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    Uniti e decisi contro la guerra di Putin. Mario Draghi all’Onu rilancia il multilateralismo per uscire dalle crisi

    Bruxelles – Decisi e uniti contro la guerra di Putin in Ucraina. Contro l’insicurezza alimentare, la crisi energetica ed economica che ne sono scaturite. Ma anche contro le sfide del nostro tempo, dal cambiamento climatico alle disuguaglianze. Sono da poco passate le nove di sera quando il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ieri 20 settembre, inizia a pronunciare il suo discorso alle Nazioni unite, nella giornata di apertura della 77esima Assemblea Generale Onu che questa settimana raccoglie a New York i grandi del mondo. L’ultimo che lo vede premier dell’Italia, a cinque giorni dalla chiamata alle urne del 25 settembre.
    Il filo rosso che lega il discorso di Draghi è la parola insieme. E’ all’Onu, sede del multilateralismo per eccellenza, che il premier dimissionario ne rilancia l’importanza per affrontare le sfide del nostro tempo, dal cambiamento climatico, alla pandemia, senza dimenticare le diseguaglianze sociali. Tutte sfide del nostro tempo, aggravate dall’aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina di cui la responsabilità “è chiara e di una parte sola”, accusa il premier dimissionario. Se la responsabilità del conflitto è solo del presidente russo Vladmir Putin, è collettiva la necessità di “trovare risposte a questi problemi con urgenza, determinazione, efficacia”.
    Rivendica l’unità dimostrata dall’Unione europea e dei suoi alleati di fronte alla guerra che “è stata determinante per offrire all’Ucraina il sostegno di cui aveva bisogno, per imporre costi durissimi alla Russia”. E insieme agli alleati occidentali e i membri del G7 (Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito, Stati Uniti) abbiamo imposto sanzioni senza precedenti alla Russia, per indebolirne l’apparato militare e convincere il Presidente Putin a sedersi al tavolo dei negoziati”. All’Unione europea si rivolge anche con preoccupazione sulla situazione energetica e sul fatto che l’aumento del costo dell’energia “mette a rischio la ripresa economica, limita il potere d’acquisto delle famiglie, danneggia la capacità produttiva delle imprese”.
    L’Italia è tra i Paesi europei ad aver mobilitato più risorse per aiutare le imprese e i cittadini a fronteggiare i rincari, circa “il 3,5 per cento del nostro prodotto interno lordo“. Ma ora serve di più a livello europeo e da New York il premier torna a insistere sull’importanza di fissare un tetto al prezzo delle importazioni di gas, “anche per ridurre ulteriormente i finanziamenti che mandiamo alla Russia. L’Europa deve sostenere gli Stati membri mentre questi sostengono Kiev”. Il price-cap è una delle battaglie che Draghi ha fatto più sue a livello comunitario, prima chiedendo alla Commissione europea di fissare un tetto sulle importazioni di gas russo e poi un tetto generalizzato su tutte le importazioni di gas (dal momento che ora quello russo è appena il 9 per cento delle importazioni all’Europa).
    Proprio la guerra in Ucraina e le crisi che ne derivano, a detta di Draghi, hanno messo a dura prova la coesione della comunità internazionale. “Ma è proprio in questo contesto che è necessario ritrovare lo spirito di cooperazione che ci ha permesso negli scorsi anni di affrontare insieme altre sfide non meno dure”. Assicura a conclusione del suo intervento che anche nei prossimi anni, “l’Italia continuerà a essere protagonista della vita europea, vicina agli alleati della NATO, aperta all’ascolto e al dialogo, determinata a contribuire alla pace e alla sicurezza internazionale”. Come a voler dettare la linea al governo che ne farà le veci dopo il 25 settembre e a rassicurare gli altri che non ci sarà uno stravolgimento degli equilibri internazionali di cui l’Italia fa parte.

