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    Prove tecniche del vertice UE-Balcani Occidentali: inizia il viaggio di von der Leyen nella regione

    Bruxelles – Ora si inizia a fare sul serio. A poco più di una settimana dal vertice UE-Balcani Occidentali in programma in Slovenia, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, è pronta per iniziare il suo viaggio nella regione. Al centro del confronto con i leader dei Paesi balcanici, tutti i dossier più caldi: dalle prospettive di adesione all’UE, al sostegno economico di Bruxelles alla regione, fino alle complicazioni nell’apertura dei negoziati con Albania e Macedonia del Nord e le tensioni tra Serbia e Kosovo. Tra oggi e giovedì (30 settembre) andranno in scena le prove tecniche del summit del 6 ottobre, l’occasione migliore per captare gli umori degli invitati a Kranj.
    Saranno 72 ore intense per la leader dell’esecutivo comunitario, ospite dei presidenti di Stato e di governo di Albania, Macedonia del Nord, Kosovo, Montenegro, Serbia e Bosnia ed Erzegovina. Il viaggio inizia questa mattina da Tirana, dove von der Leyen inaugurerà una scuola ricostruita dopo il terremoto del 2019 grazie ai fondi europei, per poi continuare con le visite a Skopje, Pristina e Podgorica. Tra mercoledì e giovedì la presidente della Commissione UE sarà a Belgrado, per partecipare all’evento di lancio di un progetto ferroviario legato al Corridoio paneuropeo X. Ultima tappa a Sarajevo, dove incontrerà i membri della presidenza tripartita della Bosnia ed Erzegovina.
    I problemi da affrontare
    Presentando le premesse e gli obiettivi del viaggio, la portavoce della Commissione UE Dana Spinant ha spiegato che von der Leyen non solo “esprimerà attaccamento alla regione e al suo futuro europeo”, ma “discuterà anche dei temi politici di attualità e degli sviluppi regionali con tutti i leader che incontrerà”. Tra le questioni più scottanti sul tavolo c’è la tensione crescente tra Belgrado e Pristina sulla ‘battaglia delle targhe’, che continua a riguardare da vicino Bruxelles. Il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna, Peter Stano, ha ribadito che “la de-escalation è responsabilità di entrambe le parti”. Facendo riferimento alla dichiarazione dell’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, Stano si è detto preoccupato di “una situazione che non è positiva né per i cittadini serbi né per quelli kosovari”, né tantomeno per il dialogo decennale mediato dall’Unione Europea.
    La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, e il presidente serbo, Aleksandar Vučić
    Se il rapporto sempre più in salita tra Pristina e Belgrado sta catalizzando l’attenzione di Bruxelles, sarebbe un grave errore per le istituzioni europee sottovalutare gli altri malumori e difficoltà presenti nella regione. Primo su tutti, lo stallo sull’avvio del processo di adesione all’UE di Albania e Macedonia del Nord. Il problema è tutto del Consiglio dell’UE, a causa del veto della Bulgaria sul quadro negoziale con Skopje per questioni di natura ideologico-culturale. Nonostante le dure critiche dell’alto rappresentante Borrell agli Stati membri, nulla sembra essersi sbloccato e questa immobilità sta minando la fiducia dei cittadini macedoni e albanesi (il cui quadro negoziale con l’UE è legato a quello di Skopje) sulle reali possibilità di fare ingresso nell’Unione Europea.
    Di conseguenza, il viaggio nei Balcani della presidente von der Leyen rappresenta un tentativo di rassicurare i partner regionali. Non solo a Skopje e Tirana, ma anche a Podgorica. Nonostante il Montenegro sia attualmente il Paese allo stadio più avanzato nel processo di adesione all’UE, Bruxelles teme che possano ripetersi episodi di debiti stellari contratti dal Paese con la Cina, come quello che si è risolto solo a luglio, dopo mesi di incertezza. Ecco perché la Commissione Europea sta facendo del Piano economico e di investimenti da 29 miliardi di euro per la stabilizzazione della regione il suo cavallo di battaglia: in questo senso potrà presentare ai leader balcanici un risultato tangibile, ovvero l’accordo sullo strumento di assistenza pre-adesione IPA III che ha finalmente sbloccato questi fondi.
    Gli altri punti in agenda
    Tra i temi da affrontare per la presidente von der Leyen in questo viaggio nei Balcani – e che riemergeranno la settimana prossima al Brdo Congress Centre – ci sono anche il rispetto dello Stato di diritto e delle riforme necessarie per seguire la strada dell’integrazione europea. Questo discorso vale in particolare per la Bosnia ed Erzegovina, che ha ancora molto da lavorare sui 14 criteri di Copenaghen, che disciplinano le condizioni base per iniziare il processo negoziale). Il Paese ha bisogno di sostegno da Bruxelles sul fronte della riconciliazione etnica, del rafforzamento della democrazia e della stabilizzazione delle istituzioni nazionali.
    La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, e il primo ministro ungherese, Viktor Orbán
    Occhi puntati anche sulla Serbia del presidente Aleksandar Vučić, sempre più attratta dalle lusinghe del premier ungherese, Viktor Orbán (che non si sta dimostrando esattamente un campione nel rispetto dello Stato di diritto). Ultima in ordine cronologico, l’esortazione a Bruxelles di velocizzare l’accesso di Belgrado all’UE, per “difendere con maggiore energia i confini meridionali dello spazio Schengen“. Orbán ha sottolineato con forza che “tutti saremmo stati più al sicuro” se la Serbia avesse fatto parte dell’Unione, facendo un riferimento nemmeno troppo implicito alla questione della rotta migratoria sui Balcani.
    Anche considerata la drammatica situazione dei campi profughi in Bosnia – coperta da una coltre di silenzio estivo, ma pronta a ripetersi con il ritorno dell’inverno – per le istituzioni europee il tema della gestione della rotta balcanica dovrebbe essere il primo, non l’ultimo tema in agenda. Ma in un’Unione che non riesce a trovare un’intesa sulla migrazione e l’asilo nemmeno al suo interno, è quasi utopico pensare che i Ventisette possano parlare con una sola voce ai loro partner balcanici durante il vertice in Slovenia. Impossibile aspettarselo da un viaggio di soli tre giorni in sei capitali da parte della presidente della Commissione UE.

