More stories

  • in

    Brexit, l’UE cerca un compromesso sul protocollo sull’Irlanda del Nord e propone un taglio dei controlli doganali

    Bruxelles – È passato ormai quasi un anno dall’entrata in vigore dell’accordo di divorzio tra l’Unione Europea e il Regno Unito, ma la questione Brexit continua a creare frizioni nei rapporti tra le due sponde della Manica. Ci prova ora la Commissione UE a gettare acqua sul fuoco, con la proposta di una serie di accordi per risolvere le difficoltà che stanno vivendo i cittadini dell’Irlanda del Nord sul fronte del commercio con la Gran Bretagna.
    A seguito di diversi confronti nelle ultime settimane con la controparte britannica e con le istituzioni nord-irlandesi, il vicepresidente della Commissione UE per le Relazioni interistituzionali e le prospettive strategiche, Maroš Šefčovič, ha presentato oggi (mercoledì 13 ottobre) “la nostra autentica risposta alle preoccupazioni dei cittadini e delle imprese dell’Irlanda del Nord“, con l’obiettivo di trovare una “soluzione permanente concordata congiuntamente” insieme al governo britannico. “Tutto questo sarà fatto in stretta collaborazione e in costante dialogo con il Parlamento e il Consiglio Europeo”, ha assicurato Šefčovič in conferenza stampa. La proposta è contenuta in quattro testi non legislativi (non paper), che saranno discussi con la controparte britannica da venerdì (15 ottobre), quando il vicepresidente della Commissione farà visita a Londra.
    Il vicepresidente della Commissione UE per le Relazioni interistituzionali, Maroš Šefčovič (13 ottobre 2021)
    Nel primo testo si parla di un abbattimento dell’80 per cento dei controlli dei certificati sanitari e fitosanitari degli alimenti, delle piante e degli animali, attraverso una serie di condizioni e salvaguardie per gli standard del Mercato Unico Europeo: la costruzione di posti permanenti di controllo alle frontiere, imballaggi specifici, un’etichettatura che indichi che le merci sono in vendita solo nel Regno Unito e un monitoraggio rafforzato delle catene di approvvigionamento. Nel caso in cui si verifichino problemi o violazioni da parte dei commercianti o delle autorità britanniche, si attiverebbero un meccanismo di reazione rapida e misure unilaterali UE. Segue poi la proposta di una riduzione del 50 per cento delle pratiche doganali (grazie alle condizioni poste dal primo testo), a patto che Londra si impegni a fornire un accesso “completo e in tempo reale” ai sistemi IT (tecnologia dell’informazione): “Si creerà una sorta di Express Lane per la circolazione delle merci dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord”, si legge nel testo, “fornendo allo stesso tempo un solido meccanismo di monitoraggio e protezione dell’integrità del Mercato Unico”.
    Il terzo testo tratteggia un legame più forte tra l’Assemblea dell’Irlanda del Nord e l’Assemblea di partenariato parlamentare UE-Regno Unito, per rendere “più trasparente” l’applicazione del protocollo sull’Irlanda del Nord dell’accordo di recesso tra UE e Regno Unito e rafforzare la partecipazione dei partner nordirlandesi nelle riunioni dei comitati specializzati. E infine il quarto testo si concentra sulla “sicurezza ininterrotta” della fornitura di medicinali dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord. Vale a dire che Londra “può continuare a fungere da hub per la fornitura di farmaci generici” per Belfast e che le aziende farmaceutiche britanniche “possono mantenere tutte le loro funzioni normative”, nonostante questo implichi il fatto che “l’UE cambi le proprie regole sui medicinali“.
    Secondo l’esecutivo comunitario “questo pacchetto di misure farà una reale differenza” per quanto riguarda la circolazione delle merci, ha commentato il vicepresidente Šefčovič. L’attenzione è stata posta sulle “flessibilità in materia di alimenti, salute delle piante e degli animali, dogane, medicinali e impegno con le parti interessate nordirlandesi”, ma anche sul fatto che “propone un modello diverso per l’attuazione del protocollo” sul piano del commercio tra Londra e Belfast. “È facilitato, ma con una serie di salvaguardie e una maggiore sorveglianza del mercato”, ha concluso Šefčovič, che ha ribadito anche che la bussola che guida la Commissione rimane tarata su “prevedibilità, stabilità e certezza per le persone e le imprese”.
    Le difficoltà nel commercio post-Brexit
    Le proposte dell’esecutivo comunitario hanno come obiettivo quello di trovare un compromesso sulle difficoltà riscontrate nell’attuazione del protocollo sull’Irlanda del Nord dell’accordo di recesso tra UE e Regno Unito (che è stato redatto per preservare l’unità dell’isola, secondo l’accordo del Venerdì Santo del 1998). La questione ruota attorno al periodo di grazia per il commercio nel Mare d’Irlanda, ovvero la concessione temporanea da parte delle autorità UE ai controlli dei certificati sanitari ai supermercati e fornitori britannici per il commercio di generi alimentari. Nel contesto post-Brexit i controlli servono per mantenere integro il Mercato Unico sull’isola).
    Il vicepresidente della Commissione UE per le Relazioni interistituzionali, Maroš Šefčovič (13 ottobre 2021)
    Questa concessione – entrata in vigore provvisoriamente dall’inizio del 2021 con la firma dell’accordo di commercio e di cooperazione – sarebbe dovuta scadere lo scorso primo aprile. Ma con la decisione unilaterale di Downing Street dello scorso 3 marzo di estendere il periodo di grazia fino alla fine di ottobre, si era aperta la cosiddetta ‘guerra delle salsicce’ (diventate il simbolo dei prodotti refrigerati a rischio per la tratta commerciale dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord). Dopo aver lanciato una procedura di infrazione contro il Regno Unito per presunte violazioni del protocollo, lo scorso 30 giugno Bruxelles aveva deciso di concedere una proroga di tre mesi.
    Offerto il dito, Londra si è presa tutto il braccio. A inizio settembre il governo guidato da Boris Johnson ha iniziato un pressing non solo per ridefinire la durata del periodo di grazia sui controlli dei certificati sanitari, ma anche per rinegoziare l’intero protocollo sull’Irlanda del Nord. Richiesta respinta al mittente dalla Commissione Europea per due volte: la prima a fine luglio dal vicepresidente Šefčovič – “non accetteremo nessuna revisione”, aveva tagliato corto – la seconda proprio in occasione della ripresa delle polemiche oltremanica un mese fa.
    Le bordate da Londra
    Già prima della presentazione della proposta della Commissione UE di oggi, da Londra erano piovute critiche rispetto a un altro punto del protocollo sull’Irlanda del Nord: il potere di arbitrato da parte della Corte di Giustizia dell’UE. “Il ruolo della Corte di giustizia e delle istituzioni dell’UE in Irlanda del Nord crea una situazione in cui non sembra esserci alcuna discrezione su come le disposizioni del protocollo vengono attuate”, ha attaccato il consigliere britannico per la Sicurezza nazionale, David Frost, ieri (martedì 12 ottobre) in un intervento a Lisbona. “La Commissione è stata troppo veloce a liquidare la governance come una questione secondaria”, ha aggiunto, portando come esempio la procedura di infrazione: “È arrivata al primo disaccordo, è evidente che questi accordi non funzioneranno nella pratica“.
    Il braccio destro del premier Johnson ha cercato di smarcarsi dalle critiche per aver firmato lui stesso l’accordo (fino all’anno scorso era ex-capo negoziatore Brexit per il Regno Unito), sostenendo che “il protocollo è stato redatto in estrema fretta in un periodo di grande incertezza“. Ma non solo: “Dire che non può essere migliorato sarebbe un errore di valutazione storico”, ha incalzato Frost, prima di insinuare che per Bruxelles “turbolenze, distorsione del commercio e sconvolgimento della società” in Irlanda del Nord sono “forse persino un prezzo accettabile” da pagare per dimostrare che “la Brexit non ha funzionato”. Su tutte le altre proposte dell’esecutivo UE, Frost si è detto “disponibile a negoziare intensamente”.
    Ma dalla Commissione Europea la porta rimane chiusa. “Entrambe le parti si sono impegnate con una firma”, ha ribadito il funzionario UE. Cancellare con un colpo di spugna il ruolo affidato alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea significherebbe non solo “compromettere il mantenimento dell’Irlanda del Nord nel Mercato Unico“, ma anche “aumentare l’instabilità, esattamente l’opposto di quello che vogliamo”. La Corte UE rimane “al centro del protocollo” ed è evidente che, nonostante il passo avanti di oggi da parte dell’esecutivo comunitario, la partita tra Londra e Bruxelles sul commercio in Irlanda del Nord è tutt’altro che chiusa.