    L’intervento del presidente del Consiglio dimissionario all’Assemblea generale delle Nazioni Uniti, che assicura l’impegno dell’Italia sul multilateralismo internazionale ed europeo. Anche dopo il 25 settembre

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    A New York si delineano le sette priorità contro l’insicurezza alimentare globale. Michel: “Test dell’ordine internazionale”

    Bruxelles – È tempo di passare ai fatti per contrastare l’insicurezza che sta mettendo a rischio i sistemi alimentari in tutto il mondo. E a New York, a margine dell’Assemblea Generale dell’Onu, si cerca una soluzione mediata da Unione Europea, Stati Uniti e Unione Africana: “Possiamo superare l’insicurezza alimentare globale solo lavorando insieme per creare partenariati innovativi“, è il messaggio-chiave della Dichiarazione firmata nella nottata europea tra martedì 20 e mercoledì 21 settembre dai leader del Summit sulla Sicurezza Alimentare Globale.
    Con oltre cento Stati membri delle Nazioni Unite che hanno approvato la Roadmap per la sicurezza alimentare globale, la Dichiarazione fissa l’obiettivo di contrastare “l’impatto combinato di una pandemia globale, le crescenti pressioni dovute alla crisi climatica, gli alti prezzi dell’energia e dei fertilizzanti e i conflitti prolungati, tra cui l’invasione della Russia in Ucraina”, che hanno aumentato “drasticamente” l’insicurezza alimentare globale, “soprattutto per i più vulnerabili”. Lo scatto che porta dalle parole ai fatti si esplicita in sette linee d’azione specifiche “per rispondere ai bisogni umanitari immediati e costruire sistemi agricoli e alimentari più resilienti”.
    Il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, al Summit sulla Sicurezza Alimentare Globale (20 settembre 2022)
    Prima di tutto servono nuove donazioni finanziarie aggiuntive alle principali organizzazioni umanitarie per fornire più assistenza umanitaria “immediata e salvavita”, comprese donazioni in natura e costi associati per la consegna di prodotti alimentari di base “in base alle esigenze valutate”. Vanno poi mantenuti aperti i mercati alimentari, dei fertilizzanti e dell’agricoltura, evitando misure restrittive “ingiustificate” come i divieti di esportazione, che “aumentano la volatilità del mercato”. Al contrario, i leader del Summit sulla Sicurezza Alimentare Globale vogliono sostenere un aumento della produzione di fertilizzanti – “laddove possibile e necessario” – per compensare le carenze e accelerare le innovazioni, e allo stesso tempo accelerare l’agricoltura e i sistemi alimentari sostenibili, favorendo i Paesi più colpiti in loco sia a livello di produttività agricola sia di transizione energetica per gli agricoltori di qualsiasi dimensione. Di qui la necessità di aumentare gli investimenti in ricerca e tecnologia per “sviluppare e implementare innovazioni agricole basate sulla scienza e resistenti al clima, comprese le sementi”, ma anche di monitorare i mercati che influenzano i sistemi alimentari, garantendo la “piena trasparenza” e condividendo dati e informazioni “affidabili e tempestive”.
    “Questa crisi va ben oltre il cibo, stiamo affrontando una crisi del costo della vita, una crisi causata dalla ‘tempesta perfetta’ delle sfide alimentari, energetiche ed economiche”, ha sottolineato il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, nel suo intervento al Summit di New York. “Siamo qui per trovare soluzioni collettive per contrastare l’insicurezza alimentare, insieme all’Africa e insieme al resto del mondo“, ha aggiunto Michel, sottolineando la necessità di più coordinamento e più denaro”, come sta dimostrando lo sforzo dell’Unione Europea di mettere sul tavolo “quasi 8 miliardi di euro fino al 2024 per fornire aiuti umanitari e soluzioni a breve e lungo termine”.
    Se la guerra del Cremlino in Ucraina è “un test del nostro ordine internazionale basato sulle regole“, la risposta coordinata non può che passare dalle Nazioni Unite e da tutti i partner “che credono nella cooperazione globale”, ha esortato il presidente Michel all’azione. L’esportazione dei cereali dall’Ucraina è ancora una delle principali priorità, dopo mesi di blocco e di bombardamento dei porti del Mar Nero da parte della marina russa: “Le nostre corsie di solidarietà Ue-Ucraina hanno trasportato più di 10 milioni di tonnellate di prodotti alimentari e l’Iniziativa per il grano del Mar Nero, guidata dalle Nazioni Unite, sta facendo la differenza”. Contrariamente a quanto affermato dagli organi di propaganda di Putin, “questo cibo arriva in Africa, Medio Oriente e Asia” e “contribuisce a stabilizzare i mercati”, ha messo in chiaro infine il numero uno del Consiglio Ue.