    Per tre giorni la presidente della Commissione UE discuterà con i leader balcanici dei problemi regionali e delle prospettive di integrazione europea. È il banco di prova più importante prima del summit in Slovenia del 6 ottobre

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    Unione europea e Cina potrebbero tenere a ottobre un “dialogo strategico”

    Bruxelles – Secondo il South China Morning Post, diplomatici di alto rango dell’Unione europea e della Cina terranno un meeting martedì 5 ottobre. Per il giornale di Hong Kong a presiedere la riunione saranno l’alto rappresentante per gli Affari esteri Josep Borrell e il ministro degli Esteri cinese Wang Yi. Anche il vicepresidente della Commissione Frans Timmermans e il vicepremier cinese Han Zheng dovrebbero essere presenti all’evento.
    È probabile che il focus del discorso verterà sui recenti sviluppi nella regione dell’Indo Pacifico. Dunque lo “strappo” diplomatico tra Stati Uniti e alleati Europei (Francia in primis) dovuto all’esclusione dal partenariato strategico AUKUS e la nuova Strategia sull’area pubblicata il 15 settembre. Sullo sfondo, la questione dell’Afghanistan.
    La Cina tenterà di sfruttare gli attriti tra Stati Uniti e partner europei per evitare che l’Ue (e gli Stati membri) si attesti su posizioni definitivamente anticinesi. Mossa che Pechino giudica necessaria alla luce delle recenti aperture del Parlamento europeo per un accordo sugli investimenti bilaterali con Taiwan e delle condanne per il trattamento degli Uiguri. In particolare le violazioni dei diritti minoranza turcofona erano state alla base di alcune sanzioni contro la Cina nel marzo del 2021.
    I dialoghi tra Unione europea e Cina
    L’evento è parte di una serie di meeting che Unione europea e Cina tengono su base regolare, i cosiddetti “dialoghi strategici”. Se questa edizione venisse confermata, si tratterebbe dell’undicesimo incontro di questo genere – l’ultimo si era tenuto nel giugno del 2020 e aveva prodotto l’intesa per l’accordo bilaterale sugli investimenti (CAI).
    Sul piano economico la Cina tenterà di fare pressioni per ottenere una soluzione di compromesso per gli investimenti dopo il congelamento dell’accordo raggiunto a novembre 2020. È probabile che si parlerà anche delle condizioni delle imprese europee nella Repubblica popolare, dopo la pubblicazione di un report che esprimeva preoccupazione per il controllo sempre maggiore che la politica esercita sul settore privato.