    Il vicepresidente della Commissione UE Šefčovič ha presentato le quattro proposte per risolvere le difficoltà di commercio tra Belfast e Londra. Previsto l’abbattimento dell’80 per cento dei controlli, purché si rispettino le salvaguardie del Mercato Unico

  • in

    L’UE punta all’Artico: transizione verde, libertà di navigazione e materie prime

    Bruxelles – La Commissione europea ha pubblicato una comunicazione congiunta per indirizzare l’azione dell’Unione nella regione dell’Artico. Il documento, dal titolo Un coinvolgimento maggiore dell’UE per un Artico pacifico, sostenibile e prospero, analizza gli interessi dei Paesi membri nel teatro polare e getta le basi per rispondere alle sfide incipienti.
    L’impegno dell’UE per un Artico verde
    La regione negli ultimi anni ha visto sia l’aumento della competizione geopolitica tra grandi potenze che gli effetti più drastici del riscaldamento globale. Come ha ricordato il Commissario europeo per l’ambiente Virginijus Sinkevičius “la regione dell’Artico si sta scaldando tre volte più velocemente del resto del pianeta”.
    Un fenomeno che influisce sull’andamento globale del clima e minaccia la corrente del Golfo, con effetti potenzialmente disastrosi per tutti i Paesi del Nord Atlantico. Gli indirizzi della Commissione muovono proprio dall’aspetto climatico. Diminuire le emissioni e porre un freno all’estrazione di gas e petrolio è una necessità impellente per la salute del Pianeta e degli abitanti della regione. Come ha ricordato sempre Sinkevičius, sono centinaia di migliaia gli Europei che vivono nelle vicinanza del Polo e di otto Stati considerati pienamente artici ben tre fanno parte dell’Unione europea (Svezia, Danimarca, Finlandia).
    A completare l’impegno ecologico dell’Unione sarà il progetto per la riduzione delle microplastiche (30 per cento entro il 2030) e il contrasto alla pesca smodata, che minaccia di intaccare i ricchi bacini ittici del Polo.
    Salvare l’approccio cooperativo nell’Artico
    Le relazioni tra potenze nell’Artico sono tradizionalmente contraddistinte da un maggiore grado di cooperazione rispetto al resto dei teatri “caldi”. La Commissione intende impegnarsi perché questa tendenza sopravviva all’inasprirsi delle condizioni del sistema internazionale. Di qui la preoccupazione per i tentativi di cinesi di installarsi nell’area e per l’intesa militarizzazione condotta dalla Federazione Russa.
    Il documento promuove la cooperazione multilaterale nell’Artico, con il potenziamento di strumenti come la Northern Dimension, l’accordo per lo sviluppo logistico e la tutela degli abitanti dei Poli tra UE, Russia, Norvegia e Islanda. I partenariati per la ricerca scientifica, numerosi da sempre trai ghiacci anche con potenze che altrove sono “ostili”, vengono individuati come vettore privilegiato della cooperazione.
    La comunicazione precisa che il partner principale per la sicurezza resta la NATO e che la cooperazione deve sempre essere orientata al rispetto della convenzione UNCLOS sul diritto del mare, dunque sul riconoscimento delle zone economiche esclusive e della sovranità degli spazi marittimi. Per aumentare il proprio coinvolgimento e monitorare la situazione la Commissione ha promesso di stabilire il suo primo ufficio in Groenlandia, presso la citta di Nuuk.
    Di particolare rilevanza geopolitica è la volontà di avviare un piano sostenibile di sfruttamento delle materie prime di cui la regione è ricca. Nello specifico la comunicazione fa riferimento alle terre rare (RE) e alla necessità di assicurare un approvvigionamento che non dipenda da “uno o pochi Paesi fornitori”, con esplicito riferimento alla Repubblica popolare cinese, da cui l’UE acquista il 98% delle RE.