    Donazioni finanziarie aggiuntive, stop a misure restrittive ingiustificate, aumento della produzione di fertilizzanti e monitoraggio dei mercati. Il presidente del Consiglio Ue spinge su una “risposta coordinata” che passi dalle Nazioni Unite e dai partner “che credono nella cooperazione globale”

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    Al via l’Assemblea dell’Onu fra clima, energia e guerra. Guterres: “In arrivo inverno di malcontento”

    Torino – Dopo due anni segnati dalla pandemia da Covid-19, i leader del mondo tornano a incontrarsi in presenza all’Assemblea Generale dell’Onu a New York. Ad accoglierli con il discorso inaugurale non è il presidente del Paese ospitante, Joe Biden, di ritorno dai funerali della Regina Elisabetta II (il suo discorso è previsto per domani). Ci pensa il segretario generale dell’Onu, António Guterres, a fare gli onori di casa. Ma, di certo, non prefigurando uno scenario roseo per presente e futuro. Anzi. “Un inverno di malcontento è all’orizzonte”, è l’ouverture. E, man mano che va avanti, le cose non migliorano.
    Guterres tocca tutti i punti caldi per il mondo intero. Guerra, energia, clima. Il segretario Onu descrive un mondo “paralizzato” dalle divisioni nonostante le crisi in atto, dalla guerra in Ucraina al riscaldamento globale. “La crisi del potere d’acquisto sta imperversando, la fiducia si sta sgretolando, la disuguaglianza sta esplodendo, il nostro pianeta sta bruciando”, eppure “siamo bloccati da una colossale disfunzione globale”, ragiona, spiegando che “queste crisi minacciano il futuro stesso dell’umanità e il destino del pianeta”. Quello del segretario generale dell’Onu è un invito a non farsi illusioni, perché “siamo in un mare in tempesta, si prospetta un inverno di malcontento globale”.
    Una sottolineatura, ovviamente, anche sulla crisi energetica, con l’invito ai Paesi ricchi a tassare gli extra-profitti delle compagnie energetiche e a “reindirizzarli” in parte ai Paesi che subiscono maggiori “perdite e danni” a causa degli impatti devastanti del cambiamento climatico e alle popolazioni che soffrono per l’inflazione. A due mesi dalla conferenza delle Nazioni Unite sul clima Cop27 in Egitto, “l’azione per il clima è passata in secondo piano” rispetto ad altre crisi, denuncia Guterres, chiedendo di porre fine alla “nostra guerra suicida alla natura”.
    L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è citata fra i pericoli che stanno minacciando il mondo. La guerra sarà al centro di questa settimana diplomatica di alto livello, includendo l’intervento, previsto mercoledì, del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, oltre a una riunione del Consiglio di sicurezza giovedì a livello di ministri degli Esteri. Martedì saliranno sul podio il presidente brasiliano, Jair Bolsonaro, il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, il primo ministro giapponese, Fumio Kishida, e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz. Anche il presidente iraniano, Ebrahim Raissi, è a New York per la sua prima Assemblea Generale, e la questione nucleare potrebbe essere ancora una volta al centro delle discussioni. Ma ci sono assenti di rilievo: primi fra tutti, il presidente russo, Vladimir Putin, e quello cinese, Xi Jinping.