    Unione europea e Cina potrebbero tenere un meeting a breve: la strategia UE per l’Indo Pacifico, le tensioni tra Europa e America, la gestione dell’Afghanistan e gli investimenti bilaterali

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    Telefonata Biden Macron: nessuna scusa, ma volontà di ricucire

    Bruxelles – Joe Biden e Emmanuel Macron tornano a parlarsi. Dopo la crisi diplomatica dovuta all’annuncio dell’accordo a tre tra USA, UK e Australia sulla difesa chiamato AUKUS, che ha tagliato fuori un’importante fornitura di sottomarini francesi a Camberra, i due presidenti hanno avuto una conversazione al telefono per ricucire lo strappo. Nel comunicato congiunto viene specificato che a richiedere l’incontro è stato Joe Biden, che ha ritenuto necessario “discutere le implicazioni di quanto annunciato il 15 settembre”. I due leader si incontreranno a fine ottobre a Bruxelles. Anche i rispettivi ministri degli Esteri, Jean-Yves Le-Drian e Antony Blinken, hanno avuto modo di confrontarsi al margine della riunione del consiglio di Sicurezza dell’ONU.
    Biden ha confermato “l’importanza strategica del coinvolgimento della Francia e dell’Europa nell’Indo Pacifico, nel quadro operativo della Strategia recentemente pubblicata dall’Unione europea”, riconoscendo anche l’importanza di “una difesa europea più forte e capace”, a patto che sia complementare e non alternativa alla NATO.
    Le ultime righe del comunicato parlano direttamente al cuore della Francia. Gli Stati Uniti si impegnano a supportare le operazioni anti-terrorismo degli Stati europei nel Sahel, dove le truppe di Parigi sono presenti con l’operazione Barkhane (ora in via di ridimensionamento) dal 2014.
    Cosa emerge dalla telefonata tra Biden e Macron
    Dopo la telefonata, Emmanuel Macron ha acconsentito al ritorno dell’ambasciatore francese a Washington. Le sorti della rappresentanza transalpina in Australia non vengono nominate. Scott Morrison, Primo Ministro del Paese oceanico, ha dichiarato di aver più volte tentato di contattare l’Eliseo, senza ricevere risposta. Sebbene non lo possa dare a vedere, i malumori di Parigi resteranno e con l’Australia si può permettere di portare avanti per un altro po’ il gelo diplomatico.
    Durante il briefing per i giornalisti alla Casa Bianca, la segretaria per la Stampa Jen Psaki ha affermato che “il tono della conversazione è stato amichevole”, ma ha eluso la domanda di un giornalista che chiedeva se da parte del presidente americano ci fossero state delle scuse formali. Quanto emerge dalla telefonata tra Biden e Macron è che le concessioni fatte alla Francia bastano a far rientrare la crisi e che i due sono d’accordo su una maggiore collaborazione, ma gli Stati Uniti non sono affatto pentiti dell’accordo con Londra e Canberra.
    Le concessioni a Francia e Unione europea
    La Francia accetta i pegni di pace, che riguardano i principali dossier sul tavolo dell’Eliseo. Supporto alla missione nel Sub-sahara, che in questo momento stenta a proseguire nonostante l’uccisione del capo di Al Quaeda in Mali da una parte. Dall’altra c’è il placet di Biden allo sviluppo di una difesa europea che dovrebbe necessariamente vedere la Francia come capofila.
    A mettere di buon umore l’Eliseo c’è anche la telefonata del 22 settembre tra Emmanuel Macron e Narendra Modi. Il premier indiano ha parlato di approfondire la collaborazione tra India e Francia per “un Indo Pacifico aperto e inclusivo” – nell’ambito delle iniziative europee nell’area.