    La Commissione europea ha rilasciato una comunicazione congiunta a Parlamento e Consiglio per indirizzare l’azione comunitaria nell’Artico. Insieme alla promozione di un approccio competitivo con le altre potenze, la Commissione vuole portare avanti le battaglie per la libertà di navigazione, lo scioglimento dei ghiacciai e l’inquinamento

  • in

    L’Unione Europea stringe i rapporti con l’Ucraina per affrontare la crisi energetica e la minaccia russa

    Bruxelles – Sono due gli spettri che aleggiano sul vertice UE-Ucraina e lo si capisce ascoltando le prime parole della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, in conferenza stampa: “Vogliamo che la Russia si prenda le sue responsabilità sulle violazioni della sovranità dell’Ucraina e vi consideriamo partner stretti nell’affrontare la comune crisi energetica“.
    L’incontro di oggi (martedì 12 ottobre) tra la leader dell’esecutivo comunitario, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, aveva come obiettivo il rafforzamento delle relazioni tra Kiev e Bruxelles sul piano dell’integrazione economica in diversi settori, tra cui clima, energia, telecomunicazioni, connettività, trasporti, istruzione e ricerca. Dopo la firma degli accordi sullo spazio aereo comune, sui programmi UE di ricerca e innovazione Horizon Europe ed Euratom e sul programma europeo di sostegno al settore culturale Creative Europe, sono stati i due temi politicamente più scottanti a monopolizzare gli interventi post-vertice.
    In primis, la questione russa e la tensione tra i due Paesi da quando Mosca ha annesso nel 2014 la penisola di Crimea. Come già ribadito in diverse occasioni (ultima in ordine cronologico, la risposta dello scorso aprile all’accumulo di truppe russe lungo il confine orientale del Paese), “l’Unione Europea supporta pienamente l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina“, non ha lasciato spazio a dubbi la presidente von der Leyen. Le ha fatto eco il numero uno del Consiglio Europeo, che ha condannato “fermamente” quella che per Bruxelles è “un’annessione illegale della Crimea”. Michel ha sottolineato che “per la sicurezza e la stabilità del Paese, potete contare su di noi”.
    Ma se queste prese di posizione erano tutto sommato attese e prevedibili, ben più importanti sono state le dichiarazioni dei due rappresentanti delle istituzioni europee al vertice UE-Ucraina sul tema della crisi energetica che sta sconvolgendo il mondo, con un aumento dei prezzi di gas ed energia per i Paesi importatori.  “Stiamo esplorando la possibilità di stoccaggi in comune di gas naturale con l’Ucraina“, ha annunciato von der Leyen, spiegando le prospettive sul breve e lungo periodo allo studio della Commissione UE. A causa del taglio dei rifornimenti di gas da parte dell’azienda russa Gazprom, “questo sarà un problema comune non solo di questo inverno, ma anche dei prossimi”.
    La cooperazione tra Bruxelles e Kiev viene vista come “molto benefica per entrambi” da parte della presidente della Commissione, che sta analizzando diversi scenari di reazione alla crisi attuale con un coinvolgimento del partner ucraino. Per “assicurare una fornitura sufficiente al Paese”, von der Leyen ha spiegato che una soluzione potrebbe essere “l’aumento delle capacità dei gasdotti già in uso“, ipotizzando “un’inversione del flusso in un gasdotto dalla Slovacchia”. Altrimenti si dovrà pensare a riserve strategiche comuni e assicurare che “l’Ucraina resti un Paese di transito affidabile per l’approvvigionamento di gas”.
    L’obiettivo dichiarato è di “raggiungere l’indipendenza energetica, per non dipendere più dall’estero“, ha esortato la leader dell’esecutivo comunitario, dopo aver ricordato che però “il nostro fine ultimo rimane svincolarci dai combustibili fossili”. Al momento però, come ricordato anche dalla commissaria per l’Energia, Kadri Simson, la settimana scorsa davanti alla plenaria del Parlamento UE, si deve ragionare sull’impennata dei prezzi e cercare una risposta a livello comunitario. Di questo – e in particolare della capacità di stoccaggio comune – si discuterà al prossimo Consiglio Europeo del 21-22 ottobre a Bruxelles. “È un argomento fondamentale, su cui possiamo cercare di costruire una cooperazione con l’Ucraina“, ha sottolineato il presidente Michel, presentandolo come un “esempio pratico di come vogliamo affrontare insieme i problemi ed essere politicamente più efficienti”.

