran ha riferito che il Paese è “fermamente determinato” a ottenere un buon esito dei negoziati in vista di una revoca delle sanzioni internazionali.
    L’accordo sul nucleare era stato raggiunto nel 2015 con la mediazione dell’UE e dell’ex  rappresentante per la politica estera Federica Mogherini e quando a guidare gli Stati Unti era Barack Obama. Intesa abbandonata dalla presidenza Trump e ora segnata da nuove aperture da parte di Joe Biden. L’accordo era stato sottoscritto da gruppo 5+1, composto da Russia, Cina, Francia, Regno Unito, Germania e Stati Uniti.
    In questa prima fase la delegazione USA guidata dall’inviato speciale per l’Iran, Robert Malley, parteciperà ai colloqui in forma indiretta, con i diplomatici degli altri Paesi che faranno da intermediari.
    Teheran ha sempre rivendicato il diritto a sviluppare un programma nucleare con sole finalità civili, che l’accordo internazionale dovrebbe permettere di monitorare.
    Tuttavia gli ostacoli per un nuovo accordo sono diversi. Da una parte ci sono le forti pressioni di Israele nei confronti dei Paesi occidentali che fin dal 2015 ha contestato l’intesa. Sul fronte opposto l’Iran ha irrigidito la sua posizione, denunciando la controparte statunitense di aver disatteso gli accordi con l’uscita unilaterale nel 2018 e un inasprimento delle sanzioni, motivo che ha portato al rifiuto di Teheran a trattare direttamente con Washington.

    Un portavoce del governo ha dichiarato che il Paese è “fermamente determinato” a un buon esito ma denuncia l’uscita unilaterale degli USA dagli accordi del 2015. Le trattative con l’inviato speciale di Biden saranno mediate dal gruppo dei 5

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    Il governo dei talebani chiede assistenza all’UE per garantire il funzionamento degli aeroporti in Afghanistan

    Bruxelles – Non facendo concessioni sulla propria posizione di non riconoscimento del governo provvisorio dell’Afghanistan, l’Unione Europea sta portando avanti a Doha (Qatar) il dialogo con il regime dei talebani, per “garantire l’impegno operativo nell’interesse dell’UE e del popolo afghano”, precisa una nota del Servizio europeo per l’azione esterna.
    Tra i punti in agenda compare la richiesta a Bruxelles da parte della delegazione afghana di assistenza operativa per garantire il funzionamento degli aeroporti. I rappresentanti dell’UE ci starebbero pensando, considerata “l’importanza fondamentale di mantenere aperti gli aeroporti dell’Afghanistan”. Inoltre, gli stessi talebani hanno ribadito “l’impegno a facilitare il passaggio sicuro dei cittadini stranieri e afghani che desiderano lasciare il Paese“, specifica la nota dell’agenzia UE.
    Preoccupa in particolare il peggioramento della situazione umanitaria con l’arrivo dell’inverno: “L’Unione Europea intende continuare a fornire assistenza umanitaria alle donne, agli uomini e ai bambini afghani in difficoltà”, che “non sarà soggetta a tassazione”. Nessun ripensamento sul fatto che il sostegno UE allo sviluppo dell’Afghanistan per il momento rimarrà sospesa, ma si sta iniziando a prendere in considerazione “un’assistenza finanziaria sostanziale a diretto beneficio del popolo afghano“. In altre parole, “convogliata esclusivamente attraverso organizzazioni internazionali e ONG”, per garantire i servizi essenziali (istruzione e sanità) e  mezzi di sussistenza per la popolazione.
    In linea con la posizione adottata dall’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, a seguito del ritorno al potere dei talebani in Afghanistan, la delegazione europea ha sottolineato la necessità di un “processo trasparente e partecipativo” sul fronte di una possibile riforma costituzionale, così come della riconciliazione nazionale attraverso l’amnistia generale. A questo proposito la delegazione afgana ha riaffermato il suo impegno per “amplificare questo messaggio e la sua applicazione” nel Paese, così come per il rispetto della libertà di parola e dei media, “in linea con i principi islamici”, e dei diritti umani e le libertà fondamentali, “compresi i diritti delle donne e delle minoranze”.
    Ultimo capitolo sui rapporti internazionali. Se da una parte c’è l’impegno per assicurare l’integrità territoriale di “un Afghanistan sovrano, in pace con i vicini e che interagisce con la comunità internazionale”, allo stesso tempo l’UE ha insistito sull’obbligo dei talebani di intraprendere “un’azione determinata per combattere tutte le forme di terrorismo“. La delegazione afghana ha riaffermato il suo impegno a non permettere che il territorio nazionale serva da base per ospitare e finanziare gruppi che minaccino la sicurezza degli altri Paesi e “ha accolto con favore” la presenza delle missioni diplomatiche in Afghanistan, compresa quella dell’UE, che sta ancora valutando se stabilire “una presenza minima” sul terreno a Kabul.

    Dialogo tra la delegazione UE e del governo provvisorio afghano a Doha: riconfermato l’impegno sul libero passaggio per chi vuole lasciare il Paese e sulla lotta al terrorismo. Bruxelles valuta “una presenza minima” sul terreno a Kabul