    Spoke with my friend President @EmmanuelMacron on the situation in Afghanistan. We also discussed closer collaboration between India and France in the Indo-Pacific. We place great value on our Strategic Partnership with France, including in the UNSC.
    — Narendra Modi (@narendramodi) September 21, 2021

    Secondo la stampa francese, la telefonata potrebbe essere il primo passo per sostituire l’Australia con l’India come potenziale acquirente di una nuova commessa di sottomarini francesi –  per Le Figaro questa volta potrebbe trattarsi di sottomarini nucleari. Un accordo che si andrebbe a sommare a quello già in vigore tra Dehli e Parigi, che prevede l’acquisto di sei sottomarini diesel classe Scorpene, per un totale di 5 miliardi di dollari.

    La telefonata tra Joe Biden ed Emmanuel Macron riporta l’ambasciatore francese negli USA dopo alcune concessioni a Francia ed Europa sul dossier della difesa comune e dell’impegno americano nel Sahel

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    Aukus: siglato patto di sicurezza trilaterale. L’Europa resta ai margini

    Dopo che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella al vertice di Arraiolos ha invocato una politica estera, di sicurezza e di difesa comune per fare sentire la voce europea nel mondo e dopo che Silvio Berlusconi ha chiosato lo stesso concetto al vertice di Roma del PPE chiedendo la fine del voto all’unanimità in politica estera l’Unione Europea rimane ancora a guardare. Che cosa? L’attivismo degli (alleati) americani. 
    Dopo il ritiro delle truppe dall’Afghanistan Joe Biden, l’attuale Presidente degli USA, si lancia a capofitto in una nuova strategia per limitare l’espansionismo cinese ed insieme a Boris Johnson, il Primo Ministro britannico, e Scott Morrison, il Primo Ministro dell’Australia, sigla un patto di sicurezza trilaterale denominato Aukus che esclude ancora una volta l’Unione Europea dallo scenario internazionale dell’indo-pacifico. 
    L’Aukus – acronimo dei tre paesi firmatari Australia, Regno Unito e Stati Uniti d’America – permetterà agli anglo-americani di fornire tecnologie militari a Canberra per la costruzione di sottomarini nucleari. I nuovi armamenti, secondo diversi analisti, serviranno per difendere gli interessi commerciali australiani nonché per difendere Taiwan dalla minaccia cinese. Nel complesso l’accordo di difesa ha un valore simbolico perchè mira a bloccare tempestivamente la volontà di potenza della Repubblica Popolare Cinese e permette agli Stati Uniti di rinnovare la propria presenza nell’area pacifica. 
    In questo clima di tensione che ricorda la guerra fredda, rimane esclusa, come detto, l’Unione Europea. O meglio, i ventisette paesi che ne fanno parte, dato che è difficile parlare di una politica estera comune e univoca europea. Ogni paese europeo ha suoi interessi strategici da perseguire, a partire dalla Francia che ha perso, nei confronti dell’Australia, una commessa da cinquanta miliardi di euro per la costruzione di dodici sottomarini nucleari. Siamo ancora lontani dalla tanto agognata sovranità europea.
    Per altro, citando l’ambasciatore francese a Roma Christian Masset, nella vicenda non si è visto l’America is back ma la continuazione dell’America first. In un momento in cui le relazioni inter-statali continuano ad essere dominate da un certo tasso di anarchia internazionale, l’Unione Europea è in totale confusione e sta ancora aspettando spiegazioni da Washington. Potenzialmente arriveranno presto, auspicabilmente al G20 di Roma.

    Questo contributo è stato pubblicato nell’ambito di “Parliamo di Europa”, un progetto lanciato da
    Eunews per dare spazio, senza pregiudizi, a tutti i suoi lettori e non necessariamente riflette la
    linea editoriale della testata.

    E’ difficile parlare di una politica estera comune e univoca europea

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    Il Consiglio commercio e tecnologia UE-Stati Uniti rischia di saltare per la disputa sui sottomarini francesi