    Tra le soluzioni emerse dal vertice di Kiev c’è anche la possibilità di disporre di “stoccaggi in comune di gas naturale”, ha annunciato la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen

  • in

    Afghanistan, UE discute con i talebani a Doha

    Bruxelles – A Bruxelles si affrettano a precisare che l’avvenimento “non è un riconoscimento” del governo provvisorio, ma a Doha, in Qatar, l‘UE discute con i talebani. Si tratta di “un incontro informale”, tenuto “a livello tecnico” con la mediazione dell’emirato del Golfo, e che serve a cercare accordi.
    Dopo la caduta del governo filo-occidentale e il ritorno al potere dei talebani, l’Aghanistan è diventato un vero e proprio rompicapo per diplomazia e non solo. Da una parte c’è la necessità di sminare una crisi migratoria, dall’altra parte la difficoltà nell’individuare un interlocutore. L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, Josep Borrell, ha scelto la strada della realpolitik: occorre discutere con chi comanda.
    La linea dell’UE è quella del dialogo e dell’accordo, laddove possibile. Un riconoscimento comunque de facto, anche se per ora a Bruxelles lo smentisco. E’ vero, l’UE discute con i talebani ma lo fa a livello di “inviati speciali e rappresentanti per l’Afghanistan”.
    L’incontro-confronto non è un’iniziativa dell’Unione europea. Nella capitale del Qatar si trovano anche inviati speciali degli Stati Uniti. Le due delegazioni occidentali discutono sulla possibilità di garantire accesso umanitario nel Paese, favorire l’uscita dal Paese di chi lo desidera, evitare la proliferazione del terrorismo.
    Intanto la Commissione europea annuncia un pacchetto di aiuti da un miliardo di euro per l’Afghanistan e i Paesi vicini. “Dobbiamo fare tutto il possibile per evitare un grave collasso umanitario e socioeconomico in Afghanistan”, sottolinea la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, piuttosto preoccupata. Con l’approssimarsi dell’inverno “l’assistenza umanitaria da sola non sarà sufficiente per evitare la carestia e una grave crisi umanitaria“.
    UE schierata con il popolo afghano, e allo stesso tempo contro chi lo comanda. “Il popolo afghano non dovrebbe pagare il prezzo delle azioni dei talebani”, aggiunge von der Leyen. Parole che dimostrano tutta la difficoltà dell’Unione europea a gestire il dossier afghano.

    Incontro informale e a livello tecnico in Qatar per garantire assistenza umanitaria. Con l’inviato speciale europeo anche uomini della missione degli Stati Uniti. Von der Leyen teme la carestia. “Pronto un miliardo di euro”

  • in

    Vertice UE-Balcani: sotto la patina di ottimismo si nasconde l’ennesimo fiasco per l’allargamento dell’Unione