    Il segretario generale delle Nazioni Unite ha aperto l’Assise a a New York con un discorso duro: “Siamo bloccati da una colossale disfunzione globale, queste crisi minacciano il futuro stesso dell’umanità e il destino del pianeta”

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    L’Ucraina riceverà “con urgenza” altri 5 miliardi di euro come assistenza macro-finanziaria dall’Unione Europea

    Bruxelles – Meno di due settimane dalla proposta della Commissione Ue per chiudere il processo formale di approvazione della nuova tranche di assistenza macro-finanziaria all’Ucraina. Con il via libera di oggi (martedì 20 settembre) da parte del Consiglio dell’Ue – quello dei co-legislatori del Parlamento Europeo era arrivato durante la sessione plenaria della scorsa settimana – le istituzioni comunitarie hanno dimostrato ancora una volta dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina una capacità di risposta celere alle necessità di Kiev. Dopo il primo miliardo già erogato a inizio agosto, i Ventisette hanno adottato la decisione di fornire “con urgenza” altri 5 miliardi di euro all’Ucraina, all’interno di un pacchetto di assistenza macro-finanziaria complessivo da 9 miliardi.
    Si sbloccano così due terzi di quello che al Consiglio Europeo di fine maggio era stato definito un “impegno mostre” da parte dell’Unione. A questo punto dovrebbe essere seguita “rapidamente” l’adozione della terza tranche, che metta a disposizione i rimanenti 3 miliardi di euro “una volta definita la struttura di tale assistenza”, si legge nella decisione del Consiglio Affari Generali riunitosi oggi a Bruxelles. Come aveva ricordato la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, al momento della presentazione della proposta lo scorso 7 settembre, l’intero pacchetto di assistenza macro-finanziaria si pone l’obiettivo di “aiutare l’Ucraina a far fronte alle immediate necessità finanziarie causate dalla brutale invasione russa“, anche considerato il fatto che “Kiev ha bisogno di 5 miliardi di euro al mese solo per garantire i servizi di base, come salari e pensioni”.
    Oltre all’enorme sforzo di assistenza quasi ultimato, l’Ue ha già stanziato un pacchetto da 1,2 miliardi a pochi giorni dall’inizio della guerra del Cremlino in Ucraina, proprio considerato il rischio di invasione russa. Dopo il 24 febbraio, invece, sono arrivati anche aiuti umanitari (pari a 335 milioni), per aiutare i civili ucraini colpiti dalla guerra, e finanziamenti militari (2,5 miliardi) attraverso l’European Peace Facility, lo strumento fuori bilancio per la prevenzione dei conflitti, la costruzione della pace e il rafforzamento della sicurezza internazionale, attraverso il finanziamento di azioni operative nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune (Pesc) che hanno implicazioni nel settore militare o della difesa. Complessivamente, si parla di 10 miliardi di euro messi a disposizione dall’Unione all’Ucraina per affrontare la guerra e le sue conseguenze sulla popolazione.

    Via libero definitivo dal Consiglio dell’Ue alla proposta della Commissione, che sblocca due terzi dei 9 miliardi promessi a Kiev (di cui uno è già stato approvato a inizio agosto). I passaggi formali da parte dei Ventisette e degli eurodeputati sono stati completati in meno di due settimane

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    È sempre più stretta l’alleanza tra Vučić e Orbán. L’asse contro le sanzioni alla Russia che preoccupa Bruxelles