    Bruxelles – Rischia di slittare o addirittura di saltare la data dell’inaugurazione del Consiglio per il commercio e la tecnologia UE-Stati Uniti (TCC), l’organismo progettato per coordinare e rafforzare la cooperazione tra le due sponde dell’Atlantico nell’ambito tecnologico e digitale. La causa dei tentennamenti da parte dell’Unione Europea è la disputa sui sottomarini francesi, meglio nota come AUKUS, il nuovo sodalizio strategico tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti.
    Secondo quanto riferito ieri (martedì 21 settembre) dal portavoce della Commissione UE, Eric Mamer, durante il punto quotidiano con la stampa a Bruxelles, l’esecutivo UE sta analizzando “le conseguenze di AUKUS e il possibile impatto sulla data prevista” per la riunione inaugurale. Nonostante il portavoce non abbia fornito indicazioni precise su quando sarà resa nota la decisione, una comunicazione è attesa verosimilmente entro la fine di questa settimana: mercoledì prossimo, 29 settembre, i vicepresidenti esecutivi della Commissione UE Margrethe Vestager (per il Digitale) e Valdis Dombrovskis (per l’Economia) sono attesi a Pittsburgh (Pennsylvania) per co-presiedere al Consiglio.
    “Cerchiamo informazioni, che analizzeremo sul piano del significato per l’Unione Europea, visto che non riguarda solo la Francia”, ha specificato Mamer: “Solo quando avremo preso una decisione a riguardo, torneremo sulla questione della data” della prima riunione del TCC. Parole che hanno avuto un’eco nei palazzi delle istituzioni europee, come conferma l’appello di questa mattina del gruppo del Partito Popolare Europeo: “Il Consiglio UE-Stati Uniti per il commercio e la tecnologia deve dare risultati la prossima settimana a Pittsburgh”, si legge sul profilo Twitter. “Le aziende su entrambe le sponde dell’Atlantico si aspettano un forte partenariato”, che dovrebbe “aiutare le imprese dell’UE ad avere successo”.

    The EU-US Trade Technology Council must deliver results next week in Pittsburgh🇺🇸.
    Businesses on both sides of the Atlantic expect a strong TTC partnership.
    We must help EU🇪🇺 businesses to succeed!
    Only by working together can we succeed and solve global challenges. pic.twitter.com/zaLKB3TBH9
    — EPP Group (@EPPGroup) September 22, 2021

    La Commissione Europea ha fatto sapere che dovrà valutare il significato di AUKUS prima di confermare la data inaugurale del Consiglio commercio e tecnologia a Pittsburgh prevista per il prossimo 29 settembre

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    Lituania: “Buttate i telefoni cinesi, rubano dati e sono censurati”

    Bruxelles – L’annuncio del ministero della Difesa della Lituania è di quelli senza precedenti: “Buttate via i vostri telefoni cinesi e non compratene di nuovi”. Secondo un’analisi dell’istituto statale di cybersicurezza di Vilnius, i dispositivi Xiaomi hanno installato al loro interno dei software in grado di censurare messaggi come “Tibet libero”, “lunga vita all’indipendenza di Taiwan” o “movimento democratico”. I termini censurati sarebbero 449 e in continuo aggiornamento. Il software è disattivato per il mercato dell’Unione europea, ma “può essere attivato da remoto in qualsiasi momento”. Inoltre, è stato rilevato che i modelli Xiaomi e il P40 5G di Huawei inviano dati crittografati sull’utilizzo del telefono a un server a Singapore.
    L’annuncio di Vilnius aumenta ulteriormente la tensione con Pechino dopo la crisi diplomatica dello scorso agosto. La Lituania aveva autorizzato Taiwan ad aprire un’ambasciata di fatto (ufficialmente il Paese baltico non riconosce l’isola, così come non lo fanno quasi tutti i Paesi del mondo: farlo significherebbe una crisi con la Cina) utilizzando il proprio nome e non “Taipei”, che è quello della sua capitale usato normalmente in questo tipo di rappresentanze. Il governo cinese, che considera Taiwan una provincia ribelle da riconquistare, aveva ritirato il proprio ambasciatore a Vilnius, espulso quello lituano a Pechino e ridotto i commerci tra i due Paesi, che peraltro non erano particolarmente consistenti. Si è trattato del primo caso in cui la Cina ha ritirato il proprio ambasciatore in uno Stato membro dell’Unione europea.
    Nonostante le pressioni del Dragone, Vilnius non ha arretrato e ha rincarato la dose. Forte anche del sostegno statunitense (il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan ha chiamato la prima ministra Ingrida Šimonytė per esprimerle il supporto dell’amministrazione Biden), la Lituania ha inaugurato una politica di relativo attivismo nell’area indo-pacifica, con l’apertura di un’ambasciata in Australia nel 2020 e le prossime inaugurazioni in Corea del Sud e Singapore. In Cina non l’hanno presa bene: i media statali hanno definito “buffonesco” il governo lituano e minacciano di tagliare definitivamente i rapporti commerciali.