    Dall’inviato
    Kranj – Più delle parole, scritte e pronunciate in questa giornata slovena, a spiegare il clima del vertice UE-Balcani Occidentali è bastato osservare il linguaggio del corpo dei tre leader europei intervenuti in conferenza stampa. Totalmente assente il consueto sorriso sul volto della presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen. Frenetico il modo di gesticolare del presidente del Consiglio UE, Charles Michel. Tendente al glaciale lo sguardo del premier sloveno e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Janez Janša. Se poi ci aggiungiamo quello che manca nella dichiarazione di Brdo, il quadro è completo: oltre gli annunci di facciata e l’ottimismo del linguaggio diplomatico, il vertice UE-Balcani Occidentali è stato un fiasco per le prospettive di adesione della regione all’Unione.
    Un fiasco, non un fallimento. Perché il processo di allargamento dell’Unione Europea non si è fermato, né ha fatto passi indietro. È solamente rimasto fermo ai soliti problemi e ai soliti punti di forza. Da una parte, il veto della Bulgaria all’apertura dei quadri negoziali con la Macedonia del Nord (trascinando nello stallo anche l’Albania), le continue difficoltà nella normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo e la mancanza di volontà politica di diversi Paesi membri nell’espandere l’Unione oltre le sue frontiere attuali. Dall’altra, il Piano economico e di investimenti da quasi 30 miliardi di euro per la regione stanziato da Bruxelles, i progressi nei negoziati di adesione di Serbia e Montenegro e il progressivo allineamento dei Sei balcanici alle richieste europee sul fronte delle riforme, del rispetto dello Stato di diritto e degli obiettivi della doppia transizione verde e digitale dell’economia.
    Il premier sloveno e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Janez Janša (Kranj, 6 ottobre 2021)
    Di più non si vede. Ed è un problema, perché il vertice di oggi (mercoledì 6 ottobre) era atteso come la chiave di volta per il futuro prossimo della regione nell’Unione. Invece il primo punto delle conclusioni è una riconferma da parte dell’UE del “suo impegno nei confronti del processo di allargamento”. Allargamento in grassetto, per far capire che già un’intesa su questo termine è un successo: alcuni tra i Ventisette avrebbero voluto eliminarlo, alla fine l’ha spuntata la presidenza slovena. L’ostacolo su cui però si sono incagliate le ambizioni del premier Janša è stato il riferimento a una scadenza per portare a termine il processo di allargamento dell’UE nei Balcani. Questa mattina, prima dell’incontro tra i capi di Stato e di governo europei e balcanici, nessun leader si era sbilanciato su una data certa e ora si capisce il perché.
    “L’assenza del riferimento al 2030 è il risultato della discussione di oggi“, ha spiegato senza troppi giri di parole Janša. “La Slovenia voleva una data ultima su cui basare il calendario dei negoziati, come è successo con noi nel 2004”, ma non tutti i Paesi membri UE si sono mostrati convinti che questo possa (o piuttosto debba) accadere “entro la fine del decennio”, ha aggiunto il premier sloveno. Tuttavia, Janša ha cercato il più possibile di nascondere il fiasco di questo vertice (che avrebbe dovuto essere il fiore all’occhiello della sua presidenza del Consiglio dell’UE). “Ci sono molti punti positivi nella dichiarazione”, dalla tabella di marcia per l’abolizione del roaming dati tra l’Unione e i Balcani alla promessa di continuare a sostenere il piano di vaccinazione anti-COVID dei sei Paesi, “per raggiungere tassi simili alla media dell’UE “entro la fine del 2021”.
    L’ottimismo (forzato) delle istituzioni europee
    Ribadendo quanto dichiarato questa mattina, la presidente von der Leyen ha sottolineato che “la posizione della Commissione Europea è chiara: non siamo completi senza i Balcani e farò tutto il possibile per far avanzare questo processo“. Parole a cui è difficile non credere e che spiegano la frustrazione per un dialogo con gli Stati membri tutt’altro che facile. Solo una settimana fa, durante il suo viaggio nella regione, la leader dell’esecutivo UE aveva promesso che entro la fine dell’anno saranno avviati i negoziati con Macedonia del Nord e Albania. Un obiettivo ambizioso, ma che sarà quasi impossibile raggiungere: non è un caso se questa scadenza non è stata menzionata nemmeno di sfuggita.
    La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen (Kranj, 6 ottobre 2021)
    Con un sorriso tirato, von der Leyen ha chiesto “pazienza” ai cittadini balcanici: “Capisco perfettamente la vostra frustrazione per la lentezza del processo“. Altro indizio che per la presidente dell’esecutivo comunitario il vertice UE-Balcani Occidentali sarebbe potuto andare decisamente meglio. Allo stesso tempo, ha riferito alla stampa di sentirsi ottimista sul futuro allargamento dell’UE, per tre ragioni. Primo, perché “la maggioranza dei Paesi membri si è impegnata nel rafforzarlo”. Secondo, per il Piano economico “che parla da solo sulle nostre ambizioni strategiche”. Terzo, per “l’eccellente messaggio offerto alla regione” dall’accordo tra Serbia e Kosovo (mediato da Bruxelles) per mettere fine alla cosiddetta ‘battaglia delle targhe’: “È il perfetto esempio di cosa si può raggiungere quando ci si siede al tavolo del dialogo”, ha aggiunto von der Leyen.
    Il presidente del Consiglio UE Michel ha invece insistito a più riprese sui valori fondamentali che legano l’Unione e i Balcani, a partire dalle “fondamenta della lotta alla corruzione e del rispetto dello Stato di diritto“. Nella dichiarazione finale si fa riferimento anche al “primato della democrazia e dei valori fondamentali”, al rispetto dei diritti umani, della parità di genere e delle persone appartenenti a minoranze. Tutti temi oggetto di riforme socio-economiche, da cui dipende il proseguo del sostegno dell’UE ai Paesi della regione.
    Facendo riferimento ai temi di discussione del Consiglio informale di ieri sera, Michel ha ricordato che, da un punto di vista strategico, l’Unione vuole proteggere i propri interessi “con partner che condividono i nostri valori”. In quest’ottica, la centralità del vertice UE-Balcani Occidentali è evidente. Nel documento finale non si parla esplicitamente dei concorrenti nell’estensione dell’influenza politica ed economica nella penisola, ma si può leggere tra le righe il riferimento a Russia e Cina. In particolare, quando viene sottolineato che l’Unione Europea è “di gran lunga” il principale investitore e donatore nella regione e nella richiesta ai leader balcanici di riconoscere e trasmettere nei dibattiti pubblici nazionali “la scala e la portata senza precedenti di questo sostegno”.
    Cosa c’è nella dichiarazione di Brdo
    Oltre ai punti già menzionati – la necessità di condivisione dei valori europei da parte dei Paesi della regione, il Piano economico di investimenti e il supporto nella lotta contro il COVID-19 – nella dichiarazione di Brdo spiccano le aspettative nei confronti del dialogo decennale tra Pristina e Belgrado: “Attendiamo progressi concreti dalle due parti sulla piena normalizzazione delle loro relazioni“. Un fattore indispensabile “per la stabilità e lo sviluppo dell’intera regione”, ma soprattutto per garantire che entrambi i Paesi possano continuare “sui loro rispettivi percorsi europei” (anche se nel caso del Kosovo l’UE deve fare i conti con cinque Paesi membri che non ne riconoscono l’indipendenza, ovvero Spagna, Grecia, Romania, Cipro e Slovacchia).
    Il presidente del Consiglio UE, Charles Michel (Kranj, 6 ottobre 2021)
    Al vertice UE-Balcani Occidentali di Kranj spazio anche all‘Agenda verde e al Mercato comune regionale, secondo le linee dell’intesa raggiunta al vertice di Sofia del novembre 2020. Nell’ottica del Green Deal europeo, l’Agenda “è un fattore chiave per la transizione verso economie moderne, a zero emissioni di carbonio ed efficienti nell’uso delle risorse”. C’è anche un richiamo al tema del momento: “La sicurezza energetica dovrebbe essere prioritaria, compresa la diversificazione delle fonti e delle rotte”, si legge nel documento. Il Mercato comune regionale viene invece visto come un trampolino di lancio per “rafforzare l’integrazione dei Balcani Occidentali nel Mercato Unico dell’UE”.
    Come emerso dalle tappe in Serbia e in Bosnia ed Erzegovina del recente viaggio di von der Leyen, la dichiarazione sottolinea che “è una priorità sviluppare ulteriormente la connettività dei trasporti, all’interno della regione e con l’UE“. Non solo per “migliorare l’efficienza e la sicurezza dei servizi di trasporto”, ma anche per “raggiungere gli obiettivi di mobilità verde e sostenibile”, grazie al rafforzamento del trasporto ferroviario e delle vie navigabili. Attesa anche l’attuazione del piano d’azione dell’Agenda dell’innovazione per i Balcani occidentali, lanciata oggi per “promuovere l’eccellenza scientifica e la riforma dei sistemi educativi”.
    Non ci si aspettava molto dal capitolo “rotta balcanica”, ma si commenta da solo il posto riservato nelle discussioni alla questione migratoria: nella dichiarazione occupa il 23esimo punto su 30. In modo molto approssimativo sono state delineate le aree di interesse: miglioramento dei sistemi di asilo, lotta al traffico di migranti e alla “migrazione illegale”, gestione delle frontiere e capacità di accoglienza. Una particolare attenzione è stata posta invece sui sistemi di rimpatrio, “compresa la conclusione di accordi di riammissione con i principali Paesi di origine”. A ruota segue il tema Afghanistan e non a caso si fa riferimento alla necessità di “affrontare le sfide in evoluzione e coordinare risposte comuni”.
    Con questo stato dell’arte, ricominceranno gli incontri bilaterali tra governi, i confronti tra i singoli Paesi della regione con la Commissione Europea e il dialogo Serbia-Kosovo. Ma “per promuovere ulteriormente i nostri interessi comuni”, i leader europei e balcanici hanno espresso la disponibilità a “rinvigorire il dialogo politico”. Il vertice UE-Balcani Occidentali diventa un evento regolare. Ci si rivede nel 2022, con la sensazione che non si riprenderà da basi più avanzate di quelle poste da questo summit controverso e, in parte, deludente.