    Bruxelles – Era solo una questione di tempo per le formalità, perché i segnali del rapporto solidissimo tra Belgrado e Budapest erano già chiari. Il premier dell’Ungheria, Viktor Orbán, ha ricevuto oggi (venerdì 16 settembre) il gran collare dell’Ordine della Repubblica di Serbia – una delle massime onorificenze a capi di Stato e di governo per meriti speciali resi allo Stato e al popolo serbo – direttamente dalle mani del presidente Aleksandar Vučić. “Ringrazio il primo ministro ungherese per il suo forte contributo al miglioramento della cooperazione bilaterale complessiva tra Serbia e Ungheria, che è in costante aumento e ha raggiunto il suo stadio più alto, senza precedenti nella storia moderna”, ha dichiarato nel suo intervento Vučić.
    Un’alleanza che già aveva iniziato a formalizzarsi con lo scambio di onorificenze un anno fa, ma che ora – in un contesto geopolitico sempre più teso a causa delle conseguenze della guerra russa in Ucraina e per il vento nazionalista che si è confermato nei due Paesi alle rispettive elezioni dello scorso 3 aprile – assume caratteristiche sempre più preoccupanti per l’Unione Europea. Bruxelles è direttamente coinvolta anche dalle parole del presidente Vučić – per il sostegno “aperto e inequivocabile dell’Ungheria per la piena adesione della Serbia all’Ue il prima possibile” – in un futuro allargamento al Paese balcanico che solleva timori per il rafforzamento dell’asse illiberale Belgrado-Budapest. Proprio ieri (giovedì 15 settembre) il Parlamento Ue ha definito l’Ungheria di Orbán una “autocrazia elettorale” e ha chiesto alla Commissione il congelamento dei fondi comunitari destinati a Budapest, mentre il regime di Vučić è sotto l’occhio dei partner occidentali su diversi fronti, a partire dal rispetto degli standard democratici e dello Stato di diritto.

    We are grateful to our Hungarian friends, but especially to you, #ViktorOrban, for the open, unequivocal, and constant support you give to Serbia in its pursuit of #EU membership as well as on all significant regional issues, in particular our bilateral cooperation. 🇷🇸🇭🇺 pic.twitter.com/LJyD4uNO0X
    — Александар Вучић (@predsednikrs) September 16, 2022

    Ma a fare notizia sono gli attacchi violenti ed espliciti alla politica delle sanzioni alla Russia di Putin attuata dall’Unione. Non tanto quelli del serbo Vučić – unico leader europeo a non essersi allineato nemmeno a livello di principio – quanto piuttosto quelli dell’ungherese Orbán, che dopotutto farebbe ancora parte dei Ventisette e che quelle misure restrittive ha contribuito a disegnarle (o più spesso a limitarle). “Noi vorremmo che la politica delle sanzioni cambiasse e che Bruxelles la ponesse su basi ragionevoli”, ha dichiarato il leader dell’esecutivo di Budapest, dicendosi convinto che “se le sanzioni contro Mosca fossero revocate, la situazione migliorerebbe immediatamente”. Riferendosi in particolare alle misure restrittive su carbone e petrolio, Orbán ha definito i 27 governi europei “nani che impongono sanzioni contro un gigante energetico” ed è per questo che tutto ciò “minaccia di distruggere l’intero sistema” costruito in Europa, a partire dai Paesi più vicini alla Russia: “Le sanzioni inventate dall’Occidente danneggiano l’Ungheria e l’Europa centrale più di chi contro cui sono applicate, stiamo andando alla deriva in una crisi economica sempre più profonda“.

    (1/3) PM Orbán in Belgrade: “Sanctions invented by the West hurt Hungary and Central Europe more than against whom they are applied. We are drifting into a deepening economic crisis and if sanctions were lifted, the situation would improve immediately.”
    — Zoltan Kovacs (@zoltanspox) September 16, 2022