    Vilnius chiede ai propri cittadini di abbandonare i modelli Xiaomi e Huawei: avrebbero un software di censura e invierebbero dati riservati a Singapore. Sostegno dagli USA, l’ira di Pechino che minaccia ritorsioni

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    “AUKUS affair felt by France as a betrayal, but it can be a problem for all European defence industry”: interview with Frédéric Grare (ECFR)

    Brussels – The publication of the EU Strategy for cooperation in the Indo Pacific and the birth of AUKUS, the military pact between Australia, US and the United Kingdom, mark a siwtch in relations between United States, China and European countries. The military partnership of the Anglo-Saxon countries could exclude EU countries from the area (as well as from cooperation in the industrial field), precisely in the same days in which the first programmatic document for a shared approach on the Indo Pacific is launched. In the interview released to Eunews, Frédéric Grare, of the European Council on Foreign Relations, explains how to read the events of the last week.

    Dr. Frédéric Grare is a Senior Policy Fellow with the Asia Programme at the European Council on Foreign Relations. He previously worked at the Center for Analysis, Planning and Strategy (CAPS) of the French Ministry for Europe and External Affairs (MEAE), Paris, where he focused on Indo-Pacific dynamics and Indian Ocean security issues. Prior to joining the French MEAE, he served as the South Asia programme director at the Carnegie Endowment for International Peace in Washington DC. (ecfr.eu)

    Eunews: The European Commission yesterday presented its Strategy for cooperation in the Indo Pacific. Many analysts in Italy have attacked the document saying it has a little of a strategic approach and too much of an economic one. Do you think this document really represents a change of pace or is it a set of statements of circumstance?
    Frédéric Grare, Senior Policy Fellow with the Asia Programme at the European Council on Foreign Relations
    Grare: This is definitely a compromise between the countries who want a more strategical approach to the region and the ones who sees an opportunity. This is something in between. If you look at the conclusions of the European Council of April and compare them with this document, it is a little more strategical: it mentions China as a problem and it can work as a framework for European objectives in the area. You can take issue by issue and decide if you want to have or not a strategical approach. The document sees the area as a very competitive space between China and the US in terms of economic influence: if China gets it, it will also get political influence. Everything depends on the way the document will actually be implemented. It’s a document of compromise. The strategy is not very ambitious: it reflects the typical approach of EU Member States, it doesn’t mean the document doesn’t have any potential. We have to take into account the reality and therefore we cannot commit to something we won’t be able to realize.
    Eunews: How deep are the interests of the EU in the Indo Pacific? Does the new focus for this region concern to European interests or it depends on our special relationship with the United States?
    Grare: Definitely both. We have to start from the reality that the document is a compromise and that interests are different for every member State: for example, if you take France, which is resident of the Indo Pacific because it has territories and population both in Indian and Pacific Ocean and therefore it has to be present, even if it doesn’t want to. Clearly it is a very deep interest. Other countries, such as the Baltic States, have other priorities (mainly Russia). Although almost every EU member State (with perhaps the exception of Hungary) sees China as an increasing issue, being present in the Indo Pacific means gaining the goodwill of the United States in order to have their security guaranteed.
    Eunews: Why do you think the Americans have not informed Europe about AUKUS? Even going so far as to annoy France and pushing Australia to cancel a previous military supply agreement with France.
    Grare: Would France have remained inactive? No, of course not. The treaty had to remain secret, so the French would have known it with the fait accompli. But this has consequences for Europe as well, because France is a large part of the European defense industry. I can understand the logic behind remaining secret. It has devastating effects on the existing and perhaps no-longer existing deal between France and Australia. Of course now the French feel betrayed by Australians.
    Eunews: The EU has published a strategy, but many European countries (France, Germany, Netherlands) already have one at national level and it is possible that other countries will soon have one. Is it possible to merge these strategies into the European one?
    Grare: No, I think they will remain separated. As I said, this document reflects compromise, that is to say the interests of each country and on some issues (such as security) it is difficult to have a common approach. Furthermore, for how the EU system works, normally the interventions are on a voluntary basis. Governments will continue occasionally to have independent initiatives in foreign policy in the Indo Pacific and they will be at the same time part of the European approach to the area. It could be very complementary.
    Eunews: How do you think the European strategy is perceived by China? Should China be happy because it is not explicitly named as a rival or unhappy because it is likely that the Indo Pacific will soon be more crowded?
    Grare: I don’t think they should be happy. China has already been named in the China strategy of the EU as a systemic rival. The rival term is very much there. If you look at the document, it talks about economic corrosion and militarization of the area with China as one of the responsibles. The objective remains to push China to behave in a way which is more acceptable internationally. China has no reason to be particularly happy about this document, but neither to be so anxious about it. The outcomes of this first step is not fixed yet. This is a framework, it gives a direction but in the end is up to member States when will we get to the next step.