  • in

    UE e NATO, per Draghi serve una riflessione. Afghanistan e AUKUS messaggi forti

    Roma -Dall’Afghanistan all’accordo Aukus arrivano messaggi chiari: la NATO sembra meno interessata all’Europa. Il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi pone il problema al vertice informale dei leader UE e chiede una riflessione ai partner.
    Il ritiro da Kabul e il cambio di intenzioni del contratto tra Australia e Francia sulla fornitura di sottomarini, “nella sostanza e nel modo con cui è stato comunicato” per Draghi “sono due messaggi forti che ci dicono che la NATO sembra meno interessata all’Europa e ha spostato l’interesse verso altre parti del mondo”.
    La riflessione portata al tavolo del Consiglio europeo informale durante la cena di ieri in Slovenia porta ad alcune questioni poste ai partner che Draghi ha riportato ai cronisti. Sulla NATO “siamo interessati a rimanere ma serve una riflessione su come contribuire a guidarne le scelte” con posizioni comuni e coordinate.
    Draghi, prima del vertice dedicato ai Balcani, ha avuto un lungo colloquio riservato con il presidente francese Emmanuel Macron con cui ha fatto il punto sulla conferenza della Libia del prossimo 12 novembre a Parigi. L’Eliseo in più occasioni ha posto il tema del ruolo dell’Alleanza atlantica nella politica estera e di difesa dell’Unione oggi rilanciato da Draghi.
    Anche sulle relazioni con Russia e Cina “è venuto il momento di parlarne seriamente” e ancora “serve una politica estera comune altrimenti inutile parlare di politica di difesa e autonomia strategica”. Un obiettivo a cui “si può arrivare all’interno dell’UE – ha spiegato il premier italiano – se però non funziona ci si può arrivare nel modo tradizionale con le alleanze intergovernative tra i vari Paesi”. Questioni che il premier italiano ha posto con forza al vertice, e pur con la riserva avanzata dai Paesi Baltici, chiede che Commissione europea prepari per il prossimo summit uno schema su politica estera e di difesa. Come Unione europea “c’è la necessità di fare qualcosa, costruire un processo – ha concluso – se nasce qualcosa fuori non indebolisce la NATO ma rafforza entrambi”.

    Il presidente del Consiglio in Slovenia preme sui partner per un salto di qualità nella politica estera e di difesa. “Alleanza atlantica poco interessata all’Europa”. Incontro riservato co Macron su Libia e agenda internazionale

  • in

    Attesa per il vertice UE-Balcani Occidentali: impegno per l’allargamento, ma nessuno si sbilancia sulle tempistiche