    Non preoccupano di meno le esternazioni dal punto di vista del rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto. In primis sulla reazione alla risoluzione del Parlamento Ue – “Siamo stufi di questa barzelletta, non ha alcuna importanza” – ma anche per la gestione delle richieste di asilo: “È una missione storica e una responsabilità comune dei due Paesi difendere le porte meridionali dell’Europa, e contrastare i continui flussi migratori“, ha attaccato Orbán, facendo riferimento alla “storia, geografia e la secolare amicizia che ci uniscono”.
    Sul fronte serbo è invece caldissima la questione dei diritti LGBTQ+ e dello svolgimento della Marcia dell’EuroPride di Belgrado di domani (sabato 17 settembre). “Non mi voglio occupare di un tema imposto in modo perverso al popolo serbo, sia da quelli che sono a favore sia da quelli che sono contro, come se fosse questione di vita o di morte”, ha risposto con fastidio Vučić alle domande dei giornalisti sulle notizie sempre più insistenti pubblicate dalla stampa nazionale a proposito della revoca del governo del divieto allo svolgimento della Marcia annunciato martedì (13 settembre) dal ministero dell’Interno. Il governo presieduto da Ana Brnabić (prima premier omosessuale della storia serba) avrebbe confermato alla Commissione Europea di aver fatto concessioni agli organizzatori, accordando lo svolgimento con un percorso più breve. Ma Vučić – che è stato il primo ad annunciare a fine agosto “la cancellazione o la posticipazione” dell’EuroPride – sembra non voler cedere a livello mediatico, non contribuendo di certo a diminuire la tensione e le possibili violenze dell’ala estremista e omofoba del nazionalismo in Serbia.

    NEWS: Government confirms #EuroPride2022 march will go ahead tomorrow @belgradepride, as we and @AllOut and @InterPride submitted 27,000 petitions to the Serbian government. https://t.co/HAbzn2biRR
    — EPOA • EuroPride (@EuroPride) September 16, 2022

    Trovi l’intervista agli organizzatori dell’EuroPride di Belgrado e un’analisi dei rapporti Serbia-Ungheria nella newsletter BarBalcani, curata da Federico Baccini

    Al premier ungherese è stato conferito il gran collare dell’Ordine della Repubblica di Serbia (una delle più alte onorificenze) per il rafforzamento della cooperazione reciproca. Attacco alla politica dell’Unione sulle misure restrittive contro Mosca: “Come nani contro un gigante energetico”

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    Il Parlamento Ue vuole maggiori relazioni con Taiwan

    Bruxelles – Stabilire nuove, maggiori relazioni con Taiwan, con condanna per le manovre militari di Pechino nello stretto che separa continente e isola di Formosa. Dal Parlamento europeo arriva un voto che rischia di creare nuovi motivi di tensioni e frizioni politiche nella già tese relazioni Ue-Cina. La risoluzione approvata a larga maggioranza dall’Aula (424 favorevoli, 14 contrari e 46 astenuti) è una presa di posizione chiara, netta, sullo scacchiere internazionale. I deputati europei si schierano con la Repubblica di Cina (ROC), che l’altra Repubblica, quella Popolare, non riconosce come tale e considera, da sempre, parte integrante della PRC.
    “Nell’isola democratica di Taiwan, spetta al popolo decidere come vivere”, recita il testo adottato. Una frase, con la sottolineatura della natura democratica dell’isola, che suona come critiche al regime di Pechino, già oggetto di critiche e censure da parte dell’Eurocamera per le repressioni degli uighuri. Un passaggio che, soprattutto chiarisce che il Parlamento non riconosce le pretese annessionistiche della Cina.
    La mozione che chiede maggiori relazioni con Taipei rafforza inoltre l’alleanza tra Unione europea e Stati Uniti per Taiwan. A inizio agosto la visita ufficiale della presidente della Camera dei rappresentanti USA, Nancy Pelosi, nella capitale della ROC, ha prodotto un terremoto diplomatico. Alle reazioni di Pechino è seguito il richiamo degli ambasciatori, inclusi quelli dell’Ue. Adesso l’Aula chiedono alla Commissione europea di ravvivare il dialogo Unione europea-Taiwan e “avviare senza indugio” una valutazione d’impatto, una consultazione pubblica e un esercizio di definizione dell’ambito di un accordo bilaterale di investimento con le autorità taiwanesi. Un altro modo per riconoscere che non c’è un’unica Cina, come invece sostiene Pechino.