    The EU Strategy for cooperation in the Indo Pacific is the first step to define member’s States interests and possibilities in the area. We talked about it with Frédéric Grare (ECFR)

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    Quattro migranti sono morti assiderati sul confine tra Polonia e Bielorussia

    Bruxelles – Sono i primi decessi ufficiali lungo la rotta bielorussa. Con la stagione fredda che è ancora alle porte, quattro migranti sono morti assiderati sul confine tra Polonia e Bielorussia negli ultimi tre giorni. La notizia è stata confermata dalle autorità di Varsavia, le uniche ad avere accesso alla frontiera da quando è stato introdotto lo stato di emergenza lo scorso 2 settembre. Da allora, giornalisti e attivisti per i diritti umani non possono soggiornare, registrare e ottenere informazioni sulle attività svolte in una striscia di terra larga tre chilometri lungo il confine orientale del Paese.
    In una conferenza stampa tenuta dal primo ministro, Mateusz Morawiecki, e dal ministro degli Interni, Mariusz Kamiński, il governo polacco ha reso noto di aver trovato tre persone prive di vita in luoghi diversi sul lato polacco del confine, mentre altre due sono in cura in un ospedale nei pressi del villaggio di Dworczysko, affette da ipotermia. Il quarto corpo è stato invece ritrovato sul lato bielorusso: si tratta di una donna irachena, precedentemente respinta dalle autorità polacche in Bielorussia mentre cercava di attraversare la frontiera con la sua famiglia.
    In particolare la morte della donna solleva sempre più preoccupazioni sui pushback operati dalle guardie di frontiera polacche (respingimenti illegali di persone con diritto alla protezione internazionale ai confini dell’Unione Europea). Da episodi sporadici potrebbero essere diventate azioni sistematiche, nel quadro di una politica di contrasto alla “guerra ibrida” del presidente bielorusso, Alexander Lukashenko. Il 17 settembre, il Sejm (la camera bassa del Parlamento polacco) ha adottato un disegno di legge che autorizza i respingimenti: nonostante il progetto legislativo debba ancora essere adottato dal Senato e firmato dal presidente della Repubblica, Andrzej Duda, si tratte di una palese violazione del diritto internazionale.
    Ma il governo di Varsavia sembra essere interessato esclusivamente a dare una risposta forte a Minsk. Il premier polacco ha accusato il regime bielorusso di aver agevolato quasi 4 mila tentativi di attraversamento illegale del confine solo nei primi 20 giorni di settembre – che salgono a 7 mila considerando anche il mese di agosto – come ritorsione alle sanzioni economiche imposte da Bruxelles.
    Dopo la notizia dei quattro migranti morti ritrovati sul confine tra Polonia e Bielorussia, a rincarare la dose contro Lukashenko è stato il portavoce del ministero degli Esteri, Stanisław Żaryn. In una dichiarazione scritta ha denunciato il “tentativo di usare una rotta migratoria artificiale per destabilizzare prima il confine bielorusso-lituano e ora quello bielorusso-polacco”. Da Varsavia arriva l’allarme di una crisi per i mesi che arriveranno: “Sono almeno 10 mila i migranti portati in Bielorussia da Lukashenko, che sta cercando nuove direzioni per inviarli nell’Unione Europea”, ha aggiunto Żaryn.

    Si tratta dei primi decessi lungo la rotta bielorussa confermati dalle autorità di un Paese membro UE. Varsavia punta il dito contro Minsk, ma preoccupano i respingimenti illegali che potrebbero essere autorizzati da un disegno di legge polacco