    Dall’inviato
    Kranj –  Sotto l’acqua battente di una giornata d’autunno in Slovenia c’è appena il tempo di una passerella veloce per i leader europei e balcanici, prima dell’inizio del vertice UE-Balcani occidentali. “Buongiorno! Tutto bene, grazie”, ha tagliato corto Mario Draghi, percorrendo in velocità il tappeto rosso ormai pieno di pozzanghere. Il premier italiano non si è sbottonato, tenendo la stessa linea di “no comment” verso la stampa mostrata ieri sera (martedì 5 ottobre), all’arrivo al castello di Brdo per il vertice informale dei capi di Stato e di governo dell’UE.
    In verità, sono stati pochi i leader disponibili a parlare con i giornalisti. Non Angela Merkel, nascosta sotto l’ombrello nero con il logo della presidenza slovena del Consiglio dell’UE, non Emmanuel Macron, che ha schivato con un sorriso beffardo le domande sulle prospettive dell’autonomia militare dell’Unione, dopo le discussioni alla cena dei Ventisette. Hanno fatto eccezione il primo ministro del Lussemburgo, Xavier Bettel – protagonista di un scambio di pacche sulle spalle con l’omologo albanese, Edi Rama – e il premier del Kosovo, Albin Kurti, che ha richiamato l’Unione Europea a “rispettare gli impegni presi” sia sulla liberalizzazione dei visti per i cittadini kosovari, sia sull’allargamento dell’UE nei Balcani”. Riguardo alle ultime difficoltà del dialogo Pristina-Belgrado, Kurti ha indicato nel reciproco riconoscimento “l’unica soluzione credibile, giusta e sostenibile” per la normalizzazione dei rapporti con la Serbia (il presidente serbo, Aleksander Vučić, non ha rilasciato dichiarazioni), mentre ai cinque Paesi UE che non riconoscono l’indipendenza del Kosovo (Spagna, Grecia, Romania, Cipro e Slovacchia) il premier Kurti ha chiesto che “si allineino al più presto agli altri”.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, prima del vertice UE-Balcani Occidentali (Kranj, 6 ottobre 2021)
    Più inclini a rilasciare dichiarazioni i leader delle istituzioni europee, a partire dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen: “Oggi lanciamo un messaggio molto chiaro, che vogliamo i Paesi dei Balcani occidentali nell’Unione Europea, perché siamo un’unica famiglia“, ha sottolineato con forza, ricalcando le rassicurazioni fornite nel corso del suo viaggio della settimana scorsa nella regione. La capa dell’esecutivo comunitario aveva indicato nel 31 dicembre 2021 la data entro cui dovranno iniziare i negoziati per l’adesione di Albania e Macedonia del Nord, ma al momento nessun leader europeo si è voluto sbilanciare su una data certa, né per i due Paesi bloccati dal veto della Bulgaria, né per l’intero processo di allargamento ai Sei balcanici.
    “Per noi questo vertice sarà l’occasione di confermare la prospettiva europea dei Balcani”, ha confermato il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ma anche per “ribadire che siamo pronti a mobilitare grossi investimenti per sostenere le loro riforme economiche e la lotta alla corruzione”. Michel ha definito quello di oggi “uno scambio di vedute aperto e libero”, finalizzato a “capire i prossimi passi” sulla strada dell’allargamento UE. Commenti in perfetto stile diplomatico, che nascondo incertezze e divisioni sulle tempistiche di questo processo. Sembra improbabile che nei prossimi mesi si assisterà a un’accelerazione, anche considerata la situazione interna dei due Paesi che ‘pesano’ di più a Bruxelles: la Francia è prossima alle elezioni presidenziali e difficilmente Macron si esporrà troppo su questo tema delicato, la Germania è impegnata nella formazione del nuovo governo e per il momento non spingerà più di quanto già fatto.
    L’alto rappresentante UE, Josep Borrell, prima del vertice UE-Balcani Occidentali (Kranj, 6 ottobre 2021)
    Nemmeno l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, si è voluto sbilanciare sul tema dell’ostacolo bulgaro sulla strada dell’adesione UE della Macedonia del Nord (e di rimando dell’Albania, dal momento in cui i quadri negoziali di Skopje e Tirana sono affrontati da Bruxelles come un unico pacchetto). L’alto rappresentante ha però esortato tutti i Paesi membri a mantenere il processo di allargamento “una strada credibile e di cui ci si può fidare”, una volta soddisfatti i criteri per avviare i negoziati. Nel frattempo, il presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, ha esortato i convenuti a Kranj a  a impegnarsi a fondo nel dialogo: “Serve nuovo e forte impulso, è giunto il momento di superare i ritardi e gli attuali blocchi”, si legge nella lettera inviata al presidente del Consiglio Europeo prima dell’inizio del vertice UE-Balcani Occidentali. “Questo nuovo slancio non può che avere un effetto positivo nella regione e potrebbe contribuire alla sua trasformazione democratica e alle relazioni di buon vicinato”, ha ricordato Sassoli, avvertendo che “ogni ulteriore esitazione rischia di incoraggiare altri attori che desiderano acquisire influenza nella regione”.

    We call on leaders at the #EUWBSummit2021 to give new impetus to the accession process.
    Enlargement, based on common values, benefits us all – it is time to move forward.
    Further delay risks encouraging others who wish to gain influence in the region. https://t.co/450JxorPdd
    — David Sassoli (@EP_President) October 6, 2021

    Si è aperto in Slovenia il summit tra i leader UE e balcanici, per rafforzare le prospettive europee dei Paesi della regione e il loro processo di adesione. Rimane però difficile un’accelerazione entro la fine dell’anno

  • in

    Rapporti UE-USA: al centro della plenaria dell’Europarlamento autonomia strategica e guerra commerciale