    L’Aula approva a larga maggioranza una risoluzione che fa prendere una posizione chiara, in senso anti-Pechino

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    Il nome di Ursula von der Leyen è stato inciso nella ‘Walk of the Brave’ di Kiev: “Simbolo del legame tra Ue e Ucraina”

    Bruxelles – La terza è quella della consacrazione. Se la prima volta della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, a Kiev era servita per esprimere vicinanza al popolo e alle istituzioni dell’Ucraina e per indicare la strada del Paese verso l’adesione all’Unione, e la seconda per portare un segnale concreto di sostegno prima del vertice cruciale dei leader Ue sulla questione, la visita di oggi (giovedì 15 settembre) ha sancito l’ingresso della numero uno dell’esecutivo comunitario nella ‘Walk of the Brave’, la strada con i nomi dei valorosi che hanno combattuto al fianco di Kiev contro la Russia.
    “Sono onorata di essere tornata qui a Kiev, ma soprattuto di vedere quanto la città sia cambiata in meglio, la vita è tornata”, ha esordito von der Leyen nel suo intervento alla stampa con il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky. “Voglio ringraziarvi dal profondo del cuore per l’onorificenza che ho ricevuto oggi”, ha continuato, facendo riferimento non solo al nome inciso sulla strada ‘dei coraggiosi’, ma anche alla medaglia di prima classe dell’Ordine di Jaroslav il Saggio (uno dei più alti riconoscimenti a chi si è distinto per i servizi allo Stato e al popolo ucraino) consegnatale oggi dallo stesso leader di Kiev: “La prendo a nome dei milioni di europei che sostengono l’Ucraina, credo che sia un bellissimo simbolo del legame tra l’Ucraina e l’Unione Europea“.
    A proposito del legame tra Kiev e Bruxelles, la presidente von der Leyen ha ricordato la presenza di ieri della first lady ucraina, Olena Zelenska, a Strasburgo durante il suo discorso sullo Stato dell’Unione alla plenaria del Parlamento Ue: “La standing ovation con cui è stata accolta è stata commovente ed era palpabile il calore e l’amicizia” nell’emiciclo. E, come anticipato proprio nell’intervento a Strasburgo, la numero uno dell’esecutivo Ue ha reso noto che con Kiev si è discusso di come “lavorare in modo da avere una profonda integrazione dell’economia ucraina nel Mercato Unico“, a partire dall’abolizione delle tariffe roaming reciproche per gli utenti ucraini e comunitari. Anche il presidente Zelensky ha sostenuto che per il Paese è “prioritario” entrare nel Mercato Unico, dove circolano liberamente beni, servizi e capitali, così come accedere alla zona ‘free roaming’.

    Dear Volodymyr @ZelenskyyUA, thank you so much for the award of the First Class of the Order of Yaroslav the Wise.
    This is a great honour.  I accept it in the name of all EU citizens. And as a symbol of our strong bond. pic.twitter.com/6W8JPLTao3
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) September 15, 2022

    Per quanto riguarda il capitolo sull’adesione all’Unione, “il processo è ben avviato, è impressionante vedere la velocità, la determinazione, la precisione con cui state procedendo“, ha confermato von der Leyen. Finto stupore tradito da una battuta ben studiata: “Non devo dire che accelereremo il processo, perché lo state già facendo voi e questo è molto positivo”. Parallelamente, è l’aspetto economico quello che si vuole invece far procedere in modo spedito. Dopo il lavoro fatto sulle corsie di solidarietà per il grano, sulla sospensione dei dazi sulle esportazioni ucraine e sul collegamento di Kiev alla rete elettrica europea – “che ricorderete avevamo già in piano entro il 2024 prima della guerra, e invece ci siamo riusciti in due settimane e da allora l’Ucraina sta fornendo elettricità all’Unione Europea” – si dovrà “proseguire con l’eliminazione delle barriere non tariffarie, su cui lavoreranno i nostri esperti”. L’obiettivo finale è l’accesso dell’Ucraina nel Mercato Unico e nell’Unione Europea, particolarmente ambizioso mentre il Paese ancora affronta una guerra lacerante. Ma le promesse di von der Leyen a Kiev godono – ancora di più da oggi – di enorme credito in Ucraina.