    Bruxelles – Volontà di un partenariato più forte, ma anche nuove attenzioni agli interessi europei. Questo il riassunto della plenaria del Parlamento europeo in merito al nuovo corso delle relazioni tra Unione europea e Stati Uniti d’America. Nel corso del dibattito è stata presentata la relazione dell’eurodeputato Tonino Picula (S&D), delegato del Parlamento ad analizzare rapporti con gli Stati Uniti.
    Picula si è soffermato sulla relazione esclusiva tra Europa e Stati Uniti, fondata su una base valoriale comune e sulla volontà di affrontare determinate sfide in maniera congiunta. Clima, commercio e promozione del multilateralismo e della democrazia devono essere i campi fondamentali del nuovo corso delle relazioni tra UE e USA.
    L’autonomia europea e i nuovi rapporti con gli USA
    Tuttavia, l’UE deve accettare che “la relazione transatlantica per come l’abbiamo conosciuta nel mondo post seconda guerra mondiale è cambiata irrevocabilmente” a causa del nuovo corso della politica estera USA, adesso improntata in primis al proprio interesse nazionale. La gestione dei dossier sulla ritirata dall’Afghanistan e l’alleanza strategica con Australia e Regno Unito (AUKUS) che esclude i partner europei sono lì a testimoniarlo.
    L’intervento dell’alto rappresentante UE per la politica estera Josep Borrel ha rimarcato che la nascita del partenariato AUKUS è un campanello di allarme che indica le nuove priorità degli Stati Uniti, imperniate sul contenimento della Cina. Priorità che devono portare ad un nuovo approccio al sistema internazionale anche da parte dell’Unione europea, con il conseguimento di una maggiore autonomia strategica. Borrel ha annunciato la presentazione di una “Bussola strategica” nel mese di novembre, con la speranza di rinnovare anche il comunicato congiunto UE-NATO del 2018.
    I principali gruppi politici del parlamento hanno confermato l’inclinazione ad un rapporto con gli Stati Uniti che resta sì imprescindibile ma deve essere improntato ad una maggiore parità. In questa cornice si inquadra la proposta del PPE per l’istituzione di un consiglio politico transatlantico “che eviti le tensioni non necessarie”, come ha ribadito la portavoce Zeljana Zofko. L’obiettivo, per il partito popolare resta “una strada intermedia tra autonomia strategica ed affidarsi completamente alla protezione americana”.
    I delegati dei socialdemocratici e dei liberali di Renew Europe si sono espressi in maniera simile. La sfida è quella di continuare a cooperare con gli USA “senza chiudere gli occhi di fronte alle azioni che non ci piacciono, come il ritiro unilaterale dall’Afghanistan e la sigla di AUKUS”, come ha dichiarato Pedro Marques, vicepresidente di S&D. Anche Dragoș Tudorache, rappresentante di Renew Europe, ha sottolineato la necessità della cooperazione, senza escludere opzioni autonome di un’Europa “forte e in grado di difendersi”. 
    Commercio e tecnologia
    Sempre i liberali hanno chiarito che i campi di cooperazione privilegiata non si esauriscono alla sfera della sicurezza: commercio, transizione green e transizione digitale devono essere le priorità del rapporto transatlantico. Tutti punti che ritornano anche nella relazione presentata da Picula, su cui il parlamento si dovrà esprimere nella giornata di domani – e alla base del consiglio su commercio e tecnologia tra UE e USA che ha recentemente inaugurato i lavori a Pittsburgh.
    Sull’importanza dei rapporti commerciali e dei loro effetti sui lavoratori hanno insistito le dichiarazioni dei Verdi e del gruppo dei non iscritti. Reinhard Bütikofer, ha espresso chiaramente la volontà del suo partito di chiedere agli USA di fare marcia indietro sui dazi su acciaio e alluminio imposti dall’amministrazione Trump tutt’oggi in vigore. Richiesta rilanciata a gran voce anche dalla rappresentanza a Bruxelles della Sinistra, per cui la cooperazione non deve portare a “lottare con altri concorrenti internazionali” ma a un maggiore sviluppo dei diritti e dei rapporti economici.
    Le relazioni commerciali sono state complicate da ambo le parti – emblematica la firma UE dell’accordo sugli investimenti con la Cina durante la transizione da Trump a Biden – ma ora serve un approccio attento ai diritti dei lavoratori. La deputata del Movimento 5 stelle Tiziana Beghin ha ribadito la difficoltà storica di accordarsi con gli USA quando si parla di commercio, ricordando il fallimento del TTIP. Un corso che potrà essere cambiato solo da “relazioni più eque e trasparenti” e dalla “fine definitiva alle guerre dei dazi”.
    Le critiche di conservatori e populisti
    In parziale controtendenza le dichiarazioni dei rappresentanti dei due gruppi politici conservatori, ID e ECR. I conservatori riformisti hanno rimarcato il fallimento della “nuova luna di miele” che si annunciava con l’elezione di Joe Biden, rispondendo criticamente alle prime righe di apertura della relazione redatta da Picula. La delegata di ECR Assita Kanko ha detto che l’Europa si deve adattare alla nuova dottrina americana, che anche con Biden sarà “America First”.
    Gli interventi dei sovranisti Identità e democrazia sono stati critici dell’autonomia strategica paventata nel dibattito. Il deputato Marco Zanni, presidente del gruppo e membro della Lega, ha puntato il dito contro la mancanza di volontà politica dei paesi europei, ribadendo che a queste condizioni “la difesa europea si chiama NATO”. Il leghista ha attaccato la velleitarietà dei discorsi sulla costruzione di una difesa autonoma senza considerare che quasi nessuno dei partner della NATO ha raggiunto gli obiettivi della spesa militare imposti dalla cooperazione transatlantica.
    Sia Zanni che la collega di partito Mara Bizzotto hanno rilanciato l’idea della cooperazione strategica con gli Stati Uniti in funzione anticinese, con un netto cambio di passo dalla “colpevole latitanza” dell’Unione europea. Gli eurodeputati della Lega sono stati gli unici a difendere la scelta da parte dell’amministrazione Biden di aderire al partenariato AUKUS, esortando gli Stati membri e l’Unione a accreditarsi come alleati credibili onde rientrare, in futuro, all’interno di nuovi sodalizi strategici nell’Indo Pacifico.

    Si discute il nuovo corso dei rapporti tra Unione Europea e Stati Uniti. I gruppi politici del confermano volontà di cooperare ma premono per lo sviluppo di capacità autonome