    Nel corso della sua terza visita nella capitale la leader dell’esecutivo comunitario ha ricevuto dal presidente Zelensky anche l’onorificenza dell’Ordine di Jaroslav il Saggio. Al centro delle discussioni l’integrazione del Paese nel Mercato Unico, a partire dalla zona ‘free roaming’

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    La premier socialdemocratica Magdalena Andersson si è dimessa. La destra vince le elezioni in Svezia

    Bruxelles – Si è dimessa la premier svedese, Magdalena Andersson. La rimonta dell’ultimo minuto con i voti postali e dall’estero non è riuscita e ora, con il comunicato da parte della leader del Partito Socialdemocratico dei Lavoratori, la notizia è ufficiale: le elezioni di domenica 11 settembre in Svezia sono state vinte dal blocco di (ormai ex) opposizione di destra. “Il risultato è chiaro, domani presenterò le mie dimissioni”, ha annunciato senza mezzi termini la premier uscente in conferenza stampa, che si è detta “rammaricata” del fatto che forze come i Liberali e i Democratici Cristiani possano accettare di formare una coalizione con l’ultra-destra di derivazione neonazista dei Democratici di Svezia (che ha ottenuto il 20,6 per cento dei voti).
    Il leader del Partito dei Moderati, Ulf Kristersson
    Andersson ha riconosciuto la vittoria dello sfidante Ulf Kristersson, leader del Partito Moderato di centro-destra che, nonostante il costante calo alle urne (al 19,1 per cento dei voti, lo 0,7 in meno rispetto a quattro anni fa), è il primo accreditato a tentare di formare un governo. E proprio la fase della formazione del nuovo esecutivo sarà quella più delicata da gestire per capire in che direzione andrà il futuro della Svezia e, in parte, anche dell’Europa. Nonostante il blocco di destra si sia presentato unito alle elezioni e abbia conquistato una risicatissima maggioranza di 176 seggi al Riksdag (su 349, solo uno in più della soglia-limite), nessuno dei partiti di centro-destra ha mai accreditato i Democratici di Svezia al Parlamento, a causa delle radici del partito nei gruppi neonazisti. Ma ora che sono diventati la seconda forza al Riksdag dovrà essere proprio Kristersson a decidere se aprire anche loro la maggioranza, o se guidare un governo di minoranza con il supporto delle altre forze parlamentari (socialdemocratici in questo caso per forza inclusi) su un’agenda condivisa.
    Un’opzione difficile da percorrere, considerata l’asprezza dei toni della campagna elettorale sui temi della sicurezza, della criminalità e della migrazione, ma che potrebbe poggiare su un patto di governo quantomeno per preparare il semestre di presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea (che si aprirà dal primo gennaio 2023) e sul proseguire l’impegno di adesione alla Nato senza sbandamenti. Il peso dei socialdemocratici all’Assemblea parlamentare svedese sarà comunque notevole, considerata la conquista di quasi un terzo dei seggi (108) e una crescita costante negli ultimi anni: con il 30,5 per cento dei voti, il successo si misura in 2,2 punti percentuali in più rispetto alle elezioni del 2018 e come il primo partito in solitaria. Tutto questo però potrebbe non bastare, nel caso in cui l’estrema-destra guidata da Jimmie Åkesson dovesse entrare in maggioranza: le dimissioni dell’ormai ex-premier Andersson potrebbero essere solo il primo passo di un ritorno – raro, negli ultimi 90 anni di storia del Paese – della forza di sinistra svedese all’opposizione.

    Lo ha annunciato la stessa prima ministra uscente dopo il conteggio degli ultimi voti postali e dall’estero, che non hanno cambiato l’esito dei risultati preliminari usciti dalle urne l’11 settembre. Ora si apre un periodo di incertezza sulla formazione del nuovo governo guidato dai Moderati